Il secondo podcast di Sounds & Grooves per il 18° anno di RadioRock.TO The Original
In questa nuova avventura in musica troverete moltissime novità e una parentesi dedicata al folk classico e moderno
Torna dopo la pausa estiva l’appuntamento quindicinale di Sounds & Grooves che per il 18° anno consecutivo impreziosisce (mi piace pensarlo) lo straordinario palinsesto di www.radiorock.to. 18 anni…siamo diventati maggiorenni!!!! A pensarci è incredibile che sia passato già così tanto tempo da quando abbiamo iniziato questa folle ma fantastica avventura. Come (credo) sappiate, la nostra podradio è nata per dare un segnale di continuità con quella meravigliosa radio del passato che molti custodiscono nel cuore e a cui ho provato a dare un piccolo contributo dal 1991 al 2000.
Sappiamo tutti benissimo che la Radio Rock in FM come la intendevamo noi è sparita da tanto tempo, ma in tutti questi anni di podcast sul web abbiamo cercato di tenere accesa quella fiammella per poi tentare di moltiplicarla, facendola diventare un faro di emozioni e qualità musicale. Perché la passione e la voglia di fare radio, la voglia di ascoltare e di condividere la musica di qualità, nonostante tutto, non ci è mai passata.
Questa creatura dopo quasi 4 lustri continua orgogliosamente a remare controcorrente, cercando quella libertà in musica che nell’etere è ormai diventata una mosca bianca, ed esprimendo con forza la passione per la condivisione, per la ricerca, per l’approfondimento. Non dobbiamo aderire ad una cieca linea editoriale che ormai spinge esclusivamente il pulsante play dei servizi di streaming, ma ci lasciamo guidare semplicemente dal nostro cuore e dalla nostra passione. Fulvio Savagnone, Marco Artico, Giampiero Crisanti, Franz Andreani, Flavia Cardinali, Francesco Cauli, Ivan Di Maro, Massimo Santori aka Moonchild, Maurizio Nagni ed io proviamo ogni giorno a coinvolgervi con i nostri podcast regolari e con le rubriche tematiche di approfondimento, sperando di farvi sentire sempre di più parte di questa fantastica avventura.
All’interno di questo secondo episodio stagionale troverete tantissime novità, dall’irrefrenabile ritorno di Marc Ribot alla guida dei Ceramic Dog, al travolgente mix di rumore e melodia degli Upper Wilds dall’ennesima conferma del talento di Kristin Hersh al pop sofisticato ma vicino al cuore dei The Clientele. Tra le novità troviamo ancora il nuovo album di Buck Meek (dopo aver ascoltato i suoi Big Thief), l’art-folk proiettato nel futuro di Jayne Dent aka Me Lost Me ed il folk più tradizionale di Pat Gubler che torna dopo 12 anni a far riascoltare arpa e chitarra sotto il nome di P.G. Six., per poi finire con il nuovo lavoro di una Sally Anne Morgan sempre più ispirata tra le isole britanniche e gli Appalachi. A legare il tutto trovate anche la spavalderia introspettiva degli Hüsker Dü, il noise-rock di Andrya Ambro pronta sulla rampa di lancio con un nuovo Gold Dime, l’evocativo trio folk dei Metal Mountains, il suono ipnotico ed emozionale dei King Hannah e le House And Land, duo folk che vedeva la già citata Morgan insieme a Sarah Louise. Il tutto, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
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Musicista trasversale nel senso più bello del termine, il chitarrista Marc Ribot si è preso (giustamente) la scena con straordinarie collaborazioni, dischi solisti e molti progetti diversi tra loro. A parte la collaborazione storica con Tom Waits, Ribot ha lavorato con artisti del calibro di Caetano Veloso, John Zorn, David Sylvian, The Lounge Lizards, Arto Lindsay, Medeski, Martin and Wood, Cibo Matto, Elvis Costello, Foetus, The Black Keys e moltissimi altri. Ha formato il Marc Ribot Trio con il bassista Henry Grimes e il batterista Chad Taylor dei Chicago Underground, i Marc Ribot y Los Cubanos Postizos dove svela l’amore per la musica tradizionale cubana e i The Young Philadelphians per riscoprire il soul della città della Pennsylvania negli anni ’70. Il chitarrista del New Jersey lascia il segno anche con i suoi Ceramic Dog, insieme al batterista Ches Smith e al bassista Shahzad Ismaily.
La sua sei corde si dimostra, come sempre, capace di compiere quei movimenti trasversali tra mondi diversi che solo pochi riescono a compiere con naturalezza, passando con energia e passione attraverso l’avanguardia, il folk, il rock, il jazz, il blues e il funk. Connection è il quinto album del trio, uscito da pochissimo in cui Ribot ed i suoi compagni di avventura riversano in dieci coinvolgenti tracce tutta la loro incontenibile creatività, basti pensare che c’è addirittura un finale dedicato alla cumbia! Tra testi pungenti e costruzioni musicali ardite, il trio scatena in maniera irrefrenabile tutto il potente arsenale a propria disposizione come nella stordente “Soldiers In The Army Of Love”. L’ennesimo centro pieno di una carriera straordinaria.
Nel 2017 avevamo parlato di un cofanetto che la splendida etichetta specializzata in ristampe Numero Group aveva approntato per raccontare i primi passi di una band storica come gli Hüsker Dü. Purtroppo pochi giorni dopo la felicità si era trasformata in infinita tristezza per la prematura scomparsa di Grant Hart. Hart aveva formato gli Hüsker Dü insieme a Bob Mould e Greg Norton nel 1979 dando una nuova connotazione al punk, mantenendo l’urgenza dell’hardcore, ma allo stesso tempo imprimendo una svolta melodica ed introspettiva, rendendo la band estremamente attuale e avendo un impatto notevole sui giovani negli anni ’80.
La band di Minneapolis, che all’epoca era in competizione (quasi) feroce con i concittadini The Replacements, era sempre in bilico tra la cupa introspezione di Mould e la spavalderia di Hart, che si spartivano da (quasi) buoni fratelli la scrittura delle tracce dei dischi. Il penultimo album in studio del trio del Minnesota si intitolava Candy Apple Grey inciso quando gli equilibri interni si erano già incrinati. Era già evidente la differenza tra le ballate intimiste di Mould e le tracce più tirate e spavalde di Hart come questa splendida “Don’t Want To Know If You Are Lonely” inserita nel podcast.
Sempre difficile mescolare rumore e melodia. Bisogna conoscere bene i materiali di partenza e miscelarli con grandissima cura nelle dosi corrette per ottenere risultati egregi perché il rischio che il risultato finale possa esplodere in malo modo è sempre altissimo. Ma quando l’alchimia funziona è sempre un piacere incredibile per le orecchie, come possono dimostrare le discografie di Hüsker Dü, Sugar o Dinosaur Jr. Dan Friel, cantante, chitarrista e compositore elettronico di Brooklyn, ha passato molti anni ad affinare le sue capacità chimiche, prima con i Parts & Labor poi come solista, per poi creare gli Upper Wilds, progetto che condivide con il bassista Jason Binnick e il batterista Jeff Ottenbacher.
Se il noise pop e in generale il perfetto equilibrio tra cataclismi sonori e orecchiabilità è la vostra cup of tea, il consiglio è di non perdere assolutamente il quarto album degli Upper Wilds intitolato Jupiter, disco breve ma estremamente intenso che tra melodie post hardcore ed effetti di chitarra densi e selvaggi si fa strada sempre più a fondo nella nostra galassia. Ci sono suoni spaziali ad introdurre il ritmo incalzante della tirata “Drifters” inserita in scaletta, con la chitarra che si immedesima nelle sonde spaziali che vanno alla deriva apparentemente senza meta alla ricerca di un’indicazione per tornare a casa. Jupiter è un album che sicuramente potrà apparire nelle classifiche di fine anno, e non solo di quelle degli amanti del genere.
Approfitto del fatto che tra un paio di settimane uscirà il nuovo album (spoiler: No More Blue Skies è l’ennesimo ottimo disco) per tornare a parlare di una delle eroine attuali della scena art-noise di New York. Circa sei anni fa la cantante/batterista/songwriter Andrya Ambro è tornata ad incidere musica dopo l’esperienza Talk Normal con un nuovo progetto chiamato Gold Dime. La musicista con la sua nuova ragione sociale aveva deciso di portare avanti il discorso portato avanti con Sarah Register nell’esperienza Talk Normal. Con questo nuovo progetto è però riuscita a ridurre l’aggressività della proposta aumentandone l’approccio scuro ed industriale. Il disco di esordio della nuova ragione sociale era uscito nel 2017 e si intitolava Nerves (leggi la recensione).
Come fa intuire il titolo, sono proprio le terminazioni nervose a fare da scheletro ad otto tracce intime ed aggressive che si muovono in maniera oscura. Il drumming sembra essere sempre sul punto di esplodere, mentre intrusioni elettroniche e scudisciate chitarristiche sanno come far male viaggiando perennemente sospese sul filo del rasoio. Il brano che ho scelto per il podcast si intitola “Disinterested”, a tratti addirittura melodico con la voce della Ambro a farsi sempre più potente e suggestiva, Il suono sembra apparentemente accessibile, ma in profondità si rivela assai minaccioso. Il suo ossessivo ritmo di basso, i vocalizzi art rock della leader e le rasoiate di chitarra, ne minano la struttura dalle fondamenta. Restate sintonizzati su queste frequenze, ne sentirete e ne leggerete delle belle. Intanto ascoltate il primo estratto dal nuovo album qui sotto intitolato “Denise”.
Nonostante sia rimasta lontana dalle luci dei riflettori e dal red carpet, Kristin Hersh negli ultimi anni si è dimostrata autrice sempre ispirata ed estremamente attiva. Da qualche anno ormai è tornata attiva con i suoi progetti Throwing Muses (l’ultimo album del gruppo che insieme a Pixies e Dinosaur Jr. ha fatto parte dell’elite della scena indie power rock di Boston è Sun Racket del 2020), e 50 Foot Wave, che ha pubblicato l’ottimo Black Pearl lo scorso anno dopo molti anni di silenzio. Non soddisfatta, ha pubblicato tre libri: un’autobiografia, un testo per bambini, e “Don’t Suck, Don’t Die: Giving Up Vic Chesnutt”, un libro che racconta la vita tormentata del compianto Vic Chesnutt, sublime songwriter e suo amico fraterno scomparso nel 2009. Proprio il “formato libro” sembra essere diventato il preferito della prolifica songwriter.
Nel 2016 Wyatt At The Coyote Palace si componeva di un libro con copertina rigida composto di ben 64 pagine di storie scritte dalla songwriter, alternate ai testi delle canzoni che fanno parte dei due CD inclusi nella confezione. Da poche settimane è uscito un suo nuovo album intitolato Clear Pond Road, undicesimo album solista pubblicato a cinque anni di distanza dall’ultimo Possible Dust Clouds. Il disco sembra un viaggio cinematografico, una serie di microstorie personali scritte da un’autrice ferocemente indipendente, capace di raccontare se stessa senza orpelli con un’enorme coerenza artistica. “Ms Haha” è solo una delle nuove, splendide, tracce di una grande songwriter.
Continuiamo il podcast con una band che, album dopo album, conferma la propria continua evoluzione sonora. Nel 2020, a corollario della mia recensione di Two Hands scrivevo così dei Big Thief: “Dopo il grande successo di critica e pubblico con U.F.O.F. la band di Brooklyn ha rischiato grosso facendo uscire due album così ravvicinati. Ma a conti fatti si può dire che la pubblicazione di Two Hands fa vincere loro la sfida, e se continueranno su questo solco non avranno problemi a ritagliarsi un ruolo di primo piano nel panorama folk-rock”. Ero stato facile profeta, visto che Adrianne Lenker (voce e chitarra), Buck Meek (chitarra e cori), Max Oleartchik (basso), e James Krivchenia (batteria) sono riusciti davvero a ritagliarsi un ruolo di primissimo piano, e non semplicemente nel panorama folk-rock.
Lo scorso anno, con gli 80 minuti di Dragon New Warm Mountain I Believe In You, i quattro hanno mostrato un orizzonte sonoro articolato e ben messo a fuoco, mostrando una maturità compositiva impressionante nello spaziare dal folk-rock alla psichedelia, dal blues elettrico al country-rock. Tornando indietro a Two Hands, Adrianne Lenker scrive suggestivi, profondi ed intimi microcosmi lirici legati al quotidiano, come nella struggente e lenta bellezza di “The Toy” in cui mette a nudo uno dei più grossi problemi degli Stati Uniti, il commercio e l’uso delle armi da fuoco. Disco dopo disco, il quartetto di Brooklyn è cresciuta enormemente nel saper gestire la propria capacità compositiva tra folk, pop, roots e la nuda interiorità dei testi.
Visto che con la sua band (sì, proprio quei Big Thief di cui abbiamo appena parlato) Buck Meek è non solo chitarrista e compositore, ma accompagna spesso al canto la sua ex moglie Adrienne Lenker, era naturale che anche la sua carriera solista si sviluppasse parallelamente a quella del quartetto di Brooklyn. Dopo due album usciti per la Keeled Scales, ecco che Meek approda alla 4AD per il suo terzo disco solista, senza dubbio (almeno fino ad ora) il più riuscito e maturo intitolato Haunted Mountain. Una montagna stregata che ha il compito di far fare al songrwriter un agognato ed importante salto di qualità.
Il disco parla del perdersi e ritrovarsi, ed è stato scritto in gran parte insieme alla collega texana Jolie Holland, ispirandosi per il titolo al Monte Shasta nel nord della California. Ma in realtà quella montagna stregata potrebbe essere ovunque. Dall’album di esordio, la band è rimasta invariata: Adam Brisbin (chitarra), Austin Vaughn (batteria) e Mat Davidson (pedal steel), con l’aggiunta recente di Ken Woodward (basso) e del fratello di Buck, Dylan Meek (piano e synth). L’album parla spesso e volentieri di amore, in modo delicato, a volte in maniera troppo fragile, altre volte, come nella ballata country-rock “Cyclades”, in maniera più consapevole e matura. Un disco solista convincente e una carriera sicuramente da seguire.
Loro sono un duo che a fine 2020 ha pubblicato uno splendido EP. Vengono da Liverpool e si fanno chiamare King Hannah. Il suono creato da Craig Whittle e Hannah Merrick si può ricondurre a quello degli Opal e di rimbalzo dei Mazzy Star, permeato da una vena psichedelica e dalla capacità di condire il tutto con echi ipnotici e suggestivi. Se siete orfani della coppia David Roback e Hope Sandoval troverete sicuramente pane per i vostri denti. Ma i due ragazzi non percorrono semplicemente sentieri già battuti. Fortunatamente ci mettono molto del loro. La Merrick ha una voce straordinaria e Whittle, che sembra avesse già intuito le capacità della sodale già molto tempo prima dell’effettiva unione artistica, è capace di pennellare sapienti tocchi di chitarra dove serve per poi lasciarsi andare quando arriva il momento.
Dopo la mezz’ora di musica dell’EPTell Me Your Mind And I’ll Tell You Mine erano alte le aspettative per il primo album vero e proprio. L’uscita di I’m Not Sorry, I Was Just Being Me fortunatamente non ha tradito le attese, anzi. Il mood intrigante del disco procede sul solco dell’EP di esordio, migliorando, se possibile, la scrittura con il loro suono ipnotico e scuro, le battute lente, le scorribande chitarristiche improvvise come quella che trovate nella splendido saliscendi emozionale di “The Moods That I Get” che ho scelto per rappresentare il disco. I più critici diranno che i due mettono in campo ben poche novità, ma chi al giorno d’oggi fa cose davvero nuove? E chi sa scrivere canzoni che funzionano così bene. L’album è già candidato come uno dei migliori dell’anno in corso, e se i due di Liverpool sapranno continuare su questi binari e crescere ulteriormente ne sentiremo delle belle.
Altra novità succosa in questo podcast. Dopo sei anni di silenzio e per suggellare i 25 anni di attività, ecco tornare i londinesi Alasdair MacLean (voce, chitarra, organo), James Hornsey (basso, piano) e Mark Keen (batterie e percussioni) uniti nella ragione sociale The Clientele. Ed è, diciamola tutta, un ritorno favoloso che andava celebrato in qualche modo in questo podcast. A sei anni di distanza da Music For The Age of Miracles torna il pop da camera del trio londinese, che stavolta ci porta in un lungo e meraviglioso viaggio nella memoria, un percorso intimista, profondo e melodico intitolato I Am Not There Anymore.
Mantenendo un’importante coerenza artistica, i londinesi proseguono il loro viaggio nel loro pop in bilico tra Love e Sarah Records, introducendo i battiti digitali del computer e altre suggestioni jazz e folk, che arricchiscono la tavolozza sonora andando a creare più di un’ora di assoluta magia. Una maturità pop che abbaglia e lascia sbalorditi man mano che si sfogliano le 19 tracce di cui è composto il lavoro, arricchito talvolta da una ricca sezioni di archi e fiati. Difficile scegliere solo una carta dal mazzo, alla fine la scelta è caduta sulla meravigliosa “Blue Over Blue”. Un disco che ha tutti i crismi per entrare di diritto in moltissime classifiche di fine anno.
Iniziamo una lunga parentesi finale dedicata al folk, declinato in molte forme diverse, da quella più classica a quella più sperimentale. C’è un sottile filo che unisce la musica di Jayne Dent aka Me Lost Me a quella di Richard Dawson. Non è solo l’aria condivisa di Newcastle Upon Tyne, ma un modo curioso, giocoso ed in qualche modo distopico di declinare la musica folk, substrato comune ai due. Nato come progetto solista, Me Lost Me è diventato una sorta di collettivo che prevede la collaborazione regolare dei musicisti jazz Faye MacCalman al clarinetto e John Pope al contrabbasso. Dai club folk di Sheffield all’università di belle arti a Newcastle, Jayne Dent ha costruito, grazie alla sua curiosità e al suo talento, una modalità compositiva capace di unire la tecnologia di studio e l’elettronica al songwriting tradizionale.
Una combinazione di folk tradizionale, field recordings, effetti elettronici, art pop, improvvisazione, che colpisce nel segno, soprattutto nel suo terzo album intitolato RPG, che porta la musica tradizionale a cavallo del tempo dalle tradizioni arcaiche dei racconti popolari fino al futuro, senza paura ma con una giocosa curiosità. La sua visione sonora viene coerentemente messa in musica durante tutta la durata del disco. Una serie di paesaggi sonori metà strada tra antico e moderno, con la una magistrale miscela di radici folk, elettronica e arrangiamenti intriganti, resa ancora più solida e convincente da una voce ricca e piena di sfumature, come nello splendido loop di synth arricchito da clarinetto, registrazioni di uccelli che cinguettano e percussività rotolante di una “Heat!” che a tratti ricorda la migliore Björk. Bravissima.
Torniamo sui binari folk più “classici”. Recentemente è stato ristampato Parlor Tricks And Porch Favorites, album che nel 2001 aveva rivelato al pubblico il talento di Pat Gubler, nascosto dietro al moniker di P.G. Six. Un folk psichedelico che si inseriva perfettamente in una sorta di revival dell’epoca (che portò alla ribalta artisti come Devendra Banhart), e che si affacciava spesso e volentieri sulle coste britanniche (Fairport Convention, Bert Jansch, Anne Briggs). Quello di Gubler è e rimane il talento di chi sa vedere la musica folk oltre i confini del tempo e dei territori sia da solo che con i suoi progetti The Tower Recordings e Metal Mountains di cui parleremo tra poco. Quasi inaspettatamente. ben 12 anni dopo il suo ultimo lavoro solista, ecco che il polistrumentista ha ritirato fuori la sua vecchia ragione sociale.
Il nome P.G. Six, infatti, appare in bella vista sulla bucolica copertina di un nuovo album intitolato Murmurs & Whispers, appena uscito per la benemerita Drag City. I mormorii e sussurri di un artista tornato in punta di piedi, che apre le danze suonando un’arpa celtica Triplett 34 corde modello fine anni ’80 (che ha sostituito quella paraguaiana che aveva suonato per anni in precedenza) con un’ intensa sensibilità, facendoci capire già dalle prime note che stiamo per entrare in un luogo completamente fuori dal tempo. Dopo gli arrangiamenti elettrici dei precedenti album, Gubler fortunatamente ha deciso di tornare a comporre quello che gli riesce meglio: canzoni capaci di contenere silenzi evocativi come la commovente e suggestiva “Tell Me Death” inserita nel podcast. Il disco è breve ma di grande intensità emotiva, così empatico e fuori da ogni rotta commerciale da risultare (paradossalmente) incredibilmente attuale.
Come abbiamo appena detto, Pat Gubler (oltre alla sua carriera solista) aveva fatto parte di un collettivo chiamato The Tower Recordings, nato nel 1995 dall’unione dello stesso Gubler con l’altro chitarrista Matt Valentine, ai quali si sono aggiunti molti altri musicisti tra cui Helen Rush, amica britannica di Valentine. Il collettivo voleva combinare la propria conoscenza enciclopedica dell’acid folk britannico degli anni Sessanta e Settanta, con altri generi musicali come il krautrock, l’improvvisazione libera e il jazz d’avanguardia, usando strumenti come la chitarra acustica ed elettrica, l’arpa, il pianoforte, il violoncello, l’harmonium, e aggiungendo una componente importante come un uso importante di nastri.
Intorno al 2011, tre musicisti provenienti dai disciolti The Tower Recordings, proprio Helen Rush (voce, chitarra e synth), lo stesso Pat Gubler (chitarra, piano e xilofono) e Samara Lubelski (violino), decidono di incidere un album per la Amish Records sotto il nome di Metal Mountains. Nonostante il nome della band possa evocare fantasmi di suoni aggressivi, il trio ci accompagna dolcemente in un album chiamato Golden Trees in un viaggio visionario tanto breve quanto meravigliosamente intenso. Alberi dorati tra cui è bello nascondersi, melodie distese accompagnate da chitarra e violino, con dolci rintocchi di piano a far capolino ogni tanto. Sono solo 36 minuti scarsi, ma le sette canzoni, tra cui la straordinaria “Turn To The East” inserita in scaletta, scorrono evocative nei nostri padiglioni auricolari, deliziandoli e cullandoli tra voci flebili, chitarre distese e violini evocativi.
Ci avviciniamo alla fine del podcast e continuiamo questa piccolo ma intenso approfondimento sul folk tra le isole britanniche e gli Appalachi. Loro erano un duo tutto al femminile di grande impatto emotivo chiamato House and Land. Sally Anne Morgan (violino, shruti box, banjo, voce) e Sarah Louise Henson (voce, chitarra a 12 corde, shruti box, bouzouki). si sono conosciute dopo un concerto dove Sarah era l’opening act dei The Black Twig Pickers, la band dove Sally suonava il violino. Le due hanno subito capito che avevano interessi comuni. Ad accomunarle c’era soprattutto la passione per un certo tipo di musica tradizionale.
La loro visione comune era quella di rivisitare la tradizione attraverso una lente moderna e sperimentale, ed il loro esordio mostra questo incredibile talento. L’album si chiamava semplicemente House And Land ed è stato pubblicato dalla Thrill Jockey. Tra inni tradizionali, droni, ballate degli Appalachi e traditionals britannici risalenti a secoli fa si snoda un album dal fascino antico e moderno allo stesso tempo. “The Day Is Past And Gone” è perfetta per rappresentare l’intero lavoro, un crocevia tra antico e moderno, tra folk e minimalismo, vicini come spirito a Tony Conrad e Pauline Oliveros tanto quanto a Shirley Collins. Un capolavoro di weird folk.
E visto che ne abbiamo appena parlato, andiamo a chiudere la parentesi folk, e l’intero podcast, con una metà delle appena citate House And Land. Rendere moderna, o comunque attuale, una tradizione antica è sempre stata l’obiettivo principale della compositrice e polistrumentista Sally Anne Morgan. Fin dalla sua permanenza come violinista nei The Black Twig Pickers insieme a Mike Gangloff, Nathan Bowles e Isak Howell, ha perseguito l’intento di partire dalle radici della musica della catena montuosa più lunga e antica d’America, gli Appalachi, e di quella importata dai primi immigranti dal nord della Gran Bretagna nel 17° secolo, per reinterpretarle con vigore e passione.
Il suo secondo album solista, dopo lo splendido esordio di tre anni fa intitolato Thread, si chiama Carrying e mostra l’artista del North Carolina sempre più a suo agio nel dipingere affreschi nel suo stile sempre più definito tra psichedelia, modernità e arrangiamenti sottili e intricati. Nei brani più riusciti, come la lunga ed intensa “Dawn Circle”, c’è tutto il senso di una “nuova” musica tradizionale capace di svincolarsi dalla struttura e dalla forma “classica” per creare una nuova prospettiva di folk estremamente personale e facilmente riconoscibile, capace di evocare i panorami bucolici. Gli arrangiamenti sono ricchi, intimi e moderni, e la voce calda e riflessiva di Sally Anne Morgan riesce a creare una sorta di espansione delle forme folk conosciute in un eccitante e solare dialogo tra passato e presente, una psichedelia cosmica con i piedi ben saldi sul terreno, un crocevia tra antico e moderno, tra folk e minimalismo. Un lavoro che mi sento di consigliare non solo ai puristi della tradizione, ma a tutti gli appassionati di musica in generale.
Un grazie speciale va, come sempre, a Franz Andreani per la sua passione, la gestione di questa banda di pazzi e per la splendida riorganizzazione del sito già attiva da qualche anno. A cambiare non è stata solo la versione grafica del sito, ma anche la “filosofia” della podradio, con le rubriche che vanno ad integrarsi nella programmazione regolare sotto l’hashtag #everydaypodcast. Sulla nostra pagina Facebook troverete quotidianamente ogni upload del sito e, ormai da tempo, è attivo anche lo splendido canale YouTube della Radio, una nuova formula senza interruzioni ne spot per ascoltare la vostra-nostra musica preferita. Iscrivetevi numerosi, vi aspettiamo!
Nel prossimo episodio troverete ancora molte novità (tra cui il grande ritorno dei Vanishing Twin) e un doveroso ricordo di Lou Reed a 10 anni dalla sua scomparsa. Il tutto sarà, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
Intanto se volete potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, criticare (perché no), o proporre nuove storie musicali. Mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web. Se volete darmi suggerimenti e proposte, scrivetemi senza problemi all’indirizzo e-mail stefano@stefanosantoni14.it.
Se volete ascoltare o scaricare il podcast, potete farlo anche dal sito della PodRadio cliccando sulla barra qui sotto. Buon Ascolto
TRACKLIST
01. CERAMIC DOG: Soldiers In The Army Of Love da ‘Connection’ (2023 – Yellowbird)
02. HÜSKER DÜ: Don’t Want To Know If You Are Lonely da ‘Candy Apple Grey’ (1986 – Warner Bros. Records)
03. UPPER WILDS: Drifters da ‘Jupiter’ (2023 – Thrill Jockey)
04. GOLD DIME: Disinterested da ‘Nerves’ (2017 – Fire Talk)
05. KRISTIN HERSH: Ms Haha da ‘Clear Pond Road’ (2023 – Fire Records)
06. BIG THIEF: The Toy da ‘Two Hands’ (2019 – 4AD)
07. BUCK MEEK: Cyclades da ‘Haunted Mountain’ (2023 – 4AD)
08. KING HANNAH: The Moods That I Get In da ‘I’m Not Sorry, I Was Just Being Me’ (2022 – City Slang)
09. THE CLIENTELE: Blue Over Blue da ‘I Am Not There Anymore’ (2023 – Merge Records)
10. ME LOST ME: Heat! da ‘RPG’ (2023 – Upset! The Rhythm)
11. P.G. SIX: Tell Me Death da ‘Murmurs & Whispers’ (2023 – Drag City)
12. METAL MOUNTAINS: Turn To The East da ‘Golden Trees’ (2011 – Amish Records)
13. HOUSE AND LAND: The Day Is Past And Gone da ‘House And Land’ (2017 – Thrill Jockey)
14. SALLY ANNE MORGAN: Dawn Circle da ‘Carrying’ (2023 – Thrill Jockey)
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— SoundsAndGrooves (@SoundsGrooves) October 10, 2023