Le avventure in musica di Sounds & Grooves continuano nella 14° Stagione di RadioRock.TO The Original
In questo episodio di Sounds & Grooves troverete una esplosiva miscela di post-punk, sperimentazioni, e pop di qualità
Sono davvero felice di essere tornato, con Sounds & Grooves, ad arricchire il palinsesto della 14° Stagione di www.radiorock.to. A volte c’è la necessità di fermarsi un attimo, riflettere sugli sbagli che abbiamo commesso, fare uno o più passi indietro, capire le cose che contano davvero nella vita e ripartire con tutto l’entusiasmo possibile di una nuova vita, di una nuova opportunità che non deve essere sprecata. E in questo ho avuto l’incredibile fortuna di avere accanto una persona assolutamente meravigliosa ed unica che non smetterò mai di ringraziare e di amare.
A pensarci è pazzesco che sia passato già così tanto tempo da quando abbiamo iniziato questa fantastica avventura di radiorock.to per dare un segnale di continuità con il passato, con quella meraviglia che Franz Andreani, Marco Artico, Flavia Cardinali, Massimo Di Roma, Michele Luches, Aldo Semenuk, Giampiero Crisanti, Gianpaolo Castaldo avevano creato e a cui, nel mio piccolo, ho provato a dare un contributo dal 1991 al 2000. Sappiamo tutti benissimo che la Radio Rock in FM come la intendevamo noi è sparita da almeno due decenni, ma in tutti questi anni di podcast sul web abbiamo cercato di tenere accesa quella fiammella per poi tentare di raddoppiarla, moltiplicarla, farla diventare un faro di emozioni e qualità musicale. Perché la passione e la voglia di fare radio, la voglia di ascoltare e di condividere la musica di qualità, nonostante tutto, non ci è mai passata.
Non siamo una radio “normale”. Non solo perché trasmettiamo in differita e attraverso podcast registrati, ma soprattutto perché andiamo orgogliosamente musicalmente controcorrente rispetto a quella che è diventata la consuetudine delle emittenti radiofoniche al giorno d’oggi. Continuiamo orgogliosamente a cercare quella libertà in musica che nell’etere sembra essere diventata una mosca bianca, quella passione per la condivisione, per la ricerca, per l’approfondimento. Non dobbiamo aderire per forza ad una cieca linea editoriale che privilegia il commercio, ma ci lasciamo guidare semplicemente dal nostro cuore e dalla nostra passione.
Questo podcast è stato registrato, come succede da un po’ di tempo a questa parte, con uno stato d’animo particolare. In questi giorni dove ci muoviamo da casa con grande circospezione e in cui si alternano preoccupazione e speranza per questo nemico silenzioso che sembra essere ovunque intorno a noi, abbiamo però una grande opportunità. Sono giorni difficili, e speriamo irripetibili, ma che proprio per questo in qualche modo non vanno sprecati. Possiamo in qualche modo riprenderci in parte quel tempo che spesso ci è stato negato dai ritmi nevrotici della nostra quotidianità. In particolare abbiamo anche la possibilità di riscoprire e riascoltare meraviglie che da tempo non accarezzano i nostri padiglioni auricolari. Non possiamo prevedere quanto durerà questa situazione, per quanto tempo saremo costretti ad agire prevalentemente all’interno delle mura domestiche. La speranza che questi giorni possano essere il meno possibile mi ha convinto a creare una nuova rubrica chiamata Music Room, dove quotidianamente troverete un’artista, un gruppo, una canzone, un’emozione da riscoprire, per combattere la noia e la paura con la bellezza.
Ho voluto in questo episodio, proporvi gruppi senza tempo come The Modern Lovers, XTC e Pixies, il meraviglioso post-punk di San Francisco dei MX-80 Sound e Tuxedomoon, la magia di David Grubbs e dei Cave, la psichedelia messa a fuoco dai Loop, il pop maturo dei MGMT e dei Pastels, le avventure caleidoscopiche degli Animal Collective, il ricordo di Elliott Smith e molte altre suggestioni sonore. Il tutto, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
Seguite il nostro hashtag: #everydaypodcast
Download, listen, enjoy!!!
Prima di partire con questo viaggio in musica potete effettuare il download del podcast anche nella versione a 320 kb/s semplicemente cliccando sul banner qui sotto.
Iniziamo il podcast con una band di Bloomington, Indiana che sul finire degli anni ’70 si trasferisce a San Francisco venendo a contatto con un’istituzione della scena sperimentale e underground: i The Residents. Nonostante il mezzo passo falso del debutto Hard Attack (che nel 1977 aveva venduto sì e no un centinaio di copie costringendo la Island a licenziarli), i MX-80 Sound vennero accolti dalla Ralph Records di proprietà degli stessi Residents andando a formare con i signori dell’occulto, i Chrome e i Tuxedomoon il cosiddetto “quadrato di San Francisco”, formato dai quattro gruppi più importanti della scena musicale locale dell’epoca.
Bruce Anderson e i suoi compagni d’avventura licenziarono nel 1980 questo Out Of Tunnel. L’impatto sarà molto più grande di quello dell’esordio, diventerà presto un disco di culto, un vorticoso art-punk graffiato da geniali intuizioni rumoriste e dalle scorribande del sassofono suonato dal secondo chitarrista Rich Stim. In “Someday You’ll Be King” vengono fuori le influenze del gruppo (Pere Ubu su tutti), ma filtrate da una sensibilità e capacità di scrittura che la rendono una traccia inarrestabile, tumultuosa e entusiasmante. Un disco ed una band importantissimi per molto alternative rock e hardcore americano negli anni a venire.
Dopo un apertura così roboante, ecco arrivare i viaggi psichedelici dei Loop. Fondati a Londra nel 1985 dal chitarrista Robert Hampson, sono stati estremamente importanti per quella scena neopsichedelica inglese che affondava le radici nel kraut rock creando un suono che verrà preso a piene mani dalla corrente shoegazing. Tre album al loro attivo dal 1987 al 1990 prima della reunion e della conseguente pubblicazione dell’EP Array 1 nel 2015. La coesistenza di rumore e melodia, la ritmica pesante, la circolarità psichedelica li hanno resi assolutamente fondamentali come dimostra questa splendida “Got To Get It Over”, tratta dal secondo album in studio Fade Out del 1989.
I Loop sapevano come colpire per pesantezza ed impatto e il diabolico Hampson dimostrava spesso l’abilità enorme di saper azionare uno scambio nascosto tra i binari mandando un treno in corsa a volte su pesanti feedback chitarristici, creando un’atmosfera scura e solo apparentemente immobile. Terminata l’avventura nel 1991, Hampson insieme all’altro chitarrista dell’ultima formazione dei Loop, Scott Dawson, cambiò strada con il meraviglioso isolazionismo dei Main, ma quella è un’altra storia, forse più adatta alla rubrica Droni e Bordoni. Come detto, nel 2013 i Loop si sono riformati con una formazione che ricalca l’epoca dell’ultimo lavoro in studio Gilded Eternity e comprende Robert Hampson, John Wills, Neil Mackay e Scott Dowson. Se siete interessati, l’intera discografia dei Loop è stata ristampata una decina di anni fa.
Il podcast va avanti con una delle band più influenti a cavallo tra gli ’80 e i ’90. I Pixies di Frank Black e Kim Deal hanno saputo strizzare l’occhio ad un certo passato post-punk aprendo anche nuove strade per quello che sarà un certo tipo di power rock aperto all’hardcore e a mille altre soluzioni. Un tipo di songwriting per l’epoca davvero rivoluzionario che combinava garage, hardcore, surf e pop. Surfer Rosa, uscito nel 1988, è stato il loro esordio sulla lunga distanza, un album prodotto da Steve Albini, che riusciva a mescolare perfettamente i ritmi spasmodici e le distorsioni con le aperture melodiche ed i ritornelli pop.
Un’alternanza di dolcezza e aggressività che verrà premiata da un grande successo di pubblico e critica. L’album si piazzerà al numero 2 della UK Indie Chart la settimana successiva dell’uscita, e rimarrà per ben 60 settimane in classifica. “Where Is My Mind?”, scritta da Francis è il perfetto specchio dell’alternanza tra leggerezza e rumorosità che ispirerà tantissimi gruppi tra cui i Nirvana. La traccia è stata utilizzata come colonna sonora nell’ultima scena e nei titoli di coda dei film Fight Club.
Ricordo nel 2008 un grande hype derivato dall’esordio di un duo formato nel Connecticut e composto da Ben Goldwasser e Andrew VanWyngarden. Gli ingredienti per il boom effettivamente c’erano tutti: un nome come MGMT, lo sforzo promozionale di una grande major come la Columbia e la produzione di un guru dell’alternative-indie-pop come Dave Fridmann (The Flaming Lips, Sparklehorse, Mercury Rev). Effettivamente Oracular Spectacular è stato un disco dall’impatto notevole, capace di trascinare con un suono a cavallo tra electro-pop e psichedelia. Niente da tramandare ai posteri per decenni, per carità, ma un insieme di canzoni che funzionano, e che funzionano benissimo, come il trascinante slancio ritmato di “Time To Pretend”.
Un disco paraculo anche nella compilazione della tracklist, con la prima parte a trascinare quasi nel dancefloor, e la seconda parte più di atmosfera a sfiorare ambientazioni folk ed eteree. Dopo questo esordio fulminante, la carriera dei due polistrumentisti non è stata sempre sulla cresta dell’onda, e sicuramente non sono stati propriamente prolifici, visto che il loro ultimo Little Dark Age è uscito due anni fa ed è stato solo il oro quarto lavoro in studio. Pur non avendo mai replicato il successo dell’esordio, i due hanno ancora un contratto con la Columbia, il che vuol dire che tutto sommato il loro impatto commerciale continua a dare i suoi frutti.
Cooper Crain è un bel genietto: musicista e produttore (Ryley Walker e Natural Information Society tra gli altri), è un profondo conoscitore di il krautrock e la psichedelia che ama diffondere a piene mani nei suoi progetti principali: Cave e Bitchin’ Bajas. I Cave si formano nel 2006 e dopo un inizio carriera incentrato sulle tessiture krautrock, dal 2013 con il terzo album intitolato Threace hanno innestano nel loro motorik, una benzina estremamente potente formata da una scoppiettante miscela black funk anni ’70. Cooper Crain, Dan Browning, Rex McMurry e Jeremy Freeze vengono raggiunti in sala di registrazione dal sassofonista e flautista Rob Frye.
E proprio Frye (che subito dopo diventerà membro in pianta stabile del gruppo) ha saputo rendere con i suoi fiati così particolare il groove afro-psichedelico del disco come dimostra il groove trascinante della splendida “Silver Headband”. Cinque anni dopo i Cave con Allways sono riusciti a stupirci ancora una volta, esplorando stavolta con successo il magico mondo della disco music anni ’70, naturalmente senza perdere di vista le loro suggestioni kraut, psichedeliche e funkeggianti. Le loro visioni sonore non mancano mai di stupire ed affascinare, trovando mille sfumature ascolto dopo ascolto.
Gli Animal Collective sono una band creata a Baltimore, Maryland all’inizio degli anni zero da Noah Lennox aka Panda Bear (vocce e batteria) e David Portner aka Avey Tare (voce e chitarra). La loro idea di pop mutante aperto a contaminazioni elettroniche e a una idea personali di estasi psichedelica prende forma nel 2000 con Spirit They’re Gone, Spirit They’ve Vanished, album a nome dei due giovani musicisti. Presto al collettivo si aggiunge Brian Weitz aka Geologist, che porta le sue intuizioni elettroniche all’interno della band con il successivo Danse Manatee. Nel 2003 con l’innesto di Josh Dibb aka Deakin, il quartetto diventa a tutti gli effetti Animal Collective e pubblica Here Comes The Indian.
A fine decennio il gruppo completa la sua maturazione prima con il loro apice Strawberry Jam nel 2007 e successivamente con Merriweather Post Pavilion, il primo senza Deakin, che prima delle registrazioni aveva lasciato i compagni per problemi personali. In questo album i tre superstiti abbandonano le vecchie reminiscenze folk e le chitarre a favore di una stratificazione elettronica che riveste a nuovo il loro pop psichedelico. I tre non perdono la notevole capacità di scrittura che possiamo ascoltare nella “Daily Routine” inserita in scaletta.
In apertura di podcast abbiamo parlato della scena sperimentale e underground di San Francisco. Questo movimento faceva capo all’etichetta Ralph Records creata dai The Residents ed aveva creato il cosiddetto “quadrato di San Francisco”, formato dai quattro gruppi più importanti della scena musicale locale dell’epoca: gli stessi Residents, i Chrome, i Tuxedomoon e gli ultimi arrivati MX-80 Sound. Fondati nel 1977 dai polistrumentisti Blaine L. Reininger e Steven Brown, all’epoca studenti di musica elettronica al San Francisco City College, i Tuxedomoon cominciano ad esibirsi nei locali cittadini creando uno spettacolo multidisciplinare grazie all’apporto del gruppo teatrale Angels of Light dell’artista Tommy Tadlock e del mimo e cantante Winston Tong. Il gruppo ottiene una certa notorietà già nel 1978, quando fa da spalla ai Devo in concerto, successivamente si unisce al gruppo il bassista Peter “Principle” Dachert.
Il loro suono di avanguardia così teatrale e glaciale attirò subito l’attenzione dei Residents, e la Ralph Records pubblicò i primi due album della band, pubblicazioni di importanza enorme per la neonata new-wave: Half-Mute nel 1980 e Desire nel 1981. Il loro post-punk da camera aveva ottenuto più entusiasmo in Europa che negli States, e per la band è naturale trasferirsi armi e bagagli nel vecchio continente. Prima in Olanda e poi a Bruxelles. Desire viene registrato a Londra, vede l’apporto del loro vecchio amico Winston Tong, e vede l’approccio colto del gruppo mutare leggermente facendosi meno spigoloso ma mantenendo quella incredibile e scura mistura tra post-punk e avanguardia che li ha resi imprescindibili. “In the Name of Talent (Italian Western Two)” è solo una delle meraviglie racchiuse in questo scrigno prezioso.
Abbiamo parlato più di una volta su queste pagine degli Squirrel Bait e della loro importanza. Dalle loro ceneri si sono formati gruppi fondamentali per lo sviluppo del rock alternativo americano degli anni ’90. Dopo la repentina chiusura di quel progetto, David Grubbs e Clark Johnson (rispettivamente chitarrista e bassista degli Squirrel Bait), hanno creato una nuova band chiamata Bastro con cui proseguire il loro percorso musicale. Insieme a loro c’era anche John McEntire, futuro fulcro percussivo e non solo dei Tortoise. Quella scena, come abbiamo detto, era estremamente ribollente ed era naturale per i musicisti non rimanere in pianta stabile in una band ma collaborare in altre situazioni sonore adiacenti. Ecco che Grubbs abbandona il progetto Bastro, collabora con Bitch Magnet e Codeine e forma, in coppia con il bassista Bundy K. Brown, il suo progetto più sperimentale, i Gastr Del Sol. Il gruppo fa il proprio esordio nel 1993 con l’EP The Serpentine Similar, a cui collabora anche John McEntire.
Un anno più tardi Brown e McEntire lasciano per entrare in pianta stabile nei Tortoise e a Grubbs si unì il chitarrista, compositore e produttore Jim O’Rourke. Da quel momento in poi i Gastr Del Sol saranno principalmente una collaborazione tra Grubbs e O’Rourke. La loro versione colta del pop è immersa in arrangiamenti straordinari tra archi e fiati, tape loop e accordi sparuti di strumenti acustici. Dopo la rottura tra i due, avvenuta dopo l’uscita di Camoufleur, Grubbs sfoggia il suo grande talento con il suo secondo album solista intitolato The Thicket. Il disco è assolutamente straordinario, e prosegue idealmente l’unione tra musica colta e popolare dell’ultimo disco dei Gastr Del Sol. Con l’aiuto di straordinari musicisti come Joshua Abrams al basso, Jeb Bishop al trombone, uno straordinario Tony Conrad al violino, l’amico John McEntire alla batteria e Mary Lass Stewart alla voce, Grubbs inanella nove tracce meravigliose tra cui la “Two Shades Of Blue” inserita in scaletta.
Magari avete presente quell’uomo secco con la chitarra che cantando scandisce una delle commedie più divertenti degli anni ’90: Tutti Pazzi Per Mary. Jonathan Richman naturalmente non è famoso solo per aver accompagnato le avventure strampalate di Ben Stiller e Cameron Diaz, ma soprattutto per aver creato con i The Modern Lovers un suono che andava in qualche modo ad anticipare il punk e la new wave. Come dite? L’album di esordio The Modern Lovers è uscito nel 1976 quando ormai il punk aveva già incendiato USA e UK? Verissimo. Ma in realtà gran parte del disco era stato registrato quattro anni prima, prodotto da John Cale, e l’influenza dei Velvet Underground si sente eccome.
Lo sguardo di Richman è più satirico di quello crudo dei suoi amati Velvet, ed il disco mostra l’amore dell’autore per il rock delle origini e l’importanza delle tastiere di Jerry Harrison che più tardi farà parte dei Talking Heads. In realtà, quando esce il disco la band è già di fatto sciolta. Di Harrison abbiamo già parlato, mentre il batterista David Robinson entrerà a far parte dei The Cars. La carriera di Richman poi si svilupperà diversamente, ma l’esordio eponimo dei The Modern Lovers resta uno dei dischi più importanti della storia del rock, come dimostra la splendida “Old World” inserita nel podcast.
Ho già parlato del mio amore per un certo indie-pop scozzese vero? Quella scena che si è sviluppata tra la fine degli anni ’70e l’inizio degli anni ’80 capace di traghettare il post punk in una forma nuova di pop che andava a sfiorare la new wave in una profumata e fresca alternanza di chiari e scuri. Ispirati dalla Postcard Records e dal suono di band come i Josef K, Brian Taylor (aka Brian Superstar) e Stephen McRobbie (aka Stephen Pastel) formano a Glasgow nel 1981 i The Pastels che, nonostante la pubblicazione di una serie di singoli, esordiranno sulla lunga distanza solo nel 1987 con l’album Up For A Bit With The Pastels che mostrerà il loro eclettismo nel costruire piccoli gioiellini pop. Dopo un altro album la band si scioglie, ma i due fondatori non si perdono d’animo e tornano dopo qualche anno forti di un notevole seguito come band di culto, firmano un nuovo contratto con la Domino.
Nel 1994, con una nuova line-up che vede l’inserimento della cantante-batterista Katrina Mitchell e le collaborazioni di Norman Blake e Gerard Love, alfieri del gruppo di riferimento del power pop sotto la bandiera con la croce di Sant’Andrea, i Teenage Fanclub, i Pastels pubblicano il primo lavoro per la nuova etichetta: Mobile Safari. Il disco è uno splendido manifesto di frizzanti melodie, lenta psichedelia e splendide ballate, tra cui spicca la meravigliosa “Yoga”.
Una delle band pop rock più scintillanti del Regno Unito sono senza dubbio gli XTC da Swindon, nella contea del Wiltshire. L’incontro fatale tra Andy Partridge e Colin Moulding avviene alla metà degli anni ’70. I due insieme al batterista Terry Chambers formano gli Helium Kidz, che, dopo l’ingresso del tastierista Barry Andrews si trasformano negli XTC. Uno stile che prende solo in parte dalla new-wave che in quegli anni dettava legge in Gran Bretagna, iniziando la quadratura del cerchio con Drum And Wires nel 1979, primo con Dave Gregory come secondo chitarrista e tastierista al posto del dimissionario Andrews, e trovando la perfezione formale nel 1986 con Skylarking, disco prodotto (non senza dissidi in sala di incisione con la band) da Todd Rundgren.
Nonsuch è il decimo album della band di Swindon, l’ultimo per la Virgin, e nonostante da alcuni sia considerato un disco “minore”, continuo a ritenerlo, al contrario, davvero ottimo. Uscito nel 1992 sembra un lavoro fuori dal tempo considerando gli tsunami grunge e britpop che si stanno per abbattere in America e in Europa. “Then She Appeared” è il brano scelto per rappresentare l’album, una meraviglia firmata Partridge a consolidare una sinergia che ha prodotto il pop rock tra i più intelligenti uscito dalla terra di Albione.
Ho sempre avuto un debole, lo ammetto, per i songwriters riservati, timidi, ipersensibili, personaggi come Nick Drake o Tim Buckley nel passato, oppure come Mark Linkous, Daniel Johnston, Jason Molina e Vic Chesnutt nel presente. Sono già passati quasi 17 anni da quel tremendo 21 ottobre 2003 in cui Elliott Smith ha deciso di porre fine alla sua esistenza terrena in un modo che ancora oggi non è stato mai del tutto chiarito. Nel 1994 Smith, non rispecchiandosi più nel suono rumoroso indie-punk-grunge dei suoi Heatmiser, ha deciso di imbracciare la chitarra acustica per permettere al suo animo e alle sue sensazioni di venire fuori in maniera più naturale.
Dallo schietto e sincero folk cantautorale dell’esordio Roman Candle in cui gli accordi si succedevano con intensità e purezza sottolineando i testi malinconici e densi dei problemi quotidiani e del mal di vivere, era passato ad incidere dischi con fisionomia e arrangiamenti più corposi, ma la meraviglia e la semplicità dei suoi brani non hanno mai smesso di incantare. Figure 8 è stato il suo ultimo lavoro in studio, e “Can’t Make A Sound” è tuttora una delle sue cose più belle in assoluto. Elliott Smith ci ha lasciato tante meraviglie, scritte ed interpretate da un artista fragile e incompreso, la cui delicata e malinconica creatività ci manca ogni giorno di più.
Tracey Thorn e Ben Watt sono due songwriters che hanno le stesse radici ben piantate in un terreno di folk crepuscolare ed intimista. la prima con le Marine Girls, il secondo che da solista aveva dato alle stampe nel 1983 lo splendido North Marine Drive. Il loro incontro fu importante per la loro professione e per la loro vita privata. Sul palco come Everything But The Girl e nella vita come marito e moglie. Le loro voci (straordinaria quella di Tracey) e le loro capacità compositive hanno dato vita ad un progetto che dalla prima uscita si rivela estremamente importante. Eden è un disco composto e suonato in punta di piedi, in equilibrio perfettamente dosato tra folk, jazz, pop. Un disco di una delicatezza e classe straordinari, una sequenza di gemme senza alcun momento di stasi.
Dal primo singolo “Each And Everyone” al dolcissimo finale di “Soft Touch” scritto e cantato da Watt non c’è un solo momento minore. Difficile trovare una sola traccia da inserire nel podcast. Alla fine la scelta è caduta sulla meravigliosa “The Spice Of Life” scritta ed interpretata da Tracey Thorn su un tappeto morbidissimo formato dalla acustica e dall’hammond di Watt e dalle percussioni di Bosco De Oliveira e Charles Hayward. Più tardi troveremo la voce di Tracey nella jazzata “The Paris Match” inserita nel classico Cafè Bleu degli Style Council e nel decennio successivo nella title track di Protection dei Bristoliani Massive Attack, preludio alla svolta elettronica del duo. Pur non incidendo più in coppia, Ben Watt e Tracey Thorn ancora deliziano i nostri padiglioni auricolari con album solisti di qualità più che sufficiente.
La chiusura del podcast è affidata ad una delle mie songwriters preferite in assoluto. Roberta Joan Anderson, più conosciuta come Joni Mitchell , è nata nel 1943 a Fort Mcleod, Alberta, Canada. Ha ottenuto il successo commerciale alla fine degli anni ’60, definendo uno stile che farà epoca e sarà fonte d’ispirazione per tutte le cantautrici dei decenni successivi. Il suo impatto sul cantautorato al femminile, di cui è considerata la vera capostipite, è paragonabile a quello di artisti come Neil Young su quello dei colleghi uomini.
Blue, il suo quarto album, esce nel 1971, ed è considerato, a ragione, uno dei suoi capolavori. Un disco in cui analizza la propria situazione sentimentale con autocritica e lucidità. Libertà ed amore che si contrappongono e si sovrappongono, un viaggio interno ed esterno romantico, malinconico e alle volte non privo di una certa ironia. Ad impreziosire il tutto, gli umori della West Coast portati dalle chitarre di Stephen Stills e James Taylor e dalla batteria di Russ Kunkel come nella splendida melodia della “California” che chiude il podcast. Col passare del tempo, il folk verrà sempre più relegato al passato per dar spazio a nuove sonorità vicine al blues e al jazz che la porteranno a collaborazioni prestigiose con artisti del calibro di Pat Metheny, Jaco Pastorius, Herbie Hancock, Michael Brecker e Charlie Mingus. Joni Mitchell non è solo nota per la sua musica sofisticata e i suoi testi estremamente ricercati e poetici, ma anche per la sua passione e talento per le arti pittoriche. È lei stessa infatti a dire: “Sono prima di tutto una pittrice, poi una musicista…”. Ha curato spesso personalmente la grafica e le copertine dei propri album, utilizzando la maggior parte delle volte quadri ma spesso anche elaborazioni fotografiche. Colpita da aneurisma nel 2015, si è lentamente ripresa. Resta una delle songwriter più influenti della storia della musica.
Un grazie speciale va, come sempre, a Franz Andreani per la sua passione, la gestione di questa banda di pazzi e per la splendida riorganizzazione del sito già attiva da qualche anno. A cambiare non è stata solo la versione grafica del sito, ma anche la “filosofia” della podradio, con le rubriche che vanno ad integrarsi nella programmazione regolare sotto l’hashtag #everydaypodcast. Da un anno è attivo anche lo splendido canale YouTube della Radio, una nuova formula senza interruzioni ne spot per ascoltare la vostra-nostra musica preferita. Iscrivetevi numerosi, vi aspettiamo! Naturalmente ogni aggiornamento e notizia sarà nostra premura comunicarla sulla nostra pagina Facebook.
Nel 10° Episodio di Sounds & Grooves troverete i viaggi immaginifici del post-rock anni ’90 di Slint, Tortoise e Amp e di quello italico odierno con i grandissimi Stearica, la liquida psichedelia di Kandodo e Valet, l’eleganza dei The Sea And Cake, il post-rock britannico dei Disco Inferno, il meraviglioso calderone di stili che hanno reso immortali i Minutemen, le suggestioni sonore di Talking Heads e Monochrome Set, il songwriting maturo di Marissa Nadler le orchestrazioni dei Mercury Rev ed il reggae sussurrato di un artista meraviglioso come Bim Sherman. Il tutto, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
Intanto se volete potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, criticare (perché no), o proporre nuove storie musicali. Mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web.
Se volete ascoltare o scaricare il podcast, potete farlo anche dal sito della stessa PodRadio cliccando sulla barra qui sotto. Buon Ascolto
TRACKLIST
01. MX-80 SOUND: Someday You’ll Be King da ‘Out Of The Tunnel’ (1980 – Ralph Records)
02. LOOP: Got To Get It Over da ‘Fade Out’ (1988 – Chapter 22)
03. PIXIES: Where Is My Mind? da ‘Surfer Rosa’ (1988 – 4AD)
04. MGMT: Time To Pretend da ‘Oracular Spectacular’ (2008 – Columbia)
05. CAVE: Silver Headband da ‘Threace’ (2013 – Drag City)
06. ANIMAL COLLECTIVE: Daily Routine da ‘Merriweather Post Pavilion’ (2009 – Domino)
07. TUXEDOMOON: In The Name Of Talent (Italian Western Two) da ‘Desire’ (1981 – Ralph Records)
08. DAVID GRUBBS: Two Shades Of Blue da ‘The Thicket’ (1998 – Drag City)
09. THE MODERN LOVERS: Old World da ‘The Modern Lovers’ (1976 – Beserkley)
10. THE PASTELS: Yoga da ‘Mobile Safari’ (1994 – Domino)
11. XTC: Then She Appeared da ‘Nonsuch’ (1992 – Virgin)
12. ELLIOTT SMITH: Can’t Make A Sound da ‘Figure 8’ (2000 – DreamWorks Records)
13. EVERYTHING BUT THE GIRL: The Spice Of Life da ‘Eden’ (1984 – Blanco Y Negro)
14. JONI MITCHELL: California da ‘Blue’ (1971 – Reprise Records)