Le avventure in musica di Sounds & Grooves continuano con il 21° Episodio della 12° Stagione di RadioRock.to The Original
Un podcast che scava nel passato senza dimenticare il presente
La Radio Rock in FM come la intendiamo noi è sparita da due decenni, ma in questi 12 anni stiamo tenendo accesa una fiammella, cercando di raddoppiarla, moltiplicarla, farla diventare un faro di emozioni e qualità musicale con tutta la passione e la voglia di fare radio che nonostante tutto non ci è mai passata.
Questa è la spinta che ha sempre animato noi di radiorock.to, che per celebrare la 12° stagione abbiamo messo in campo alcune novità. A partire dall’atteso restyling del sito, al nuovo hashtag #everydaypodcast che ci caratterizza, per finire (last but not least) alla qualità della musica e del parlato che speriamo sempre sia all’altezza della situazione e soprattutto delle vostre aspettative.
I quasi 87 minuti di questo podcast partono con gli Squirrel Bait, entrati nella leggenda perché dal loro scioglimento si sono formate alcune tra le band più importanti del rock alternativo americano degli anni ’90.
Download, listen, enjoy!!!
Prima di partire con questo viaggio in musica potete effettuare il download del podcast anche nella versione a 320 kb/s semplicemente cliccando sul banner qui sotto.
Iniziamo il podcast con gli Squirrel Bait, apparentemente una delle tante band hardcore dell’epoca. Un solo EP ed un solo album all’attivo, ma in realtà sono entrati nella leggenda perché dal loro scioglimento si sono formate alcune tra le band più importanti del rock alternativo americano degli anni ’90. Il chitarrista Brian McMahan andrà a formare gli Slint insieme all’ex batterista dei Bait Britt Walford, mentre l’altro chitarrista David Grubbs formerà i Bastro, i Bitch Magnet e i Gastr Del Sol insieme a Jim O’Rourke. Skag Heaven, il loro unico album, è un ponte ideale tra una foga punk controllata in modo tanto rumoroso quanto melodico, e una forma rock più adulta che tenderà ad oltrepassare gli schemi dello stesso genere musicale. “Kid Dynamite” è il perfetto brano di apertura per un album che è entrato nella storia del rock.
Molti hanno sempre associato i Bitch Magnet a David Grubbs, facendoli dunque discendere da quella band cardine che sono stati i Squirrel Bait che hanno aperto il podcast. In realtà Grubbs non è mai stato un vero membro ufficiale dei Bitch Magnet, avendo partecipato solo alle session dell’ultimo album in studio Ben Hur. Ma è vero che ha condiviso spesso e volentieri palco e intenti sonori con gli stessi BM mentre faceva parte dei Bastro. Sooyoung Park (basso e voce), Orestes Delatorre (batteria) e Jon Fine (chitarra) hanno avuto un ruolo fondamentale in quel processo di trasformazione che, a partire dall’hardcore evoluto della fine degli anni ’80, genererà alcune delle più affascinanti forme di post rock (e non solo) sviluppatesi poi nei ’90. A partire da questo primo EP intitolato Star Booty e prodotto (ancora lui) da Steve Albini, da cui ho voluto proporre la lenta e pesante “Sea Of Pearls”. Nel 1989 i Magnet aggiungono un chitarrista, David Galt, che prenderà parte alla registrazione del loro secondo album, Umber. Per chi vuole ripercorrere tutta la storia della band, nel 2011 la Temporary Residence Limited, ha ristampato in un lussuoso cofanetto composto da 3 CD tutta la loro storia.
Siamo all’alba degli anni ’90, quando tre musicisti John Engle (chitarra), Stephen Immerwhar (Basso e voce), e Chris Brokaw (batteria) ribaltano completamente l’estetica sonora del momento, andando a rallentare fino allo sfinimento i ritmi quando la tendenza, che poi porterà alla nascita del grunge, era di accentuarli rifacendosi all’estetica punk. Dalla musica dei Codeine si è coniato il termine slowcore, per indicare questo modo lento, dilatato ed esaperato di concepire la musica. Due album ed un EP di gran fascino prima di chiudere i battenti e lasciare la propria eredità ai posteri.
La splendida etichetta Numero Group ha nel 2013 fortunatamente ristampato i tre album della band, aggiungendo al catalogo un prezioso documento live chiamato What About The Lonely? che vede Engle e Immerwhar affiancati dal nuovo batterista Doug Scharin (che poi sarà un membro dei June of 44) esibirsi sul palco del Lounge Ax di Chicago il 15 ottobre del 1992, accompagnati in un paio di brani proprio da David Grubbs. Malinconia, incomunicabilità, espresse da una lentezza celebrale ed emotiva, come in questa “Cave-In” tratta dal loro ultimo album in studio The White Birch.
Gli Idles nascono a Bristol nel 2010 con una spiccata attitudine punk e uno sguardo a 360 gradi verso l’evolversi della situazione sociale e politica in Gran Bretagna. Il cantante Joseph Talbot, i chitarristi Mark Bowen e Lee Kiernan, il bassista Adam Devonshire e il batterista Jon Beavis, assorbono mano mano rabbia ed urgenza facendola poi defluire lentamente, scandendo le uscite e preparandole con grande meticolosità. Dopo tre EP, il devastante esordio sulla lunga distanza fra post-punk e post-hardcore della formazione di Bristol si è materializzato nel 2017 e si intitola Brutalism. Nei 41 minuti dell’album tra le accuse ai Tories e le denunce al sistema sanitario nazionale britannico c’è anche spazio per il primo singolo “Well Done”, un sarcastico rispondere a tono ai borghesi che pontificano dall’apatica torre d’avorio dei programmi televisivi affermando che se ci sono dei disoccupati è semplicemente perché la gente non ha voglia di lavorare.
“Why don’t you get a job? Even Tarquin has a job. Mary Berry’s got a job. So why don’t you get a job?”
Sbraita Talbot tirando in ballo l’ultimo Re di Roma Tarquinio il Superbo (Tarquin in inglese indica uno snob che pensa di essere superiore per diritto di nascita, come appunto Tarquinio che organizzò una congiura per uccidere il suocero ritenuto da lui ritenuto indegno di sedere sul trono) e Mary Berry, sconosciuta da noi, ma vera icona del food-business televisivo britannico. La sezione ritmica è un rullo compressore, le chitarre sono adrenaliniche nel loro liberatorio lasciarsi andare. Il tagliente realismo delle tematiche sociali viene raccontato con pathos e refrain travolgenti. Joseph Talbot e compagni sanno perfettamente come raggiungere e coinvolgere emotivamente gli ascoltatori, riuscendo a scuotere tutti dall’apatia con il loro messaggio tanto sgradevole e brutale quanto reale. Carne e sangue, naked truth, francamente non riesco a chiedere di meglio.
Voi malcapitati che seguite i miei podcast su Radio Rock The Original conoscete bene la mia predilezione per la forza rabbiosa degli Sleaford Mods già mi sono espresso più di una volta. Da un paio d’anni duo punk-hop di Nottingham formato da Jason Williamson e Andrew Fearn ha firmato per la storica etichetta britannica Rough Trade senza perdere un grammo della loro ferocia sociale. Torniamo indietro di un paio d’anni, andando a riascoltare un capolavoro come Key Markets. Un album che risulta persino più variegato e bello del precedente, pur non spostando di una virgola il loro suono. Dal vivo poi sono assolutamente divertenti, più Williamson si danna, sbraita, inveisce, si avvita su se stesso, urla con il suo accento improponibile del nord dell’inghilterra, più il suo compare se la sghignazza bevendo birra e semplicemente facendo partire e stoppando le sue basi sul laptop.
Le ire del duo sono rivolte soprattutto verso la classe politica, e i testi sboccati e cattivi danzano sulle basi ora scalmanate, ora scure, ora quasi dance, ora a sfiorare il dub, ascoltate l’irresistibile “Tarantula Deadly Cargo”. La loro formula è ormai facilmente identificabile, ma la semplicità con cui i due la fanno evolvere rimanendo fedeli a loro stessi è meravigliosamente spaventosa. Pur non essendolo nel suono, nessun gruppo incarna meglio di loro la vera essenza del punk, nessuno rimane a livelli così qualitativamente alti al giorno d’oggi. Sleaford Mods: in assoluto i #1.
Gli Spacemen 3 sono stati formati da due chitarristi, Peter “Sonic Boom” Kember e Jason Pierce, curiosamente nati nello stesso giorno ed attratti dallo stesso approccio visionario al loro strumento. Tra i primi a far coesistere melodie e dissonanze in un flusso sonoro psichedelico, dilatato, distorto ed avvolgente. Il loro secondo album si chiama The Perfect Prescription e presenta tra i vari riferimenti, un tributo ad uno dei brani (ed album) più riusciti di Lou Reed (“Ode to Street Hassle”) e uno ai maestri del trip psichedelico, i Red Crayola. L’album è una sorta di concept album sulle farie fasi mentali successive all’assunzione di stupefacenti, ed inizia con l’invocazione diluita ed energica di “Take Me To The Other Side”. La perdita dei sensi invocata dai due riesce perfettamente in un delirio di feedback e loop, un suono rarefatto, straniante ed avvolgente che ha reso i due una band seminale e di culto anche ai giorni nostri.
Questa è la storia di due mondi teoricamente inconciliabili che si scontrano: il rock alternativo da una parte e il dancefloor dall’altra. La collisione avviene nel 1991 e si chiama Screamadelica, uno degli album più influenti degli anni ’90 inciso dai Primal Scream con l’ausilio di un “veterano” della scena dance come Andrew Weatherall. Evidentemente Bobby Gillespie non voleva essere ricordato solo come il batterista dei Jesus & Mary Chain in uno dei dischi più influenti usciti negli anni ’80, quello Psychocandy che nel 1985 diede una sferzata clamorosa al pop-rock britannico con il suo far condividere melodie e muri di feedback. In Screamadelica c’è un appiccicoso miscuglio tra approcci dub, trance psichedelica ed euforia house.
Uno dei brani simbolo di questa incredibile alchimia è sicuramente “Loaded”, dove Weatherall tira fuori le linee di basso e piano da “I’m Losing More Than I’ll Ever Have” dall’album precedente e ci aggiunge un campionamento della voce di Gillespie che canta “Terraplane Blues” di Robert Johnson. Il risultato? Una bomba!!!
Paul Weller ha esordito in piena era punk alla guida dei The Jam facendo subito centro con un mix perfetto di punk, mod revival e beat, raggiungendo più volte la vetta delle classifiche inglesi sia per la vendita degli album che per i singoli. Furono addirittura gli unici oltre ai Beatles ad essersi esibiti con due singoli in una sola volta nella storica trasmissione Top of the Pops. Nel 1982 le suggestioni soul e jazz portano allo scioglimento dei The Jam. Weller trova presto un nuovo compagno di avventure nel suo vecchio amico Mick Talbot (ex tastierista dei Dexy’s Midnight Runners) formando The Style Council. Il soul-jazz-pop della nuova band ottiene un notevole successo anche oltreoceano sin dallo splendido esordio chiamato Café Bleu. La nuova miscela sonora è composta da soul, pop, jazz e songwriting raffinato.
Il successo viene bissato l’anno successivo con l’uscita di Our Favorite Shop, disco se possibile ancora più levigato, che vede la presenza, oltre al diciottenne batterista Steve White, della corista Dee C. Lee che un anno più tardi diventerà la moglie di Weller. “Walls Come Tumbling Down” era uno dei due singoli estratti, un trascinante R&B condotto con maestria da una band sempre più rodata.
Visto che pochi giorni prima della pubblicazione di questo podcast si è festeggiato il 60° compleanno di Paul Weller, tanto vale celebrarlo a dovere. In patria è considerato un’istituzione nazionale in ragione del fatto che la maggior parte dei suoi testi prende spunto dalla cultura inglese, ed è individuato principalmente come una star nazionale piuttosto che internazionale. Fu anche la principale figura del movimento mod revival e questo gli è valso il soprannome di “The Modfather”. Effettivamente Weller è stato un personaggio cardine della musica britannica. Come detto ha esordito in piena era punk alla guida dei The Jam facendo subito centro con il mix perfetto di punk, mod revival e beat, per poi cambiare pelle con il suono più sofisticato in bilico tra soul, jazz e pop degli Style Council di cui abbiamo appena parlato.
Una volta esaurita la spinta propulsiva degli Style Council, Weller ha iniziato una fortunata carriera solista che mette in campo tutte le suggestioni e gli stili che lo hanno accompagnato dall’inizio della sua carriera. Dal 1992 ad oggi Weller ha sfornato ben 13 album in studio, arrivando per 4 volte in cima alla classifica britannica. L’apice della creatività lo ha probabilmente toccato con un album dedicato alla strada di Woking, nel Surrey, dove è nato e cresciuto. Stanley Road esce nel 1995 e resta nelle chart britanniche per oltre un anno. Tante le canzoni che tuttora vengono riproposte dal vivo, l’album è un compendio di tutti gli stili che lo hanno accompagnato in tanti anni di carriera, e la title track è una delle canzoni più riuscite e trascinanti con quell’incedere di pianoforte di grande eleganza.
La seducente e scura epicità dei The God Machine rimarrà una pagina meravigliosa della storia del rock. Sicuramente nel prossimo podcast ne parlerò in maniera più approfondita. La morte del bassista Jimmy Fernandez nel 1994 ha decretato la fine della band ed è stato un colpo durissimo per l’amico e compagno di avventure Robin Proper-Sheppard. La desolazione e la tristezza per la perdita dell’amico è stata messa in musica nel progetto Sophia, un moniker dove nascondere la passione di Proper-Sheppard per la tradizione indie-folk e la malinconia di un passato perduto. Nel 1996 esce Fixed Water, primo album del chitarrista con la nuova band, un album che abbandona la rabbia e l’energia del suo primo gruppo per addentrarsi in melodie struggenti e lente, a volte maestose, a volte dimesse. “Are You Happy Now” è il perfetto lasciapassare per entrare nel nuovo mondo del cantante chitarrista.
Era un bel po’ di tempo che avevo questo disco in testa e volevo inserirlo in un podcast. Ma come spesso accade, le dinamiche della compilazione delle trasmissioni sono strane, e in un modo o nell’altro non sono mai riuscito a far entrare in scaletta la band dei gemelli Barnett. Field Of Reeds è l’ultimo (per ora) capitolo della storia discografica dei These New Puritans, un album in cui viene completato in maniera mirabile ed onirica un percorso tra i più affascinanti della musica britannica degli ultimi anni. Il suono affascinante dei primi due album si distende, abolendo o quasi la ritmica in favore di una straordinaria ed espansa sezione di archi e fiati.
Jack Barnett (cantante, polistrumentista e principale compositore), George Barnett (batteria, percussioni) e Thomas Hein (basso, roto-toms) si sono fatti accompagnare da oltre trenta musicisti per dare vita ad uno degli album più affascinanti degli ultimi anni. La produzione di Graham Sutton, leader dei Bark Psychosis, è la ciliegina su una torta che a distanza di anni non smette di stupire per la complessità e per le atmosfere tra avanguardia, post rock e classica moderna. Il lungo respiro di “V (Island Song)” è senza dubbio uno dei vertici di questo straordinario album.
Julia Holter è senza dubbio una delle songwriter più talentuose della sua generazione. Californiana, studente in pianoforte e appassionata di letteratura greca, ha già dagli inizi, preferito un approccio onirico e minimalista, cambiando lentamente pelle, album dopo album, aggiungendo beat elettronici, elaborazioni sonore fino ad approdare ad un maturo eclettismo pop. Se già Loud City Song nel 2013 aveva colpito per la piccola rivoluzione sonora dell’artista californiana, tra Laurie Anderson e Kate Bush, Have You In My Wilderness due anni dopo ne ribadisce la crescita esponenziale. La Holter non tralascia le sue ambizioni letterarie, la sua poetica colta, mette per la prima volta la sua voce in primo piano e tira fuori un album di bellezza accecante, elegante e magico, come dimostra la scintillante apertura di “Feel You”.
E se parliamo di songwriter al femminile, non possiamo assolutamente dimenticare un’assoluta eccellenza come Chan Marshall, più conosciuta con lo pseudonimo di Cat Power. Uno dei talenti più cristallini degli anni novanta, carattere introverso, muove i primi passi nel mondo della musica dopo essersi trasferita a New York City. Dopo un paio di lavori di riscaldamento, il suo modo malinconico e ruvido di esporsi trova compimento nel 1998 con lo splendido Moon Pix, registrato in Australia con Jim White e Mick Turner dei Dirty Three. Cinque anni più tardi, Cat Power da alle stampe il suo capolavoro assoluto, You Are Free, un disco dove anche le collaborazioni “ingombranti” di Dave Grohl, Warren Ellis e Eddie Vedder non intaccano le atmosfere oniriche e malinconiche interpretate dalla Marshall.
13 brani tra folk e indie rock, country e soul, dove Cat Power riversa racconti autobiografici e rilegge pagine importanti della storia della musica come “Crawlin’ Black Spider” di Johnny Lee Hooker, per l’occasione rinominata in “Keep On Runnin”. Uno dei vertici del disco è la dolente ballata folk “Good Woman”, dove l’artista si fa aiutare dal sempre meraviglioso violino di Warren Ellis, ex Dirty Three ed attuale braccio destro di Nick Cave nei Bad Seeds.
Il podcast termina con un duo tutto al femminile di grande impatto emotivo. Le House and Land sono Sally Anne Morgan (violino, shruti box, banjo, voce) e Sarah Louise Henson (voce, chitarra a 12 corde, shruti box, bouzouki). Sally e Sarah si sono conosciute dopo un concerto dove Sarah era l’opening act dei The Black Twig Pickers, la band dove Sally suonava il violino. Le due hanno subito capito che avevano interessi comuni. Ad accomunarle c’era soprattutto la passione per un certo tipo di musica tradizionale. La loro visione è quella di rivisitarla attraverso una lente moderna e sperimentale. Il loro album di esordio mostra questo incredibile talento, l’album si chiama semplicemente House and Land ed è stato pubblicato dalla Thrill Jockey.
Tra inni tradizionali, droni, ballate degli Appalachi e traditionals britannici risalenti a secoli fa si snoda un album dal fascino antico e moderno allo stesso tempo. “The Day Is Past And Gone” è perfetta per rappresentare l’intero lavoro, un crocevia tra antico e moderno, tra folk e minimalismo, vicini come spirito a Tony Conrad e Pauline Oliveros tanto quanto a Shirley Collins. Un capolavoro di weird folk.
Spero abbiate gradito l’atteso restyling del sito, per questo e molto altro, un grazie speciale va sempre a Franz Andreani. A cambiare non è solo la veste grafica, ma anche la “filosofia” della podradio, con le rubriche che vanno ad integrarsi nella programmazione regolare sotto l’hashtag #everydaypodcast. Tutte le novità le trovate sempre aggiornate in tempo reale sulla nostra pagina Facebook.
Nel prossimo episodio di Sounds & Grooves troverete alcune novità molto interessanti come il “sophomore” album degli E di Thalia Zedek, il nuovo album di John Terlesky aka Brother JT e uno degli album preferiti di molti, Minus di Daniel Blumberg. Non contento ho volutamente messo il coltello nel cuore con gli Afghan Whigs di Gentlemen, i God Machine, Violent Femmes e Flesh Eaters. Un piccolo viaggio nell’indie rock con Built To Spill e Pavement. La magia della sinergia Isobell Campbell/Mark Lanegan, l’oscurità dei Piano Magic e ritmi rallentati nel finale con la triade Galaxie 500, Movietone e Paul Buchanan.
Intanto se volete potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, criticare (perché no), o proporre nuove storie musicali. Mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web.
Se volete ascoltare o scaricare il podcast, potete farlo anche dal sito della stessa PodRadio cliccando sulla barra qui sotto. Buon Ascolto
TRACKLIST
01. SQUIRREL BAIT: Kid Dynamite da ‘Skag Heaven’ (Homestead Records – 1986)
02. BITCH MAGNET: Circle K da ‘Star Booty’ (Glitterhouse Records – 1988)
03. CODEINE: Cave-In (Live in Chicago, November 1993) da ‘What About The Lonely?’ (Numero Group – 2013)
04. IDLES: Well Done da ‘Brutalism’ (Balley Records – 2017)
05. SLEAFORD MODS: Tarantula Deadly Cargo da ‘Key Markets’ (Harbinger Sound – 2015)
06. SPACEMEN 3: Take Me To The Other Side da ‘The Perfect Prescription’ (Glass Records – 1987)
07. PRIMAL SCREAM: Loaded da ‘Screamadelica’ (Creation Records – 1991)
08. THE STYLE COUNCIL: Walls Come Tumbling Down! da ‘Our Favourite Shop’ (Polydor – 1985)
09. PAUL WELLER: Stanley Road da ‘Stanley Road’ (Go! Discs – 1995)
10. SOPHIA: Are You Happy Now da ‘Fixed Water’ (The Flower Shop Recordings – 1996)
11. THESE NEW PURITANS: V (Island Song) da ‘Field Of Reeds’ (Infectious Music – 2013)
12. JULIA HOLTER: Feel You da ‘Have You In My Wilderness’ (Domino – 2015)
13. CAT POWER: Good Woman da ‘You Are Free’ (Matador – 2003)
14. HOUSE AND LAND: The Day Is Past And Gone da ‘House And Land’ (Thrill Jockey – 2017)