Dan Friel torna alla guida degli Upper Wilds
“Jupiter” è l’ennesimo intenso viaggio planetario tra psichedelia, punk e noise
Photo Cover: Keith Marlowe
Sempre difficile mescolare rumore e melodia. Bisogna conoscere bene i materiali di partenza e miscelarli con grandissima cura nelle dosi corrette per ottenere risultati egregi perché il rischio che il risultato finale possa esplodere in malo modo è sempre altissimo. Ma quando l’alchimia funziona è sempre un piacere incredibile per le orecchie, come possono dimostrare le discografie di Hüsker Dü, Sugar o Dinosaur Jr. Dan Friel, cantante, chitarrista e compositore elettronico di Brooklyn, ha passato molti anni ad affinare le sue capacità chimiche, prima con i Parts & Labor poi come solista, per poi creare gli Upper Wilds, progetto che condivide con il bassista Jason Binnick e il batterista Jeff Ottenbacher.
Se il noise pop e in generale il perfetto equilibrio tra cataclismi sonori e orecchiabilità è la vostra cup of tea, il consiglio è di non perdere assolutamente il quarto album degli Upper Wilds. Altro che SpaceX!!! Elon Musk dovrebbe essere intimorito e geloso dalla velocità con cui Friel e compagni sono capaci di assemblare astronavi in grado di andare all’assalto sonico del sistema solare. Dopo Mars e Venus, ecco infatti arrivare Jupiter, disco breve ma estremamente intenso che tra melodie post hardcore ed effetti di chitarra densi e selvaggi si fa strada sempre più a fondo nella nostra galassia.
É talmente palese il richiamo all’universo e a ciò che succede nello spazio che il disco si apre con i saluti all’universo in 55 lingue (“Greetings”) e il programma prevede anche la cover di “Books About UFOs” proprio degli Hüsker Dü, leggermente rallentata e con il sax di Jeff Tobias dei Sunwatchers al posto del pianoforte che ricorderete nell’originale registrato per “New Day Rising”, a sancire il doppio legame del gruppo con il cosmo e con lo straordinario trio formato da Hart, Mould e Norton. Le tempeste di Giove aprono il programma con una “Permanent Storm” tesa e appiccicosa a mostrare la capacità di destreggiarsi tra riff potenti, cori in falsetto e la voce di Friel che ci avverte che in modo quasi melodioso di stare in campana perché la tempesta perenne sta arrivando.
Ancora suoni spaziali ad introdurre il ritmo incalzante di “Drifters” con la chitarra che si immedesima nelle sonde spaziali che vanno alla deriva apparentemente senza meta alla ricerca di un’indicazione per tornare a casa. E se i ritmi si rallentano con “Short Centuries”, che rende omaggio alla coppia di sposi più anziana della Terra, Julio Mora e Waldramina Quinteros, e alla capacità dell’amore di far passare i secoli velocemente (con i cori estatici delle voci ospiti di Katie Eastburn aka Katiee e del già citato Jeff Tobias), la lunga e trascinante jam psichedelica “10’9″”, con un ritmo quasi doom o stoner, paragona l’uomo più alto del mondo proprio a Giove, che da lassù strizza l’occhio a un mondo troppo piccolo. Il brano che da il titolo al disco è composto da accelerazioni brutali, di quelle che lasciano appiccicati al sedile della macchina, e da cori sguaiati che (immaginiamo) possano diventare trascinanti nella versione live, una modalità stop & go che viene messa in pratica con grande abilità.
I misteri del cosmo che si accavallano con storie di vita vissuta, una “Voyager” che procede a briglie sciolte come nelle migliori tradizioni indie-pop-noise, una “Infinity Drama” tutta inchiodate e ripartenze che ha come unico difetto quello di avere il titolo che (non so perché) mi ricorda drammaticamente qualcosa dei Muse. I rapidi riff galoppanti di “Radio To Forever” e la lenta strumentale “Cerberrat” chiudono un album davvero intenso e trascinante a dispetto della (scarsa) durata.
Il concept, se vogliamo chiamarlo così, poteva anche dare luogo a banalità clamorose: grandiose narrazioni interstellari e le storie di varia umanità che sembrano quasi sparire di fronte a un universo che sembra in continua espansione. Invece la chitarra trascinante e la voce melodica di Dan Friel, il basso roboante di Jason Binnick e la batteria incessante di Jeff Ottenbacher hanno dato vita ad una piccola epopea memorabile. “Jupiter”, registrato insieme a Travis Harrison nel suo studio Serious Business di Brooklyn (Guided By Voices, Dope Body, The Men), è una piccola grande sorpresa: 11 tracce trascinanti con la giusta dose di rumore e melodia e riff che restano appiccicate nella mente. Un album che sicuramente potrà apparire nelle classifiche di fine anno, e non solo di quelle degli amanti del genere.
TRACKLIST
1. Greetings 0:16
2. Permanent Storm 3:22
3. Drifters 4:16
4. Short Centuries 3:33
5. 10’9″ 6:56
6. Jupiter 3:38
7. Voyager 3:47
8. Infinity Drama 3:08
9. Books About UFOs 2:32
10. Radio To Forever 2:17
11. Cerberrat 1:41