I Fat White Family cambiano pelle trovando l’album della maturità
Serfs Up! è un disco che dietro ad un impianto apparentemente pop e suadente nasconde il solito approccio malato ed irresistibile
Nonostante la loro immagine spesso disgustosa e controversa, i Fat White Family sono senza dubbio uno dei gruppi più importanti partoriti negli ultimi anni dalla terra di Albione insieme a Sleaford Mods, Idles, Shame e più recentemente Fontaines D.C. Nel 2016 il loro secondo album Songs For Our Mothers aveva confermato la band multietnica di Brixton, sud di Londra, come una delle realtà più pericolose, irriverenti, scabrosamente oneste e incredibilmente vitali del Regno Unito. A due anni di distanza dall’uscita del disco, deve essere successo qualcosa che ha minato irreparabilmente gli equilibri di una band che non ha mai brillato per stabilità. Il cantante Lias Saoudi si è unito ai guastatori elettronici Eccentronic Research Council creando il gruppo mutante The Moonlandingz, mentre il chitarrista Saul Adamczewski dopo aver partecipato parzialmente allo stesso progetto, si è poi dedicato anima e corpo alla sua creatura solista Insecure Men insieme all’amico d’infanzia Ben Romans-Hopcraft.
La gelida aria di Sheffield condivisa con The Moonlandingz deve essere piaciuta a Saoudi, perché proprio nel quartiere Attercliffe della grigia cittadina britannica ha deciso di stabilire il proprio fortino creando i Champzone Studios e cercando insieme al fratello Nathan l’ispirazione per poter stupire di nuovo. Dopo un difficile percorso di disintossicazione anche Adamczewski si è unito a loro. Nonostante la drastica riduzione numerica della band, il trio è riuscito a trovare una formula diabolica per cambiare pelle, e anche etichetta, visto che Serfs Up! è il primo album ad uscire per la Domino. Il nuovo album è stato registrato con l’aiuto del collaboratore di vecchia data Liam D. May, del sodale Ben Romans-Hopcraft, del sassofono di Alex White e della voce di Baxter Dury come meraviglioso ospite in “Tastes Good With The Money”. Proprio nel momento in cui l’approccio vincente sembra essere lo slancio aggressivo post-punk di Idles, Fontaines D.C. e Shame, i Fat White Family decidono di effettuare una sorta di dietrofront tra ritmi rallentati, sax, archi e quadretti “finto bucolici” che potrebbero sorprendere solo chi non conosce l’attitudine luciferina del gruppo. Alla fine dei conti, quello che poteva essere un clamoroso autogol si è trasformato invece in un inaspettato successo personale.
Ad introdurre il disco ci pensa il singolo trainante “Feet”, che con il suo ritmo anni ’80 tra archi, cori e voci filtrate ci fa capire subito che razza di mine vaganti siano diventati (o sono sempre stati?) i Fat White Family. Quando finisce la lunga coda strumentale tra echi mediorientali e chitarre dissonanti non c’è tempo per riflettere sul cambiamento stilistico della band perché le atmosfere ipnotiche di “I Believe In Something Better” sono lì appostate dietro l’angolo, pronte ad avvilupparci in un meticoloso e programmatico motorik. Che dire poi della ballata pop psichedelica “Vagina Dentata” (solo loro potevano scegliere un nome così…) capace di chiudersi frettolosamente per dare spazio ad un basso pulsante che rincorre i cori esotici e sgangherati di “Kim’s Sunset”. Non bastasse, beccatevi pure il quasi Prince sintetico della coinvolgente “Fringe Runner”, o gli archi beatlesiani alla “Eleanor Rigby” che introducono il bozzetto esotico “Oh Sebastian”.
Non siete ancora convinti? Allora ascoltate uno dei brani cardine di Serfs Up!, i Serfs del titolo non sono altro che i servi della gleba. “Tastes Good With The Money” è uno dei vertici dell’album: una sorta di bluesaccio malato suonato con passione come se i tre si fossero reincarnati nei T Rex dei vecchi tempi. A proposito della creatura di Marc Bolan, ditemi voi se il riff iniziale non vi ricorda quello di “Get It On”. Il brano è introdotto da un coro solenne ed è capace a metà della sua corsa di sfoderare lo spoken word di un Baxter Dury in gran forma nel suo recitare con tono profondo. Se vi capita, guardate qui sotto il video del brano, diretto da Roisin Murphy ed ispirato ai Monty Python e alla loro attitudine sarcastica ed irriverente. Gli inglesi che ridono di loro stessi, cantando mentre la situazione precipita in tragedia. Una perfetta rappresentazione della instabile e confusionaria politica britannica.
La dolcezza di “Rock Fishes” è solo uno specchietto per le allodole, perché il finale tra chitarre dissonanti ed esplosioni lascia spazio alle tastierine giocattolo di “When I Leave” che con uno stacco di chitarra spaghetti western ci fa impolverare per bene prima di blandirci ancora con la conclusiva “Bobby’s Boyfriend”, una ballata lenta e malata sia musicalmente che liricamente, capace di racchiudere in quattro minuti tutto il mood del disco.
Magicamente i Fat White Family sono riusciti in qualche modo a mutare il proprio DNA senza perdere il proprio appetito, con uno slancio pop che riesce a sorprendere, coinvolgere e soprattutto convincere. Sono sicuro che il loro nume tutelare, Mark E. Smith, starà sghignazzando lassù da qualche parte. Ad uno dei più interessanti, autentici ed irriverenti gruppi britannici degli ultimi anni non potevamo sinceramente chiedere di più.
TRACKLIST
1. Feet 5:19
2. I Believe In Something Better 4:27
3. Vagina Dentata 2:58
4. Kim’s Sunsets 4:20
5. Fringe Runner 4:32
6. Oh Sebastian 2:44
7. Tastes Good With The Money 5:42
8. Rock Fishes 4:04
9. When I Leave 5:35
10. Bobby’s Boyfriend 4:00