Bentrovati al terzo ed ultimo appuntamento con SOUNDS & GROOVES dedicato alla mia personale PLAYLIST 2015. L’ultimo dei tre podcasts dedicati alla mia personalissima classifica andrà a scoprire le posizioni dalla 14 alla 1, anche se mi sono divertito un po’ a stravolgerne l’ordine per avere un’alternanza equilibrata tra cd e vinili. Iniziamo con la posizione numero 14 dove troviamo il collettivo di Salford chiamato GNOD Le loro coordinate sono sfuggenti e sempre in movimento tra psichedelia, industrial, noise, free-jazz, ambient e suggestioni kraut. Ad aumentare il fascino di questo collettivo visionario e surreale dove si sono alternati negli anni oltre 30 musicisti, è arrivato questo pachiderma sonoro formato da due CD o tre LP, per quasi due ore di musica se consideriamo ben 40 minuti di bonus track disponibili in download per chi acquista la versione in vinile. La band rimescola le proprie influenze nascondendole sotto le macchie di Rorschach della copertina del nuovo Infinity Machines, la loro personale visione di psichedelia, i droni, i loro rumori cupi, le loro traiettorie che alternano linee rette a convulsioni free, vengono squarciate spesso e volentieri dal sassofono di David McLean, vero protagonista di questo infinito e pazzesco viaggio siderale. Ascoltate la conclusiva title track e perdetevi in una jam dove le sagome sonore e visive cambiano di continuo, senza mai trovare una precisa identità, spiazzando e coinvolgendo. La visione affascinante di MATANA ROBERTS, la quantità di idee messe in mezzo dall’artista nella saga Coin Coin, giunge al terzo capitolo Coin Coin Chapter Three: River Run Thee. La sassofonista di Chicago stavolta fa addirittura tutto da sola, cambiando prospettiva ma non perdendo una virgola della sua potente visione sonora che attinge a piene mani non solo dalla storia della sua famiglia, ma in generale dalla storia della schiavitù degli afroamericani. Il suo viaggio antropologico-musicale prosegue con l’uso sapiente del sax, della voce e dei synth analogici come in questa Always Say Your Name / Nema, Nema Nema, e la Roberts si conferma, ancora una volta, come uno dei personaggi cardine della musica di avanguardia contemporanea. Nonostante il nuovo Asunder, Sweet And Other Distress sia di fatto l’episodio più breve della loro carriera con i suoi 40 minuti scarsi, non viene certo a mancare il fascino ipnotico, epico senza compromessi dei GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR. Il collettivo canadese sin dall’indimenticabile F#A#∞ del 1997, ha saputo trovare una formula unica composta da cavalcate eroiche e nebbie droniche, con le chitarre che fiammeggiano alte nel cielo per poi ritrarsi timidamente, ed impennarsi di nuovo ripartendo come e più in alto di prima. Come una disperata invocazione al cielo, Piss Crowns Are Trebled risulta eroica, e chissà se l’essere diventati meno prolissi abbia reso ancora più potente il loro suono unico e senza compromessi. Saltiamo un attimo dalla 12 alla 9 posizione per trovare tre americani e un australiano che hanno trovato asilo musicale a Montreal sotto il nome di OUGHT. La band fa ancora centro con il suo secondo lavoro, Sun Coming Down, che risulta essere, se possibile, ancora più potente ed emozionale del pur ottimo More Than Any Other Day dello scorso anno. La chitarra e la voce di Tim Darcy graffiano e colpiscono sempre nel segno, melodia e dissonanza si uniscono in un groviglio emozionale tra post-punk e Television che non lascia mai indifferenti. Se vogliamo trovare il pelo nell’uovo diciamo che ai 4 manca una canzone che possa colpire in maniera particolare, ma di fronte alla magia dell’intero lavoro possiamo anche far finta di niente. Grandissima band e Beautiful Blue Sky è una splendida canzone. Torniamo all’11 posizione per trovare un gruppo di Detroit chiamato PROTOMARTYR che l’anno scorso ci aveva sedotto con la pubblicazione dell’ottimo Under Color Of Official Right. Quest’anno è arrivata la consacrazione grazie all’atteso seguito, un album che mette ancora più a fuoco le potenzialità emotive della band ed intitolato The Agent Intellect. 12 brani che evidenziano l’urgenza emotiva e la grande abilità del quartetto di Detroit a dipingere affreschi diretti e precisi nel cogliere sempre nel segno, grazie alla loro alchimia post-punk estremamente potente come nell’urticante Dope Cloud. Nel corso del 2015 il libanese di stanza a Montreal Radwan Ghazi Moumneh. prima ha pubblicato l’album insieme ai Suuns, per poi far uscire per la benemerita Constellation Records, il nuovo If He Dies, If If If If If If che si posiziona al numero 8. Il progetto audio/visuale JERUSALEM IN MY HEART (insieme al regista canadese Charles-Andre Coderre) è un crocevia culturale di grande tensione lirica. Ascoltate come in A Granular Buzuk gli strumenti della tradizione araba si uniscono all’elettronica in una preghiera che si innalza verso il cielo, tra la cattiveria della guerra e la catarsi della pace. Un luogo in cui perdersi e riflettere. Al numero 10 troviamo Davide Compagnoni (batteria), Francesco Carlucci (chitarra e elettronica) e Luca Paiardi (basso), ovverosia gli STEARICA: un trio torinese attivo da moltissimi anni, inspiegabilmente più conosciuto all’estero (anzi, la spiegazione è semplice vista la situazione musicale che si vive in Italia) che in patria. Nel 2015 fanno uscire il loro primo album per l’etichetta inglese Monotreme, chiamato Fertile (recensione). Un viaggio immaginario ispirato dagli Indignados spagnoli e dalla primavera araba. Nove tracce che mostrano un’alternanza perfetta tra montagne di suono e pianure melodiche. La band è chirurgica nel collocare brevi pause per aumentare la tensione, e farla poi sciogliere fragorosa con potenti riff di chitarra e aperture melodiche. Le coordinate sonore sono ben chiare, un maestoso e personale crocevia tra post e math-rock, stoner e psichedelia. Impreziosiscono l’album grandi collaborazioni come quella con Colin Stetson. Ascoltate Geber e ditemi se non avevo ragione. Se vi capita non perdeteli dal vivo: un’esperienza memorabile e catartica. Grandi ragazzi. Al numero 7 troviamo i THE MEMBRANES. La band del bassista/giornalista Johnny Robb ha deciso di interrompere un silenzio discografico durato oltre un quarto di secolo con un album doppio intitolato Dark Matter/Dark Energy (recensione), un lavoro che ce li fa ritrovare in forma strepitosa. La band di Blackpool mostra subito un’energia ed una forza inaudita, aggredendo subito il malcapitato ascoltatore con l’epico assalto di The Universe Explodes Into A Billion Photons Of Pure White Light, dove sembra che questi 26 anni non siano mai passati, vista la forza con cui Robb maltratta il suo basso e strepita al microfono, mentre nel finale le tastiere e le scariche elettriche della batteria di Rob Haynes hanno come risultato un’esplosione siderale che squarcia il cielo. La band si ricorda del suo passato meravigliosamente anarchico, riprendendo i suoni da loro sciorinati e sintetizzati negli anni ’80 ma attualizzandoli dinamicamente ai giorni nostri e aumentandone ancora, se possibile, l’energia ed il groove. Nell’anno delle reunion, o dei nuovi album di band del passato che non si sono mai davvero sciolti (come The Fall, Alternative TV o Wire), quella dei The Membranes sembra davvero essere quella più vigorosa e convincente. Dopo molti anni JIM O’ROURKE lascia da parte le sue più recenti incisioni perennemente in bilico tra improvvisazione ed avanguardia per tornare, già dal titolo, ad incidere canzoni semplici. Simple Songs in realtà è un disco semplice solo di nome, di fatto le otto tracce che compongono l’album semplici non lo sono affatto, anche se il fatto di essere estremamente orecchiabili potrebbe farlo pensare. Le canzoni incise con la collaborazione di tutti musicisti giapponesi negli ormai famosi Steamroom Studios di Tokyo dove O’Rourke risiede da tempo, sono state concepite come una sorta di microsuites, basti ascoltare la meravigliosa End Of The Road, una delle migliori canzoni del 2015, che stupisce per l’ispirazione limpida, la meraviglia della costruzione degli incastri e la grande sensibilità e capacità di autore del chicagoano. Gli australiani Lloyd Swanton (basso), Chris Abrahams (piano e tastiere) e Tony Buck (batteria) tornano con il loro diciottesimo album a nome THE NECKS. Un album splendido chiamato Vertigo e formato, come loro consuetudine, da un’unica traccia. Una vertigine, un saliscendi emotivo, un abbandonarsi al flusso musicale inscenato dai tre, tra mimimalismo e jazz, improvvisazione e rapimento emotivo, con inserimenti di battiti elettronici per aumentare la tensione. Un disco che non vorremmo finisse mai, e che ci porta a fare un viaggio in un’altra dimensione, lasciandoci con il desiderio di ripartire al più presto. Al numero 4 c’è il duo punk-hop di Nottingham chiamato SLEAFORD MODS che era già entrato lo scorso anno di diritto non solo nella mia playlist, ma anche in quella di molte riviste e webzine specializzate con lo splendido Divide And Exit. Nel corso del 2015 Jason Williamson e Andy Fearn hanno partecipato ad alcuni tra i più prestigiosi festival britannici (tra cui Glastonbury), e hanno anche dato alle stampe un nuovo lavoro chiamato Key Markets. Un album che risulta persino più variegato e bello del precedente, pur non spostando di una virgola il loro suono. Dal vivo poi sono assolutamente divertenti, più Williamson si danna, sbraita, inveisce, si avvita su se stesso, urla con il suo accento improponibile del nord dell’inghilterra, più il suo compare se la sghignazza bevendo birra e semplicemente facendo partire e stoppando le sue basi sul laptop. Ascoltate la splendida mid-time Silly Me. Le ire del duo sono rivolte soprattutto verso la classe politica, e i testi sboccati e cattivi danzano sulle basi ora scalmanate, ora scure, ora quasi dance, ora a sfiorare il dub. Non saranno punk nel suono, ma la loro attitudine lo è senza ombra di dubbio. Al numero 3 troviamo RYLEY WALKER, un giovane chitarrista dedito al songwriting ed al fingerpicking. Unitelo ad una band formata in parti uguali da vecchi marpioni e giovani talenti della scena jazz di Chicago, mettete il tutto all’interno della consolle pilotata da un certo Cooper Crain (Cave e Bitchin Bajas) e mescolate per bene prima di servire questo cocktail a base di whisky rigorosamente su tavolini di legno all’interno di qualche ipotetico ambiente bucolico posto tra l’Illinois e la Gran Bretagna, e lasciatevi trasportare dall’effetto simile a quello dell’assenzio. Primrose Green (recensione) è un album dove è ben chiara la linea temporale ed affettiva seguita dal chitarrista di Chicago, e che riesce a mantenere una scrittura impeccabile, emozionale e a volte sperimentale pur non facendo nulla per celare gli espliciti riferimenti (Bert Jansch, Nick Drake, Tim Buckley o John Martyn), basti ascoltare Sweet Satisfaction. Le jam, le ossessive e jazzate inquietudini, l’afflato pastorale, le impennate psichedeliche, il virtuoso fingerpicking, tutto sembra amalgamarsi a meraviglia in un lavoro che riesce, e non è cosa da poco, a colpire, convincere ed emozionare. Al numero 2 troviamo una delle novità più interessanti e coinvolgenti di questo 2015. L’album di esordio degli ALGIERS, un trio formato ad Atlanta, Georgia sette anni fa, dal cantante Franklin James Fisher, insieme al chitarrista Lee Tesche e al bassista Ryan Mahan. In realtà i tre si dividono diversi altri strumenti ed infilano nelle 11 tracce del disco una serie di suoni estremamente interessanti tra battiti di mani e chitarre sferzanti, tra ritmi industrial ipnotici e scuri arricchiti da un incedere vocale gospel; e un impianto new wave. In questa Irony. Utility. Pretext. la voce soul dello splendido Fisher sa essere allo stesso tempo dirompente ed emozionale. Un esordio da ascoltare tutto di un fiato, un suono intellettuale, spirituale e trascinante. Meravigliosi. Al primo posto c’è un ritorno semplicemente inaspettato. Davo ormai per perso artisticamente SUFJAN STEVENS, fino a quando non è arrivato Carrie & Lowell (recensione). Una copertina con una foto rovinata dal tempo, due nomi che campeggiano, riferiti alla coppia della foto, non due personaggi immaginari, bensì persone vere, reali. Lowell è Lowell Brams, patrigno di Stevens e co-fondatore con lo stesso figliastro dell’etichetta indipendente Asthmatic Kitty; mentre Carrie è la madre dello stesso Stevens, che ha abbandonato il figlio quando era ancora un bimbo. Una donna che soffriva di disturbi bipolari e faceva abuso di droghe. Un destino crudele sotto forma di male incurabile ha portato via Carrie proprio quando le ferite di quel distacco si stavano finalmente cicatrizzando, e questo dolore ha portato il songwriter ad abbandonare le sue precedenti trovate, spesso fin troppo elaborate, rifugiandosi in una visione che mai è stata così scarna, dolente, sussurrata e confidenziale, e allo stesso tempo così completa e matura. Una confessione. 11 fotografie registrate a bassa fedeltà in un afflato di ricordi, rimorsi, pentimenti e gioie. 11 canzoni che abbandonano completamente gli arrangiamenti fastosi del passato per emergere in tutta la loro semplice nudità. Sufjan Stevens mettendosi a nudo riesce a coinvolgere completamente raccontando la sua vita, pizzicando le corde della sua chitarra e del suo cuore come in quella che è per me la più bella canzone dell’anno: Should Have Known Better.
Non mancate di tornare ogni giorno su Radiorock.to The Original. Troverete un podcast diverso al giorno, le nostre news, le rubriche di approfondimento, il blog e molte novità come lo split-pod. Siamo anche quasi in dirittura di arrivo per quanto riguarda l’atteso restyling del sito, e per questo (e molto altro) un grazie speciale va a Franz Andreani. Tutte le novità le trovate aggiornate in tempo reale sulla nostra pagina Facebook.
STAY TUNED!
[display_button size=”lg” color=”danger” url=”http://radiorock.to/pages/podcast.php?idpods=5210″ classi=”nadia_btn”]DOWNLOAD[/display_button]
TRACKLIST:
- GNOD: Infinity Machines da Infinity Machines (Rocket Recordings – 2015)
MATANA ROBERTS: Always Say Your Name / Nema, Nema, Nema da Coin Coin Chapter Three: River Run Thee (Constellation – 2015)
GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR: Piss Crowns Are Trebled da Asunder, Sweet And Other Distress (Constellation – 2015)
OUGHT: Beautiful Blue Sky da Sun Coming Down (Constellation – 2015)
PROTOMARTYR: Dope Cloud da The Agent Intellect (Hardly Art – 2015)
JERUSALEM IN MY HEART: A Granular Buzuk da If He Dies, If If If If If If (Constellation – 2015)
STEARICA: Geber da Fertile (Monotreme – 2015)
THE MEMBRANES: The Universe Explodes Into A Billion Photons Of Pure White Light da Dark Matter / Dark Energy (Cherry Red – 2015)
JIM O’ROURKE: End Of The Road da Simple Songs (Drag City – 2015)
THE NECKS: Vertigo (excerpt) da Vertigo (ReR Megacorp – 2015)
SLEAFORD MODS: Silly Me da Key Markets (Harbinger Sound – 2015)
RYLEY WALKER: Sweet Satisfaction da Primrose Green (Dead Oceans – 2015)
ALGIERS: Irony. Utility. Pretext. da Algiers (Matador – 2015)
SUFJAN STEVENS: Should Have Known Better da Carrie & Lowell (Asthmatic Kitty– 2015)