Le avventure in musica di Sounds & Grooves proseguono nella 17° Stagione di RadioRock.TO The Original
Nel sedicesimo episodio stagionale di Sounds & Grooves troverete mostri sacri come Sonic Youth e John Cale, alcune novità e molte meraviglie assortite
Torna l’appuntamento quindicinale di Sounds & Grooves che per il 17° anno consecutivo impreziosisce (mi piace pensarlo) lo straordinario palinsesto di www.radiorock.to. A pensarci è incredibile che sia passato già così tanto tempo da quando abbiamo iniziato questa folle ma fantastica avventura. Come (credo) già sapete, la nostra podradio è nata per dare un segnale di continuità con il passato, con quella meraviglia che Franz Andreani, Marco Artico, Flavia Cardinali, Massimo Di Roma, Michele Luches, Aldo Semenuk, Giampiero Crisanti, Gianpaolo Castaldo avevano creato e a cui, nel mio piccolo, ho provato a dare un contributo dal 1991 al 2000. Sappiamo tutti benissimo che la Radio Rock in FM come la intendevamo noi è sparita da almeno due decenni, ma in tutti questi anni di podcast sul web abbiamo cercato di tenere accesa quella fiammella per poi tentare di moltiplicarla, facendola diventare un faro di emozioni e qualità musicale. Perché la passione e la voglia di fare radio, la voglia di ascoltare e di condividere la musica di qualità, nonostante tutto, non ci è mai passata. Questa creatura dopo più di 3 lustri continua orgogliosamente a remare controcorrente, cercando quella libertà in musica che nell’etere è ormai diventata una mosca bianca, ed esprimendo con forza la passione per la condivisione, per la ricerca, per l’approfondimento. Non dobbiamo aderire ad una cieca linea editoriale che ormai spinge esclusivamente il pulsante play dei servizi di streaming, ma ci lasciamo guidare semplicemente dal nostro cuore e dalla nostra passione. Fulvio Savagnone, Marco Artico, Giampiero Crisanti, Franz Andreani, Flavia Cardinali, Francesco Cauli, Ivan Di Maro, Massimo Santori aka Moonchild, Maurizio Nagni ed io proviamo ogni giorno a coinvolgervi con i nostri podcast regolari e con le rubriche tematiche di approfondimento, sperando di farvi sentire sempre di più parte di questa fantastica avventura.
Il sedicesimo viaggio partirà con partirà con una delle band più influenti della storia del rock come i Sonic Youth, proseguendo con il suono ottundente degli Swans e il ritorno di un maestro come John Cale in combutta con i sempre ispirati Fat White Family che seguiranno a ruota. Troverete anche il talento potente di un’ispirata KY, nuova arrivata in casa Constellation, il post-punk alternativo degli Squid in attesa del nuovo album, le traiettorie sghembe degli Ought e quelle lineari e trascinanti dei Dinosaur Jr. Fortissime emozioni arriveranno con Daniel Johnston e Sparklehorse e con il cantautorato senza tempo di Shawn Phillips. Il finale sarà appannaggio di un Peter Gabriel di annata, la malinconia virato seppia dei Red House Painters e il nuovo, splendido, Blood Quartet. Il tutto, come da ben 16 anni a questa parte, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
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Prima di partire con questo viaggio in musica potete effettuare il download del podcast anche nella versione a 320 kb/s semplicemente cliccando sul banner qui sotto.
Iniziamo il podcast con un gruppo che è stato influenza fondamentale su varie generazioni di rock americano e non solo come i Sonic Youth. Kim Gordon, Thurston Moore, Lee Ranaldo e Steve Shelley, pur partendo dall’avanguardia newyorchese, non hanno davvero mai ripudiato il formato della canzone rock, sperimentando, usando gli strumenti in modo totale (soprattutto grazie ad un grande uso di effettistica e accordature inusuali a rendere unico il suono della chitarra), e diventando di fatto una vera e propria istituzione della scena alternativa americana e mondiale. É sempre difficile scegliere un album dalla loro lunga e preziosa discografia. Stavolta la scelta è caduta su Bad Moon Rising, secondo album in studio del quartetto, che già dalla copertina, che mostra uno spaventapasseri con una zucca di Halloween in fiamme al posto della testa.
Sullo sfondo un tramonto dai colori inquietanti lascia presagire uno scenario non propriamente idilliaco. Il disco, uscito nel 1985, è una sorta di concept sulla paura, sulla morte e sulla follia, esplorando paesaggi sonori più oscuri e dissonanti, riflettendo l’interesse crescente della band per la musica avanguardista ed sperimentale. Non ci sono quasi mai pause tra i brani, che hanno come caratteristica i muri di feedback e i ritmi pesanti, l’arpeggio di chitarra di “Intro” illude l’ascoltatore che verrà presto inghiottito dalla pesantezza e dalle dissonanze di “Brave Men Run (In My Family)”. Il disco sarà anche l’ultimo del batterista Bob Bert, che sarà sostituito da Steve Shelley.
Il podcast continua mantenendo atmosfere cupe, tenebrose e andando a riscoprire un lavoro monumentale con cui Michael Gira aveva inaugurato l’ennesima nuova era della sua creatura: gli Swans. The Seer è il primo di un trittico dalla durata complessiva esorbitante che comprenderà anche To Be Kind e The Glowing Man. Tre album usciti in doppio cd e triplo vinile, con pochi brani che si aggirano intorno ai 5 minuti, mentre le restanti vanno dai 15 ai 28 minuti. La rodata (anche dal vivo) catarsi stratificata e ascendente dei musicisti coinvolti aveva colpito di nuovo nel segno, chiudendo il cerchio di questa formazione degli Swans. A “Lunacy”, con l’apporto di Alan Sparhawk e Mimi Parker dei Low, era stato assegnato il compito di aprire un album che tra colpi ossessivi e stimolanti esperienze sonore non avrebbe mai potuto lasciarci impassibili.
Riascoltare poi la voce di Mimi Parker è sempre una faccenda terribilmente emozionante. A distanza di sei mesi dalla sua scomparsa si fa davvero fatica a digerire l’enormità della perdita di Mimi per tutto il mondo della musica. Gira successivamente aveva sciolto la formazione della band capace di registrare questa trilogia monstre, lasciando al documentario ‘Where Does a Body End?’ il compito di traghettare il nome degli Swans verso il posto che merita nella storia culturale e musicale degli ultimi 35 anni. L’uscita di Leaving Meaning nel 2019 ha confermato (se ce ne fosse ancora bisogno) la capacità incredibile di Michael Gira di risorgere sempre meravigliosamente dalle proprie ceneri. Gira ha da poco annunciato l’uscita di un nuovo album degli Swans intitolato The Beggar, la cui pubblicazione è prevista per il 23 giugno.
Andiamo avanti con il podcast andando a trovare un’altra pietra miliare della storia del rock. Il gallese John Cale, noto ai più per essere stato membro fondatore dei The Velvet Underground, ha sviluppato negli anni una carriera solista che lo ha portato a sperimentare con una vasta gamma di stili musicali. Vera icona, artista a tutto tondo, mirabile suonatore di viola, produttore importante (Nico, Happy Mondays, Stooges, Patti Smith, Squeeze, Modern Lovers, Siouxsie & The Banshees), Cale a 81 anni suonati si è messo di nuovo in discussione, mostrandosi ascoltatore interessato del suono odierno e pubblicando ad inizio 2023 un nuovo album intitolato Mercy a sette anni dal precedente e a ben 11 anni dal suo ultimo album di musica originale.
A mostrare l’interesse di Cale per la musica “contemporanea” ci sono, all’interno di Mercy, le collaborazioni con Laurel Halo, Weyes Blood, Avey Tare e Panda Bear degli Animal Collective e Fat White Family. La pubblicazione del disco ha subito ritardi importanti a causa della pandemia, ed è stato ispirato da eventi attuali come la presidenza di Donald Trump, la Brexit, il COVID-19, il cambiamento climatico, i diritti civili e l’estremismo di destra. Difficile districarsi in questa ora abbondante di musica, densa e scusa, affascinante e vista con lo sguardo di un avanguardista navigato. Alla fine la scelta è caduta su “The Legal Status Of Ice”, il cui incedere scricchiolante che si confà ad un brano sul cambiamento climatico, viene accentuato dalla presenza degli irriverenti Fat White Family. Un grande ritorno.
Continuiamo parlando di un gruppo sgradevole, “politically incorrect”, disordinato, anarchico, malato, sghembo (nell’accezione peggiore del termine) che a inizio 2014 mi aveva talmente entusiasmato da farmi riscrivere a causa del loro album di esordio, la Playlist dell’anno appena concluso. Il disco in questione si intitolava Champagne Holocaust, lavoro uscito a nome The Fat White Family gruppo che ha in un outsider autarchico come Mark E. Smith (compianto leader dei Fall) e nella furia espressionista dei Birthday Party alcune delle loro principali influenze; vengono dal sud di Londra ma si tratta in realtà un gruppo multietnico, capitanato dal cantante Lias Saudi e dal chitarrista Saul Adamczewski (gli altri membri erano Adam Harmer: chitarra, Joe Panucci: basso, Nathan Saoudi: tastiere, e Dan Lyons: batteria).
La principale ragione di questo entusiasmo, a parte l’attenzione dei media per la loro attitudine off stage (e saltuariamente anche on stage), è sicuramente la loro abilità nel miscelare elementi garage punk, influenze folk, spunti lisergici e manciate di lo-fi, e trasformare il tutto in un risultato tanto sbilenco quanto stranamente equilibrato, tanto dissacrante quanto orecchiabile. Il brano scelto per questo podcast è la meravigliosa “Cream Of The Young”, una delle canzoni migliori del lotto, disordinata e trascinante con una chitarra quasi western a squarciare un tappeto di percussioni e tastiere. Dopo diverse traversie e una formazione ridotta a trio, nel 2019 con il terzo lavoro Serfs Up!, magicamente i Fat White Family sono riusciti in qualche modo a mutare il proprio DNA senza perdere il proprio appetito, con uno slancio pop che è riuscito a sorprendere, coinvolgere e soprattutto convincere.
L’etichetta canadese Constellation è sempre stata una fucina di talenti e di musiche non convenzionali di grande rilevanza. Non fa eccezione l’art rock di Ky, progetto “solista” di Ky Brooks, cantante e paroliere del trio noise-punk Lungbutter e di una serie di altri progetti out-music con base a Montréal, come la band queer punk di 8 persone Femmaggots e il trio sperimentale e di improvvisazione Nag. L’idea che ha portato al progetto solista nasce purtroppo da un tragico evento. Nel 2021 Joni Sadler, batterista delle Lungbutter è venuta a mancare per un improvviso aneurisma cerebrale, portando le due compagne nello sconforto e naturalmente allo scioglimento immediato della ragione sociale.
Per esorcizzare in qualche modo questo dolore, Ky ha chiamato a raccolta alcuni amici musicisti come il chitarrista Mathieu Ball, il bassista Joshua Frank, il batterista Farley Miller, il sassofonista James Goddard (anche all’elettronica) per creare Power Is The Pharmacy , un album di art-punk cerebrale e viscerale “che parla principalmente di dolore, morte, paura della perdita, perdita dei sogni, perdita della giovinezza, delle persone, dello spazio pubblico e, in ultima analisi, di se stessi”. Una raccolta di canzoni emotivamente elettrizzante che spazia tra i generi e che è alimentata dalla penetrante poesia di Ky, sia cantata che espressa attraverso spoken word. “Dragons”, con il synth di Lucas Huang ed il moog di Nick Schofield, è uno dei vertici emozionali di un disco magistralmente composto ed eseguito.
Questa nuova ondata di post-punk proveniente dalla Gran Bretagna sta raccogliendo allo stesso tempo consensi e critiche. Ad onor del vero la stessa etichetta post-punk la trovo davvero fuori luogo, una sorta di calderone dove viene messo tutto ed il contrario di tutto. In ogni caso, tra le proposte meno convenzionali associate a questa etichetta, tre gruppi sembrano essere sotto l’occhio del ciclone per la loro proposta complessa e strutturata: Black Midi, Black Country New Road e Squid. Se per i primi la forma e la tecnica sembrano aver (purtroppo) sovrastato la parte emozionale, per Black Country, New Road e soprattutto Squid le cose sembrano essere diverse. Il quintetto capitanato dal batterista-cantante Ollie Judge nasce a Brighton nel 2017 ed il loro suono prende forma dall’amore per gruppi non certo convenzionali come This Heat, Talking Heads e Wire. Dopo alcuni singoli ed un EP usciti per la piccola etichetta Speedy Wunderground, è la Warp ad interessarsi a loro e a metterli sotto contratto.
Il gruppo, dopo essersi trasferito nella capitale britannica, ha fatto uscire 5 interessantissimi singoli che hanno aumentato l’interesse degli addetti ai lavori, prima di pubblicare nel maggio 2021 l’attesissimo esordio Bright Green Field, prodotto magistralmente da Dan Carey. La band non ha messo affatto da parte il loro lato più emozionale. I saliscendi emotivi, le parti inquietanti e distopiche, i cambi di tempo repentini, tutto sembra (e probabilmente è) studiato alla perfezione ma quello che esce fuori dall’amplificatore ha la capacità di non risultare mai troppo tecnico, freddo e distante. “Global Groove” è il brano scelto per rappresentare una delle band più interessanti del momento. Tra pochissimo, il 9 Giugno, il gruppo pubblicherà l’atteso secondo album intitolato Monolith, album già anticipato da una manciata di brani che sono in rotazione (Flavia Cardinali, Franz Andreani e Ivan Di Maro su tutti) negli #everydaypodcast di RadioRock.TO The Original.
Ci sono tre americani ed un australiano che si trasferiscono e mettono su una band a Montreal, in Canada. Non è una barzelletta, ma la vera storia degli Ought, band formata dal cantante-chitarrista Tim Beeler (che cambierà poi il suo cognome in Darcy) insieme al tastierista Matt May, al bassista Ben Stidworthy e al batterista-violinista Tim Keen. Dopo un EP autoprodotto il quartetto venne messo sotto contratto dalla già citata etichetta canadese Constellation e nel 2014 entrò in studio di registrazione guidato da Radwan Ghazi Moumneh, più conosciuto con lo pseudonimo di Jerusalem In My Heart. Il risultato è un esordio, More Than Any Other Day, che mostrava già un suono maturo, a tratti nevrotico, urgente, con la chitarra e la voce del leader a proporsi come una sorta di erede naturale di Tom Verlaine.
Il secondo Sun Coming Down, uscito l’anno successivo (sempre per Constellation), non deluse le attese proponendo sempre il loro sound dissonante ma armonico allo stesso tempo, un post-punk nervoso alla Feelies che riuscì forse anche a superare il già ottimo debutto come dimostra l’ottima “Men For Miles” inserita in scaletta. Dopo un terzo album che mostrava qualche scricchiolio nella scrittura, Room Inside The World pubblicato dalla Merge Records, la band decise di sciogliersi. A fine 2021 Tim Darcy Beeler e Ben Stidworthy hanno formato una nuova band chiamata Cola insieme al batterista Evan Cartwright, collaboratore di Meghan Remy aka U.S. Girls.
C’è chi, della sacra unione tra rumore e melodia ne ha fatto una bandiera sventolata con orgoglio e qualità sin dalla metà degli anni ’80. Sto parlando dei Dinosaur Jr, band formata da J Mascis (chitarra e voce), Lou Barlow (basso) e Emmett “Murph” Murphy (batteria) nel solco di quelle band di enorme rilevanza come Minutemen, Hüsker Dü, Pixies che hanno rivoltato come un calzino il suono “duro” nella seconda metà degli anni ’80. Bug è stato l’apice creativo della band, l’ultimo con Barlow in formazione, un disco dove il volume altissimo delle chitarre viene spazzato da aperture melodiche enormi.
La trilogia di esordio del gruppo è incredibile, dall’esordio ancora acerbo al capolavoro You’re Living All Over Me, terminando la corsa con Bug che ne definisce compiutamente l’estetica sonora. La band continuerà la sua corsa negli anni ’90, facendo da apripista al grunge ma non convincendo più pienamente. Mascis ha riformato il gruppo nel 2007, dieci anni dopo lo scioglimento. “Freak Scene” è il perfetto manifesto di come una bomba pop possa nascondersi dietro un numero elevatissimo di decibel.
Daniel Johnston è stato un meraviglioso outsider. Appassionato di fumetti e di Beatles sin da piccolo, ha iniziato a scrivere canzoni per i suoi filmini amatoriali da lui stesso creati. A 20 anni pubblica il suo primo disco Songs of Pain (1981), inciso con un organetto e un mangianastri da 59$. Il disco rivela già il suo straordinario talento di scrivere canzoni fresche e drammatiche senza mai scadere nel patetico, quasi come se fosse un bimbo piccolo a raccontarci delle storie. L’amore non corrisposto verso Laurie, che sposa un imprenditore suo conoscente gli causa il primo crollo nervoso che purtroppo lo accompagnerà per tutta la vita facendogli passare periodi durissimi dentro e fuori i reparti psichiatrici aggravati dall’uso di acidi e droghe.
Inciderà anche album per una major, conoscerà un momento di notorietà grazie all’apporto di molti musicisti che ne hanno sempre apprezzato la sensibilità, tra cui Kurt Cobain. Nel 2003, dopo un altro decennio difficile, grazie alla produzione di un altro musicista di grande sensibilità come Mark Linkous aka Sparklehorse, si è rimesso in carreggiata, scrivendo e disegnando come i bei tempi e facendo uscire uno splendido album intitolato Fear Yourself. La sua capacità di non piangersi mai addosso (anche se lui al contrario di molti che realmente lo fanno, avrebbe avuto VERI motivi per farlo) è dimostrata da questo commovente, scintillante brano intitolato “Fish”. Daniel ci ha lasciati nel settembre 2019. We miss you Daniel!
Visto che ne abbiamo parlato da poco, è incredibile pensare che sono passati ormai tredici anni da quando Mark Linkous ha deciso di andarsene definitivamente da un mondo nel quale stava sempre più scomodo. Il testamento sonoro che ci ha lasciato Mark, nascosto dietro al moniker di Sparklehorse, è però di inestimabile valore. A partire dall’album di esordio, un caleidoscopio sonoro dalla copertina apparentemente gioiosa ma in realtà un po’ inquietante (il volto di un clown senza pupille, senza naso, senza capelli e dal sorriso ambiguo che si staglia in un cielo azzurro) e dal nome tanto improponibile quanto (quasi) impronunciabile: Vivadixiesubmarinetransmissionplot. 16 brani diversi per lunghezza e ispirazione, ma tutti permeati di quella malinconia di fondo che segnerà l’opera omnia di Linkous.
C’è il folk rock dei Byrds, prima fonte d’ispirazione, ma c’è molto altro: arrangiamenti lo-fi, gioielli power-pop, lunghi country rock, e una splendida ballata acustica come “Spirit Ditch”. Durante il tour di promozione al disco durante che vede gli Sparklehorse al fianco dei Radiohead, Linkous viene trovato in overdose di valium e antidepressivi, svenuto nella sua stanza d’albergo a Londra. Rimase incosciente con le gambe bloccate in una posizione innaturale sotto il corpo per parecchie ore. Quando Linkous venne finalmente ricoverato in ospedale venne rianimato dopo un arresto cardiaco durato due o tre minuti, rischiò di perdere entrambe le gambe e subì numerosi e dolorosi interventi chirurgici. Ne uscirà vivo, pubblicherà altri lavori meravigliosi, con il suo cantautorato cristallino, ma la depressione non lo abbandonerà mai, portandolo al suicidio il 6 marzo 2010. It’s a sad and beautiful world Mark, I agree, e grazie per tutta la bellezza che ci hai saputo donare.
Ascoltare un Franz Andreani così entusiasta nel suo fantastico ultimo podcast mi ha fatto accendere una lampadina invitandomi a tirare fuori dallo scrigno dei segreti quel giramondo fantastico che è stato Shawn Phillips. Qualcuno ha descritto l’ormai ottantenne texano come “Il segreto meglio custodito nel mondo della musica”, non andando troppo lontano dalla verità. Figlio di James Atlee Phillips, scrittore di romanzi di spionaggio con lo pseudonimo di Philip Atleeè cresciuto in varie località del mondo, tra cui Tahiti, ha imparato a suonare la chitarra già in tenera età. Alla fine degli anni Cinquanta è tornato a vivere in Texas e, dopo un periodo nella Marina degli Stati Uniti, si è trasferito in California. Dopo aver suonato al fianco di Tim Hardin e aver insegnato a Joni Mitchell i primi rudimenti di chitarra si è trasferito prima in India, poi a Londra per poi approdare nel 1967 a Positano, dopo la scadenza del permesso di soggiorno in Gran Bretagna.
Una vita davvero sempre in movimento, un artista curioso e talentuoso, virtuoso del suo strumento ma che sapeva mettere le composizioni e il racconto in cima al suo straordinario miscuglio di folk, rock, jazz, funk e classica. L’ex collaboratore di Donovan e cantore nei bar di Positano è stato uno splendido artista, sperimentatore e dalla straordinaria estensione vocale. Proprio mentre si trovava in Campania, Phillips venne messo sotto contratto dalla A&M Records, tornò a Londra e nell’arco di 12 mesi incise e pubblicò i due album che lo fanno entrare nella storia: Contribution e Second Contribution. Il brano che ho scelto è tratto da quest’ultimo, e narra di un amico tragicamente ucciso da un fulmine: “The Ballad Of Casey Deiss”. Ci sarebbe da parlare molto di quest’artista straordinario, e chissà se non accadrà presto in uno dei nuovi episodi della Rock ‘N’ Roll Time Machine.
Era molto tempo che non passavo in un podcast Peter Gabriel, e mi fa piacere farlo con un album che chiude un cerchio (i quattro dischi usciti a suo nome) e allo stesso tempo ne apre un altro, con il suo interesse verso l’identità culturale che lo porta a creare il WOMAD (World of Music, Arts and Dance), festival indipendente per la promozione della diversità culturale tramite la musica, e che dopo alcuni anni gli farà fondare la Real World Records. Tutto parte da qui, con l’album chiamato semplicemente IV o Security, che viene registrato per la prima volta interamente in digitale e che vede l’uso massiccio del sintetizzatore Fairlight CMI di cui Gabriel fu uno dei primissimi acquirenti.
E’ un disco scuro e affascinante, con la sezione ritmica di Tony Levin e Jerry Marotta, batterista capace di dare maggiore profondità al suono, spesso ai limiti del tribalismo, con un uso straordinario dei tom e centellinato dei cimbali. L’uomo viene messo in primo piano, in una tensione spirituale come quella del prigioniero politico protagonista di “Wallflower”, di cui Gabriel in un crescendo emotivo narra della prigionia, della speranza e di un futuro dove il suo sacrificio non sarà mai dimenticato. Gabriel ha scritto questa canzone nel 1982 in onore dei desaparecidos nelle dittature sudamericane. Il brano è stato eseguito al concerto per Amnesty International del 1990 (subito dopo la caduta del regime di Pinochet) a Santiago del Cile nello stesso stadio in cui i militari massacravano gli oppositori politici. Sta per uscire un nuovo album intitolato I/O dopo molti anni di silenzio, ma sinceramente le anticipazioni non mi hanno suscitato particolari emozioni.
Mark Kozelek ha sempre usato la sua abilità di scrittura per esprimere in maniera compiuta la sua emotività sofferta e problematica. Lo ha fatto per anni con i Red House Painters e continua a farlo con la sua nuova creatura Sun Kil Moon, che dai RHP ha ricevuto il testimone per proseguire il percorso senza soluzione di continuità. Nato a Massillon, Ohio, Kozelek ha sempre mostrato un enorme amore per la musica fin da bambino. Trasferitosi ad Atlanta, Georgia, il futuro songwriter incontra il batterista Anthony Koutsos, ponendo le basi per la creazione di un gruppo. I due si trasferiscono in California alla fine degli anni ’80 fondando i Red House Painters, insieme al chitarrista Gorden Mack e al bassista Jerry Vessel. L’elogio della tristezza, la vena intimistica in cui riaffiorano i suoi ricordi, acuita anche dalle copertine virato seppia, hanno contribuito nel rendere la band un fenomeno di culto e una della band più importanti di un movimento chiamato slowcore.
I primi quattro album della band, pubblicati dalla 4AD, sono stati senza dubbio l’apice della loro produzione. Per questo podcast ho deciso di tornare indietro al 1993, nel periodo in cui, dopo lo splendido esordio di Down Colorful Hill, il gruppo ha pubblicato ben due dischi a distanza di pochi mesi, autointitolati e chiamati amichevolmente con il nome di ciò che appare sulla copertina. L’album scelto è stato quindi il primo dei due (secondo in totale), che per convenzione prende il nome di Rollercoaster vista la presenza in copertina di un Luna Park abbandonato con le montagne russe in bella vista. “Mistress” è solo una delle 14 gemme del disco (dove troviamo anche una versione solo pianoforte della stessa canzone) dove i testi si concentrano sui temi del dolore, della desolazione e della perdita.
Chiudiamo il podcast in maniera particolare. Nel 1978 Brian Eno codificò un suono dissonante ed abrasivo proveniente da New York City in un illuminante e fondamentale album intitolato No New York. I quattro gruppi che apparivano nel disco con quattro brani a testa erano i Contortions di James Chance, i DNA di Arto Lindsay, i Teenage Jesus and the Jerks di Lydia Lunch ed i Mars. Questi ultimi si sono formati nel 1975 quando China Burg (nata Constance Burg, aka Lucy Hamilton) (chitarra, voce) e Nancy Arlen (batteria) si sono riuniti con Mark Cunningham (basso) e il cantante Sumner Crane per parlare di musica. Il gruppo ha tenuto un solo concerto dal vivo con il nome China prima di cambiarlo in Mars. Suonavano un misto di composizioni angolari e jam di musica noise freeform, con testi surreali e un drumming non standard. Si dice che tutti i membri fossero completamente privi di formazione musicale prima di formare la band.
Dopo lo scioglimento dei Mars e altre avventure in musica, Mark Cunningham (reinventatosi splendido trombettista) si è trasferito in Catalogna e il fortuito incontro avvenuto nel 2015 con un trio di noise-rock underground chiamato Murnau B (formato dal chitarrista Lluis Rueda, il bassista Kike Bela, e il batterista Marc Egea) ha dato vita ad uno straordinario quartetto chiamato Blood Quartet. L’avanguardia del gruppo, tra post-rock e jazz, trova nuova forma con il quarto album in studio intitolato Root 7. Il disco, meno scuro e più ritmico dei precedenti, contiene nove opere in cui le potenzialità di ogni strumento danno vita a suoni e toni nuovi e insoliti. Ogni tema è battezzato con il titolo di un’opera letteraria per aggiungere altre radici di significato, altre ombre di influenza. La scelta per la chiusura del podcast è caduta sulla splendida traccia di apertura del disco intitolata “A Place Of Dead Roads”.
Un grazie speciale va, come sempre, a Franz Andreani per la sua passione, la gestione di questa banda di pazzi e per la splendida riorganizzazione del sito già attiva da qualche anno. A cambiare non è stata solo la versione grafica del sito, ma anche la “filosofia” della podradio, con le rubriche che vanno ad integrarsi nella programmazione regolare sotto l’hashtag #everydaypodcast. Sulla nostra pagina Facebook troverete quotidianamente ogni upload del sito e, ormai da tempo, è attivo anche lo splendido canale YouTube della Radio, una nuova formula senza interruzioni ne spot per ascoltare la vostra-nostra musica preferita. Iscrivetevi numerosi, vi aspettiamo!
Nel prossimo episodio di Sounds & Grooves troverete un omaggio a Andy Rourke degli Smiths, il dream pop degli Slowdive, le meraviglie oniriche dei Bark Psychosis, il revivalismo perfetto degli The Last Shadows Puppets, lo sguardo verso il folk dell’est europeo dei Beirut, un viaggio nella Glasgow degli anni ’90 con The Delgados, Mogwai e Urusei Yatsura, il suono di culto dei Family Fodder e il math rock dei 65daysofstatic. Andremo anche a riscoprire le meraviglie dei Three Mile Pilot, il doom avvolgente degli OM, e il cantautorato ispirato di BC Camplight, fermandoci a riassaporare con nostalgia l’unico album in studio di Jeff Buckley a ben 26 anni dalla scomparsa. Il tutto sarà, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
Intanto se volete potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, criticare (perché no), o proporre nuove storie musicali. Mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web. Potete anche scrivere a stefano@stefanosantoni14.it
Se volete ascoltare o scaricare il podcast, potete farlo anche dal sito della PodRadio cliccando sulla barra qui sotto. Buon Ascolto
TRACKLIST
01. SONIC YOUTH: Intro – Brave Men Run (In My Family) da ‘Bad Moon Rising’ (1985 – Blast First)
02. SWANS: Lunacy da ‘The Seer’ (2012 – Young God Records)
03. JOHN CALE: The Legal Status Of Ice (feat: Fat White Family) da ‘Mercy’ (2023 – Double Six)
04. THE FAT WHITE FAMILY: Cream Of The Young da ‘Champagne Holocaust’ (2013 – Trashmouth Records)
05. KY: Dragons da ‘Power Is The Pharmacy’ (2023 – Constellation)
06. SQUID: Global Groove da ‘Bright Green Field’ (2021 – Warp Records)
07. OUGHT: Men For Miles da ‘Sun Coming Down’ (2015 – Constellation)
08. DINOSAUR JR.: Freak Scene da ‘Bug’ (1988 – SST Records)
09. DANIEL JOHNSTON: Fish da ‘Fear Yourself’ (2003 – Sketchbook)
10. SPARKLEHORSE: Spirit Ditch da ‘Vivadixiesubmarinetransmissionplot’ (1995 – Capitol Records)
11. SHAWN PHILLIPS: The Ballad Of Casey Deiss da ‘Second Contribution’ (1971 – A&M Records)
12. PETER GABRIEL: Wallflower da ‘Peter Gabriel (Security)’ (1982 – Charisma)
13. RED HOUSE PAINTERS: Mistress da ‘Red House Painters (Rollercoaster)’ (1993 – 4AD)
14. BLOOD QUARTET: A Place Of Dead Roads da ‘Root 7’ (2023 – Foehn Records)
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