Dopo tre EP ecco il devastante esordio sulla lunga distanza fra post-punk e post-hardcore della formazione di Bristol
Gli Idles nascono a Bristol nel 2010 con una spiccata attitudine punk e uno sguardo a 360 gradi verso l’evolversi della situazione sociale e politica in Gran Bretagna. Il cantante Joseph Talbot, i chitarristi Mark Bowen e Lee Kiernan, il bassista Adam Devonshire e il batterista Jon Beavis, assorbono mano mano rabbia ed urgenza facendola poi defluire lentamente, scandendo le uscite e preparandole con grande meticolosità. I primi due EP escono a distanza di ben tre anni, Welcome nel 2012 e Meat nel 2015, gustosa anteprima del piatto forte intitolato Brutalism che si è materializzato nel 2017.
Se parlando degli Sleaford Mods ne viene sempre sottolineata l’attitudine punk inserita in un impianto sonoro completamente diverso, per quanto riguarda il quintetto di Bristol il mezzo espressivo non risulta così innovativo, ma nonostante la scarsa originalità musicale, il messaggio arriva potente, dritto al cuore, viscerale e funzionale, richiamando quello delle esplicite influenze della band, una per tutti Mark E. Smith dei The Fall. Durante quasi tutta la durata dell’album l’aggressione verbale va di pari passo con quella strumentale, le invettive ciniche e sarcastiche del carismatico cantante Joe Talbot viaggiano come un cingolato dal tipico accento british su binari che sono quelli di un post-punk o post-hardcore come detto scevro da grandi rivoluzioni.
L’impeto con cui Talbot scandisce e erutta le sue invettive è inversamente proporzionale alla calma con cui la band ha preparato questo Brutalism, aperto dalle urla e dalle bordate post hardcore di “Heel / Heal”, prima invettiva sulla crisi del mercato immobiliare post-Brexit. Il primo singolo “Well Done” invece è un sarcastico rispondere a tono ai borghesi che pontificano dall’apatica torre d’avorio dei programmi televisivi affermando che se ci sono dei disoccupati è semplicemente perché la gente non ha voglia di lavorare.
“Why don’t you get a job? Even Tarquin has a job. Mary Berry’s got a job. So why don’t you get a job?”
Sbraita Talbot tirando in ballo l’ultimo Re di Roma Tarquinio il Superbo (Tarquin in inglese indica uno snob che pensa di essere superiore per diritto di nascita, come appunto Tarquinio che organizzò una congiura per uccidere il suocero ritenuto da lui ritenuto indegno di sedere sul trono) e Mary Berry, sconosciuta da noi, ma vera icona del food-business televisivo britannico.
Il disco è stato registrato dopo la morte della madre di Talbot, citata da par suo nella fragorosa “Mother”, brano in cui stavolta il bersaglio dichiarato è il partito Conservatore britannico:
“My mother worked 15 hours 5 days a week, my mother worked 16 hours 6 days a week, my mother worked 17 hours 7 days a week. The best way to scare a Tory is to read and get rich”.
Come a dire che l’unico modo possibile per spaventare un Conservatore è diventare ricco in modo da essere visto come un possibile avversario. La sezione ritmica è un rullo compressore, le chitarre sono adrenaliniche nel loro liberatorio lasciarsi andare, l’inizio di “Date Night” sembra davvero all’inizio un classico dei Sleaford Mods nel suo parlato biascicato prima del fragoroso ritornello. Anche quando i cinque rallentano leggermente i ritmi mantenendo un ritmo cadenzato e doom (“Divide And Conquer”) dimostrano di essere estremamente convincenti nella loro proposta.
Nei 41 minuti dell’album c’è spazio per lo sferragliante hardcore adrenalinico e beffardo di “Benzocaine”, per lo straordinario e coinvolgente “na na na na na na” da hooligan ubriaco di “Exeter”, e addirittura per la citazione beatlesiana di “I Saw Her Standing There” in “White Privilege”. Il cingolato di “Stendhal Syndrome” è un pugno in faccia a chi critica senza sapere “Did you see that painting what Rothko did? Looks like it was painted by a two year old kid. Ignorance is bliss, yeah? Well I’m not pleased. Because you spread your opinion like a wretched disease”. I bristoliani non risparmiano nemmeno il sistema sanitario nazionale britannico e la sua drammatica situazione on una frase tanto cruda quanto drammaticamente reale: “A loved one perished at the hand of the baron-hearted right”.
Il tagliente realismo delle tematiche sociali viene raccontato con pathos accentuato da refrain travolgenti, chitarre post-hardcore liberatorie e ritmi adrenalinici. Anche quando nella conclusiva “Slow Savage” il rullo compressore sembra arrestarsi per far calare drasticamente i ritmi, gli Idles dimostrano di avere più frecce al loro arco. La confessione con cui Talbot si rivolge alla sua ex dicendo di essere “I’m the worst lover you’ll ever have. For two years in a row I forgot your birthday. For two years in a row I thought it was Thursday” risulta terribilmente sincera e convincente nella sua desolazione.
Brutalism in definitiva è un messaggio forte e chiaro rivolto verso l’esterno attaccando sanità, mass media e politici (tories), ma che sa essere anche introspettivo, grazie alla capacità di mettere in piazza i sentimenti personali e la dolorosa perdita della madre. Un album liberatorio, rabbioso, senza fronzoli anche nella confezione in cui appaiono solo i testi senza altre informazioni. Manca anche il nome della band, c’è spazio solo per il motto “Don’t Go Gentle” sulla costola di CD e vinile. Se, come già abbiamo detto, le modalità sonore non fanno certo gridare al miracolo, allo stesso tempo è indubbio che Joseph Talbot e compagni sanno perfettamente come raggiungere e coinvolgere emotivamente gli ascoltatori, riuscendo a scuotere tutti dall’apatia con il loro messaggio tanto sgradevole e brutale quanto reale. Carne e sangue, naked truth, francamente non riesco a chiedere di meglio.
TRACKLIST
01. Heel / Heal 3:28
02. Well Done 2:57
03. Mother 3:27
04. Date Night 3:07
05. Faith In The City 2:36
06. 1049 Gotho 3:47
07. Divide & Conquer 3:24
08. Rachel Khoo 3:26
09. Stendhal Syndrome 2:24
10. Exeter 3:59
11. Benzocaine 2:39
12. White Privilege 3:02
13. Slow Savage 3:41