Ecco l’undicesimo podcast di Sounds & Grooves per la 18° stagione di RadioRock.TO The Original
In questa nuova avventura in musica troverete alcuni outsider del 2023 e molte novità appena uscite
Eccoci di nuovo puntuali con l’appuntamento quindicinale di Sounds & Grooves che per il 18° anno consecutivo impreziosisce (mi piace pensarlo) lo straordinario palinsesto di www.radiorock.to. 18 anni…siamo diventati maggiorenni!!!! A pensarci è incredibile che sia passato già così tanto tempo da quando abbiamo iniziato questa folle ma fantastica avventura. Come (credo) sappiate, la nostra podradio è nata per dare un segnale di continuità con quella meravigliosa radio del passato che molti custodiscono nel cuore e a cui ho provato a dare un piccolo contributo dal 1991 al 2000.
Sappiamo tutti benissimo che la Radio Rock in FM come la intendevamo noi è sparita da tanto tempo, ma in tutti questi anni di podcast sul web abbiamo cercato di tenere accesa quella fiammella per poi tentare di moltiplicarla, facendola diventare un faro di emozioni e qualità musicale. Perché la passione e la voglia di fare radio, la voglia di ascoltare e di condividere la musica di qualità, nonostante tutto, non ci è mai passata.
Questa creatura dopo quasi 4 lustri continua orgogliosamente a remare controcorrente, cercando quella libertà in musica che nell’etere è ormai diventata una mosca bianca, ed esprimendo con forza la passione per la condivisione, per la ricerca, per l’approfondimento. Non dobbiamo aderire ad una cieca linea editoriale che ormai spinge esclusivamente il pulsante play dei servizi di streaming, ma ci lasciamo guidare semplicemente dal nostro cuore e dalla nostra passione. Fulvio Savagnone, Marco Artico, Giampiero Crisanti, Franz Andreani, Flavia Cardinali, Francesco Cauli, Ivan Di Maro, Massimo Santori aka Moonchild, Maurizio Nagni ed io proviamo ogni giorno a coinvolgervi con i nostri podcast regolari e con le rubriche tematiche di approfondimento, sperando di farvi sentire sempre di più parte di questa fantastica avventura.
Questo undicesimo episodio stagionale avrà un inizio adrenalinico con il flusso elettrizzante dei Parquet e l’energia degli LCD Soundsystem. Andremo poi a ritrovare alcune cose che non sono entrate nell’eccellenza della classifica dello scorso anno, come lo straordinario equilibrio tra sperimentazione e canzone del collettivo belga Aksak Maboul e gli sguscianti Water From Your Eyes. Ci sono anche tantissime novità targate 2024, come il trascinante post-punk degli Sprints da Dublino, il ritorno ispirato dei Future Islands e di Gruff Rhys e il ripescaggio da parte di David Pajo dei The Children’s Hour, la prima band di Josephine Foster insieme ad Andy Bar. Insieme a loro, nel corso del primo mese del 2024, sono usciti altri due album degni di nota: il nuovo lavoro di Bill Ryder-Jones (ex The Coral) con le sue melodie sognanti, e la fantasia galoppante di un nuovo collettivo proveniente dal sud di Londra chiamato Tapir!. Per completare il tutto sono andato a ripescare l’ispirata scrittura di Josiah Johnson, le melodie degli Husky e il post-rock di Laika e Kreidler. Il tutto, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
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Iniziamo il podcast con un disco che ha avuto la sventura di essere pubblicato alla fine dell’anno e di non aver avuto praticamente quasi nessuna promozione. Nel 2020 il batterista Sébastien Brun aveva fatto uscire un disco molto interessante intitolato Ar Ker, in cui spingeva la dinamica percussiva in 8 tracce travolgenti. Cin. In realtà Brun aveva già formato un gruppo chiamato Parquet, artefice di un EP intitolato Mud e pubblicato due anni prima del suo lavoro solista. Un anno più tardi il gruppo si amplia a ben sette elementi: insieme a Brun ci sono le chitarre di Julien Desprez, Nicolas Cueille e Guillaume Magne, il basso elettrico e synth di Jean-François Riffaud, Clément Édouard e Simon Henocq alle elettroniche con l’ultimo delegato anche alla post-produzione.
La registrazione del loro album di debutto intitolato Parquet & Mud dura tantissimo, inizia nel 2019 ma si ferma per la pandemia, salvo poi riprendere con la lavorazione a distanza da parte dei vari membri del collettivo. Il disco è composto da quasi 70 minuti di techno abrasiva, rock sperimentale, motorik incessante e brutalismo elettronico. Il gruppo di Lione propone una ripetitività ipnotica le cui variazioni appaiono e scompaiono, di disgregano e si riuniscono, un flusso sonoro ruvido che si basa su schemi tanto basici e ripetitivi quanto irresistibili nella loro dinamicità. “Mud” è solo un esempio di come i sette amano trascinarci nel fango facendo schizzare ovunque poliritmi e riff tra techno e math-rock.

Galeotto fu l’incontro all’inizio degli anni 2000 tra James Murphy e Tim Goldsworthy, ex collaboratore dell’etichetta Mo’ Wax. I due, mentre lavoravano alla registrazione dell’album di David Holmes Let’s Get Killed, hanno trovato molti punti di contatto, iniziando ad organizzare feste nel Lower East Side per poi creare il duo di produzione The DFA che successivamente, grazie all’inserimento nel team di Jonathan Galkin, si è trasformata in un’etichetta discografica. Parallelamente Murphy ha plasmato la sua creatura chiamata LCD Soundsystem, un gruppo che sin dall’esordio autointitolato del 2005 ha avuto grandi riscontri di critica e pubblico grazie ad un suono coinvolgente, una sorta di indie rock elettronico e ballabile che fa subito breccia nel cuore di molti.
Nel 2011, dopo l’uscita del terzo lavoro intitolato This Is Happening, qualcosa inizia a non funzionare bene, Murphy sente di aver esaurito il suo percorso, si sente eccessivamente sotto pressione e non più a suo agio sotto i riflettori. Il risultato è che il gruppo si scioglie all’apice del successo. Qualche anno più tardi, è David Bowie a far rimettere Murphy in carreggiata. i due si erano conosciuti nello studio di registrazione dove gli Arcade Fire stavano registrando Reflektor. Bowie era rimasto talmente colpito dal lavoro di Murphy dietro al mixer da fargli produrre il remix di “Love Is Lost” per la versione estesa di The Next Day, fargli suonare le percussioni in due brani di Blackstar e incoraggiarlo per riformare il suo gruppo. Il risultato è stato American Dream, un album in cui Murphy mostra più inquietudine che divertimento, un cambiamento che rende il suo suono più profondo e corposo, come nella splendida “Other Voices” che rimanda ai Talking Heads.

Tornando all’attualità, nel corso del 2023 è tornato a far sentire la propria voce un duo indie rock proveniente da Brooklyn e formato da Rachel Brown e Nate Amos. I Water From Your Eyes nel loro nuovo album, il primo per Matador, Everyone’s Crushed. fanno un bel passo in avanti rispetto al precedente Structure uscito due annni prima. I due mettono insieme idiozia e fatalismo con un ritmo spesso e volentieri frenetico, usando ritmi pulsanti e testi ironici e assurdi per trasmettere storie di disagio personale e sociale. Descritto da Brown come il loro disco più collaborativo, una sorta di reset per la coppia, quasi come un debutto, nonostante sia tecnicamente il loro sesto, è una sorta di poltiglia tumultuosa tra rock e pop sperimentale, piacevole e violenta, cruda e in qualche modo indelebile.
Sempre in bilico tra pop e sperimentazione, tra forma canzone e classica contemporanea, il disco racchiude molte delle tensioni irrisolte tra i due: un rapporto di coppia complesso, la realtà contemporanea ansiogena del post covid e i problemi di abuso di sostanze di Amos. Il disco esprime le ansie del mondo contemporaneo giocando, una sorta di punk anarchico che riesce a convincere nella sua caotica omogeneità. Il disco, riascoltato più volte, probabilmente meritava più della 41° posizione nella mia classifica e la densa “Remember Not My Name” sta li a dimostrarlo.

Apriamo adesso una piccola parentesi dedicata a quel tipo di musica ad ampio raggio definita post-rock con una band proveniente da Düsseldorf. I Kreidler si formano grazie all’incontro tra Stefan Schneider (basso), Thomas Klein (batteria), Andreas Reihse (synth e campionatori) e Detlef Weinrich (campionatori e programmazioni). Il progetto, iniziato con il nome di Deux Baleines Blanches, era caratterizzato dalla riflessione e dall’esplorazione della poesia parlata. Solo successivamente i quattro passarono a comporre musica strumentale, palesemente influenzata non solo dal dub e dall’elettronica, ma anche dalle “scuole di Düsseldorf” degli anni Settanta (Kraftwerk, NEU!) e dalla new wave dei primi anni Ottanta arrivando ad incidere il primo lavoro intitolato Riva nel 1994.
Nel 1996, prima che Schneider decidesse di esplorare nuovi mondi con i To Rococo Rot, i Kreidler pubblicarono quello che forse è il loro lavoro più compiuto intitolato Weekend. Si respira un aria cinematografica, con il synth a sostituire la chitarra, quadretti ambient, ritmica jazz e slanci astratti a lanciare l’album nella classicità. L’apertura “Traffic Way” ha uno slancio quasi rock ed è stata la mia scelta per rappresentare quello che è, probabilmente, il loro migliore lavoro. Successivamente si perderanno un po’ per strada, anche se il gruppo è teoricamente ancora in attività.

Ho già parlato (più di una volta…lo so) della via britannica al post-rock e al suono dei gruppi della Too Pure soprattutto parlando dei Moonshake. La band formata da David Callahan e Margaret Fiedler aveva trovato un perfetto equilibrio pur nella diversità dell’approccio alla materia sonora, la Fiedler più propensa a creare brani eterei e di atmosfera, Callahan a preferire un tessuto urbano più duro e spigoloso. Erano due facce della stessa medaglia, l’amore per le stesse bands (Can, My Bloody Valentine, PIL, Kraftwerk) espresso in maniera completamente differente. Un incontro esplosivo, una collisione tanto inevitabile quanto evocativa. Ma dopo l’uscita di Eva Luna questo equilibrio si spezza: Callahan rimane con i Moonshake mentre la Fiedler insieme al bassista John Frenett e al produttore Guy Fixen, da vita ai Laika, band che continuerà sul binario intrapreso dai Moonshake accentuando soprattutto la vena melodica e la percussività psichedelica.
Così l’album di esordio Silver Apples Of The Moon viene registrato senza chitarre, come orgogliosamente rivendica anche il secondo album dei Moonshake uscito quasi in contemporanea. Ma mentre la band di Callahan si infila in un suono scuro e torbido, i Laika scelgono un approccio diverso, portandoci in una sorta di poliritmica foresta tropicale disegnata con colori pastello, condotti da un insistente e fluido basso dub. Good Looking Blues (2000) è stato il loro terzo (e penultimo) lavoro, con ambientazioni più lussureggianti e variegati, che rimangono sempre tra le cose più originali di quel fantastico decennio, come dimostra l’atmosfera quasi trip-hop di “Badtimes”.

Tra i primi album usciti in questo 2024 (e già tra i più osannati) c’è il debutto sulla lunga distanza dell’ennesimo gruppo in area post-punk proveniente da Dublino. Gli SPRINTS, dopo due EP (il primo è del 2021), hanno pubblicato Letter To Self, disco che sembra abbia già fatto spellare le mani a alla stampa musicale anglosassone. Addirittura qualcuno ha proclamato che quello dei quattro irlandesi è già uno dei migliori album dell’anno. Esagerazioni tipiche di certa stampa? Assolutamente sì! Faranno gridare ai sopravvalutati centinaia se non migliaia di utenti sul social network? Anche qui la risposta è senza dubbio un bel sì. Insomma, com’è questo esordio degli SPRINTS? Secondo la casa discografica “Trasformando il dolore in verità, la passione in proposito e la perseveranza in forza, i quattro ragazzi di Dublino sono cresciuti costantemente negli ultimi tre anni, costruendosi sul palco un’enorme reputazione aprendo per artisti del calibro di Yard Act e Suede. Letter To Self è il suono degli SPRINTS capaci di migliorarsi ancora una volta, rielaborando i loro passaggi più vulnerabili e arricchendo il loro garage-punk viscerale con un senso di catarsi palpabile di cui tutti possiamo beneficiare.
La cantante, chitarrista e autrice principale Karla Chubb non si è mai sottratta al confronto con i suoi tumulti interiori. Nata a Dublino, ha trascorso parte della sua prima infanzia in Germania, dedicandosi inizialmente alla musica come conseguenza della sensazione di non sentirsi al passo con il mondo. “Vivevo in un costante stato di crisi esistenziale”, ricorda. “La musica è diventata uno sfogo per le emozioni e un modo per capire me stessa e la società”. Naturalmente quella della City Slang è una considerazione “di parte”, ma il suono proposto dalla cantante chitarrista Karla Chubb insieme al bassista Sam McCann, al chitarrista Colm O’Reilly e al batterista Jack Callan, si inserisce in un binario non propriamente originale ma allo stesso tempo dimostra personalità e capacità di scrittura. L’incedere di “Can’t Get Enough Of It” è una carta d’identità niente male per un gruppo ancora acerbo ma che potrà sicuramente dire la sua in un ventaglio di proposte davvero notevole.

Per la rubrica “Dischi che non ricordavo di avere”, ho ripescato dall’oblio un gruppo di Melbourne che nel 2012 aveva esordito strappando un contratto addirittura con un’etichetta così importante come la Sub Pop. Dietro la sigla Husky si cela la band guidata dal songwriter Husky Gawenda, al fianco del quale ci sono il pianista Gideon Preiss e la sezione ritmica formata dal batterista Luke Collins e dal bassista Evan Tweedie. Per questo esordio, il quartetto ha avuto anche la fortuna di lavorare con il produttore Noah Georgeson (Joanna Newsom, The Strokes, Devendra Banhart) che è riuscito a tirare fuori tutte le loro potenzialità pop-folk rendendo Forever So un album davvero interessante.
Tredici canzoni riuscite, immediate ma talvolta leggermente sghembe e mai banali, dove gli australiani creano un immaginario non troppo dissimile da quello dove navigano gruppi come Fleet Foxes, tanto per dare un punto di riferimento. Un folk psichedelico che, dopo tanti anni, risulta ancora più avvolgente e convincente, tanto che ho voluto mettere la band di nuovo nella scaletta di un podcast. Alla fine, per rappresentare il disco, ho deciso di inserire la splendida “Animal & Freaks”, brano che fotografa al meglio il momento di grazia di un gruppo che registrerà altri tre album. L’ultimo Stardust Blues, è stato pubblicato nel 2020 come autoproduzione.

La storia del prossimo gruppo parte da Newport, North Carolina, dove Samuel T. Herring e Gerrit Welmers erano compagni di classe alle scuole medie. Nonostante l’amicizia, i due avevano vedute musicali quasi opposte: Herring orientato verso l’hip-hop mentre Welmers era un appassionato di punk e metal. Le due diverse prospettive musicali vengono in qualche modo mediate dall’arrivo di William Cashion, chitarrista che condivideva il programma di pittura della East Carolina University con Herring. I tre iniziarono un percorso musicale comune, con Welmers alle tastiere, Cashion a destreggiarsi tra basso e chitarra e Herring alla voce. Dopo diversi anni, i neonati Future Islands, con Erick Murillo alla batteria, esordirono nel 2008 con Wave Like Home prima di firmare un contratto con la prestigiosa Thrill Jockey con cui pubblicheranno altri due album.
Herring ha provato a spiegare così l’apparente contrasto tra la musica, melodica e pulsante come un incrocio tra il romanticismo di certa new wave e l’energia del post-punk e i suoi testi teatrali e malinconici: “Mentre le canzoni sono sempre state piuttosto allegre e movimentate, il messaggio è spesso malinconico. Mi piace così, l’istinto naturale delle persone è quello di abbassare la guardia e ballare, e poi permettono alle parole di insinuarsi. Invece di allontanarsi dall’oscurità, abbracciano la luce e trovano l’oscurità. Penso che sia vero anche il contrario”. Passati alla 4AD e trovata una formazione ormai stabile con l’ingresso del batterista Michael Lowry, ad inizio 2024 il gruppo di base a Baltimora ha fatto uscire il suo settimo album in studio People Who Aren’t There Anymore, dove trovano una maggiore quantità e qualità introspettiva e poetica, come dimostra la pulsante “King Of Sweden” che apre l’intero lavoro.

Adesso ci andiamo ad occupare di un’altra novità discografica appena pubblicata, parlando del poliedrico artista gallese Gruff Rhys. Nonostante una lunga carriera da solista, il suo nome è indubbiamente legato a doppio filo ai Super Furry Animals, gruppo di cui Rhys era non solo il frontman, ma anche il motore creativo. La sua carriera solista è iniziata nel 2005, quando la sua band principale era ancora in piena attività, ed è proseguita nel corso degli anni mostrando una notevole vena creativa, capace di spaziare dal pop sfrenato dell’esordio al folk più tribale, dalla psichedelia eccentrica alla musica per spettacoli teatrali. Due settimane fa l’eccentrico gallese ha pubblicato il suo 25° album in 35 anni totali di carriera, l’undicesimo come solista. In Sadness Sets Me Free Rhys ha fatto ricorso a una “ricca fonte di ispirazione per far luce sulla tristezza e sul terrore generale della solitudine cosmica”.
Il gallese e la sua band – Osian Gwynedd (pianoforte), Huw V Williams (contrabbasso) e l’ex batterista dei Flaming Lips, divenuto archivista dei Super Furry Animals, Kliph Scurlock – sono saliti su un furgone guidato dal compianto e leggendario tour manager Kiko Loiacono e sono andati da Dunkerque, dove avevano appena suonato l’ultimo concerto di un tour, fino alla periferia di Parigi nelle prime ore di una mattina di marzo del 2022. Lì, negli studi La Frette, una struttura di registrazione installata in una casa del XIX secolo, la band ha registrato il disco in soli tre giorni, con l’apporto ai cori anche di Kate Stables (aka This Is The Kit).“I’ll Keep Singing” è la splendida chiusura dell’ennesimo album tanto eccentrico quanto intrigante.

Continuiamo parlando di un artista che in pochi anni è passato dal grande successo della sua band (The Head And The Heart) al gorgo della dipendenza dagli stupefacenti. Come si può ben immaginare non sono stati anni facili per Josiah Johnson. La forzata uscita dal gruppo, la riabilitazione, il lungo percorso che porta ad una (mai scontata) assunzione di responsabilità. All’inferno e ritorno. Ed il ritorno non poteva trovare sfogo migliore della sua ritrovata anima di musicista. Ci vuole tutto il coraggio possibile per chiedere l’aiuto altrui e rialzare orgogliosamente la testa. Josiah Johnson lo ha fatto mettendo il suo talento compositivo al servizio di semplicità, amore e passione, marchiando a fuoco nei solchi la gioia e la malinconia della sua redenzione.
Every Feeling On A Loop è un percorso estremamente personale fatto di 11 canzoni, spesso dalla lunghezza abbondante, dove il musicista non ha paura di esporre la sua vulnerabilità e le sue ferite. Questo disco è la vittoria umana e musicale del musicista californiano. capace di rivestire a nuovo la tradizione con semplicità, lasciando liberi gli interventi di archi e fiati di librarsi nell’aria limpida di una nuova vita, pur avvertendoci che non è sempre facile alzare la testa, come nella dolcezza ottimistica di “False Alarms”: “Don’t let your mind get stuck in that game. In the times when it goes the wrong way. We will get hurt and we will make mistakes”.

La leggenda vuole che molti anni fa, quando viveva a Chicago, David Pajo (Slint, Tortoise, Aerial M, Zwan, Papa M) andò in un locale chiamato The Hideout imbattendosi nella voce cristallina di Josephine Foster. Poco più tardi scoprì anche che la Foster aveva un gruppo insieme ad Andy Bar, uno dei suoi amici della Old Town School of Folk Music, chiamato The Children’s Hour. Per farla breve, l’indie folk proposto dai due lo colpì così profondamente non solo da prenderli come apertura dei concerti degli Zwan, ma anche da farlo sedere dietro ad un piccolo drum kit diventando, a tutti gli effetti, il terzo membro della band. In quella fase mainstream della carriera di Pajo, i The Children’s Hour rappresentavano una sorta di boccata di aria fresca di cui il musicista sentiva terribilmente la necessità.
I tre, nello studio di Paul Oldham a Shelbyville, Kentucky, misero insieme e registrarono le otto tracce che avrebbero dovuto far parte del seguito del loro unico album, SOS JFK, pubblicato nel 2003. Ma per Pajo era arrivato il momento di tornare in tour con Corgan e compagni, anche se con la promessa che, una volta tornato nel suo studio casalingo, avrebbe mixato il tutto. La promessa fu quasi dimenticata e, a venti anni di distanza anche l’hard disk con quelle canzoni sembrava perduto. Fortuna ha voluto che Andy Bar avesse ancora con se i mix grezzi di quei brani consentendo a Pajo di rimettersi in moto, per ottemperare alla sua promessa e fotografare al meglio quel momento di pura magia lontano due decenni. Le canzoni vengono ripulite e finalmente sono pronte per essere pubblicate il 23 febbraio 2024 dalla Sea Note, sussidiaria della Drag City. “Bright Lights” è perfetta per riassaporare quei momenti indimenticabili e ascoltare la voce straordinaria di una Josephine Foster ad inizio carriera.

“Credo che nel corso degli anni la mia musica abbia perso un po’ di speranza. Era importante per me fare un disco che avesse più consapevolezza e prospettiva. Anche per i miei standard, gli ultimi anni sono stati duri, ma ho scelto di fare da colonna sonora con una musica più positiva. Amo questo album. Non ero così orgoglioso di un disco da tanti anni”. Così l’ex The Coral Bill Ryder-Jones ha parlato di Iechyd Da (“buona salute” in gallese) il suo nuovo album solista arrivato dopo cinque anni di silenzio. In realtà in questi anni il musicista inglese non è stato certamente con le mani in mano, avendo prodotto nei suoi Yawn Studios di West Kirby, nel Merseyside artisti del calibro di Michael Head, Saint Saviour e Brooke Bentham.
Il nuovo album è probabilmente il più ambizioso della carriera di Ryder-Jones, rifinito con la consapevolezza del produttore ormai navigato e ricco di contenuti diversi, gioiosi e intimisti, raffinati e ricchi di romanticismo. Un disco coccolato e rifinito negli ultimi tre anni, dove nulla è lasciato al caso. La copertina dell’album raffigura il dipinto di una casa rosa pastello illuminata dalla luna nel villaggio di pescatori scozzese di Crail. “Quel quadro era troppo bello, mi ricordava la sicurezza di una casa. Voglio che questo disco possa essere considerato come una casa accogliente, dove la gente possa venire e sentirsi al sicuro, come lo sono per me i miei dischi preferiti”. Ascoltando la meravigliosa “Thankfully For Anthony” direi che l’obiettivo del musicista inglese è stato sicuramente centrato.

Incredibile pensare che il collettivo belga Aksak Maboul esista da ben 40 anni, da quando, nel lontano 1977, Marc Hollander, fondatore anche dell’etichetta discografica di avanguardia Crammed Discs (Hector Zazou, Minimal Compact, Colin Newman, Tuxedomoon) , e Vincent Kenis, anche lui musicista e produttore, iniziarono a suonare insieme. La band ha pubblicato due album tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, tra avant-prog e Rock In Opposition, con collaborazioni importanti come Chris Cutler e Fred Frith, ex membri degli Henry Cow. Negli anni ’80 hanno attraversato una fase avant-No Wave poco documentata registrando l’album Honeymoon Killers (1982) e continuando fino al 1986 solamente per sporadici concerti dal vivo.
Nel 2014 il nome Aksak Maboul è tornato di attualità dopo molti anni di silenzio, prima con un disco registrato insieme a Véronique Vincent nei primi anni ’80 e finalmente riportato alla luce, poi, visto il successo della ristampa che mescolava la voce sognante e i testi ingannevolmente frizzanti di Véronique con le divagazioni musicali di Marc, con una nuova fase nella storia del collettivo belga. Questa sorta di riunione ha portato il gruppo a pubblicare (naturalmente per la Crammed Discs nella splendida serie Made To Measure) pochi mesi fa un nuovo bellissimo lavoro intitolato Une Aventure De VV (Songspiel). Tra psichedelia, alternanza di voci maschili e femminili, elettronica ed echi di Stereolab, il menu proposto dal gruppo belga ha trovato un perfetto equilibrio di gusti tra sperimentazione e forma canzone. Il suono è intrigante e coinvolgente, come dimostra la “La Parole De La Peau” inserita in scaletta.

Chiudiamo il podcast con un collettivo inglese che è appena arrivato sugli scaffali dei negozi di dischi fisici e virtuali. “From atop a green hill, The Pilgrim did hear a call from the distance. Their people are near. Towards the tall mound The Pilgrim must set, carrying only this sack, into the Nether…” Così inizia il primo atto dell’album di debutto dei Tapir!, The Pilgrim, Their God and the King of My Decrepit Mountain, un disco multiforme che deve tanto all’arte popolare e al folklore quanto alla sperimentazione alt-folk. I sei elementi provengono dalla comunità artistica della George Tavern, nel Sud di Londra: Ike Gray (voce, chitarra), Will McCrossan (tastiere, batteria), Tom Rogers-Coltman (chitarra, sassofono), Ronnie Longfellow (basso), Emily Hubbard (cornetta, synth) e Wilf Cartwright (batteria, violoncello), aiutati alla produzione da Yuri Shibuichi, batterista di un altro gruppo londinese molto interesssante, gli Honeyglaze.
Si descrivono come un miscuglio di diversi ambiti: allo stesso tempo musicale, teatrale, mitologico, artistico, collaborativo, narrativo e, soprattutto, qualcosa da assaporare e condividere. Il disco racconta la storia di un viaggiatore solitario, un’ambigua creatura rossa nota come The Pilgrim, in viaggio attraverso un paesaggio mitico di foreste inquietanti, mari in tempesta e montagne infernali popolate da bestie, uccelli feriti e spettri idealizzati. Il quadro potrebbe risultare stucchevole nel suo essere troppo naif, ma i sei riescono a coinvolgere l’ascoltatore facendolo fuggire dagli orpelli del mondo materiale moderno, mostrando una sorta di paese delle meraviglie pre-industriale e pre-internet dove la creatività e la comunità regnano sovrane. Il disco risulta emozionante con momenti di grande bellezza, come nella “Mountain Song” che chiude il viaggio del pellegrino, il disco ed il podcast.
Un grazie speciale va, come sempre, a Franz Andreani per la sua passione, la gestione di questa banda di pazzi e per la splendida riorganizzazione del sito già attiva da qualche anno. A cambiare non è stata solo la versione grafica del sito, ma anche la “filosofia” della podradio, con le rubriche che vanno ad integrarsi nella programmazione regolare sotto l’hashtag #everydaypodcast. Sulla nostra pagina Facebook troverete quotidianamente ogni upload del sito e, ormai da tempo, è attivo anche lo splendido canale YouTube della Radio, una nuova formula senza interruzioni ne spot per ascoltare la vostra-nostra musica preferita. Iscrivetevi numerosi, vi aspettiamo!
Nel prossimo episodio troverete il mio tributo a due personaggi fondamentali della storia del rock che ci hanno appena lasciato come Wayne Kramer e Damo Suzuki, ascolteremo uno dei dischi colpevolmente indietro nella mia classifica 2023 come quello di Jonny Greenwood insieme al musicista israeliano Dudu Tassa e ripescheremo un gruppo sfortunatissimo come gli Scarce e uno dei gruppi di culto per eccellenza, i The Blue Nile. Il tutto sarà, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
Intanto se volete potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, criticare (perché no), o proporre nuove storie musicali. Mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web.
Per suggerimenti e proposte, scrivetemi senza problemi all’indirizzo e-mail stefano@stefanosantoni14.it.
Potete ascoltare o scaricare il podcast anche dal sito di Radio Rock The Original cliccando sulla barra qui sotto.
Buon Ascolto
TRACKLIST
01. PARQUET: Mud da ‘Sparkles & Mud’ (2023 – Carton Records)
02. LCD SOUNDSYSTEM: Other Voices da ‘American Dream’ (2017 – DFA / Columbia)
03. WATER FROM YOUR EYES: Remember Not My Name da ‘Everyone’s Crushed’ (2023 – Matador)
04. KREIDLER: Traffic Way da ‘Weekend’ (1996 – Kiff SM)
05. LAIKA: Badtimes da ‘Good Looking Blues’ (2000 – Too Pure)
06. SPRINTS: Can’t Get Enough Of It da ‘Letter To Self’ (2024 – City Slang)
07. HUSKY: Animals & Freaks da ‘Forever So’ (2012 – Sub Pop)
08. FUTURE ISLANDS: King Of Sweden da ‘People Who Aren’t There Anymore’ (2024 – 4AD)
09. GRUFF RHYS: I’ll Keep Singing da ‘Sadness Sets Me Free’ (2024 – Rough Trade)
10. JOSIAH JOHNSON: False Alarms da ‘Every Feeling, On A Loop’ (2020 – Anti-)
11. THE CHILDREN’S HOUR: Bright Lights da ‘Going Home’ (2024 – Sea Note)
12. BILL RYDER-JONES: Thankfully For Anthony da ‘Iechyd Da’ (2024 – Domino)
13. AKSAK MABOUL: La Parole De La Peau da ‘Une Aventure De VV (Songspiel)’ (2023 – Crammed Discs)
14. TAPIR!: Mountain Song da ‘The Pilgrim, Their God and The King Of My Decrepit Mountain’ (2024 – Heavenly Recordings)
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— SoundsAndGrooves (@SoundsGrooves) February 9, 2024