Per molti di noi il 2016 appena finito verrà ricordato come un triste e lungo addio a molti artisti che hanno fatto la storia della musica. Da quelli più conosciuti al grande pubblico (David Bowie, Greg Lake, Leonard Cohen, Keith Emerson, Prince, George Michael) a quelli più di nicchia (Sharon Jones, Pauline Oliveros, Mose Allison).
A volte magari abbiamo imprecato contro il funesto anno bisestile dimenticando che anche i nostri eroi musicali purtroppo sono soggetti alle stesse leggi degli uomini “normali”, invecchiano e possono contrarre brutte malattie. Basti pensare che il 2017 ci ha già portato via il metronomo pulsante del krautrock, il batterista dei Can Jaki Liebezeit. A volte tutto questo ha rischiato di far passare in secondo fatto le moltissime cose interessanti pubblicate negli ultimi 12 mesi. Compilare una classifica, visto il numero gigantesco di uscite, è sempre più un’impresa ardua, forse un inutile esercizio di stile: difficile stabilire gerarchie, e soprattutto, fissare i “giusti” parametri da usare. Quali sarebbero? In base a cosa?
Impossibile ascoltare tutto, troppe le pubblicazioni e troppo poco il tempo quotidiano a nostra disposizione per ascoltare nuova musica con l’attenzione che spesso meriterebbe. I limitati ascolti poi vengono filtrati attraverso la nostra particolare sensibilità, assecondando i gusti personali e la nostra attitudine musicale. Nonostante ci siano un milione di classifiche sparse nel web, sia quelle compilate dalla varie (più o meno trendy) music webzines e magazines, che quelle postate sui vari profili personali dei social networks, credo che da ognuna di queste ci sia sempre da qualcosa da imparare, uno o più nomi da annotarsi per approfondire con curiosità.
In questi tre podcast ho semplicemente appuntato su un taccuino, gli album che ho ascoltato di più e che sono riusciti maggiormente a coinvolgermi tra quelli usciti in questi ultimi 12 mesi, e condividere con voi la mia interpretazione, il mio modo di sentire.
Il primo podcast (ancora disponibile per l’ascolto ed il download a questo link) ha messo in rassegna 8 album che si sono classificati dalla 50° alla 39° posizione e 6 titoli che ho inserito in una lista di outsiders, album che non sono riusciti ad entrare nella Top 50, sfiorando la mia personale eccellenza, ma che per molti di voi potrebbero invece essere assolutamente degni della portata principale. Il secondo podcast, che potete ascoltare e scaricare seguendo il link qui sotto
entra nel cuore della classifica proponendo gli album che si sono classificati dal #28 al #15.
Iniziamo proprio con la 28° posizione, appannaggio di una band che è passata dall’assolata California alla Grande Mela per incidere nei fantastici studi analogici della Daptone Records, l’etichetta che ha rilanciato in grande stile la musica soul. The Mystery Lights sono la prima band messa sotto contratto dalla Wick Records, la sussidiaria rock della Daptone, che promette di fare la stessa cosa e di ottenere i medesimi obiettivi. I Lights’ si sono gettati a cuore aperto sull’attitudine psichedelica e garage del passato rivivendola con intensa passionalità. Il gruppo capitanato da Mike Brandon sa come citare gli espliciti riferimenti senza essere mai derivativo, togliendo la polvere dallo scrigno dei ricordi con grande onestà intellettuale. Se amate le band garage degli anni ’60 e se certi fuzz chitarristici ed aperture di organo ancora vi fanno palpitare il cuore non perdeteli assolutamente. Il suono immediato e viscerale del primo singolo “Follow Me Home” ci trascina in un vortice temporale che fa venire inevitabilmente in mente quei gruppi degli anni ’60 e ’70 che hanno saputo unire l’istintività garage alla dilatazione psichedelica.
Il percorso dei Parquet Courts da Brooklyn arriva ad un eccitante capolinea con ‘Human Performance’, (al #25) un album dove si miscelano in maniera perfetta tutte le loro suggestioni e ispirazioni: indie rock, psichedelia e spruzzate post-punk. Il tutto condito da uno spiccato senso della melodia e da una capacità di scrittura che riescono ad elevare la band al di sopra della media, basta ascoltare la title track. Pochi hanno la loro personalità, pochi riescono a rendere così attuali generi che hanno avuto il loro apice nel passato. Il loro suono è spesso spigoloso ma capace di aprire squarci melodici di grande effetto, il tutto condito da gran un senso dell’ironia.
Il #27 è appannaggio del collettivo britannico Gnod, che torna dopo il gigantesco monolite di ‘Infinity Machines’ con un disco più “asciutto”, cambiando ma rimanendo in qualche modo fedeli a loro stessi. “Mirror” presenta brani che erano stati presentati in versione live come la title track che propongo in questo podcast, afferrandoci con le loro asfissianti spirali, e consolidando la loro materia grezza infarcita di rumore primordiale, psichedelia liquida, dub cavernoso. Inafferrabili schiacciasassi, la band di Salford si conferma come una delle realtà più eccitanti della musica odierna. Il gruppo non si ferma, come dimostra la prossima pubblicazione (fine marzo 2017) del nuovo ‘JUST SAY NO TO THE PSYCHO RIGHT-WING CAPITALIST FASCIST INDUSTRIAL DEATH MACHINE’ dal titolo assolutamente esplicativo.
Il sentiero di sperimentazione e ricerca della norvegese Jenny Hval approda con ‘Blood Bitch’ (#24) ad un’opera personale il cui elemento fondamentale è il sangue mestruale, che per una donna significa la fine dell’innocenza. Un disco di oscura bellezza, composto da un’anima in perenne ricerca, sonora, concettuale e visuale. Il sangue come vita e come morte (esplorando anche il vampirismo) caratterizza gli effetti sonori che sottolineano perfettamente tutto il peso emotivo e sociale della perdita dell’era spensierata. Anche passando da Rune Grammofon a Sacred Bones, la Hval da prova di essere un’artista ormai matura dotata di una fantasia e di un talento enorme, ascoltate “Conceptual Romance” per capire come è facile farsi rapire dalle sonorità e dalla voce meravigliosa della talentuosa norvegese.
Il duo Strings & Timpani è formato da Øyvind Hegg-Lunde (batteria e percussioni) e Stephan Meidell (chitarra), due musicisti che in questa prima esperienza insieme si sono sentiti liberi di improvvisare, espandendo il suono asciutto della formula chitarra/batteria con tessiture di synth ed elettronica. ‘Hyphen’ (al #26, disco pubblicato dalla piccola etichetta Hubro in sole 300 copie numerate), è un puzzle sonoro che intriga nel suo continuo ondeggiare tra suggestioni kraut, astrazioni ambient, viaggi interstellari, sequenze desertiche e coinvolgimenti etnici. Per entrare nel loro mondo, i due si servono di una specie di cavallo di Troia. Il motorik incalzante e reiterato dell’iniziale “New Radio” indica in maniera piuttosto evidente un viaggio a ritroso nel tempo nella Chicago degli anni ’90 in piena zona Tortoise.
Ennesimo monumentale album proposto da Michael Gira. ‘The Glowing Man’ (#22) è un doppio CD (o triplo vinile) in cui delle otto tracce presenti solo tre durano intorno ai 5 minuti, mentre le restanti si aggirano dai 15 ai 28. La rodata (anche on stage) catarsi stratificata e ascendente colpisce di nuovo nel segno, chiudendo il cerchio di questa formazione degli Swans. Tra i colpi ossessivi della title track e le scarne ambientazioni folk della tracce più brevi, come questa “When Will I Return?” cantata insieme alla moglie Jennifer, si sviluppano stimolanti esperienze sonore che non possono lasciare impassibili. Gira scioglierà l’attuale formazione della band dopo questo ennesimo grande disco, lasciando al documentario ‘Where Does a Body End?’ il compito di traghettare il nome degli Swans verso il posto che merita nella storia culturale e musicale degli ultimi 35 anni.
Wayne Hancock continua nel 2016 a camminare instancabile con la chitarra a tracolla all’interno del suo piccolo-grande universo, percorrendo le mille strade blu della tradizione americana e rivisitando country, rockabilly, honky-tonk, western swing, hillbilly boogie con passione ed abilità, sfornando dischi di semplici canzoni scritte ed eseguite con passione, sangue, sudore, illuminate dalle luci al neon. Non fa eccezione il nuovo ‘Slingin’ Rhythm’ (#23), l’ennesimo centro di questo fantastico tradizionalista. In poco più di mezz’ora Hancock si riallaccia alla tradizione del western swing di Bob Wills distillando tutto il suo repertorio, scaraventandoci di peso a ritroso nel tempo già dal classico hillbilly boogie della title track. I suoi vecchi stivali polverosi non vengono intaccati dalle mode, lui se ne infischia di tutto e di tutti, non ci sono messaggi profondi, non c’è ricerca intellettuale, ci sono solo le sue semplici storie quotidiane della gente comune.
Una misteriosa iscrizione in latino risalente al sedicesimo secolo ed incisa su una lapide attualmente custodita nel Museo Civico Medievale di Bologna, ha ispirato l’esordio solista di Cristopher Chaplin (ultimo degli innumerevoli figli di papà Charlie). ‘Je suis le Ténébreux’, al #21 della classifica, è una misteriosa, oscura e intrigante opera in quattro parti che vede (tra gli altri) la collaborazione con il seminale guru dell’elettronica Hans-Joachim Roedelius (Cluster, Harmonia). Tra poemi recitati, elettronica minimalista e suggestioni cameristiche, il disco si snoda in una poetica colta e inquietante, condotta magistralmente dai synth e dalle contaminazioni di Chaplin. Oltre alla voce e all’elettronica di Hans-Joachim Roedelius, partecipano all’album l’attrice e soprano francese Judith Chemla, il tenore italiano Pino Costalunga, e la voce della poetessa Claudia Schumann che recita alcuni suoi poemi. Ascoltate “Lucius Agatho” (il nome maschile inciso sulla misteriosa lapide) per essere avvolti dalle atmosfere inquietanti e misteriose che avvolgono l’intero lavoro.
In un anno che ha portato via tanti artisti estremamente amati, il ritorno sulle scene di Shirley Collins è stato una specie di miracolo. Lei è stata una delle voci fondamentali del folk britannico degli anni ’60. L’81enne ha registrato in maniera diretta, tra le mura della sua residenza nel Sussex, canzoni della tradizione britannica, americana e cajun, interpretate con la sua perizia ed il suo carisma. David Tibet dei Current 93 ha avuto un’enorme importanza nel far uscire dall’ombra una delle artiste più influenti in decenni di folk. ‘Lodestar’ (#20), primo album dopo oltre 30 anni di silenzio, si dimostra un album senza tempo nella sua intensa cruda poetica e bellezza. “Death and the Lady” è una murder ballad tradizionale interpretata con carisma e senza compromessi nella sua durezza dalla leggendaria cantante.
La prosa di Kristin Hersh è stata ispirata dal suo figlio autistico Wyatt e dalla sua attrazione per un appartamento abbandonato abitato dai coyote che si trovava proprio accanto allo studio di registrazione di Rhode Island. ‘Wyatt At The Coyote Palace’ (#19) si compone di un libro con copertina rigida composto di ben 64 pagine di storie scritte dalla songwriter, alternate ai testi delle canzoni che fanno parte dei due cd inclusi nella confezione. Un succedersi di canzoni ora malinconiche e lievi, ora complesse e inquiete che soddisfa e ci dona la certezza di aver ritrovato un’artista di livello estremamente elevato. L’abilità nel cambiare registro all’interno dello stesso brano è evidente in brani come la splendida “Detox”, che si inerpica su complessi e inquieti sentieri elettrici per poi mostrare un fragile arrangiamento acustico. L’unico piccolo difetto imputabile alla Hersh, forse, è stato quello di essersi fatta prendere troppo la mano dall’ispirazione e dalla scrittura riempiendo ben due dischi di musica. Probabilmente se avesse trovato il modo di mettere le canzoni migliori in un solo disco ci saremmo trovati di fronte ad un piccolo capolavoro.
Se cinque anni fa Charles Bradley ci aveva stupito, ed in qualche modo commosso, con il suo splendido esordio avvenuto in tarda età, ‘Changes’ (#17) è l’album di un artista ormai completo e confidente del suo status di stella dell’attuale panorama soul, che riesce a padroneggiare sia la classicità del genere che i diversi innesti stilistici con grande naturalezza. Fa sorridere dire “album della maturità” per un artista che ha spento 67 candeline, ma è proprio così, perché il soul-singer padroneggia ogni brano con una abilità ed una forza emotiva davvero impressionante come dimostra la splendida e trascinante “Ain’t It A Sin”. Il suo non è un revival, ma la sua vera essenza, la sua realtà, ed è questo a conquistare e a fare tutta la differenza del mondo. Sperando sempre che possa aver vinto definitivamente la sua battaglia contro il male che ci ha portato via Sharon Jones.
L’incrocio tra due virtuose dell’elettronica analogica appartenenti a due generazioni diverse come la giovane Kaytlin Aurelia Smith (autrice anche dell’ottimo ‘Ears’, album che ho inserito tra gli outsiders) e Suzanne Ciani avviene in un salotto (quello della Ciani) con una vista mozzafiato sull’Oceano Pacifico. ‘Sunergy’ (#18) è il tredicesimo della serie FRKWYS, dedicata dall’etichetta Rvng alla “collaborazione intergenerazionale tra artisti”. La sinergia tra il sole e l’energia, tra i synth delle due artiste (due Buchla, a creare un invisibile filo con la morte proprio del suo inventore Don Buchla, avvenuta parallelamente all’uscita del disco), crea suggestive onde che si infrangono sulla costa di Salinas, California. Un’elettronica che sa essere tanto meditativa quanto passionale come dimostra la meravigliosa “Closed Circuit”.
Arriva al terzo capitolo l’epopea del collettivo svedese Fire! Orchestra messo in piedi da Mats Gustafsson (sax e direttore d’orchestra) insieme ai sodali Johan Berthling al contrabbasso e Andreas Werliin dietro ai tamburi come ampliamento e sviluppo del suono del classico trio avant-jazz Fire!. Dopo i primi due entusiasmanti capitoli che avevano sviluppato la parte kraut-jazz (‘Exit!’) e quella soul-jazz (‘Enter’), qui diminuiscono il numero di musicisti coinvolti (stavolta “solo” sedici) e il minutaggio del singoli brani. Forse ‘Ritual’ , che si posiziona al #16, non spicca come il miglior episodio della serie, ma è una contaminazione di tutti i generi già trattati che come sempre colpisce nel segno, grazie anche all’apporto ormai in pianta stabile delle splendide voci di Mariam Wallentin (moglie di Werliin e metà insieme al consorte dei Wildbirds & Peacedrums) e di Sofia Jernberg che possiamo ascoltare nella splendida “Ritual Part 1”. Un afflato free jazz orchestrale con scorribande kraut, soul e avant che conquista sia nelle parti movimentate e quasi noise che in quelle più lente.
Il podcast si conclude con il #15, un disco nato come rappresentazione teatrale per sviluppare un tema tanto affascinante quanto complesso: quello dei cosiddetti eretici. Personaggi storici che spesso e volentieri erano semplici studiosi e intellettuali con l’unica colpa di farsi domande e di voler allontanarsi radicalmente dalle ideologie ufficialmente accettate. Sviluppare un tema così controverso ha intrigato così tanto il poeta-vocalist francese Anne-James Chaton, da convincerlo a chiamare di nuovo il suo decennale amico e sodale Andy Moor (chitarrista dei The Ex e fondatore dell’etichetta Unsounds) e ad aggiungere la chitarra abrasiva di Thurston Moore per dare ancora più forza all’approfondimento di una serie di personaggi radicali ed eretici che hanno caratterizzato la storia recente. ‘Heretics’ è stato pubblicato una splendida confezione che oltre al disco e al libro dei testi unisce anche un ottimo film in DVD intitolato “Journal D’Hérésie / Making Heretics” diretto da Benoît Bourreau, che mostra i tre in sala d’incisione e documenta la realizzazione dell’album nei dettagli. L’interscambio tra i testi e l’elettronica di Chaton e le chitarre di Moor e Moore è fluido e devastante nel dipingere le figure che hanno affascinato questo trio: da Caravaggio a Borroughs, da Dylan Thomas a T.S. Eliot, dal Marchese de Sade a Johnny Rotten. Testi poetici e improvvisazione sperimentale, melodia e noise si alternano, usando nelle varie tracce tutte le diverse combinazioni tra voce, chitarra ed elettroniche come nella “Casino Rabelaisien” che chiude la trasmissione. Siano esse usate in solo, duo o trio, riescono perfettamente ad esplorare un tema tanto complesso e difficile quanto affascinante e oscuro. In tutto questo troviamo la splendida dimensione estetica di ‘Heretics’, nella combinazione tra chitarra noise-rock e spoken words in grado di creare un universo nuovo, misterioso ed estremamente complesso.
E per adesso è tutto, se siete curiosi la classifica intera la potete trovare a questo link. Nel prossimo podcast che sarà online venerdi 10 febbraio, saranno svelate le posizioni dal #14 alla vetta della classifica.
Vi do quindi appuntamento al 10 febbraio, con un nuovo podcast da scaricare e nuove storie da raccontare. Non mancate di tornare ogni giorno su RadioRock.to The Original. Troverete un podcast diverso al giorno, le nostre news, le rubriche di approfondimento, il blog e molte novità come lo split-pod. Siamo anche quasi in dirittura di arrivo per quanto riguarda l’atteso restyling del sito, e per questo (e molto altro) un grazie speciale va a Franz Andreani, che ci parla dei cambiamenti della nostra pod-radio e della radio in generale nel suo articolo per il nostro blog. Tutte le novità le trovate aggiornate in tempo reale sulla nostra pagina Facebook.
Se volete ascoltare o scaricare il podcast, potete farlo anche da Podomatic cliccando sulla barra qui sotto. Buon Ascolto
TRACKLIST
01. The Mystery Lights: Intro/Follow Me Home da The Mystery Lights (Wick Records)
02. Parquet Courts: Human Performance da Human Performance (Rough Trade)
03. Gnod: The Mirror da Mirror (Rocket Recordings)
04. Jenny Hval: Conceptual Romance da Blood Bitch (Sacred Bones)
05. Strings & Timpani: New Radio da Hyphen (Hubro)
06. Swans: When Will I Return? da The Glowing Man (Young God Records)
07. Wayne Hancock: Slingin’ Rhythm da Slingin’ Rhythm (Bloodshot)
08. Christopher Chaplin: Lucius Agatho da Je Suis Le Ténébreux (Fabrique Records)
09. Shirley Collins: Death And The Lady da Lodestar (Domino)
10. Kristin Hersh: Detox da Wyatt At The Coyote Palace (Omnibus Press)
11. Charles Bradley: Ain’t It A Sin da Changes (Daptone / Dunham)
12. Kaitlyn Aurelia Smith & Suzanne Ciani: Closed Circuit da Sunergy (Rvng Intl.)
13. Fire! Orchestra: Ritual Part 1 da Ritual (Rune Grammofon)
14. Anne-James Chaton+Andy Moor+Thurston Moore: Casino Rabelaisien da Heretics (Unsounds)