John Bence torna con un album vero e proprio
“Archangels” è un lavoro inquieto, scuro e conturbante, in cui il compositore britannico esprime la sua spiritualità.
Un uomo tormentato John Bence, un uomo che utilizza la musica come potente espressione emozionale e cinematografica, creando un mondo sonoro viscerale e spirituale. Compositore britannico cresciuto nella dinamica scena della musica elettronica underground di Bristol e diplomato al Royal Birmingham Conservatoire, John Bence ha esordito nel 2015 con Disquiet, un 12″ pubblicato dalla Other People di Nicholas Jaar, per poi tornare tre anni dopo come percussionista nell’album Lost In Shadows della polistrumentista Ashley Paul e infine con un altro 12″ a suo nome intitolato Kill uscito per un’altra piccola etichetta come la Grooming. Ma le emozioni suscitate da Bence sono state talmente potenti da risuonare nella sede della Thrill Jockey, pronta a metterlo sotto contratto, a ristampare Kill e a pubblicare nel 2020 l’ennesimo mini album intitolato Love, dove il compositore si è concentrato sul suo vissuto ripercorrendo la difficile strada della dipendenza dall’alcolismo fino al completo (speriamo) recupero.
Il suo minimalismo rigoroso in equilibrio tra staticità e profondità emotiva, finalmente può esprimersi senza più i paletti di un mini album. Il nuovo Archangels infatti trova Bence, a due anni dalla sua riabilitazione, pronto a scaricare tutto il suo arsenale sonoro fatto da canti gregoriani, cupi arrangiamenti orchestrali, rintocchi pianistici minimalisti, sintetizzatori oscillanti e field recordings. Già dal pianoforte trafitto da secche percussioni di “Psalm 34:4”, che evoca “Il Matto” una delle carte dei tarocchi più spiazzanti, visto che rappresenta l’irrazionalità e la ricerca di un cambiamento si capisce che stiamo per intraprendere un sentiero oscuro, e sarà solo gettando lo sguardo verso il cielo che potremo trovare la retta via. Una spiritualità derivata dal suo passato turbolento e dalla lettura di Angeli e Arcangeli di Damien Echols, altro personaggio dal passato ancora più turbolento. Non so se ricordate un terribile fatto di cronaca avvenuto in Arkansas nel 1994. Echols faceva parte dei “tre di West Memphis”, principali sospettati dell’omicidio di tre bambini. Echols fu accusato solo per essere stato un adolescente con una famiglia povera alle spalle, non aver terminato la scuola ed ascoltare musica heavy metal. Visto che all’epoca era l’unico maggiorenne dei tre, fu condannato a morte prima di essere scarcerato nel 2011 per un cavillo legale. L’esperienza spirituale di Echols nel braccio della morte ha avuto un effetto importante nella mente di Bence durante il periodo di disintossicazione ed è stata fondamentale nella composizione di uno dei brani cardine del disco, la coinvolgente “Metatron: Archangel of Kether” che alterna rintocchi di piano su cori gregoriani, distorsioni, atmosfere sepolcrali, pacificazioni in ascesa verso il cielo, distorsioni scoppiettanti e un’inquietante marcia di tamburi prima che pianoforte e voci eteree ci trasportino verso il custode dei segreti “Raziel, Archangel of Chokmah”.
I lenti rintocchi pianistici di “Tzadkiel, Archangel of Chesed” (l’arcangelo della libertà e del perdono) creano uno spazio contemplativo che viene riempito dalla più minacciosa “Tzaphkiel, Archangel of Binah”. Le campane in lontananza di “Kamael, Archangel of Geburah” diradano la vista su paesaggi sonori struggenti e misteriosi consolidati dallo sguardo e dalle voci dirette verso un arcangelo presente in molte tradizioni religiose: “Gabriel, Archangel of Yesod”. Pianoforti sovrapposti e voci filtrate introducono l’espressivo chiaroscuro di “Michael, Archangel of Hod” prima che la profondità di “Raphael, Archangel of Tiphareth” vaporizzi gli arrangiamenti orchestrali del compositore e le voci ammalianti in paesaggi sonori ariosi e mutevoli, che riflettono l’energia guaritrice dell’angelo nella Kabbalah. Il breve interludio pianistico di “Haniel, Archangel of Netzach” lascia il posto agli arrangiamenti cameristici e introversi di “The Sun” prima dell’avvento di “Sandalphon, Archangel of Malkuth”, uno dei vertici dell’album con i suoi canti gregoriani estatici e la sua tensione spirituale che lascia spazio verso la fine al disturbante e cinematografico tema pianistico della prima traccia. A chiudere l’album ci pensa il trittico conclusivo “Anu/Enlil/Enki (The Way of Anu)” che in un afflato quasi estatico esplora i processi cosmici di morte e rinascita attraverso la sacra trinità indù di Brahma il creatore, Vishnu il preservatore e Shiva il distruttore.
John Bence con Archangels è riuscito a creare una sorta di linguaggio sonoro capace di evocare uno spazio spirituale e contemplativo di enorme intensità emotiva. Una pratica compositiva edificata su note di pianoforte, ambientazioni minimaliste, arrangiamenti orchestrali, synth oscillanti, field recordings e canti gregoriani che in qualche modo si è intrecciata strettamente con quella spirituale, attraverso la quale il compositore britannico ha cercato di esprimere i suoi concetti religiosi e filosofici usando gli arcangeli come tramite verso il divino. Il risultato è un album chiaroscurale, conturbante, a tratti disturbante, da ascoltare in religioso silenzio per aumentare il suo profondo fascino inquieto.
TRACKLIST
1. Psalm 34:4 1:26
2. Metatron, Archangel of Kether 4:46
3. Raziel, Archangel of Chokmah 1:58
4. Tzadkiel, Archangel of Chesed 2:21
5. Tzaphkiel, Archangel of Binah 3:32
6. Kamael, Archangel of Geburah 3:28
7. Gabriel, Archangel of Yesod 1:54
8. Michael, Archangel of Hod 2:35
9. Raphael, Archangel of Tiphareth 5:55
10. Haniel, Archangel of Netzach 0:51
11. The Sun 1:53
12. Sandalphon, Archangel of Malkuth 6:59
13. Anu/Enlil/Enki (the Way of Anu) 3:22