Bentrovati amici ed amiche di radiorock.to, stavolta il tradizionale appuntamento quindicinale con SOUNDS & GROOVES è incentrato soprattutto sugli anni ’90, escludendo però i due generi più mainstream per cui il decennio spesso e volentieri viene ricordato: il grunge ed il cosiddetto brit-pop. Stephen Malkmus e Scott Kannberga Stockton, California hanno studiato la perfetta alchimia tra tensione e melodie, il tutto sorretto da un’ironia (così distante del movimento grunge) squisitamente pop ed un’attitudine lo-fi. Il primo album dei PAVEMENT si chiama Slanted & Enchanted e viene registrato nel 1992 con un 8 tracce riscuotendo subito un grande successo tra pubblico e addetti ai lavori. In The Mouth A Desert rappresenta l’equilibrio tra melodie perfette ed un pop sghembo e intellettuale profondamente intriso di ironia. E’ appena uscito il nuovo album degli ANIMAL COLLECTIVE. Il disco si chiama Painting With e ne ho parlato più diffusamente in sede di recensione. Il nuovo lavoro è sostanzialmente buono ma non mi ha entusiasmato come invece aveva fatto qualche anno prima Merriweather Post Pavilion, che nel 2009 aveva colpito moltissimo già dall’opener In The Flowers per la capacità del gruppo di aggiornare la psichedelia ai giorni nostri, rivestendola di lustrini e giochi di specchi, trasformandola in un ottovolante colorato e fluorescente sparato nel cosmo per bambini adulti… Strana storia quella dei DEATH di Detroit, un trio formato nel 1971 dai fratelli afroamericani Bobby (basso e voce), David (chitarra), e Dannis (batteria) Hackney, originariamente dediti al funk ma convertiti alla religione del rock dopo aver visto dal vivo gli Who. La band aveva registrato nel 1975 sette brani che dovevano essere pubblicati di lì a breve dalla Columbia Records. Loro attingevano a piene mani dal funk, ma già avevano in embrione il suono e l’attitudine punk, tanto da essere considerati antesignani del movimento stesso. Clive Davis, l’allora presidente della Columbia, tentò in ogni modo di far cambiare il nome al gruppo, voleva qualcosa di più commercialmente appetibile, ma i tre fratelli furono irremovibili e la loro decisione ebbe come conseguenza la rottura completa tra la band e l’etichetta. Le sette tracce vennero pubblicate solo nel 2009 dalla Drag City sotto il nome di …For the Whole World to See. Il rinnovato interesse per la band suscitato dalla ristampa ha portato il trio alla scontata reunion prima live e poi su disco, tanto che il 21 Aprile verrà pubblicato dalla Tryangle Records un nuovo album intitolato N.E.W.. Ascoltate Where Do We Go from Here??? e capirete quale fosse il potenziale sonoro della band nel ’75. Un’altra delle tracce dell’album. Politicians In My Eyes, è stata usata da Martin Scorsese e Mick Jagger in una delle ultime puntate di quell’interessante serie TV ambientata nel mondo musicale degli anni ’70 chiamata Vinyl. Gli A MINOR FOREST sono stati un gruppo formato nel 1993 da Erik Hoversten a San Francisco, ma legati poi alla scena di Chicago grazie alla collaborazione con Steve Albini e Bob Weston. Proprio a Chicago la band ha registrato il suo album migliore, Inindependence, uscito nel 1988 e che contiene splendidi esempi della loro visione musicale come la prima traccia del disco The Dutch Fist che si snoda attraverso un inizio slow-core alla Codeine per poi esplodere in una strepitosa e incandescente progressione strumentale. Il trio si è riunito per alcuni show nel corso del 2013 e per il Record Store Day di quest’anno la Thrill Jockey farà uscire delle ristampe dei loro 3 album in vinile. Chissà se faranno la fine di molte altre uscite del genere, destinate prima a pochi eletti, poi ad essere vendute a prezzi improponibili. Sembra davvero che il RSD sia un’altra occasione persa, ma questa è un’altra storia…
«Sfortunatamente Spiderland è il canto del cigno degli Slint, che come tanti gruppi non hanno saputo resistere alle pressioni interne tipiche della vita di ogni band. Ma è un disco fantastico, che chiunque sappia ancora farsi coinvolgere dalla musica rock non dovrebbe perdere. Tra dieci anni sarà una pietra miliare e bisognerà fare a botte per comprarne una copia. Battete tutti sul tempo»
così scriveva profeticamente Steve Albini sul Melody Maker (il più antico magazine musicale del mondo, che dal 2000 in poi si è unita con il NME), ed aveva perfettamente ragione. Spiderland degli SLINT esce sottotraccia nel 1991, e sarà presto travolto dall’onda in piena del grunge, ma il tempo fortunatamente saprà essere galantuomo, e l’album resterà sempre lì, a galla come i componenti del gruppo nella famosa foto di copertina scattata da Will “Bonnie Prince Billy” Oldham. Spiderland saprà essere a suo modo estremamente influente nei suoni a venire, per il suo modo di scardinare tutti i dogmi del rock così come era conosciuto fino a quel momento: dall’abbattimento della strofa-ritornello al cantato recitativo privo di emozione. I timbri armonici della chitarra di David Pajo, il contrappunto dell’altra chitarra di Brian McMahan (ex Squirrel Bait, gruppo cardine di tutto il post-rock a stelle e strisce), la batteria ottundente e matematica di Britt Walford, l’ipnotico basso di Todd Brashear e la voce dello stesso McMahan a cucire il tutto, ora recitativa, ora isterica. Il gran finale di un album assolutamente incredibile si intitola Good Morning, Captain, dove la narrazione e l’intreccio delle chitarre montano una tensione ipnotica che si scioglie in un indimenticabile finale dissonante e distorto con lo straziante urlo “I miss you” di McMahan che non smette di martellare nelle tempie: un monumento. Personalmente ritengo Hai Paura Del Buio? degli AFTERHOURS uno degli album di rock italiano più importanti di ogni epoca, un album vario ma compatto e mai dispersivo, un album che se la può giocare ad armi pari con molti altri album usciti oltremanica o oltreoceano. Rapace è specchio di un’ispirazione lucida sia musicale che letteraria, con un Agnelli mai così ispirato nel suo uso del cut-up (il metodo di scrittura in cui un testo viene tagliato e ricomposto per crearne uno nuovo). La band milanese tornerà nel corso del 2016 dopo le lunghe celebrazioni dello stesso Hai Paura Del Buio? con una formazionee completamente rinnovata che ha visto gli ingressi di Stefano Pilia alla chitarra e Fabio Rondanini (Calibro 35) alla batteria, senza dimenticare il ritorno dell’altra storica chitarra di Xabier Iriondo. Bill Callahan è sempre stato una garanzia di qualità, anche quando ha fatto uscire album sotto lo pseudonimo di SMOG. Julius Caesar è uscito nel 1993 e presenta al suo interno una grande diversificazione stilistica, dalla ballata country al rock indolente, con il violoncello a creare spesso atmosfere desolate. Chosen One mostra ancora una volta il suo indiscusso talento, uno degli migliori songwriters della sua generazione, ispirato nella sua sarcastica malinconia.
Malinconia che pervade anche Mark Eitzel da sempre, sia da solo che con i suoi AMERICAN MUSIC CLUB. Eitzel dipinge con la sua voce profonda, affreschi urbani di solitudine e desolazione, di disperata e affascinante sconfitta. San Francisco non è forse tra gli album migliori della band, ma Fearless è una canzone straordinaria per impatto e coinvolgimento emotivo. E a proposito di coinvolgimento emotivo….difficile pensare ad un gruppo più capace della THE BUDOS BAND a coinvolgere chiunque con i suoi 9 elementi comprensivi di una ricca sezione fiati, 3 percussionisti e chi più ne ha più ne metta!! Il nuovo Burnt Offering offre anche un maggior spettro sonoro con alcune tinte dark e hard rock a fiancheggiare compatte lo scheletro soul, afrobeat e funk su cui si basano le loro splendide e coinvolgenti intuizioni armoniche, basta ascoltare la title track per essere irrimediabilmente travolto e sedotto da questo fiume in piena di suoni.
ANAIS MITCHELL è una delle voci più interessanti della canzone d’autore americana al femminile degli ultimi anni. Qualche anno fa la Mitchell, appassionata d’arte e da sempre affascinata dal mito di Orfeo ed Euridice, aveva deciso di unire musica, letteratura e teatro portando in giro per gli States il suo musical teatrale ispirato al mito. Trova terreno fertile conquistando la fiducia ed il supporto di un’istituzione cantautorale come Ani DiFranco e della sua Righteous Babe per portare il tutto anche su disco. L’album, intitolato Hadestown, esce nel 2010, e vede la presenza come special guests di Justin Vernon (Bon Iver che interpreta Orfeo), della stessa Ani DiFranco, Greg Brown, Ben Knox Miller (dei Low Anthem) e delle sorelle Haden. Il risultato è un album splendido per ispirazione e freschezza che si muove sinuoso tra swing, jazz e folk. Nella meravigliosa Our Lady Of The Underground la Mitchell interpreta Euridice, mentre Ani Di Franco è una fantastica Persefone. Nel 1998 l’uscita di Philophobia degli ARAB STRAP gettò nel caos la piccola comunità scozzese di Falkirk. Piccoli grandi segreti messi in piazza in maniera nuda, scarna, lenta e sofferta dalla voce narrante di Aidan Moffat e dagli arpeggi di Malcolm Middleton. Canzoni malinconiche che narrano di debolezze quotidiane, di sbornie, scopate e tradimenti. Canzoni che arrivano dritte allo stomaco anche dopo tutti questi anni e la fine del sodalizio scozzese, New Birds è un perfetto esempio di come il duo riusciva ad entrare emotivamente sottopelle narrando in maniera cinica ed emotiva la cruda realtà della vita di provincia. All’inizio degli anni ’90 Richard Walker insieme a David Pearce, Matt Elliott e Matt Jones aveva formato una specie di collettivo dedito all’esplorazione dei suoni in quel terreno minato compreso tra lo shoegaze e il trip-hop. Il loro tentativo di immaginare un nuovo approccio alla musica produsse un suono compresso tra echi di feedback, droni e altre manipolazioni elettroniche. Il collettivo si divise in varie sigle tra cui Flying Saucer Attack, Crescent, Third Eye Foundation, Movietone e Amp. Proprio questi ultimi, gli AMP, furono la creatura di Walker che si ribattezzò per l’occasione Richard Amp, la sua collaborazione con la cantante francese Karine Charff portò la band all’uscita del primo album Green Sky Blue Tree nel 1992. Nel 1998 uscì, prodotto da quel genialoide di Robert Hampson (mente dietro le meraviglie dei Loop e dei Main), Stenorette, pubblicato dall’etichetta Kranky, una garanzia per quelle coordinate sonore (basti pensare ai Labradford), e miglior lavoro mai pubblicato dal duo. Tango Non con il suo passo cadenzato, mostra le coordinate sonore del gruppo, sospese tra una percussività elegante, echi trip-hop, droni cavernosi e desolati rintocchi di pianoforte. E se si parla di trip-hop, come non pensare ad una delle band di riferimento del genere. i PORTISHEAD nati a Bristol dall’incontro tra l’ingegnere del suono e musicista Geoff Barrow e la cantante Beth Gibbons. Barrow aveva collaborato in studio alla nascita di una vera pietra miliare del genere, Blue Lines dei Massive Attack, e rimase talmente affascinato da quelle sonorità da decidere di formare un gruppo per svilupparle secondo le sue idee e la sua personalità. Trovato il perfetto contraltare vocale in Beth Gibbons, era già formato di fatto il primo nucleo della band che che prese il nome dalla città dove era cresciuto, Portishead, nel Somerset, Sud-Ovest Inglese. Dummy, il loro album di esordio, vede la formazione allargata a trio con l’inserimento del chitarrista di estrazione jazz Adrian Utley, ed è una collezione di visioni cinematiche segnate dai ritmi pennellati da Barrow che alternano ballate languide a movimenti sincopati, il tutto cesellato dalla voce di Beth Gibbons che sussurra, invoca al cielo, emoziona. L’opener Mysterons è perfetta per calarsi nell’affascinante microuniverso di una band che, nonostante non abbia certo inflazionato il mercato visti i soli 3 album dal 94 ad oggi, ha sempre affascinato e convinto senza mai riciclare lo schema vincente dell’esordio.
La chiusura del podcast è appannaggio di Barzin Hosseini, songwriter di origine iraniane ma residente in Canada conosciuto semplicemente come BARZIN. I suoi album sono pervasi da una malinconia struggente e non fa eccezione il suo terzo lavoro intitolato Notes to an Absent Lover da cui ho tirato fuori la splendida The Dream Song che mostra il talento compositivo dell’iraniano, abile a piegare il dreampop e lo slow-core verso soluzioni prettamente cantautorali imperniate sulla solitudine, e sui saliscendi emozionali, riuscendo a non annoiare mai. E anche per stavolta è tutto, non mancate di tornare ogni giorno su Radiorock.to The Original. Troverete un podcast diverso al giorno, le nostre news, le rubriche di approfondimento, il blog e molte novità come lo split-pod. Siamo anche quasi in dirittura di arrivo per quanto riguarda l’atteso restyling del sito, e per questo (e molto altro) un grazie speciale va a Franz Andreani. Tutte le novità le trovate aggiornate in tempo reale sulla nostra pagina Facebook. STAY TUNED!
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TRACKLIST:
- PAVEMENT: In The Mouth A Desert da Slanted And Enchanted (Matador – 1992)
ANIMAL COLLECTIVE: In The Flowers da Merriweather Post Pavilion (Domino – 2009)
DEATH: Where Do We Go From Here? da …For The Whole World To See (Drag City – 2009)
A MINOR FOREST: The Dutch Fist da Inindependence (Thril Jockey – 1998)
SLINT: Good Morning, Captain da Spiderland (Touch And Go – 1991)
AFTERHOURS: Rapace da Hai Paura Del Buio? (Mescal – 1997)
SMOG: Chosen One da Julius Caesar (Drag City – 1993)
AMERICAN MUSIC CLUB: Fearless da San Francisco (Reprise Records – 1994)
THE BUDOS BAND: Burnt Offering da Burnt Offering (Daptone Records – 2014)
ANAIS MITCHELL: Our Lady Of The Underground da Hadestown (Righteous Babe Records – 2010)
ARAB STRAP: New Birds da Philophobia (Chemikal Underground – 1998)
AMP: Tango Non da Stenorette (Kranky – 1998)
PORTISHEAD: Mysterons da Dummy (Go! Beat – 1994)
BARZIN: The Dream Song da Notes To An Absent Lover (Monotreme Records – 2009)