Le avventure in musica di Sounds & Grooves continuano nella 15° Stagione di RadioRock.TO The Original
In questo episodio di Sounds & Grooves troverete la prima parte di un viaggio nella musica italiana.
Sono davvero felice di essere, con Sounds & Grooves, a fianco di tutti voi per la 15° stagione di www.radiorock.to. A pensarci è pazzesco che sia passato già così tanto tempo da quando abbiamo iniziato questa fantastica avventura. Una podradio nata per dare un segnale di continuità con il passato, con quella meraviglia che Franz Andreani, Marco Artico, Flavia Cardinali, Massimo Di Roma, Michele Luches, Aldo Semenuk, Giampiero Crisanti, Gianpaolo Castaldo avevano creato e a cui, nel mio piccolo, ho provato a dare un contributo dal 1991 al 2000. Sappiamo tutti benissimo che la Radio Rock in FM come la intendevamo noi è sparita da almeno due decenni, ma in tutti questi anni di podcast sul web abbiamo cercato di tenere accesa quella fiammella per poi tentare di moltiplicarla, facendola diventare un faro di emozioni e qualità musicale. Perché la passione e la voglia di fare radio, la voglia di ascoltare e di condividere la musica di qualità, nonostante tutto, non ci è mai passata.
Non siamo una radio “normale”. Non solo perché trasmettiamo in differita e attraverso podcast registrati, ma soprattutto perché andiamo orgogliosamente musicalmente controcorrente rispetto a quella che è diventata la consuetudine delle emittenti radiofoniche al giorno d’oggi. Continuiamo orgogliosamente a cercare quella libertà in musica che nell’etere sembra essere diventata una mosca bianca, quella passione per la condivisione, per la ricerca, per l’approfondimento. Non dobbiamo aderire per forza ad una cieca linea editoriale che privilegia il commercio, ma ci lasciamo guidare semplicemente dal nostro cuore e dalla nostra passione.
Nel mondo attuale, dove tutto sembra di nuovo e sempre di più avvolto nella nube della pandemia, ogni cosa sembra essere letta dietro ad una lente distorta. La politica non è mai stata così squallida e così divisiva, qualsiasi scelta, anche di marketing, sembra essere fatta da una parte per guadagnare consensi e likes (il vero e proprio denaro dei nostri giorni) , dall’altra per scatenare consensi o sdegno sui social o su programmi televisivi di infima lega, facendo azzannare persone comuni che non vedono l’ora di dire la propria per sentirsi fuori dell’anonimato. C’è tanta ignoranza, solitudine, paranoia, paura, frustrazione, competizione sfrenata tra persone piccole piccole… Il livello della politica e del giornalismo negli ultimi anni è sprofondato in maniera clamorosa, non solo in Italia, basti vedere quello che sta succedendo con i vaccini anti Covid. Il mio pensiero va alle persone che sono colpite duramente dal lockdown: a chi non c’è più, a chi ha combattuto e sta combattendo questo nemico silenzioso in prima linea con grandi sacrifici, a chi sta lottando davvero con forza per riappropriarsi della propria vita, a chi è stato costretto a reinventarsi. Spero davvero che stavolta lo stato (utopia, lo so, vista la “statura” morale della nostra classe politica) possa riuscire a far ritrovare la propria identità ad un popolo così duramente colpito negli affetti, nelle strutture, nel lavoro e nel quotidiano. In questo mondo dove sembrano mancare sempre di più parole e sentimenti come empatia, comprensione, solidarietà, buon senso e amore, noi proviamo a portare le nostre emozioni. Emozioni di persone non omologate che rispettano ed amano una forma d’arte straordinaria. La musica ha spesso il potere terapeutico di guarire le anime, lenire in qualche modo il dolore, come una pozione magica, un incantesimo primordiale, facendoci fare viaggi immaginari di enorme suggestione emotiva.
L’ottavo viaggio della stagione si svolgerà, come promesso, esclusivamente in lungo e in largo nella nostra disastrata penisola. Saliranno a bordo di questo veicolo Made in Italy la ritrovata forza dirompente dei Fluxus, gli strappi lancinanti e scuri dei Butcher Mind Collapse, il maestoso post-math-rock degli Stearica, la psichedelia degli In Zaire, il nuovo fantastico e sciamanico album dei Deadburger Factory, la potenza evocativa dei Fuzz Orchestra, lo straordinario melting pot della Squadra Omega, il folk rivisitato degli Ask The White, la lucida follia matematica dei Vonneumann, il tocco di Xabier Iriondo e Stefano Pilia nell’improvvisazione sotto il nome di Cagna Schiumante, il viaggio verso la Luna e ritorno dei Larsen, lo splendido progetto Ant Lion, le magie sbilenche dei Blue Willa che avevano stregato Carla R. Bozulich, e il tocco alla Gastr Del Sol durato (ahimè) il tempo di un solo disco degli Å. Il tutto, come da 15 anni a questa parte, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
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Iniziamo il podcast con una band che è, senza ombra di dubbio, tra i segreti meglio nascosti di quella giungla inestricabile che è la scena rock italiana. Il collettivo autodisorganizzato (come amano definirsi) dei Fluxus si è formato nel 1991 a Torino, pubblicando il primo disco tre anni più tardi. Le coordinate sono sempre state ben chiare, un noise rock originale e potente, coraggiosamente cantato in italiano, che dalla nascita al 2002 il gruppo ha saputo spalmare su altre tre uscite più un disco registrato nel 2005 ma mai pubblicato, intitolato Satelliti e Marziani. Il silenzio calato sulla sigla Fluxus da quel momento in poi non hai mai voluto dire scioglimento, ma semplicemente una pausa, seppur lunga, di riflessione. Dopo 10 anni sono tornati on stage nel corso del 2017 per un paio di date di riscaldamento, e le giunture dei componenti del gruppo non devono essersi rivelate così arrugginite se i tre membri storici Franz Goria (voce e chitarra), Luca Pastore (basso) e Roberto Rabellino (batteria) insieme al nuovo Fabio Lombardo (chitarra), hanno deciso di entrare in studio per la registrazione di un nuovo album in studio.
Non Si Sa Dove Mettersi, non è solo una citazione esplicita degli Stormy Six (il brano “Non Si Sa Dove Stare” che apriva l’album del 1982 Al Volo), ma una frase che riassume tutto il disagio delle (molte) persone che non riconoscono più il mondo in cui vivono, affrontando a fatica il caos che le circonda e la scomodità di una posizione in cui non riescono più a sentirsi a proprio agio. L’identità sonora dei Fluxus è sempre estremamente riconoscibile anche a distanza di anni, e l’album non fa prigionieri, sia nei brani dal ritmo più pressante e battente, che in quelli dalla cadenza più pesante come la splendida ”Gli Schiavi Felici”. Oggi più che mai è un dovere seguire i torinesi nella loro battaglia, senza lasciarsi abbindolare dalle promesse mai mantenute della società attuale e da un certo tipo di musica italiana.
Anche in Italia si può fare eccome dell’ottimo noise rock, mutuato dal blues e dal post punk, con innesti di free jazz e strappi lancinanti, scuri ed epilettici. Nel 2011 il quartetto di Jesi Butcher Mind Collapse ha pubblicato Night Dress che è stato per distacco il mio album italiano preferito, grazie ad un’ispirazione sempre vivida e alle capacità compositive, espressive e tecniche del gruppo capitanato dal cantante Jonathan Iencinella coadiuvato dagli strappi del sax di Nicola Amici, dalla chitarra baritona di Riccardo Franconi e dalle percussioni di Giampaolo Pieroni.
La title track è il perfetto vortice emozionale in cui perdersi, trascinati dalla sarabanda incendiaria inscenata dal gruppo. Ho sempre sperato che il gruppo potesse tornare dopo anni di silenzio con un altro lavoro così ispirato, purtroppo fino ad oggi nulla si è mosso dal loro fronte.
Nel 2013 Claudio Rocchetti, Stefano Pilia, Ricky Biondetti e Alessandro De Zan ci avevano piacevolmente sconvolto con un album fantastico uscito a nome In Zaire ed intitolato White Sun Black Sun prima di immergersi di nuovo nei loro mille progetti diversi. Claudio Rocchetti e Stefano Pilia hanno fatto parte degli indimenticati 3/4HadBeenEliminated per poi passare nel caso di Rocchetti principalmente alla carriera solista tra ambient e noise, mentre Pilia, da annoverare senza dubbio tra i migliori chitarristi italiani, fa parte della nuova formazione degli Afterhours, ha formato un trio con Andrea Belfi e il grande Mike Watt chiamato Il Sogno del Marinaio, ed è entrato in pianta stabile ad arricchire anche la formazione dei Massimo Volume. Non bastasse lo scorso anno ha pubblicato un album solista, Blind Sun New Century Christology, pubblicato dalla Sound of Cobra, etichetta fondata proprio dal batterista degli In Zaire, Ricky Biondetti.
Il nuovo Visions of the Age to Come è un altro disco enorme, che mostra un’evoluzione stilistica rispetto al disco precedente. Ci sono cose nuove, stili e generi diversi. La band si è avvicinata di più alla forma canzone senza per questo rinunciare alla loro grande voglia di sperimentare. La voce ha una sua parte importante anche se non centrale, e i quattro hanno un modo unico di presentare la loro personale forma di rock psichedelico mescolato al kraut-rock, al metal, alla musica nera africana e addirittura alla new wave come si può leggere talvolta tra le righe. Ascoltate “Revelations” e perdetevi tra le note di quella che è senza dubbio una delle migliori band italiane in senso assoluto.
Nel 2013, dopo un EP e 2 album sotto il nome di Baby Blue, Serena Altavilla (voce), Mirko Maddaleno (voce e chitarra), Lorenzo Maffucci (basso) e Graziano Ridolfo (batteria), hanno deciso di dare allo stesso tempo continuità e sviluppo alla loro creatura cambiando la ragione sociale in Blue Willa e contattando come produttrice un’icona della musica alternativa come Carla Bozulich, che, elettrizzata dalla carica del gruppo, si è presa cura delle loro canzoni e dei loro suoni, proponendo loro nuove soluzioni ed un nuovo immaginario. Le atmosfere dell’album autointitolato sono tormentate e scure, la chitarra è affilata e fa sanguinare la carne, l’arte della Bozulich di alternare stasi e accelerazioni, nervosismi e rilassamenti è stata implementata alla perfezione.
I Blue Willa sono capaci di rallentare i ritmi con un gran lavoro di chitarra e di percussioni, mentre i cori dissonanti creano un’atmosfera bella e spaventosa, per poi spingere di nuovo a tavoletta il piede sull’acceleratore. La splendida “Cruel Chain” mostra l’abilità del quartetto nel cercare e trovare atmosfere a volte rarefatte e a volte psichedeliche con un grande crescendo emozionale. Le magie stregate evocate dalla band celebrano questo magnifico album italiano, di respiro internazionale come pochissimi altri. Serena Altavilla, chiuso purtroppo il progetto Blue Willa, è appena tornata a pubblicare il suo atteso primo lavoro solista.
Luca Ciffo (chitarre), Fabio Ferrario (samples) e Paolo Mongardi (batteria) arrivano alla quarta fatica limando e perfezionando la loro formula che inserisce flussi noise e audio samples tratti da film, documentari e vecchi vinili su un substrato sonoro composto da una solida matrice heavy rock. Il senso di apocalisse incipiente che aspetta l’uomo si è fatto più urgente in questo nuovo lavoro dei Fuzz Orchestra intitolato Uccideteli Tutti! Dio Riconoscerà I Suoi. I tre sfruttano al meglio i dialoghi tratti da film del passato per costruire le loro microstorie che formano una propria colonna sonora immaginaria.
Esemplificativa in questo senso è “Todo Modo” con la narrazione che si fa sempre più urgente nella sua invettiva contro il potere, ed i tre (coadiuvati dagli Esecutori di metallo su carta diretti da Enrico Gabrielli) a pestare duro per rendere la narrazione ancora più potente e drammatica. Ormai i tre sono una splendida certezza per la musica di casa nostra.
Quando Vittorio Nistri mi ha scritto su Facebook perché voleva mandarmi il nuovo album dei suoi Deadburger Factory ho provato orgoglio ed imbarazzo. Un imbarazzo stupito e misto a felicità perché Vittorio mi ha confessato di aver scoperto Chris Forsyth, 75 Dollar Bill e Lovexpress grazie alle mie recensioni su OndaRock, e che per questo ha pensato a me per la pura e semplice volontà libera di farlo visto che il disco per la nota webzine è stato recensito dall’ottimo Valerio D’Onofrio. Insomma, la cosa mi ha davvero inorgoglito e reso felice, anche perché La Chiamata non è semplicemente uno dei dischi italiani più belli e compiuti usciti nel 2020 ma, già dallo straordinario artwork disegnato da un mostro sacro come Paolo Bacilieri, mostra un voluto cambio di marcia rispetto al mercato musicale attuale che tende verso la (quasi) sparizione del supporto fisico. Il connubio immagini-musica è da sempre importantissimo, e quello che i nativi digitali stanno perdendo è proprio l’attenzione e lo sforzo di comprendere, di approfondire.
Il disco, corredato da due copertine di cui una stampata sul cofanetto-raccoglitore, comprende anche un libretto di 68 pagine contenente, oltre ad innumerevoli foto scattate durante le registrazioni ed altre informazioni, una sorta di rivista immaginaria chiamata Poor Robot’s Almanack le cui tematiche si intrecciano con quelle del disco: il crescente isolamento nelle nostre esistenze, l’essere soli anche se teoricamente in posti affollati: il social network come il centro commerciale. Oltre al nucleo storico della band fiorentina (Vittorio Nistri: tastiere, elettronica, testi, Simone Tilli: voce, Alessandro Casini: chitarra e Carlo Sciannameo al basso) collaborano al disco moltissimi altri splendidi musicisti (Enrico Gabrielli, Silvia Bolognesi e molti altri) tra cui otto batteristi (tra i migliori che abbiamo in Italia) che a coppie esaltano l’elemento percussivo e sciamanico che è al centro dell’opera. Un disco che si pone al confine tra songwriting e sperimentazione, una varietà di linguaggio perfettamente a fuoco che stupisce ed esalta, come nella clamorosa “Blu Quasi Trasparente” che chiude l’intero lavoro.
Ogni tanto qualcuno si lamenta che attualmente si produce solo musica di merda. Affermazione che può essere corretta solo se si osserva il mondo musicale solo da un punto di vista superficiale semplicemente ascoltando quello che propongono le radio commerciali o il mainstream in generale. La situazione probabilmente è ancora più evidente nella nostra penisola, sconvolta musicalmente dai talent show e dai fenomeni da baraccone su YouTube e sui social networks. Proprio in una situazione così complicata, è importante che la passione e la curiosità non vengano mai meno, per andare a cercare le proposte davvero interessanti che invece ci sono sempre, nel mondo come in Italia.
Quanto detto vale per il trio romano dei Vonneumann. “NorN è un omaggio ad uno degli errori lessicografici più famosi della storia: la parola inesistente dord. Siccome vonneumann ha tante N nel suo nome, ci piaceva omaggiare dord sostituendo la simmetria delle D con le N.” Questa la spiegazione del titolo, ma per quanto riguarda la musica, beh, quella è tutta un’altra storia. NorN è un disco funk, anzi no, un disco elettronico, anzi no, un disco rock, anzi no. Forse è tutte queste cose insieme, forse è un ibrido tanto coraggioso quanto eccitante, soprattutto pensando che è stato prodotto in Italia. Una ricerca sonora in continua mutazione, un linguaggio sonoro nuovo, non perdeteli, sarebbe un delitto! Tante le collaborazioni in questo splendido album mutante, da Lucio Leoni a Vera Burghignoli, dal sax di Sonia Scialanca alla batteria di Andrea Cerrato. Per rimanere conquistati dal sound del gruppo basta seguire il ritmo di questa incredibile “AntiEuclid”.
C’è una rivista di riferimento per il movimento musicale britannico, si chiama The Wire. È un magazine che non solo ha tra le sue fila giornalisti e musicisti estremamente competenti, ma va ad esplorare una vastissima gamma di suoni, pescando in ogni genere di underground. Tanto per intenderci, The Wire è stato anche il magazine sulle cui pagine è stato codificato il concetto di post-rock in un famoso articolo scritto nel maggio del 1994 da uno dei critici musicali più competenti ed influenti degli ultimi anni, Simon Reynolds. Ogni quattro mesi, i fortunati abbonati del mensile trovano allegato alla rivista un CD chiamato The Wire Tapper: una specie di antologia del meglio della musica underground proposta dal magazine. Ebbene, nella storia del magazine britannico, c’è stata solo una band italiana che è stata inclusa per ben due volte in questi CD: gli Stearica.
Sin dalla formazione, il trio torinese si è dedicato ad una profonda ricerca sonora ed emotiva. Il loro slancio empatico li ha sempre portati più ad un contatto diretto con pubblico ed addetti al lavori tramite la dimensione live, che alla registrazione in studio. Con soli 3 album in oltre 20 anni di attività, non si può dire che il trio abbia inflazionato il mercato discografico. Insomma, per chi non l’avesse ancora capito, il chitarrista Francesco Carlucci insieme ai suoi due compagni di avventura Davide Compagnoni (batteria) e Luca Paiardi (basso), sono sempre andati controcorrente rispetto alle tendenze italiche che vedono la necessità di proporre suoni che possano tranquillizzare e sedare gli ascoltatori ed i fruitori di musica. La loro partecipazione al Primavera Sound del 2011 ha acceso la prima miccia per la registrazione del loro secondo album. Il contatto con la rivolta degli Indignados spagnoli, insieme alle rivolte tra medio oriente e Nord Africa della cosiddetta Primavera Araba che riempivano i televisori quando il gruppo stava iniziando la pre-produzione del nuovo album, hanno fornito al gruppo un combustibile potente. Vedere persone così diverse combattere con grande forza ed intensità per i propri diritti ha ispirato il trio a veicolare quell’energia tramite i loro strumenti. Proprio la zona delle rivolte, la cosiddetta Fertile Crescent, ha ispirato anche il titolo dell’album.
Fertile è un disco con un suono scuro e potente ma illuminato allo stesso tempo dalla luce delle candele. L’immaginario è fondamentale in un album quasi interamente strumentale, e i tre torinesi riescono a maneggiarlo con maestria come in “Geber”, dove dipingono magie su un cielo stellato, piazzando un’alternanza perfetta tra montagne di suono e pianure melodiche nella seconda metà del brano. La band è chirurgica nel collocare brevi pause per aumentare la tensione, e farla poi sciogliere fragorosa con potenti riff di chitarra e aperture melodiche. Le loro coordinate sonore sono ben chiare, un maestoso e personale crocevia tra post e math-rock, stoner e psichedelia. Insomma, se non lo avete ancora capito, gli Stearica sono una band di livello assolutamente internazionale, che se la gioca con tutti ad armi pari sui palcoscenici di tutta Europa, cui riesco a trovare un unico difetto: hanno pubblicato troppa pochi dischi, e della loro musica, in Italia (e non solo), abbiamo un dannato bisogno. Fortunatamente il trio torinese è appena tornato a pubblicare un album, facendolo a modo loro. Golem 202020 è la straordinaria sonorizzazione di un classico del cinema muto degli anni ’20.
Xabier Iriondo è senza dubbio un’anima inquieta ed estremamente creativa. Dopo essere uscito dagli Afterhours (band in cui è rientrato da qualche anno, ha partecipato ad innumerevoli progetti paralleli oltre ad aver aperto dal 2005 al 2010 “Soundmetak”, un negozio/laboratorio dove creare e vendere strumenti musicali particolari ed organizzare performance musicali. Sperimentatore musicale, ha collaborato tra gli altri con artisti come Damo Suzuki, ZU, Rhys Chatham, Peter Brotzmann, Steve Piccolo, Carla Bozulich, oltre ad aver creato band come A Short Apnea, Shipwreck Bag Show, Uncode Duello, Todo Modo, Buñuel o più recentemente Supervøid. Nel 2014 Iriondo ha unito le proprie forze con un altra grande eccellenza della chitarra italica come Stefano Pilia (Massimo Volume, 3/4HadBeenEliminated, In Zaire, Il Sogno del Marinaio e anche lui nella nuova formazione degli Afterhours) e la batteria di Roberto Bertacchini (Starfuckers, Sinistri e Shipwreck Bag Show) per dare vita ad un nuovo progetto di visione improvvisata chiamato Cagna Schiumante.
L’esordio autointitolato è formato da sedici movimenti uniti non solo musicalmente ma anche liricamente visto che i titoli delle tracce non sono altro che frasi da leggere una dietro l’altra in un flusso continuo a comporre una sorta di micro racconto. Le liriche declamate e composte da Bertacchini si sovrappongono ad un paesaggio musicale dove post-punk, rumorismi, post punk, schegge elettriche e disturbi vari si alternano e si fondono in una sperimentazione tanto impavida e coraggiosa quanto a volte straniante e stimolante. Un’abrasività anticonvenzionale evidente nella splendida “Camminando In Un Deserto Post-Punk” inserita in scaletta. I tre sono tornati un anno più tardi sul luogo del delitto cambiando ragione sociale in Immaginisti prima di disperdersi.
La Die Schachtel è un’ etichetta milanese creata nel 2003 il cui primo obiettivo è stato quello di ristampare materiale fuori catalogo o inedito di band e artisti italiani soprattutto sperimentali e di avanguardia come, ad esempio, Luciano Cilio, Claudio Rocchi o Lino Capra Vaccina. Le linee guida che hanno sempre guidato l’etichetta sono grande qualità del materiale proposto e una riconoscibilità dei prodotti già dal packaging. Naturalmente, almeno agli inizi, l’etichetta ha ricevuto più consensi ed attenzioni all’estero che in patria, come nel DNA del nostro strampalato paese che produce grande qualità e che allo stesso tempo preferisce sotterrarci di ignominie piuttosto che supportare e diffondere l’eccellenza. Nel 2006 i responsabili dell’etichetta decidono di aprire un nuovo corso pubblicando anche materiale inedito di nuovi musicisti, rimanendo naturalmente nel territorio relativo alla sperimentazione e all’avanguardia.
Per questo motivo il primo lavoro pubblicato con la sigla Zeit01 è un disco importante, perché quello degli Å (lettera delle lingue scandinave utilizzata per designare l’unità di misura ångström e che in alcune di queste lingue rappresenta la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto) rappresenta l’ingresso della Die Schachtel in quella ristretta cerchia di etichette italiane dedita alla promozione della musica sperimentale contemporanea. L’album si presenta in un elegante triplo digipack, e riporta semplicemente all’interno i nomi dei tre componenti del gruppo: Stefano Roveda (violino, piano, kalimba, sinth, theremin, percussioni, chitarra, cetra, caos pad, contrabasso, voce), Andrea Faccioli (chitarra, cetra, kalimba, piano, percussioni, voce) e Paolo Marocchio (batteria, percussioni, kalimba, cello, voce, piano, flauto, effetti). Il disco, arrangiato e mixato proprio da quel Xabier Iriondo di cui abbiamo appena parlato, tende verso l’arte solo apparentemente colta e cervellotica dei mai troppo lodati Gastr Del Sol. Anche qui i lunghi titoli formano una sorta di racconto (sono stati ricavati da “Lo Strano Caso Del Cane Ucciso A Mezzanotte” di Mark Haddon), e i brani, dalla elevata lunghezza media, sballottano dolcemente l’ascoltatore tra melodie eteree e una percussività quasi kraut, cullandolo a volte con le dolci note del violino di Paolo Marocchio. Basti ascoltare come la meraviglia di “My Memory Is Like A Film. That Is Why” sia in grado di suscitare emozioni e accarezzare l’anima.
La sinergia tra la cantautrice e artista a 360° Isobel Blank (Vestfalia, Ant Lion, Isobi) e il chitarrista e autore Simone Lanari (Sycamore Age, Ant Lion, Walden Watz) ha creato il progetto Ask The White. I due, grazie a Fabio Ricci dei Vonneuman che li ha voluti nel roster della sua etichetta DIY Ammiratore Omonimo Records, hanno pubblicato nel 2018 il loro primo album intitolato Sum And Subtraction. Il progetto nasce dall’amore condiviso non solo per il folk psichedelico inglese dei ’70, ma anche per la sperimentazione che riesce a dare alle tracce una spiccata personalità e contemporaneità. Le ambientazioni provenienti da Canterbury sono una tela bianca su cui i due sono capaci di sommare i loro talenti creativi non sottraendo poi troppo le loro individualità compositive.
le due chitarre, le due voci, il fingerpicking, tutto riporta nell’universo folk, a questi si aggiungono le voci sovrapposte, i campionamenti di strumenti, l’ambientazione intima e i testi che lasciano sospesi tra realtà e sogno, una bolla onirica dove il bianco è l’assenza, e allo stesso tempo somma, di colori. Una malinconia sognante, brani che non si sviluppano nel modo canonico lasciando sempre il tempo di guardarci alle spalle, o di lato, in attesa di una variazione, di una tensione che non viene mai meno. “You, Cloud” è solo il primo di tanti microcosmi intimi e in qualche modo spiazzanti che non possono lasciarci indifferenti.
Ogni tanto qualcuno si lamenta che attualmente si produce solo musica di merda. Affermazione che può essere corretta solo se si osserva il mondo musicale solo da un punto di vista superficiale semplicemente ascoltando quello che propongono le radio commerciali o il mainstream in generale. La situazione probabilmente è ancora più evidente nella nostra penisola, sconvolta musicalmente dai talent show e dai fenomeni da baraccone su YouTube e sui social networks. Proprio in una situazione così complicata, è importante che la passione e la curiosità non vengano mai meno, per andare a cercare le proposte davvero interessanti che invece ci sono sempre, nel mondo come in Italia. Spero non essere tacciato di conflitto di interessi per perorare la causa di un mio (quasi) omonimo, Stefano Amerigo Santoni, che dopo averci deliziato con i Sycamore Age ha messo in campo una nuova band con cui proporre un suono coraggioso insieme ad altri tre musicisti della scena toscana: Simone Lanari (Walden Waltz), Alberto Tirabosco (Punk Lobotomy) e Eleonora Giglione aka Isobel Blank (Vestfalia).
Gli Ant Lion arrivano all’album di esordio intitolato A Common Day Was Born facendo subito centro grazie a 10 tracce splendidamente anarchiche dove convivono moltissime influenza sonore che attraversano trasversalmente anni di rock-funk-jazz passando per le poliritmie di un certo post rock britannico di marca Too Pure e con spruzzate leggere di wave e prog. Detto così sembra un inestricabile labirinto, ma ascoltate le differenze stilistiche di ogni brano e lasciatevi trasportare dalle storie raccontate con passione dalla splendida voce di Isobel Blank come questa scura e melodica “Last Day Of Night”.
L’immaginario come convenzione, prendendo a piene mani dai gruppi del rock sperimentale tedesco che hanno creato il krautrock e arrivando ad integrare le proprie influenze con il jazz rock, la psichedelia, l’elettronica, la library music e le colonne sonore che in qualche modo hanno reso celebre l’italia in musica nel mondo. Così il collettivo veneto Squadra Omega è diventato una delle istituzioni più inafferrabili, eccitanti e rispettate della nostra penisola. Un ensemble che, dopo 5 anni di silenzio, esplode di nuovo nel 2015 con tre pubblicazioni spalmate in pochi mesi: Il Serpente Nel Cielo con due lunghe tracce che prediligono l’elettronica ambientale, la colonna sonora per il film sperimentale Lost Coast e il doppio album Altri Occhi Ci Guardano.
Tre anni di session di improvvisazione con diverse line up ma focalizzato sul nucleo storico formato da OmegaMatt, OmegaG8 e OmegaDav, hanno creato un monolite capace di portarci a spasso nel tempo a partire dalla copertina, un dipinto del ’77 opera di un uno stretto antenato di OmegaMatt. C’è questo immaginario esoterico-fantascientifico che si traduce in un suono capace di mutare a seconda delle circostanze portandoci dalla kosmische music al jazz elettrico di Miles Davis, dal free jazz allo space rock, da una percussività ottundente ad aperture Morriconiane come negli otto minuti della “Sospesi Nell’Oblio” inserita in scaletta. Un lavoro lungo e meticoloso, cinematico e in continua espansione che rende l’esperienza Squadra Omega qualcosa di unico.
La chiusura del podcast è affidata, come l’apertura, ad un altro gruppo torinese. I Larsen non sono propriamente un gruppo nuovo. Attivi dal 1993 hanno lavorato con personaggi di altissimo livello come David Tibet o Michael Gira che addirittura produsse il loro secondo album Rever facendolo pubblicare dalla sua Young God Records. Of Grog Vim è uscito nel 2016, quindicesimo album in studio per una band che non ha mai smesso di progredire e a limare il suo concetto di post rock cinematico ed epico. In questo caso il quartetto abbandona la parte vocale affidata nei lavori precedenti a Little Annie per andare a sposare un suono immaginifico e completamente strumentale. L’album parla di un non meglio identificato personaggio epico e visionario chiamato Grog Vim e accompagna le sue gesta spaziali nel viaggio dalla Luna alla terra e ritorno.
La chitarra di Roberto Maria Clemente, le tastiere e l’elettronica di Paolo Dellapiana, la chitarra e la viola elettrica di Fabrizio Modonese Palumbo e la batteria, glockenspiel e percussioni di Marco “Il Bue” Schiavo accompagnano il nostro misterioso eroe nelle sue peripezie, ora sottolineandone la drammaticità, ora rendendo il mood più seducente, ora aggiungendo alla loro narrazione stratificata il trombone di Thor Harris (Swans). Il risultato, come potete ascoltare nella “Grog Descending” inserita in scaletta, è un suono terribilmente affascinante ed evocativo.
Un grazie speciale va, come sempre, a Franz Andreani per la sua passione, la gestione di questa banda di pazzi e per la splendida riorganizzazione del sito già attiva da qualche anno. A cambiare non è stata solo la versione grafica del sito, ma anche la “filosofia” della podradio, con le rubriche che vanno ad integrarsi nella programmazione regolare sotto l’hashtag #everydaypodcast. Sulla nostra pagina Facebook troverete quotidianamente ogni upload e la nuova rubrica #theoriginaltoday curata dalla new entry Giusy Chiara Meli che racconta cosa accadde nella storia della musica rock. Da un anno è attivo anche lo splendido canale YouTube della Radio, una nuova formula senza interruzioni ne spot per ascoltare la vostra-nostra musica preferita. Iscrivetevi numerosi, vi aspettiamo!
Anche nel prossimo episodio di Sounds & Grooves rimarremo nella nostra penisola con la seconda parte di questo The Italian Pod. Saliranno a bordo del veicolo Made in Italy gli Afterhours con uno degli apici del rock nostrano dei ’90, altri due progetti di Xabier Iriondo: Buñuel e Todo Modo, le magie sbilenche dei Christa Pfangen, la polverosa frontiera tra Romagna e Messico di Sacri Cuori e Don Antonio, l’americana velata di psichedelia dei 2Hurt, il melting pot straordinario dei C’Mon Tigre, il maestoso post-punk degli indimenticati Fasten Belt, il ritorno alle origini di Spunk!, la lucida follia fantascientifica dei Morkobot, la psichedelia dei Julie’s Haircut, gli audioracconti tra folk e cantautorato di Arco e il moderno e divertente equilibrio tra new wave e pop dei Lovexpress. Il tutto, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
Intanto se volete potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, criticare (perché no), o proporre nuove storie musicali. Mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web.
Se volete ascoltare o scaricare il podcast, potete farlo anche dal sito della PodRadio cliccando sulla barra qui sotto. Buon Ascolto
TRACKLIST
01. FLUXUS: Gli Schiavi Felici da ‘Non Si Sa Dove Mettersi’ (2018 –
Autoproduzione)
02. BUTCHER MIND COLLAPSE: Night Dress da ‘Night Dress’ (2011 – Bloody Sound Fucktory / Brigadisco)
03. IN ZAIRE: Revelations da ‘Visions Of The Age To Come’ (2017 – Sound Of Cobra)
04. BLUE WILLA: Cruel Chain da ‘Blue Willa’ (2013 – Trovarobato)
05. FUZZ ORCHESTRA: Todo Modo da ‘Uccideteli Tutti! Dio Riconoscerà I Suoi’ (2016 – Woodworm)
06. DEADBURGER FACTORY: Blu Quasi Trasparente da ‘La Chiamata’ (2020 – Snowdonia)
07. VONNEUMANN: AntiEuclid da ‘NorN’ (2017 – Ammiratore Omonimo Records)
08. STEARICA: Geber da ‘Fertile’ (2015 – Monotreme Records)
09. CAGNA SCHIUMANTE: Camminando In Un Deserto Post-Punk da ‘Cagna Schiumante’ (2014 – Tannen Records)
10. Å: My Memory Is Like A Film. That Is Why da ‘Å’ (2006 – Die Schachtel)
11. ASK THE WHITE: You, Cloud da ‘Sum And Subtraction’ (2018 – Ammiratore Omonimo Records)
12. ANT LION: Last Day Of Night da ‘A Common Day Was Born’ (2017 – Ibexhouse)
13. SQUADRA OMEGA: Sospesi Nell’Oblio da ‘Altri Occhi Ci Guardano’ (2015 – Macina Dischi / Sound Of Cobra)
14. LARSEN: Grog Descending da ‘Of Grog Vim’ (2016 – Important Records)