Le avventure in musica di Sounds & Grooves continuano nella 15° Stagione di RadioRock.TO The Original
In questo episodio di Sounds & Grooves troverete la seconda parte del nostro viaggio in lungo e in largo per l’Italia.
Sono davvero felice che Sounds & Grooves sia sempre a fianco di tutti voi per la 15° stagione di www.radiorock.to. A pensarci è pazzesco che sia passato già così tanto tempo da quando abbiamo iniziato questa fantastica avventura. Una podradio nata per dare un segnale di continuità con il passato, con quella meraviglia che Franz Andreani, Marco Artico, Flavia Cardinali, Massimo Di Roma, Michele Luches, Aldo Semenuk, Giampiero Crisanti, Gianpaolo Castaldo avevano creato e a cui, nel mio piccolo, ho provato a dare un contributo dal 1991 al 2000. Sappiamo tutti benissimo che la Radio Rock in FM come la intendevamo noi è sparita da almeno due decenni, ma in tutti questi anni di podcast sul web abbiamo cercato di tenere accesa quella fiammella per poi tentare di moltiplicarla, facendola diventare un faro di emozioni e qualità musicale. Perché la passione e la voglia di fare radio, la voglia di ascoltare e di condividere la musica di qualità, nonostante tutto, non ci è mai passata.
Non siamo una radio “normale”. Non solo perché trasmettiamo in differita e attraverso podcast registrati, ma soprattutto perché andiamo orgogliosamente musicalmente controcorrente rispetto a quella che è diventata la consuetudine delle emittenti radiofoniche al giorno d’oggi. Continuiamo orgogliosamente a cercare quella libertà in musica che nell’etere sembra essere diventata una mosca bianca, quella passione per la condivisione, per la ricerca, per l’approfondimento. Non dobbiamo aderire per forza ad una cieca linea editoriale che privilegia il commercio, ma ci lasciamo guidare semplicemente dal nostro cuore e dalla nostra passione.
Nel mondo attuale, dove tutto sembra di nuovo e sempre di più avvolto nella nube della pandemia, ogni cosa sembra essere letta dietro ad una lente distorta. La politica non è mai stata così squallida e così divisiva, qualsiasi scelta, anche di marketing, sembra essere fatta da una parte per guadagnare consensi e likes (il vero e proprio denaro dei nostri giorni) , dall’altra per scatenare consensi o sdegno sui social o su programmi televisivi di infima lega, facendo azzannare persone comuni che non vedono l’ora di dire la propria per sentirsi fuori dell’anonimato. C’è tanta ignoranza, solitudine, paranoia, paura, frustrazione, competizione sfrenata tra persone piccole piccole… Il livello della politica e del giornalismo negli ultimi anni è sprofondato in maniera clamorosa, non solo in Italia, basti vedere quello che sta succedendo con i vaccini anti Covid. Il mio pensiero va alle persone che sono colpite duramente dal lockdown: a chi non c’è più, a chi ha combattuto e sta combattendo questo nemico silenzioso in prima linea con grandi sacrifici, a chi sta lottando davvero con forza per riappropriarsi della propria vita, a chi è stato costretto a reinventarsi. Spero davvero che stavolta lo stato (utopia, lo so, vista la “statura” morale della nostra classe politica) possa riuscire a far ritrovare la propria identità ad un popolo così duramente colpito negli affetti, nelle strutture, nel lavoro e nel quotidiano. In questo mondo dove sembrano mancare sempre di più parole e sentimenti come empatia, comprensione, solidarietà, buon senso e amore, noi proviamo a portare le nostre emozioni. Emozioni di persone non omologate che rispettano ed amano una forma d’arte straordinaria. La musica ha spesso il potere terapeutico di guarire le anime, lenire in qualche modo il dolore, come una pozione magica, un incantesimo primordiale, facendoci fare viaggi immaginari di enorme suggestione emotiva.
Anche il nono viaggio della stagione si svolgerà, come promesso, esclusivamente in lungo e in largo nella nostra disastrata penisola. Saliranno a bordo di questo veicolo Made in Italy gli Afterhours con uno degli apici del rock nostrano dei ’90, altri due progetti di Xabier Iriondo: Buñuel e Todo Modo, le magie sbilenche dei Christa Pfangen, la polverosa frontiera tra Romagna e Messico di Sacri Cuori e Don Antonio, l’americana velata di psichedelia dei 2Hurt, il melting pot straordinario dei C’Mon Tigre, il maestoso post-punk degli indimenticati Fasten Belt, il ritorno alle origini di Spunk!, la lucida follia fantascientifica dei Morkobot, la psichedelia dei Julie’s Haircut, gli audioracconti tra folk e cantautorato di Arco e il moderno e divertente equilibrio tra new wave e pop dei Lovexpress. Il tutto, come da 15 anni a questa parte, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
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Iniziamo il podcast con uno dei gruppi più noti, anche al grande pubblico, della scena rock tricolore, gli Afterhours. Tralasciando le accuse di tradimento per essersi venduto al cosiddetto mainstream piovute su Manuel Agnelli per aver accettato il ruolo di giudice di X Factor (critiche che reputo fondamentalmente ingiuste dopo anni che Agnelli si era sbattuto invece per portare a galla il mondo sommerso dell’indie italiano), personalmente ritengo Hai Paura Del Buio? uno degli album di rock italiano più importanti, un album vario ma compatto e mai dispersivo, un album capace di giocarsela ad armi pari con molti altri album usciti oltremanica o oltreoceano, dove la scelta operata nel precedente Germi di cantare in italiano trova la sua definitiva consacrazione.
“Rapace” è specchio di un’ispirazione lucida sia musicale che letteraria, con un Agnelli mai così ispirato nel suo uso del cut-up (il metodo di scrittura messa a punto da Burroughs in cui un testo viene tagliato e ricomposto per crearne uno nuovo). La band milanese nel 2016, dopo le lunghe celebrazioni dello stesso Hai Paura Del Buio?, è tornata con una formazione completamente rinnovata che ha visto gli ingressi di Stefano Pilia (In Zaire) alla chitarra e Fabio Rondanini (Calibro 35) alla batteria, senza dimenticare il ritorno dell’altra storica chitarra di Xabier Iriondo. In definitiva Hai Paura Del Buio? ha davvero sublimato un momento importante per il rock italiano, alzando l’asticella e spronando anche le altre realtà della scena a migliorarsi.
Giorgio Prette e Xabier Iriondo, che facevano parte insieme a Manuel Agnelli della line-up degli Afterhours che ha registrato Hai Paura Del Buio?, hanno avuto una storia di odio e amore con la band. Se Iriondo ha lasciato Agnelli & c. nel 2001 per rientrarci in pianta stabile nel 2010, Prette abbandona definitivamente nel 2014 non senza qualche polemica con il leader, seguito a stretto giro di posta anche dal chitarrista Giorgio Ciccarelli. E se gli Afterhours troveranno presto nuova linfa con l’ingresso di Fabio Rondanini (Calibro 35, I Hate My Village) dietro ai tamburi e di Stefano Pilia (Massimo Volume) alla chitarra, Prette cercherà di allargare i propri orizzonti espressivi trovando due splendidi compagni di avventura proprio in un vecchio compagno di avventure come Xabier Iriondo e nel talentuoso songwriter Paolo Saporiti.
I tre musicisti prendono in prestito il nome Todo Modo dal romanzo di Leonardo Sciascia (e dal seguente flim di Elio Petri) e fanno il loro esordio nel 2015 con un album autointitolato interessante e coraggioso. “L’Attentato” mostra come i musicisti abbiano saputo mescolare perfettamente le suggestioni sperimentali di Iriondo con il songwriting “classico” di Saporiti e l’espressivo drumming di Prette. Fortunatamente il trio ha continuato la sua avventura con un secondo album intitolato Prega Per Me dove sono riusciti a dimostrare ancora una volta come cantautorato e sperimentazione possano andare felicemente a braccetto.
Nello scorso episodio avevamo parlato dell’etichetta specializzata in recuperi d’autore e di avanguardia Die Schachtel e di come nel 2006 i responsabili della label milanese abbiano inaugurato una nuova serie (denominata Zeit) per promuovere nuovi artisti. Se l’onore della prima pubblicazione era stato appannaggio degli Å, la terza uscita della serie vede protagonisti due straordinari musicisti della scena elettroacustica come Andrea Belfi e Mattia Coletti. Il nome scelto dai due, Christa Pfangen, sembra un evidente riferimento all’indimenticata ed indimenticabile Nico (il cui vero nome era Christa Päffgen). ma a parte un atteggiamento volutamente “trasversale”, nella musica del duo non troverete altri riferimenti alla musa di Andy Warhol.
Se la base del suono di Watch Me Getting Back The End sono ovviamente la batteria di Belfi e la chitarra di Coletti, colpisce la dinamica del duo nell’impreziosire e scolpire il suono tramite voci, altri oggetti sonori e devices elettroacustici che pur richiamando in alcuni momenti band cardine come StormAndStress, Radian o Gastr Del Sol, è capace di mostrare la propria personalità e alternare tensione e rilassatezza. “Playing Apart” è solo uno degli esempi della forza espressiva di questo duo che, pur non incidendo più nulla dietro a questa ragione sociale, troverà il modo di esprimere le proprie convinzioni musicali e i talenti individuali in molti altri progetti e collaborazioni. Andrea Belfi troverà il modo di esprimersi in solitario come splendido interprete di elettroacustica, nella band di Carla Bozulich (Geraldine Fibbers, Evangelista) ed insieme a Stefano Pilia (In Zaire, Massimo Volume, Afterhours) si unirà con due mostri sacri come Mike Watt (Minutemen, fIREHOSE) nel progetto Il Sogno Del Marinaio e David Grubbs (Squirrel Bait, Gastr Del Sol) creando sempre panorami sonori di grande suggestione.
Lo so, stiamo per parlare di nuovo di Xabier Iriondo…la qual cosa potrebbe sembrare una specie di ossessione ma, come abbiamo già detto nello scorso episodio, il chitarrista milanese è davvero una fucina instancabile di idee. Stavolta parliamo di una band creata da Iriondo insieme a Francesco “Franz” Valente e Pierpaolo Capovilla (Il Teatro Degli Orrori e One Dimensional Man) chiamata Buñuel dal nome del grande regista naturalizzato messicano. Un nuovo progetto musicale estremamente potente che i tre hanno voluto sublimare andando a catturare oltreoceano addirittura Eugene S. Robinson, storica voce dei mai troppo lodati Oxbow.
Il disco di esordio, A Resting Place For Strangers, è uscito nel 2016 ed è stato registrato a distanza: mentre Iriondo, Capovilla e Valente erano negli studi La Sauna di Verese, Robinson e la special guest Kasia Meow registravano le loro parti vocali ai Ruminator Audio di San Francisco. La furia sonora ben si adatta allo stile tagliente del chitarrista e alla potenza viscerale di Robinson, accompagnati da una sezione ritmica serrata e coesa. “Dump Truck” è solo uno degli esempi della furia post-hardcore della band, priva di compromessi e sempre messa a fuoco anche quando i ritmi si rallentano. Dopo un secondo e sempre roboante album intitolato The Easy Way Out, la band sta preparando il terzo lavoro in studio con Andrea Lombardini al basso al posto di Capovilla.
(Don) Antonio Gramentieri, non è solo uno straordinario chitarrista, autore, cantante e produttore, ma anche una delle persone più piacevoli da seguire per cultura musicale, passione, competenza e proprietà di scrittura. Oltre ad aver scritto le parole più belle e toccanti su Tom Petty ed averci deliziato con il primo album “solista” a nome Don Antonio (di cui parleremo tra poco), è il muro portante dei Sacri Cuori, band formata nel 2006 e che ha debuttato su disco nel 2010 con uno splendido album intitolato Douglas & Dawn. Alla realizzazione dell’album oltre al nucleo formato da Gramentieri, Massimo Sbaragli al basso, Diego Sapignoli alle percussioni ed il polistrumentista Christian Ravaglioli, hanno partecipato anche grandi personaggi come John Convertino dei Calexico, Howe Gelb dei Giant Sand, Marc Ribot, James Chance. Il disco è stato missato a Bristol da John Parish che da il suo contributo in uno dei pochi brani cantati.
Due anni dopo, il collettivo è tornato (con l’unico ritocco di Francesco Giampaoli al basso al posto di Sbaragli) con un album intitolato Rosario, mantenendo le stesse atmosfere, quelle della musica di frontiera americana, arricchite dall’amore per la musica cinematica italiana ed il blues, il risultato è un flusso di grande suggestione che si avvale, come il precedente, di straordinari ospiti come Isobel Campbell (Belle And Sebastian), che impreziosisce la meravigliosa “Silver Dollar”, ancora John Convertino e Marc Ribot, Jim Keltner alla batteria, e il chitarrista Woody Jackson. Le radici autentiche espresse con forza e sincerità.
C’è una Telecaster che prova ad abbracciare tutti i Sud possibili: quelli reali e quelli immaginari. E ci sono delle storie. Storie che vanno raccontate, perché parlano di cose perdute e di cambiamenti: da quelli più profondi a quelli che avvengono tutti i giorni quando arriva il crepuscolo, magici, anche se spesso passati nell’indifferenza di un’umanità troppo presa a vivere il proprio presente. C’è una musica appassionata, vissuta in prima persona con grande onestà intellettuale raccontando proprio quelle storie che vale la pena raccontare, tramandare. C’è da cambiare la prospettiva, un punto di vista romagnolo messo a fuoco in un’estate siciliana piena di luci fortissime.
Chi meglio di un alter ego può disegnare un immaginario? Don Antonio, alias Antonio Gramentieri, come detto poco fa muro portante dei Sacri Cuori in libera uscita, ci racconta con passione e forza immaginifica un mondo intero in quattordici brevi affreschi prevalentemente strumentali. Dopo tanti anni sempre in giro con la sua band, in studio di registrazione con David Hidalgo, Jim Keltner, Evan Lurie, Marc Ribot, John Convertino, Giant Sand, Steve Shelley, nei tour e nei dischi di Richard Buckner, Dan Stuart, Alejandro Escovedo, Hugo Race, Terry Lee Hale, Bill Elm e Friends of Dean Martinez, in Italia nei dischi di Nada e Pan del Diavolo e nelle colonne sonore per cinema, televisione e teatro, ecco che Gramentieri si ferma un attimo scattando alcune istantanee, sperimentando, allargando le sue esperienze passate in un flusso passionale e perfettamente messo a fuoco. “Lontana” rappresenta un disco scintillante e prezioso, che cattura e fa viaggiare, senza frontiere, mescolando avidamente, appassionatamente. Un ballo in un’Italia finalmente senza latitudini, affacciata sul mondo.
Tanto ambizioso quanto insicuro, Andrea Guerrini è un vulcano irrequieto che ha progettato con calma l’eruzione delle sue eclettiche colate di lava. L’aretino, polistrumentista autodidatta, è stato membro attivo dei Walden Waltz ma il bisogno di esternare il suo pensiero sull’essere umano da solo ed in mezzo alla collettività lo ha portato ad esprimersi in altre forme d’arte come gli audioracconti e scrivere un libro su Robert Wyatt. Proprio l’infantile capacità del sommo esponente della scena di Canterbury, unita alla sperimentazione mai fine a se stessa e al contrasto tra un uomo solo e la società opprimente, conflittuale e rumorosa hanno portato Andrea a “nascondersi” dietro al moniker di Arco per tirare fuori uno dei lavori più intelligenti e creativi usciti in Italia negli ultimi tempi. Dopo una serie di autoproduzioni incentrate sulla sperimentazione della forma canzone, l’artista aretino ha pubblicato il suo primo album vero e proprio grazie all’aiuto del sodale Simone Lanari (Ant Lion, Ask The White. dTHEd) con cui Guerrini aveva già lavorato nei Walden Waltz e nei Moondrive. Lanari, da sempre entusiasta della modalità di scrittura di Arco, lo porta alla corte dei Vonneumann pronti ad accoglierlo nel roster della loro etichetta Ammiratore Omonimo.
Il disco autointitolato, pubblicato in 100 copie viniliche, è composto da 5 tracce dalla durata variabile ma mediamente lunga, ideate come minisuite in cui Guerrini mette insieme musicisti provenienti da background diversi divertendosi ad usare un linguaggio libero sia vocalmente che musicalmente. Una tavolozza di strumenti e colori estremamente varia, tra cori, sintetizzatori, chitarre acustiche, utilizzando ogni possibilità espressiva gestibile. Proprio in questo mescolarsi di tecniche analogiche e digitali, di strumenti acustici ed elettronici, di field recordings e monologhi, risiede il grande fascino di un disco, va detto, unico, in cui è bello tornare più volte per esplorare ogni angolo. “Polarità” esprime il cambiamento invocato da molti, e la conseguente delusione nello scoprire che in realtà la rivoluzione tanto auspicata si era rivelata solo di facciata. Una propaganda che si rivela moneta falsa nonostante per le strade si senta una voce che strombazza da un altoparlante: “È arrivato il cambiamento” come fosse quella di qualunque richiamatore di attenzione ambulante: arrotino, fruttivendolo, annunciatore elettorale. Un disco dove c’è una commistione di folk ed elettronica filtrata dalla scelta delle parole, cantautorato sperimentale e racconto teatrale, insomma un album da ascoltare attentamente.
Il lavoro del 2017 dei Julie’s Haircut è stato un crocevia importante per la band emiliana perché Invocation And Ritual Dance Of My Demon Twin è stato pubblicato da una delle etichette più importanti del mondo in ambito psichedelico, la britannica Rocket Recordings, che ha nel roster nomi come The Heads, White Hills, Gnod, Anthroprophh e i nostri Ufomammut e Lay Llamas solo per citarne alcuni. Dal 2005 la musica del gruppo si è mossa verso territori più sperimentali, concentrandosi maggiormente sull’improvvisazione e la ricerca sonora, senza perdere contatto con il groove e la melodia che hanno caratterizzato la loro musica fin dalla formazione avvenuta nel 1994.
Proprio la grafica di copertina, una celebre fotografia delle dive gemelle del cinema muto Dolly Sisters vestite di perle, è il punto di partenza per una nuova espressività emozionale, creata dalla loro metà uguale ma così diversa. In un brano come “Gathering Light” ecco l’incedere sciamanico e il motorik reiterato a gettare un ponte tra i due gemelli, tra il passato ed il presente della band. Tra voci impalpabili, ipnotiche circolarità che dilatano lo spazio sonoro, improvvisazioni, fiati evocativi e spirito anarchico, l’album si snoda in maniera eccelsa portandoci in un mondo tanto oscuro quanto affascinante, consegnandoci un gruppo che è cosa buona e giusta inserire nell’eccellenza della nostra (martoriata) Italia in musica.
Un progetto basato sull’apertura e sulla condivisione, un “collettivo di anime” creato da due musicisti italiani di cui tuttora non si conosce l’identità che già dall’album di esordio ha accolto a bordo moltissimi altri musicisti provenienti da numerose e diverse visioni musicali. I C’Mon Tigre hanno pubblicato il loro album di esordio a fine 2014 autointitolato ed autoprodotto. Il doppio album è frutto della collaborazione e dello scambio tra i due registi con svariati musicisti provenienti da tutto il mondo, a creare un calderone di suoni mediterranei, tra Italia, Europa balcanica e Africa, mescolati con cura e perizia.
“C’mon Tigre are two people / C’mon Tigre is a collective of souls” recita il booklet del disco, due persone ma un collettivo di anime (tra cui il compianto Enrico Fontanelli degli Offlaga Disco Pax) capace di mescolare con sapienza funk, dub, afrobeat, jazz in una contaminazione tanto istintiva quanto profonda e viscerale. “A World Of Wonder” svela davvero il loro mondo intriso di meraviglia, un sentimento che fortunatamente i due hanno confermato quattro anni più tardi con Racines che, pur mostrando un maggior utilizzo di macchine e sintetizzatori, ha sottolineato una volta in più la maestria dei due registi nel creare un suono aperto a molteplici influenze.
Nel nostro disastrato stivale non esistono (per fortuna) solo tristi fenomeni da baraccone, presunti talent show o cariatidi che si ostina(va)no ad andare in tour registrando, incredibilmente e misteriosamente, regolari ed aberranti sold-out. Fortunatamente a popolare questo vastissimo e variegato panorama ci sono anche realtà piccole ma capaci di suscitare notevole interesse come i Lovexpress di Pavia. Il trio formato da Luca Collivasone (voce, synth e chitarra preparata) musicista molto attivo non solo recentemente con progetti come Cranio o Maciste, ma anche in piena era wave insieme agli Aus Decline, Lorenzo Chiesa (synth e voce) e Daniele La Barbera (batteria e voce), tre anni fa aveva stupito i miei padiglioni auricolari con un album di esordio intrigante ed originale intitolato Stars.
I 35 minuti di musica di cui era composto mi avevano lasciato semplicemente senza fiato per la capacità del trio di spaziare da momenti orchestrali a suggestioni psichedeliche, utilizzando suoni di deriva noise e industrial ed affiancandoli a parti di chitarra e sintetizzatore limpide e seducenti. L’apertura di “Enfant Plastic” mette subitoin chiaro le cose mostrando una solidissima ritmica squarciata da alcuni pericolosi ed avventurosi incroci tra la chitarra accordata in maniera non convenzionale e i synth lasciati a briglia sciolta (come non ricordare le scorribande di Allan Ravenstine nei primi album dei Pere Ubu). In questa modalità, i Lovexpress riescono a tracciare delle coordinate sonore che rimandano a grandi creatori di suono come i This Heat o i King Crimson reinventati da Robert Fripp negli anni ’80. Fortunatamente i tre sono tornati lo scorso anno con l’ottimo The Million Year Girl dimostrando ancora che se vi piacciono gli intrecci mai banali, i ritmi solidi e fantasiosi ma pensate che una band italiana non sarebbe mai in grado di fare qualcosa del genere, con i Lovexpress troverete pane per i vostri denti.
Andiamo indietro nel tempo fino al 1986, anno in cui, a Roma, si formano i Fasten Belt. La band era composta dal cantante Claudio Caleno, i chitarristi Paolo “Spunk” Bertozzi e Fabio Camerini, il bassista Massimo Bandiera e il batterista Marco Di Nicolantonio. L’energia derivata dal post punk, dalla new wave e dalla psichedelia di quel periodo aveva trovato terreno fertile nell’entusiasmo dei 5 ragazzi romani che, dopo una lunga serie di concerti nei luoghi storici della musica della Capitale trovando sempre un ampio e caloroso riscontro da parte del pubblico. Il giornalista Federico Guglielmi, dopo aver assistito ad una delle grandi serate del gruppo all’Uonna Club romano di spalla ai Naked Prey, decise di metterli sotto contratto per la sua neonata etichetta High Rise (in cui si occupava della scelta delle band e di curare la produzione artistica) creata insieme a parte dello staff del negozio di dischi romano Disfunzioni Musicali, che si prese l’onere della stampa e della distribuzione.
Guglielmi diventò presto il sesto membro della band, grazie alla stretta amicizia che lo legava personalmente ai membri del gruppo, e produsse nel 1988 No Escape From Acid Hysteria, l”album di esordio che presentava brani già conosciuti per la forza dirompente on stage come “Kill The President” e la “No Dice” presente in scaletta. L’album ottenne un risonanza tale da accrescere la reputazione live del gruppo che di lì a poco andranno in tour di spalla agli australiani Hoodoo Gurus e ai Primal Scream. I problemi personali di Claudio Caleno portarono la band a malincuore a dividere le strade. Con Alex Buccini alla voce incisero il secondo My Blood My Sin My Madness, un piccolo passo indietro in quanto a spontaneità. Dopo anni di separazione i Fasten Belt firmarono con la BMG e nel 1995 (con la formazione originale) diedero alle stampe il loro unico lavoro su major e cantato in italiano: Vivi Il Tuo Tempo. Dopo il successo del primo singolo estratto “Il Volo” (il cui video finì al primo posto nella rotation di Videomusic) e un lungo tour la band si sciolse ufficialmente due anni più tardi. La band segnò davvero un’epoca e riascoltare No Escape From Acid Hysteria è un piacere immenso a tanti anni di distanza. Il disco è stato ristampato qualche anno fa dalla Lostunes Records di Paolo Bertozzi in una versione in doppio CD con brani inediti e 10 brani live dedicata alla memoria di Claudio Caleno che ci ha lasciato nel 2012.
Dopo l’esperienza Fasten Belt, Paolo “Spunk” Bertozzi, grazie all’incontro con la violinista Laura Senatore, si è saputo reinventare dopo un decennio di silenzio, creando i 2Hurt, una nuova entità che, pur mantenendo la psichedelia come mood di fondo, è andata ad esplorare la musica di frontiera, il folk, il Paisley Underground e l’americana tout court. Nel loro viaggio insieme nel corso degli anni i due hanno fatto salire sul loro polveroso veicolo che macinava chilometri di strade blu molti altri musicisti, fino ad arrivare alla line-up attuale che vede, insieme ai due, la chitarra acustica di Roberto Leone, la batteria di Marco Di Nicolantonio (anche lui presente nel nucleo storico dei Fasten Belt) e il basso di Andrea Samonà, che da poco ha preso il posto di Giancarlo Cherubini. Il 2014 vede la pubblicazione del disco forse più maturo della band romana: On Bended Knee, album di grande rock italiano, anche se intriso di umori americani, che riesce ad accarezzare il cuore di chi ama la musica di frontiera, l’americana tout court ed un certo tipo di folk intriso di psichedelia. La band romana ci fa indossare un paio di logori e polverosi stivali per macinare chilometri di strade blu fino al confine con il Messico ed oltre.
Un album di grande rock italiano, anche se intriso di umori americani. Il lavoro non deve essere stato facile da assemblare, con il cuore e la mente rivolta a chi non c’è più (principalmente a Claudio Caleno, storico cantante dei Fasten Belt, scomparso nel gennaio del 2012), ma che proprio dalla sofferenza ha saputo graffiare, affascinare e sedurre. Un album tanto malinconico quanto frenetico suonato con passione, sangue e sudore. Il brano scelto è la scossa elettrica di “Painful Memories” che ci porta in un deserto dove sarebbe facile sentirsi piccoli, deboli ed inginocchiarsi davanti ai ricordi che fanno male, ma è capace di innalzarsi su vette altissime con uno strepitoso lavoro della poderosa sezione ritmica, per non parlare dello strabiliante ed inquieto violino di Laura Senatore i cui intrecci con gli strumenti “classici” del rock sono il marchio di fabbrica che rende il sound dei 2Hurt perfettamente riconoscibile. I 2Hurt sono un gruppo di grande spessore e talento che, purtroppo, non è conosciuto come sicuramente meriterebbe. Il consiglio è di andare a recuperare il materiale precedente, troverete pane per i vostri denti.
Come abbiamo detto, Paolo “Spunk” Bertozzi è stato un personaggio di grande importanza per la scena underground romana con i suoi indimenticabili Fasten Belt, per poi reinventarsi con i 2Hurt. In un momento difficile della sua vita personale dopo la perdita della mamma, Paolo si è preso un momento di pausa dalla sua creatura, immergendosi nella scrittura del suo primo album solista. Fairies Sprinkle Magic Dust è un album uscito per la sua etichetta, la Lostunes Records, dove Paolo suona tutti gli strumenti dimostrando grande sensibilità di autore e grande capacità compositiva. Il disco, uscito sotto il nome di Spunk!, è un viaggio attraverso il dolore, il cielo e le stelle.
Il secondo album a nome Spunk! è uscito nel 2020 e si intitola Back To The Past. Il disco sembra essere il contraltare “tirato” del primo, composto in un momento dove l’autore dichiara già dal titolo la voglia di tornare per una volta indietro e metterci dentro la furia e l’aggressività del punk rock. Il disco è onesto e senza compromessi, creato da un musicista che non ha mai seguito un trend in tutta la sua vita. “Last Secrets” è la prima di nove tracce brevi e potenti come nella migliore tradizione punk, suonate con energia da Bertozzi insieme alla batteria del fido Marco Di Nicolantonio.
Dietro un’iconografia fantascientifica che negli anni ’60 avrebbe fatto entusiasmare gli spettatori di “Ai Confini della Realtà” e gli assetati di storie dell’ignoto, si nasconde un trio avventuroso che dal 2005 sforna crudeli e appassionanti battaglie interplanetarie. La chiusura del podcast è affidata al suono appiccicoso e poderoso dei Morkobot. Ascoltando la band si viene intrappolati, conquistati dal ritmo lento ma inesorabile dei due bassi di Marcello LAN Bellina, e Andrea LIN Belloni che duellano e si sovrappongono creando un denso e scuro substrato su cui si appoggia il drumming incessante e fantasioso di Jacopo LON Pierazzuoli. GoRgO, uscito nel 2016, è il loro quinto album in studio, registrato in soli tre giorni a testimoniare l’unità creativa del gruppo.
L’abilità tecnica dei tre non risulta mai fine a se stessa, e anche quando il suono si fa meno frenetico il groove non si sfalda, anzi, riesce a compattarsi in un poderoso muro di suono. Per farvi un’idea di quanto riescano ad essere iconoclasti come i Lightning Bolt e matematici come i Don Caballero, ascoltate quel mostro dall’incedere inarrestabile chiamato “Ogrog” distruggere tutto quello che trova sul suo cammino, dimostrando come i tre possano essere psichedelici nella loro libera attitudine di spaziare creando incastri ritmici sempre nuovi. Lin, Lan e Lon sono implacabilmente noise, ma capaci di proiettarci in un incantato mistero, facendoci venire l’atroce dubbio che l’entità Morkobot possa davvero esistere e che il nostro scuro destino sia quello di inchinarci al suo volere supremo…
Un grazie speciale va, come sempre, a Franz Andreani per la sua passione, la gestione di questa banda di pazzi e per la splendida riorganizzazione del sito già attiva da qualche anno. A cambiare non è stata solo la versione grafica del sito, ma anche la “filosofia” della podradio, con le rubriche che vanno ad integrarsi nella programmazione regolare sotto l’hashtag #everydaypodcast. Sulla nostra pagina Facebook troverete quotidianamente ogni upload e la nuova rubrica #theoriginaltoday curata dalla new entry Giusy Chiara Meli che racconta cosa accadde nella storia della musica rock. Da un anno è attivo anche lo splendido canale YouTube della Radio, una nuova formula senza interruzioni ne spot per ascoltare la vostra-nostra musica preferita. Iscrivetevi numerosi, vi aspettiamo!
Nel prossimo episodio di Sounds & Grooves andremo a concludere (momentaneamente) questo viaggio nella musica italiana con la terza parte di questo The Italian Pod. Saliranno a bordo i Calibro 35 con il loro evoluto mondo cinematico, i Bachi da Pietra con il loro passo poderoso e pesante, gli Zeus! ed il loro ironico noise-hardcore, i Roots Magic e la loro magia jazz, Adriano Viterbini e la rivisitazione delle sue radici folk e blues. E ancora la magia evocativa e lirica dei Massimo Volume, l’energia dei Bud Spencer Blues Explosion, il post rock immaginifico dei Giardini Di Mirò e quello più divertito degli Yuppie Flu, la psichedelia del progetto Lay Llamas, gli accostamenti prog dei Sycamore Age, la follia coraggiosa dei Gustoforte, gli abbracci straordinari degli Offlaga Disco Pax e l’equilibrio straordinario tra canzone d’autore ed alchimie moderne dei La Crus. Il tutto, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
Intanto se volete potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, criticare (perché no), o proporre nuove storie musicali. Mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web.
Se volete ascoltare o scaricare il podcast, potete farlo anche dal sito della PodRadio cliccando sulla barra qui sotto. Buon Ascolto
TRACKLIST
01. AFTERHOURS: Rapace da ‘Hai Paura Del Buio?’ (1997 –
Mescal)
02. TODO MODO: L’Attentato da ‘Todo Modo (2015 – Goodfellas)
03. CHRISTA PFANGEN: Playing Apart da ‘Watch Me Getting Back The End’ (2006 – Die Schachtel)
04. BUÑUEL: Dump Truck da ‘A Resting Place For Strangers’ (2016 – Tannen Records)
05. SACRI CUORI: Silver Dollar da ‘Rosario’ (2012 – Decor Records)
06. DON ANTONIO: Lontana da ‘Don Antonio’ (2017 – Santeria)
07. ARCO: Polarità da ‘Arco’ (2020 – Ammiratore Omonimo Records)
08. JULIE’S HAIRCUT: Gathering Light da ‘Invocation And Ritual Dance Of My Demon Twin’ (2017 – Rocket Recordings)
09. C’MON TIGRE: A World Of Wonder da ‘C’Mon Tigre’ (2014 – Africantape)
10. LOVEXPRESS: Enfant Plastic da ‘Stars (2017 – Furry Heart Records)
11. FASTEN BELT: No Dice da ‘No Escape From Acid Hysteria’ (1988 – High Rise)
12. 2HURT: Painful Memories da ‘On Bended Knee’ (2014 – Lostunes Records)
13. SPUNK!: Last Secrets da ‘Back To The Past’ (2020 – Lostunes Records)
14. MORKOBOT: Ogrog da ‘GoRgO’ (2016 – Supernatural Cat)