British Post-Rock
Era il maggio del 1994, la musica mainstream era stata fortemente contagiata dal potente virus del grunge e il mondo musicale stava ancora piangendo la morte dell’icona Kurt Cobain avvenuta il mese precedente. In Inghilterra era appena uscito il terzo album dei Blur (‘Parklife’) e i primi due singoli degli Oasis (“Supersonic” e “Shakermaker”), solo un piccolo assaggio dell’esplosione violenta del britpop che avverrà di li a pochi mesi con l’uscita di “Definitely Maybe”. Ma c’era (e fortunatamente c’è ancora) nel regno di Albione una rivista chiamata The Wire, mensile che annovera i migliori critici musicali d’oltremanica e che all’epoca aveva tra le sue fila un certo Simon Reynolds. Sul numero di maggio 94 era stato pubblicato un articolo scritto dallo stesso Reynolds, che cercava di codificare in qualche modo un nuovo approccio al suono, un’estetica che sanciva il taglio del cordone ombelicale che la legava al punk (cordone stretto all’embrione del grunge), per abbracciare una serie di mutazioni che ripescavano aggiornandole una sequenza di generi che sembravano essere stati ormai messi in cantina: psichedelia, canterbury sound, krautrock. Di questa nuova progenie, secondo l’eminente critico, facevano parte una serie di gruppi (naturalmente britannici) che pur suonando con la classica strumentazione del rock, ne rivoluzionavano la grammatica in nome di una libertà sperimentale del tutto nuova. Scriveva così Reynolds riferendosi proprio a questa lista di band che includeva Disco Inferno, Seefeel, Main, Pram, Stereolab, Papa Strain, Scorn, Moonshake, Bark Psychosis: “ Il post rock trae ispirazione ed impeto da una complessa combinazione di ispirazioni. Alcune di queste derivano dalla sua stessa tradizione – una serie di momenti nella storia che hanno visto intellettuali e scapigliati prendere in prestito elementi del rock per fini che rock non erano (pensate alla musica dei tardi sessanta, basata sulle chitarre, di Velvet Underground e Pink Floyd e alla discendenza che ne è derivata e comprende tanto i gruppi nella no-wave newyorkese così come Joy Division, Cocteau Twins, Jesus And Mary Chain, My Bloody Valentine e A.R. Kane; oppure al cosiddetto ‘krautrock’ di Can, Faust, Neu!, Cluster e Ash Ra Tempel; o ancora all’avanguardia post punk, a cavallo fra settanta e ottanta, di P.I.L., 23 Skidoo, Cabaret Voltaire e Pop Group). Altri impulsi vengono invece da territori esterni al rock: Eno, ovviamente, ma anche il minimalismo a base di bordoni di Terry Riley e LaMonte Young, la musica concreta e quella elettroacustica, il dub e generi moderni basati sui campionamenti come hip hop e techno. Inoltre, la maggioranza dei gruppi post rock britannici si definisce esplicitamente in contrapposizione al grunge, che per Carducci (Joe Carducci: autore del famoso libro “Rock and the Pop Narcotic” del 1990) è un sogno divenuto realtà: la fusione di punk e metal in un novello hard rock quintessenzialmente americano. Per i gruppi post rock, l’idea dei Sonic Youth di ‘reinventare la chitarra’ significa in realtà eliminare il rock dalla musica con le chitarre; in alcuni casi, il passo successivo è eliminare le chitarre.”
Dunque il concetto iniziale di post rock partiva dalle formazioni provenienti dalla Gran Bretagna, e da quello che è stato il suono dell’etichetta di riferimento, ovverosia la Too Pure, fondata a Londra nel 1990 da Richard Roberts e Paul Cox, salita improvvisamente alla ribalta grazie alla pubblicazione di ‘Dry’, l’album di esordio di PJ Harvey. La label londinese era diventata in breve tempo il punto di riferimento per gli ascoltatori e gli addetti ai lavori meno allineati e usuali. Le band che incidevano per l’etichetta (Th’ Faith Healers, Pram, Stereolab, Seefeel, Mouse On Mars, Laika, e gli stessi Moonshake di cui stiamo per parlare in maniera dettagliata) da una parte non si somigliavano affatto, ma allo stesso tempo erano pervase dalla stessa comune voglia di sperimentare, rifacendosi a band come Pop Group o Rip Rig + Panic, ripercorrendo le strade del krautrock, usando lo studio di registrazione come nuovo strumento e delegittimando di fatto il simbolo principe del rock: la chitarra.
Primi passi e 'Eva Luna'
Nella seconda metà degli anni 80 una band chiamata The Wolfhounds aveva pubblicato una manciata di album e numerosi singoli che avevano ottenuto un discreto successo grazie al loro pop abrasivo fondato sulle chitarre e legato alla scena C86. Dopo lo scioglimento della band avvenuto nel 1990 dopo l’uscita di ‘Attitude’, il cantante e chitarrista David Callahan aveva deciso di formare una nuova band. Galeotto fu l’incontro, tramite un annuncio postato sul Melody Maker, con Margaret Fiedler, cantante appena uscita dagli Ultra Vivid Scene. Ai due si aggiungono in breve tempo il basso di John Frenett e la batteria di Miguel “Mig” Moreland. La band prende inizialmente il nome di Skyscraper, ma ben presto i quattro si trovano d’accordo a sancire ufficialmente il legame con il krautrock chiamandosi Moonshake, come il brano inserito nel seminale ‘Future Days’ dei Can. I due leader trovano presto un loro equilibrio pur nella diversità dell’approccio alla materia sonora, la Fiedler più propensa a creare brani eterei e di atmosfera, Callahan a preferire un tessuto urbano più duro e spigoloso. Erano due facce della stessa medaglia, l’amore per le stesse bands (Can, My Bloody Valentine, PIL, Kraftwerk) espresso in maniera completamente differente. Un incontro esplosivo, una collisione tanto inevitabile quanto evocativa.
L’esordio su disco avviene proprio per l’etichetta di Alan McGee, quella Creation che stava per pubblicare ‘Loveless’ dei My Bloody Valentine, disco che sarà la pietra miliare dello shoegaze. ‘First’ esce nella primavera del 1991, ed è un 12″ che mostra fin troppo la devozione per il gruppo di Kevin Shields e per il suono chitarristico dei Wolfhounds. Serve una sterzata, una ricerca più personale che possa includere anche l’elemento dub e alcune digressioni jazz. A questo punto la band decide di accasarsi proprio presso la Too Pure, per cui pubblicano a stretto giro di posta due EP intitolati “Secondhand Clothes” e “Beautiful Pigeon”. In questi due lavori si fanno più decisi i contorni che renderanno distintivo il suono dei Moonshake. Poliritmie rotolanti, suono propulsivo, elettronica, dub, art rock, krautrock, il tutto seguendo la fantastica lezione dei migliori gruppi new wave britannici come il Pop Group, e ispirati da una vena melodica pop di fondo.
Così ‘Eva Luna’ si snoda in tredici meravigliose tracce dove Pop Group, Can, Public Image Ltd. e My Bloody Valentine si stringono in un caleidoscopico girotondo. I quattro mettono a fuoco un disco che, nei suoi tratti scarni e scheletrici, colpisce con le sue schegge new wave, con le sue argute bizzarrie, le poliritmie kraut, i fiati jazz e i suadenti innesti dub. Gli intricati ritmi di Moreland e l’ipnotico basso dub di Frenett, sono la migliore base possibile su cui possono partire l’accattivante “City Poison”, la torrenziale “Spaceship Earth”, o la tribale “Wanderlust” con il cantato isterico e nervoso di Callahan così come “Tar Baby” e una “Little Thing” quasi trip-hop, che ospitano la suadente ugola della Fiedler.
Un anno dopo, il mini “Big Good Angel” vede sei brani divisi equamente tra i due leader in un ambientazione più quieta che mostra la devozione al suono dei Can e certifica il talento e le giuste ambizioni della band. Ma la tensione creativa e non solo tra Callahan e Fiedler diventa sempre più forte, fino a quando il tour della band in Nord America nel corso del 1993 porta i due a scontarsi apertamente fino alla separazione. Una delle formazioni più promettenti e interessanti dell’epoca sembra perduta. Ma mentre Callahan e Mig mantengono la ragione sociale, la Fiedler e Frenett, insieme al produttore Guy Fixen, danno vita ai Laika, che continueranno sul binario intrapreso dai Moonshake accentuando esclusivamente la vena melodica e la percussività psichedelica.
Una scissione "Guaranteed Guitar-Free"
Callahan e Mig prendono con loro il sassofonista, flautista e clarinettista Raymond M. Dickaty e danno alle stampe nel 1994 lo splendido ‘The Sound Your Eyes Can Follow’. Il nuovo lavoro vede la luce pochi mesi prima dell’album di debutto dei Laika, e mette subito le cose in chiaro con una nota sul retro di copertina che in maiuscolo avverte che il disco è “guaranteed guitar-free”. L’album non tradisce affatto le radici del gruppo, andando ad investigare più a fondo le marcate influenze jazz, e dove le complesse trame ritmiche vengono costantemente trafitte dagli inserimenti dei fiati di Dickaty e dalle bordate elettroniche dello stesso Callahan. Il disturbo di fondo che è parte integrale della registrazione (si legge ancora sulle note di copertina), è un tributo alla morte lenta del vinile. Già, negli anni ’90 il vinile era davvero agonizzante e sarebbe stato difficile per tutti prevedere l’incredibile rinascita del supporto a cui stiamo assistendo in questi ultimi anni. In questo disco si inseguono senza sosta soul, jazz, funk, prendendo definitivamente i Rip Rig + Panic come numi tutelari, e mantenendo l’alternanza vocale maschile/femminile con l’innesto in cinque brani della (irriconoscibile) voce di PJ Harvey, accreditata semplicemente come Polly Harvey.
L’accresciuto interesse di Callahan per i sampler porta la band a deviare la traiettoria sonora. Possiamo trovare un jazz da film noir condotto da fiati demenziali (la title track), un andamento da marching band alla Tom Waits (“The Grind” e “We’re Making War”), un funk nervoso condotto da PJ e Callahan con maestria (la lunga “Just A Working Girl”), e ammiccamenti sinuosi al trip-hop (“Ghost Of Good Intention”). Il tutto arricchito da una serie di musicisti come Johnny Dawe (bassista dei Collapsed Lung), Andrew Blick (trombettista dei Blowpipe), e Katharine Gifford degli Stereolab. Il suono si fa dunque più black, torbido, misterioso, con i fiati a farsi largo a spallate tra le maglie dei loop elettronici, e la cupa visione urbana di Callahan libera di prendersi il proscenio, non più mediata dall’approccio più psichedelico della sua vecchia compagna di avventura.
'Dirty & Divine', la delusione Lollapalooza e la crisi
Dopo l’uscita del secondo album “Mig” Moreland decide di lasciare la band per suonare nei Moose, e Callahan rimane il solo membro originale a far ancora parte del gruppo. Mig viene sostituito dietro ai tamburi da Kevin Bass, mentre Katherine Gifford continua ad essere il contrappunto vocale femminile durante i concerti e saltuariamente in studio per i nuovi brani che richiedevano una voce femminile. ‘The Sound Your Eyes Can Follow’ ebbe ottime recensioni non seguite da altrettante vendite, e poco dopo l’uscita del disco i Moonshake decidono di lasciare la Too Pure.
Nel corso del 1996, i Moonshake firmano per l’indie label americana C/Z Records, che era determinata a promuovere la band in America. Proprio per questo, il gruppo fece parte della line-up del festival itinerante Lollapalooza per la parte dell’American Midwest che vedeva come headliners Metallica e Wu-Tang Clan. L’esperienza fu deludente per la band che si vide assegnata al terzo palco, costretta a suonare praticamente sul retro di un camion a grande distanza dal main stage. Dickaty più tardi disse a riguardo di quell’esperienza: “insieme ad altri artisti definiti come ‘alternativi’, ci siamo trovati a suonare a una folla di metal fans in cerca di eccitazione. Una massa di gente completamente indifferente a quello che suonavamo.”
Anche Katherine Gifford lascia alla fine del 1995, e la line up della band che affronta a Londra la registrazione del primo (ed ultimo) disco per la C/Z è composta da Callahan, Dickaty, Matt Brewer al basso e il nuovo batterista Michael Rother (da non confondersi naturalmente con il suo omonimo, leader dei Neu!). “Dirty & Divine” esce nel 1996 ed è composto da alcune canzoni che il gruppo aveva suonato dal vivo negli ultimi due anni. Rispetto all’album precedente manca quasi del tutto la componente vocale femminile (ridotta ad alcuni inserimenti di Mary Hansen degli Stereolab) e pur non essendo affatto un brutto disco, il suono si appiattisce in un mantrico e troppo educato trip-hop alla Massive Attack, anche se non mancano quei campionamenti interessanti e quelle accelerazioni jazz che li hanno resi uno dei gruppi più originali degli anni novanta.
Epilogo
La promozione non certo esemplare prodotta dalla nuova etichetta e gli ultimi tre anni di tour intensivi e management ‘fai da te’, senza ottenere gli agognati (e meritati) riscontri avevano ormai sfinito la band. Nel 1997, poco dopo la pubblicazione in Gran Bretagna del nuovo disco, Callahan si trasferisce negli USA e la band si scioglie tanto amichevolmente quanto definitivamente. Resta il rimpianto per un gruppo tra i più interessanti e originali della loro epoca, il cui unico torto è stato di essere stati troppo facili per l’avanguardia e troppo intellettuali per la massa.
Post-Moonshake
David Callahan in realtà si trattiene per poco tempo negli States, facendo ritorno a Londra dopo qualche mese. Riemerge a sorpresa dall’oblio nei primi anni 2000 con un progetto multimediale chiamato The $urplus!. Anche qui Callahan si avvaleva di una partner femminile, la cantante Anja Buchuele, con cui pubblicò un eponimo EP che conteneva quattro canzoni che dovevano molto all’ultimo periodo dei Moonshake, ma con un approccio meno brutale e con l’apporto delle chitarre. la band tentò anche di sperimentare un approccio più garage con una line-up espansa, ma non pubblicò più niente finendo per sciogliersi. Nel 2004 la Buchuele ha contribuito alle parti vocali di due brani contenuti nell’inaspettato ritorno dei Bark Psychosis intitolato Codename: Dustsucker. Callahan dopo aver fatto il DJ per qualche tempo ha riformato i The Wolfhounds, inizialmente solo per alcuni concerti nel 2004 e nel 2006, ma successivamente per una vera e propria reunion nel corso del 2010. Si deve invece al bristoliano Christopher Cole (ex Movietone e Third Eye Foundation) il ripescaggio di Callahan che canta da par suo in alcune tracce dello splendido The Spectacular Nowhere, disco di oscura folk-tronica uscito nel 2015 a nome Manyfingers. Evidentemente i concerti e il disco con Cole erano stati una scintilla abbastanza forte per far tornare The Wolfhounds qualche anno più tardi in sala di incisione e pubblicare nel 2016 l’album Middle Aged Freaks. L’attuale formazione della band vede, oltre a Callahan, Andy Golding (chitarra e voce), Peter Wilkins (batteria) e Richard Golding (basso). Il terzo lavoro della nuova vita della band è uscito nel 2020 e si intitola Electric Music, un disco dove Callahan e Golding mostrano con le loro chitarre affilate, la visione di una Gran Bretagna divisa, una reazione allo snobismo e ai fallimenti all’interno del sistema politico britannico. La scrittura è emozionante, cupa, sincera e schiacciante come non mai.
Raymond Dickaty si unì agli Spiritualized con cui rimase fino al 2002. Successivamente studiò improvvisazione collaborando con The Duke Spirit, AMP, e Zukanican per poi formare una band in bilico tra free-jazz e rock fusion chiamata Solar Fire Trio. Nel 2009 si è trasferito in Polonia diventando contemporaneamente membro della Trifonidis Free Orchestra e della Tricphonix Streetband.
DISCOGRAFIA
Singles:
- First EP (1991, Creation Records)
- Secondhand Clothes EP (1991, Too Pure)
- “Beautiful Pigeon” (1992, Too Pure)
- “Lola Lola” b/w “Always True To You In My Fashion” (1995, Clawfist Singles Club)
- “Cranes” (1996, C/Z / World Domination)
Albums:
- Eva Luna (1992, Too Pure / 1993, Matador / Atlantic)
- Big Good Angel (Mini-album) (1993, Too Pure / Matador)
- The Sound Your Eyes Can Follow (1994, Too Pure / American)
- Dirty & Divine (1996, C/Z-BMG / World Domination)
- Remixes (1999, C/Z)
Compilation appearances:
- Beautiful Pigeon (1992, V/A “Independent Top 20 Volume 15”, Beechwood Music; the track Night Tripper also appeared on a 7″ single given away with the vinyl edition of this LP)
- Just A Working Girl (1994, V/A “Pop – Do We Not Like That?”, Too Pure)
- Nothing But Time (1995, V/A “Volume 16 – Copulation Explosion”)