L’ultima avventura in musica di Sounds & Grooves della 17° Stagione di RadioRock.TO The Original
Nel diciannovesimo episodio stagionale di Sounds & Grooves andremo avanti ed indietro nel tempo per augurarvi una splendida estate
Torna l’appuntamento quindicinale di Sounds & Grooves che per il 17° anno consecutivo impreziosisce (mi piace pensarlo) lo straordinario palinsesto di www.radiorock.to. A pensarci è incredibile che sia passato già così tanto tempo da quando abbiamo iniziato questa folle ma fantastica avventura. Come (credo) già sapete, la nostra podradio è nata per dare un segnale di continuità con il passato, con quella meraviglia che Franz Andreani, Marco Artico, Flavia Cardinali, Massimo Di Roma, Michele Luches, Aldo Semenuk, Giampiero Crisanti, Gianpaolo Castaldo avevano creato e a cui, nel mio piccolo, ho provato a dare un contributo dal 1991 al 2000. Sappiamo tutti benissimo che la Radio Rock in FM come la intendevamo noi è sparita da almeno due decenni, ma in tutti questi anni di podcast sul web abbiamo cercato di tenere accesa quella fiammella per poi tentare di moltiplicarla, facendola diventare un faro di emozioni e qualità musicale. Perché la passione e la voglia di fare radio, la voglia di ascoltare e di condividere la musica di qualità, nonostante tutto, non ci è mai passata. Questa creatura dopo più di 3 lustri continua orgogliosamente a remare controcorrente, cercando quella libertà in musica che nell’etere è ormai diventata una mosca bianca, ed esprimendo con forza la passione per la condivisione, per la ricerca, per l’approfondimento. Non dobbiamo aderire ad una cieca linea editoriale che ormai spinge esclusivamente il pulsante play dei servizi di streaming, ma ci lasciamo guidare semplicemente dal nostro cuore e dalla nostra passione. Fulvio Savagnone, Marco Artico, Giampiero Crisanti, Franz Andreani, Flavia Cardinali, Francesco Cauli, Ivan Di Maro, Massimo Santori aka Moonchild, Maurizio Nagni ed io proviamo ogni giorno a coinvolgervi con i nostri podcast regolari e con le rubriche tematiche di approfondimento, sperando di farvi sentire sempre di più parte di questa fantastica avventura.
Questo episodio di Sounds & Grooves sarà l’ultimo della 17° stagione di radiorock.to prima della pausa estiva. All’interno troverete il ripescaggio dei meravigliosi Human Switchboard, il folle caleidoscopio sonoro dei Fiery Furnaces, il ritorno degli energetici Wolfhouds e il primo straordinario episodio solista di un grande artista come David Lance Callahan. Andremo anche a ripescare il meraviglioso calderone di stili che hanno reso immortali i Minutemen, le suggestioni sonore dei Red Krayola e della straordinaria coppia David Byrne-Brian Eno. Troverete il lirismo malinconico ed affascinante di Mark Eitzel da solo e con gli American Music Club, il grande ritorno degli Everything But The Girl e l’ultimo lavoro solista di Ben Watt. Il finale sarà dedicato alla scrittura straordinaria, ironica e malinconica di David Berman con i suoi progetti Purple Mountains e Silver Jews e un ennesimo tributo a Mimi Parker dei Low con una delle canzoni più oniriche del duo di Duluth. Il tutto, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to. A tutti voi l’augurio di passare una splendida estate!!! Le trasmissioni riprenderanno l’11 settembre con l’ottimo Ivan Di Maro.
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Ogni tanto è necessario fare un passo indietro e andare a trovare artisti che hanno lasciato un segno indelebile pur nella brevità della loro carriera artistica. Era il 1981 quando un trio di Cleveland, Ohio (città famosa per aver dato i natali a entità luminose nel firmamento del rock come Pere Ubu o The Residents), attivo da qualche anni, gli Human Switchboard, dava alle stampe il suo primo ed unico lavoro intitolato Who’s Landing In My Hangar? Bob Pfeifer (chitarra e voce) appassionato da sempre del lavoro di Lou Reed aveva conosciuto Myrna Marcarian (organo e voce) si erano conosciuti presso l’Università di Syracuse e avevano deciso di condividere le loro passioni musicali creando una band che potesse esprimere gli amori passati e presenti dei componenti. Prendevano un po’ dai Velvet Underground, un po’ dal post punk, l’uso dell’organo dai Doors.
Amavano la psichedelia ed il punk, e ne hanno creato una versione quasi unica, con l’organo Farfisa che riempiva il varchi lasciati aperti dalla chitarra e dalla batteria del terzo componente del gruppo, Ron Metz. Who’s Landing In My Hangar? è un album meraviglioso da riscoprire, pubblicato all’epoca dalla Faulty Records, sussidiaria della nota I.R.S. di Miles Copeland. Precede di poco l’esplosione del Paisley Underground e si pone come man in the middle tra quella riscoperta della psichedelia da una parte, e le ultime propaggini del punk già mutato in new wave dall’altra. “In This Town” è una delle perle di un disco e una band assolutamente da riscoprire visto che sono stati ristampati recentemente da un’etichetta come la Fat Possum.
Proseguiamo il podcast lasciando andare la fantasia a briglie sciolte. I fratelli Eleanor e Matthew Friedberger nascono a Chicago e dopo varie peregrinazioni per l’Europa si trasferiscono a Brooklyn. I due sviluppano sin da subito la loro straordinaria abilità nel mettere insieme il loro istinto garage e l’amore per il blues in una sorta di gioiose minisuites mutanti, dove poter liberare la loro viscerale creatività sotto il nome di The Fiery Furnaces. Blueberry Boat è il loro secondo album, forse il più riuscito, dove l’amore per gli scioglilingua e per le scatole cinesi li porta ad intraprendere un viaggio unico dove all’interno di una singola canzone se ne incastrano molte altre.
Ascoltate per esempio “Chris Michaels”, una dei migliori del disco. Il brano parte sembrando un classico rock’n’roll, per poi impennarsi in incredibili distorsioni psichedeliche e infine chiudersi come una languida ballata per pianoforte. Dal 2011 dopo otto album in studio e uno dal vivo, i due hanno abbandonato il progetto per dedicarsi ad esperienze soliste, non di rado di buona fattura, come i due album di Eleanor che dimostra una volta in più come fosse lei l’anima pop del duo. Da tre anni a questa parte i due sembrano essersi riuniti sotto la vecchia ragione sociale, firmando addirittura un contratto per la Third Man Records di Jack White.
Nella seconda metà degli anni 80 una band chiamata The Wolfhounds aveva pubblicato una manciata di album e numerosi singoli che avevano ottenuto un discreto successo grazie al loro pop abrasivo fondato sulle chitarre e legato alla scena C86, visto che avevano fatto parte della storica compilation messa in piedi dal New Musical Express nel 1986. Dopo lo scioglimento della band avvenuto nel 1990 dopo l’uscita di Attitude, il cantante e chitarrista David Callahan aveva deciso di formare una nuova band, si, proprio quei Moonshake di cui abbiamo parlato in precedenza. Dopo lo scioglimento di questi ultimi Callahan si prese qualche anno sabbatico trasferendosi negli USA.
Ma il richiamo di casa era troppo forte, e Callahan, tornato in patria, prima formò insieme alla cantante Anja Buechele i The $urplus!, poi, nel 2005, decise di riformare i The Wolfhounds per alcuni eventi live. L’adrenalina di risalire sul palco ha avuto l’effetto di una scintilla tanto luminosa da far tornare la band qualche anno più tardi in sala di incisione per incidere un nuovo album intitolato Middle Aged Freaks. Ormai la band è ufficialmente di nuovo insieme e l’attuale formazione vede, oltre a Callahan e allo storico sodale Andy Golding (chitarra e voce), Peter Wilkins (batteria) e Richard Golding (basso). Il terzo lavoro della nuova vita della band è uscito nel 2020 e si intitola Electric Music, un disco dove Callahan e Golding ci mostrano, grazie alle loro chitarre affilate e ai testi lucidi e impegnati, la visione di una Gran Bretagna divisa, una reazione allo snobismo e ai fallimenti all’interno del sistema politico britannico. La scrittura è emozionante, cupa, sincera e schiacciante come non mai e “Lightning’s Going To Strike Again” un brano davvero trascinante.
Lo scoppio della pandemia ed il successivo lockdown hanno fatto trovare all’ex leader dei Wolfhounds (di cui abbiamo appena parlato) Moonshake (band cardine del post-rock britannico dei ’90) David Lance Callahan il tempo di mettere mano ad una serie di canzoni cui stava lavorando da molto e di scriverne delle nuove. Per dirla con le parole dello stesso autore “durante l’isolamento non c’era molto altro da fare se non recuperare i miei libri, filmare e scrivere canzoni”. Tutto questo ha portato l’inglese a registrare il materiale che compongono English Primitive (previsto in due volumi). A fine 2021 è uscito l’atteso esordio solista, e la prima parte di English Primitive non ha deluso le attese, mostrando un autore maturo e poliedrico, capace di mettere in musica la visione di una Gran Bretagna divisa, una reazione allo snobismo e ai fallimenti all’interno del sistema politico britannico. La scrittura è emozionante, cupa, sincera e schiacciante come non mai.
Il disco non è un concept, ma a Callahan il titolo suonava bene in testa in quanto sembrava adattarsi al suo modo da “non-musicista” di comporre e suonare, e, più in generale, anche alla cultura e alla politica inglese che sembra aver toccato il fondo come nell’epoca post colonizzazione con la controversa gestione della pandemia e gli appalti di parti dell’NHS a compagnie private. “Born Of The Welfare State Was I” con la sua melodia e la perfetta fusione delle voci dell’autore e di Katherine Mountain Whitaker (dei misconosciuti Evans The Death) mostra l’orgoglio di essere nato in un’epoca in cui esiste lo stato sociale, grande conquista che va a beneficiare non più solo i più abbienti ma un’intera società. La visione del mondo di Callahan è un po’ malinconica ma ottimista, espressa da una schiera di musicisti scelti con cura, come il sodale batterista Daren Garratt (Pram, The Fall, The Nightingales) e il trombettista e flautista Terry Edwards (amico di gioventù ed ex collaboratore dei Moonshake). Con questo album Callahan mostra a tutti il proprio talento di musicista e narratore che già avevamo visto ed apprezzato con Moonshake e The Wolfhounds, e il valore di queste sette tracce è talmente alto da farsi (quasi) perdonare l’inspiegabile trentennale silenzio che l’artista ha reiterato prima di rivelarsi come solista. Lo straordinario secondo volume non ha fatto altro che confermare la qualità altissima della proposta di Callahan.
Mondi che si scontrano con fragore: proto-punk, hardcore, free jazz, power pop, musica sperimentale, funk, soul, rock psichedelico e il primo trip di acidi tutto insieme. Il trio più memorabile e creativo a memoria d’uomo, quello formato dalla voce e dalla chitarra di D.Boon, dal basso rutilante di Mike Watt e dalla batteria di George Hurley. I Minutemen hanno frullato decenni di musica servendoli in un unico meraviglioso e prezioso scrigno intitolato Double Nickels On The Dime. I tre di San Pedro (porto di Los Angeles) hanno condensato in 43 (!) brani tutta la loro esplosività, abbandonando in parte l’hardcore degli inizi per approdare ad un suono caleidoscopico e trascinante, dove la ritmica funk si sposa con il calor bianco dell’hardcore, lasciando un piccolo spazio anche per il folk, in un esplicitare i più disparati generi musicali che non risulta mai ne dispersivo ne disomogeneo.
L’album è uno dei più innovativi del rock (ascoltate la trascinante “The Glory Of Man”) e chissà dove i tre ci avrebbero portati se la carriera del gruppo non si fosse drammaticamente conclusa con la morte di Boon in un incidente con un furgoncino in Arizona il 22 dicembre 1985, a soli 27 anni. A seguito della morte di Boon, né Watt né Hurley avevano intenzione di continuare a suonare. Ma, incoraggiati da un fan del gruppo formarono i fIREHOSE nel 1986 insieme all’allora ventiduenne Ed Crawford, chitarrista e fan dei Minutemen. Tra i progetti paralleli di Watt c’è da annoverare quello insieme ai nostri Stefano Pilia e Andrea Belfi chiamato Il Sogno Del Marinaio.
In Texas c’era stato nel 1966 il primo sussulto garage rock psichedelico texano, con l’esordio dei 13th Floor Elevators. Mayo Thompson (chitarra) insieme a Steve Cunningham (basso) e Rick Barthleme (batteria) attinge a piene mani dalle visioni dovute dall’uso smodato dell’LSD per creare un universo parallelo circondato da un’atmosfera irreale, dove la classicità del rock viene sommersa da una serie infinita di composizioni improvvisate con sottofondo di rumori vari denominata Free Form Freak-Out, lasciandola affiorare in superficie solo a tratti. The Red Crayola esordiscono nel 1967 con The Parable Of Arable Land, uno sconvolgente sballo primordiale costituito da 6 brani, separati da strumentali improvvisati in maniera selvaggia. Thompson riemerge alla fine dei ’70 e negli anni ’80 collaborando con i Pere Ubu e pubblicando saltuariamente a nome Red Krayola.
Negli anni ’90 Thompson ha trovato un nuovo pubblico, che si è avvicinato al suo gruppo attraverso musicisti associati alla scena post-rock di Chicago, e in particolare all’etichetta Drag City, che si sono uniti alla band per una serie di uscite. Tra gli altri: Jim O’Rourke e David Grubbs dei Gastr Del Sol, Stephen Prina, il pittore tedesco Albert Oehlen, George Hurley (ex Minutemen e Firehose) e John McEntire dei Tortoise. L’EP Red Gold esce a stretto giro di posta dopo l’album Introduction con la stessa formazione (John McEntire alla batteria e synth, Stephen Prina alla chitarra e tastiere, Tom Watson al basso oltre allo stesso Thompson), e mostra un consolidamento di scrittura, elegante e scura, amplificata dalla splendida fisarmonica di Charlie Abel. “Oh I Was Bad” mostra un gruppo che sembra pronto a pubblicare nuove meraviglie, invece Red Gold sarà (almeno per ora) il loro canto del cigno.
Alla fine degli anni ’70 Brian Eno ha già prodotto due lavori dei Talking Heads e condivide con David Byrne l’amore per il musicista nigeriano Fela Kuti. I due iniziano a sperimentare con poliritmi africani, funk ed elettronica, registrando brani strumentali come una serie di grooves in loop. Questo esperimento sonoro, che troverà poi compimento nello straordinario Remain In Light dei Talking Heads, viene messo nero su bianco in un album sperimentale e collaborativo tra Eno e Byrne intitolato My Life In The Bush Of Ghosts che, paradossalmente, verrà pubblicato (per motivi che tra poco spiegheremo) solo un anno dopo lo splendido quarto album dei Talking Heads. Brian Eno ha descritto il disco come una sorta di “visione di un’Africa psichedelica”. Piuttosto che il canto pop o rock convenzionale, la maggior parte delle voci sono campionate da altre fonti, come registrazioni commerciali di cantanti arabi, disc jockey radiofonici e addirittura un esorcista!
I due musicisti avevano già utilizzato tecniche di campionamento simili, ma mai con un effetto così devastante. Il titolo dell’album deriva dal romanzo omonimo del 1954 di Amos Tutuola. Secondo le note di copertina di Byrne del 2006, né lui né Eno avevano letto il romanzo, ma ritenevano che il titolo “sembrasse racchiudere l’argomento di questo disco”. Proprio l’uso dei campionamenti, e i problemi sui diritti legali, sono stati la causa del ritardo con cui è uscito l’album che ha visto la luce solo nel febbraio del 1981. Poco dopo la pubblicazione, il Consiglio islamico della Gran Bretagna si oppose all’uso di campioni di recitazione del Corano nel brano “Qu’ran”, considerandolo blasfemo. Byrne ed Eno rimossero il brano dalle stampe successive. Nella “The Carrier” inserita in scaletta, troviamo la voce campionata del cantante libanese Dunya Younes. Sebbene Byrne ed Eno si siano preoccupati di autorizzare i campionamenti con l’etichetta che aveva pubblicato l’album da cui erano state campionate le voci, e abbiano pagato di conseguenza il campionamento, sembrerebbe che Younes sia rimasto ignaro che la sua voce sia stata usata nell’album fino al 2017. In ogni caso, si tratta di un disco fondamentale, un ponte tra oriente ed occidente, che ha avuto un’influenza enorme sulle generazioni successive di musicisti.
Andiamo adesso ad occuparci della carriera solista di Mark Eitzel. Dopo l’uscita di San Francisco, che nel 1994 decretò la fine (momentanea) del progetto American Music Club, il songwriter californiano si concentrò sulla sua carriera solista. Due anni più tardi, in compagnia a San Francisco in compagnia dei fidi Bruce Kapham e Daniel Pearson e di Simon White e Mark Isham, con la supervisione di Mark Needham, Eitzel registrò quello che può essere definito come il suo esordio solista, 60 Watt Silver Lining che si rivela uno scrigno pieno di incredibili e preziose gemme dove da sfoggio di eleganti atmosfere, splendide melodie e pezzi estremamente trascinanti ed emozionanti.
Nel 2017, dopo cinque anni di silenzio, l’ex leader degli American Music Club, aiutato dall’ex Suede Bernard Butler (che oltre a produrre e registrare ha anche suonato e arrangiato basso, chitarra e batteria), ha dato alle stampe questo Hey Mr Ferryman che si rivela uno scrigno pieno di splendide melodie, pezzi estremamente trascinanti ed emozionanti, come la fantastica apertura chiamata “The Last Ten Years”. Un ritrovamento inaspettato, un autore che andrebbe riscoperto per i suoi grandi meriti di interprete e di scrittore. Encomio a parte andrebbe fatto per le liriche, sempre argute, ispirate e estremamente a fuoco, con una dedica al compianto Jason Molina.
Visto che li abbiamo appena citati, Mark Eitzel ha fondato gli American Music Club nel 1983 a San Francisco insieme al chitarrista Scott Alexander, al batterista Greg Bonnell ed al bassista Brad Johnson. La formazione della band venne stravolta prima dell’esordio del 1985 The Restless Stranger. Insieme al leader troviamo infatti la chitarra di Mark “Vudi” Pankler, il basso di Danny Pearson, le tastiere di Brad Johnson e la batteria di Matt Norelli. Il secondo album degli American Music Club, Engine, viene pubblicato nel novembre del 1987 e mostra ancora una volta l’inquietudine del suo leader, un poeta i cui versi ci conducono in un viaggio interiore fatto di tormenti, di piccole scoperte, di letti disfatti, di grandi sconfitte e piccole vittorie.
Il loro universo musicale si rispecchia in un suono che parte da una solida impostazione folk-rock che, grazie anche all’innesto del produttore Tom Mallon come secondo chitarrista, riesce ad assecondare al meglio le visioni create dal malessere esistenziale di Eitzel, sia nella ballate più psichedeliche sia nei brani più tirati come la splendida “Outside This Bar”. Dopo dieci anni di silenzio il gruppo era tornato nel 2004 in ottima forma pubblicando Love Songs For Patriots. Nonostante sia ancora in attività, è dal 2008 che il gruppo non fa uscire nuova musica.
Tracey Thorn e Ben Watt sono due songwriters che hanno le stesse radici ben piantate in un terreno di folk crepuscolare ed intimista. la prima con le Marine Girls, il secondo che da solista aveva dato alle stampe nel 1983 lo splendido North Marine Drive. Il loro incontro fu importante per la loro professione e per la loro vita privata. Sul palco come Everything But The Girl e nella vita come marito e moglie. Le loro voci (straordinaria quella di Tracey) e le loro capacità compositive hanno dato vita ad un progetto che dalla prima uscita si rivela estremamente importante. Eden è un disco composto e suonato in punta di piedi, in equilibrio perfettamente dosato tra folk, jazz, pop. Un disco di una delicatezza e classe straordinari, una sequenza di gemme senza alcun momento di stasi.
Più tardi troveremo la voce di Tracey nella jazzata “The Paris Match” inserita nel classico Cafè Bleu degli Style Council e nel decennio successivo nella title track di Protection dei Bristoliani Massive Attack, preludio alla svolta elettronica del duo che gli ha regalato grande popolarità, soprattutto con brani come “Missing”, grazie anche alla versione remixata dal Dj Todd Terry. 24 anni dopo Temperamental, album del 1999, il duo si ripresenta a sorpresa proprio ad aprile di quest’anno con un nuovo lavoro intitolato Fuse. Come per molti album usciti in questo periodo, è stato in qualche modo la pandemia ad “ispirare” i due a comporre di nuovo insieme qualcosa che potesse rappresentarli nel 2023. Il disco non è un capolavoro, ma la capacità compositiva della coppia riesce a fargli tirare di nuovo alcuni assi dalla manica, come la ispiratissima ed intensa “Run A Red Light”. Bentornati!!!!
Ben Watt, come detto prima metà degli Everything But The Girl, inizia a registrare nel 1981 con l’etichetta indie Cherry Red. Il suo primo singolo “Cant” è prodotto dal folk-maverick Kevin Coyne e vede la partecipazione di Richard Allen alla viola e al tamburello. La sua seconda pubblicazione, l’EP di 5 tracce Summer Into Winter del 1982, vede la partecipazione di Robert Wyatt alla voce e al pianoforte. Il suo album di debutto North Marine Drive viene pubblicato nel 1983 e raggiunge la Top 10 della UK Independent Album Charts. Dopo questo splendido debutto Watt unisce le proprie forze a quelle della futura moglie Tracey Thorn veicolando il proprio talento esclusivamente al progetto Everything But The Girl.
La sua prima autobiografia Patient – The True Story of a Rare Illness (Penguin, 1996), descrive il suo calvario con la sindrome di Churg-Strauss, una rara malattia autoimmune potenzialmente letale che gli è stata diagnosticata e che lo ha costretto ad un lungo ricovero nel 1992. Dopo lo stop del progetto EBTG Watt si è immerso nel mondo della musica elettronica underground sia come DJ che come artista/produttore prima di tornare alle sue radici folk-jazz pubblicando nel 2014 Hendra, il suo primo album da solista dal 1983, registrato con una nuova band che comprende l’ex leader dei Suede Bernard Butler. Tre anni fa Watt ha pubblicato il suo quarto lavoro in studio, Storm Damage, un album crepuscolare ed intimista, come dimostra l’intensa e splendida “Summer Ghost”.
L’ho fatto molto poco in passato, ma è cosa buona e giusta ricordare un talento cristallino come David Berman. Nel 1985 Berman frequentava l’Università della Virginia facendo comunella soprattutto con altri due ragazzi chiamati Stephen Malkmus e Bob Nastanovich. Trasferiti a Hoboken, New Jersey i tre iniziarono a lavorare in alcune gallerie d’arte e da un pezzo d’arte concettuale chiamato Silver Jewelry uscì fuori il nome della band, Silver Jews. In realtà Berman è rimasto l’unico punto fermo del gruppo visto che gli altri due andarono quasi parallelamente a creare i Pavement. In realtà Malkmus e Nastanovich fanno parte della formazione che registra l’esordio Starlite Walker, uscito nel 1994 insieme al secondo abum dei Pavement. Berman si guadagna presto rispetto e credibilità nel mondo dell’indie-alternative statunitense dagli anni Novanta in poi.
Personaggio sarcastico e fragile, Berman per gran parte della sua carriera ha scelto di non andare in tour e di non rilasciare interviste. Una vita fragile, segnata dalla dipendenza dall’alcool e dal rapporto difficilissimo con il padre, l’ex lobbista Richard Berman. Attraverso canzoni e poesie e disegni, Berman aveva pensato di poter trovare e costruire un rifugio lontano da tutto quello di male che aveva costruito il padre. I suoi racconti in musica risultano malinconici anche quando sfoggiano uno sghembo incedere allegro e spesso parlano di sconfitte e della desolazione di un certo tipo di America, suonati con un linguaggio tra folk e lo-fi come nella splendida “Time Will Break The World” tratta dal quarto album in studio della band intitolato Bright Flight.
Berman rimase sempre l’unico punto fermo uin un gruppo in cui i musicisti erano in continua rotazione. Anche la musica suonata effettuava piccole variazioni dal country al power pop almeno fino al 2009, anno in cui Berman annunciò la fine dei Silver Jews e il suo ritiro dall’attività musicale, ritenendo il suo percorso giunto al termine e preferendo concentrarsi sulle sue passioni per la scrittura, il fumetto e la poesia. Dopo 10 anni di silenzio, nel 2019, ecco Berman effetttuare un clamoroso ritorno alla musica, con un nuovo progetto con Jeremy Earl dei Woods chiamato Purple Mountains. Il disco del nuovo corso, autointitolato, è una sorta di agrodolce ritorno a casa, un Berman con la ferita ancora aperta della separazione dalla moglie Cassie che torna a raccontare le sue storie.
Disilluso, dolente, con un sorriso sarcastico impercettibilmente dipinto sul volto, con i titoli dell’album a dipingere tutto il freddo ed il buio intorno a lui, come la “That’s Just The Way That I Feel” inserita in scaletta. Un disco apparentemente leggero ma incredibilmente profondo e di una bellezza straziante, un disco che si sperava fosse comunque un nuovo inizio per David Berman visto che stavolta era in programma addirittura un tour con i Purple Mountains. E invece, nemmeno un mese dopo la pubblicazione dell’album, il 7 agosto 2019, il corpo di Berman è stato trovato nel suo appartamento di Brooklyn. L’artista aveva già provato a togliersi la vita nel 2003 con un mix di cocaina, alcool e tranquillanti, ma stavolta, purtroppo, il tentativo di suicidio è riuscito, privandoci di un artista straordinario sconfitto dai suoi demoni.
Volevo chiudere l’ultimo podcast della stagione con il tributo ad un’artista e (non ho dubbi) una persona straordinaria. Tre anni fa, colpito dall’intensità emotiva di Double Negative e dal fatto che finalmente facevano tappa a Roma, mi ero recato all’Auditorium della capitale per vedere per la prima volta i Low dal vivo. Ero rimasto sbalordito non solo dalla capacità del trio di controllare rumore e melodie in modo così apparentemente totale, ma soprattutto dalla naturalezza e semplicità da parte dei tre musicisti davvero incredibile. Mi aveva quasi commosso l’essere così sinceramente grato, felice e quasi in imbarazzo da parte di un musicista che calca i palcoscenici da 25 anni come Alan Sparhawk, e allo stesso tempo la timida tenerezza della consorte Mimi Parker che, dopo aver cantato in maniera angelica e suonato i (pochi) tamburi davanti a se con precisione e tribalismo quasi “tuckeriano”, si era concessa solo un veloce saluto con la mano quasi imbarazzato prima di sparire subito dietro al pannello a led posizionato dietro al suo drumkit.
E allora sono tornato indietro a ripescare una delle canzoni che più mi aveva colpito nella versione live, con il fascino enorme dell’alternarsi delle voci dei coniugi di Duluth. “Lies” è tratto da Ones And Sixes, disco che non raggiunge l’intensità emotiva del successore (Double Negative) ma che è capace, come sempre, di regalare momenti di assoluta magia. Una band che quando riesce ad entrare nel cuore e nell’anima poi non ne esce più, un’artista che con la sua voce celestiale, i suoi precisi colpi di tom e la sua sensibilità ci mancherà da morire. Ciao Mimi.
Un grazie speciale va, come sempre, a Franz Andreani per la sua passione, la gestione di questa banda di pazzi e per la splendida riorganizzazione del sito già attiva da qualche anno. A cambiare non è stata solo la versione grafica del sito, ma anche la “filosofia” della podradio, con le rubriche che vanno ad integrarsi nella programmazione regolare sotto l’hashtag #everydaypodcast. Sulla nostra pagina Facebook troverete quotidianamente ogni upload del sito e, ormai da tempo, è attivo anche lo splendido canale YouTube della Radio, una nuova formula senza interruzioni ne spot per ascoltare la vostra-nostra musica preferita. Iscrivetevi numerosi, vi aspettiamo!
Le trasmissioni di radiorock.to riprenderanno lunedì 11 Settembre con Ivan Di Maro, il primo Episodio di Sounds & Grooves per la 18 stagione lo troverete invece online venerdì 22 Settembre. A tutti voi l’augurio di passare una splendida estate!!!
Intanto se volete potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, criticare (perché no), o proporre nuove storie musicali. Mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web. Potete anche scrivere a stefano@stefanosantoni14.it
Se volete ascoltare o scaricare il podcast, potete farlo anche dal sito della PodRadio cliccando sulla barra qui sotto. Buon Ascolto
TRACKLIST
01. HUMAN SWITCHBOARD: In This Town da ‘Who’s Landing In My Hangar?’ (1981 – Faulty Products)
02. THE FIERY FURNACES: Chris Michaels da ‘Blueberry Boat’ (2004 – Rough Trade)
03. WOLFHOUNDS: Lightning’s Going To Strike Again da ‘Electric Music’ (2020 – A Turntable Friend)
04. DAVID LANCE CALLAHAN: Born Of The Welfare State Was I da ‘English Primitive I’ (2021 – Tiny Global Productions)
05. MINUTEMEN: The Glory Of Man da ‘Double Nickels On The Dime’ (1984 – SST Records)
06. THE RED KRAYOLA: Oh I Was Bad da ‘Red Gold EP’ (2006 – Drag City)
07. BRIAN ENO – DAVID BYRNE: Regiment da ‘My Life In The Bush Of Ghosts’ (1981 – EG / Polydor)
08. MARK EITZEL: The Last Ten Years da ‘Hey Mr Ferryman’ (2017 – Merge Records)
09. AMERICAN MUSIC CLUB: Outside This Bar da ‘Engine’ (1987 – Frontier Records)
10. EVERYTHING BUT THE GIRL: Run A Red Light da ‘Fuse’ (2023 – Buzzin’ Fly Records / Virgin)
11. BEN WATT: Summer Ghost da ‘Storm Damage’ (2020 – Unmade Road)
12. PURPLE MOUNTAINS: That’s Just The Way That I Feel da ‘Purple Mountains’ (2019 – Drag City)
13. SILVER JEWS: Time Will Break The World da ‘Bright Flight’ (2001 – Drag City)
14. LOW: Lies da ‘Ones And Sixes’ (2015 – Sub Pop)
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SEASON 17 EPISODE 19: “Summer Ghosts” [Podcast] https://t.co/3XgpZk3RrP L'ultimo #podcast per la 17 stagione di @RadiorockTO ci risentiamo a settembre
— SoundsAndGrooves (@SoundsGrooves) July 19, 2023