Le avventure in musica di Sounds & Grooves si uniscono al resto della banda per la 17° Stagione di RadioRock.TO The Original
Nel quarto episodio stagionale di Sounds & Grooves troverete diverse novità interessanti e cose da riscoprire
Torna l’appuntamento quindicinale di Sounds & Grooves che per il 17° anno consecutivo impreziosisce (mi piace pensarlo) lo straordinario palinsesto di www.radiorock.to. A pensarci è incredibile che sia passato già così tanto tempo da quando abbiamo iniziato questa folle ma fantastica avventura. Come (credo) già sapete, la nostra podradio è nata per dare un segnale di continuità con il passato, con quella meraviglia che Franz Andreani, Marco Artico, Flavia Cardinali, Massimo Di Roma, Michele Luches, Aldo Semenuk, Giampiero Crisanti, Gianpaolo Castaldo avevano creato e a cui, nel mio piccolo, ho provato a dare un contributo dal 1991 al 2000. Sappiamo tutti benissimo che la Radio Rock in FM come la intendevamo noi è sparita da almeno due decenni, ma in tutti questi anni di podcast sul web abbiamo cercato di tenere accesa quella fiammella per poi tentare di moltiplicarla, facendola diventare un faro di emozioni e qualità musicale. Perché la passione e la voglia di fare radio, la voglia di ascoltare e di condividere la musica di qualità, nonostante tutto, non ci è mai passata. Questa creatura dopo 3 lustri continua orgogliosamente a remare controcorrente, cercando quella libertà in musica che nell’etere è ormai diventata una mosca bianca, ed esprimendo la passione per la condivisione, per la ricerca, per l’approfondimento. Non dobbiamo aderire ad una cieca linea editoriale che ormai spinge esclusivamente il pulsante play dei servizi di streaming, ma ci lasciamo guidare semplicemente dal nostro cuore e dalla nostra passione. Fulvio Savagnone, Marco Artico, Giampiero Crisanti, Franz Andreani, Flavia Cardinali, Francesco Cauli, Ivan Di Maro, Fabio De Seta, Massimo Santori, Maurizio Nagni, Angie Rollino ed io proveremo a coinvolgervi con i nostri podcast regolari e con le rubriche tematiche di approfondimento, sperando di farvi sentire sempre di più parte di questa fantastica avventura.
La musica ha spesso il potere terapeutico di guarire le anime, lenire in qualche modo il dolore e le storture dei nostri tempi come una pozione magica, un incantesimo primordiale, facendoci fare viaggi immaginari di enorme suggestione emotiva, ed è questo il percorso che Sounds & Grooves vuole seguire, soprattutto in questo periodo confuso ed oscuro.
Nel quarto viaggio della nuova stagione troveremo gli stop and go dei Polvo, i picchi fuori scala del nuovo Gilla Band, le meraviglie dei Three Mile Pilot, il cantautorato ispirato e cangiante di Ryley Walker e quello profumato di West Coast di Jonathan Wilson, l’ispirato entusiasmo di Stephen Tunney, in arte Dogbowl, la new wave di Echo & The Bunnymen e Virgin Prunes ed il talento di Matt Johnson aka The The. Faremo un piccolo viaggio nella scena trip-hop dei ’90 con Nearly God e Portishead e riscopriremo un album bellissimo a firma Bill Laswell, Charles Hayward, Fred Frith e Percy Howard. Il finale sarà appannaggio delle traiettorie a tinte scurissime di Keeley Forsyth e The Haxan Cloak. Il tutto, come da ben 16 anni a questa parte, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
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Iniziamo il podcast con una band che avrebbe meritato maggior fortuna: i Polvo. La band del North Carolina nel corso degli anni ’90 ha inciso quattro album, lasciando una scia di taglienti riff chitarristici che si alternano tra noise e melodia psichedelica che verrà seguita da molti gruppi negli anni a seguire. Il gruppo si scioglierà nel 1998 per poi riunirsi a sorpresa 10 anni più tardi. Per certi versi Exploded Drawing (1996) è l’album della maturità. Guidati in cabina di regia da Bob Weston (Slint e molti altri), il gruppo incide per una delle etichette più in vista del momento, la Touch And Go, trovando il perfetto equilibrio tra il rumore e le sghembe melodie. Ash Bowie e Dave Brylawski (voce e chitarre), Steve Popson (basso) e Eddie Watkins (batteria), trovano sempre il modo di inserire delle soluzioni imprevedibili in ogni traccia.
Il loro è uno stop and go adrenalinico e coinvolgente, come dimostra “High-Wire Moves”. Il loro sound è tipicamente composto da armonie di chitarra complesse e dissonanti e da un ritmo incalzante, il tutto completato da testi criptici e spesso surreali. Il loro suono era così imprevedibile e spigoloso che i chitarristi della band venivano spesso accusati di non suonare con chitarre correttamente accordate. I Polvo si sono riformati con il nuovo batterista Brian Quast, ex Vanilla Trainwreck e The Cherry Valence, dopo essere stati invitati a partecipare all’All Tomorrow’s Parties 2008 e al Primavera Sound Festival di Barcellona, in Spagna. Nel 2009, i Polvo hanno firmato con la Merge Records e hanno pubblicato In Prism, il loro primo album in studio dopo 12 anni. Nel 2010 la band è stata in tour con i Versus e ha pubblicato il sesto album, Siberia, nel 2013. Il loro batterista originario Eddie Watkins non ha partecipato alla reunion ed è scomparso nell’aprile del 2016 a soli 46 anni.

Se vogliamo, possiamo chiamarla la parte meno allineata della scena alternative rock irlandese. Siamo a Dublino nel luglio 2011 quando il cantante Dara Kiely, il chitarrista Alan Duggan, il bassista Daniel Fox e il batterista Adam Faulkner formano i Girl Band dalle ceneri degli Harrows. Nel 2014 Geoff Travis, fondatore della Rough Trade Records, mette sotto contratto la band dopo averne saggiato molte volte le doti dal vivo. Il pieno controllo creativo concesso dall’etichetta porta il gruppo ad esordire nel 2015 con Holding Hands With Jamie, che ottiene subito un ottimo riscontro di critica e pubblico. Tre anni dopo The Talkies conferma la bontà del progetto che si mostra sempre più personale ed abrasivo grazie all’uso non ortodosso di chitarre cariche di effetti, da testi astratti di flusso di coscienza e da sferzate industriali.
Nel novembre 2021, hanno annunciato il cambio di ragione sociale da Girl Band a Gilla Band in quanto il loro nome precedente avrebbe potuto “propagare una cultura di non inclusione”. Il terzo disco, appena uscito, si intitola Most Normal e suggella con pulsioni industriali e sferzate elettroniche l’aggressione ai nostri padiglioni auricolari. Un album breve e aggressivo, dove Dara Kiely mette con ancora più forza le sue tematiche ciniche e disturbanti mettendoci di fronte un quadro angosciante e brutale con nessuna concessione all’appeal melodico come alcuni loro connazionali. “Backwash” è uno degli incubi urbani più riusciti di un album importante.

All’inizio degli anni ’90, periodo di grande creatività, il cantante chitarrista Pall Jenkins fonda a San Diego i Three Mile Pilot insieme al bassista Armistead Burwell Smith IV e al batterista Tom Zinser. Il gruppo partiva da un certo rallentamento del post-hardcore e indugiava su profondi ed intensi umori post-punk. Il primo album del trio esce nel 1992 e curiosamente presenta un titolo in dialetto siciliano: Nà Vuccà Dò Lupù. Questa declinazione scura e desolata dell’hardcore porterà la band ad avere i favori di una parte degli addetti ai lavori ma mai quel successo di pubblico che avrebbero meritato. Un suono ridotto all’osso (voce, basso e batteria), un’ambientazione passionale ma riservata che trasporta in paesaggi desolati ma affascinanti come dimostra la splendida “One Step Ladder” inserita in scaletta.
Dopo altri due album ed un EP, il gruppo si sfalda nel 1997 alla ricerca di altre situazioni sonore. Armistead Burwell Smith IV si unisce ai Pinback mentre Jenkins insieme al tastierista Tobias Nathaniel, tastierista e collaboratore saltuario dei Three Mile Pilot, va a formare un altro splendido gruppo di culto: The Black Heart Procession. A sorpresa il trio si è riformato nel 2009 inizialmente solo per alcuni concerti. Il feeling era talmente buono da portare la band in studio. The Inevitable Past is the Future Forgotten è stato pubblicato nel 2010 e rimane, momentaneamente, l’ultimo album registrato dal trio.

Stephen Tunney, in arte Dogbowl è uno straordinario personaggio. Bislacco, sarcastico e geniale, capace di strizzare l’occhio a tutti i maestri del sarcasmo e della parodia, dalla Bonzo Dog Doo-Dah Band a Frank Zappa passando per Kevin Ayers. Chitarrista e compositore della prima incarnazione dei King Missile di John S. Hall, ha intrapreso all’inizio dei ’90 una carriera solista trovando con il secondo album Cyclops Nuclear Submarine Captain del 1991 l’apice creativo della sua carriera. Ma Tunney anche autore di due romanzi, il surreale e post-apocalittico Flan, pubblicato nel 1992 One Hundred Percent Lunar Boy, pubblicato nel 2010. Quest’ultimo si svolge su una Luna terraformata duemila anni nel futuro e racconta le disavventure del sedicenne Hieronymus Rexaphin, un ragazzo che può vedere il quarto colore primario, e i guai in cui si caccia dopo aver mostrato i suoi occhi insoliti a una turista adolescente della Terra.
Tratto proprio da quell’album, pervaso da una straordinaria fantasia nella ritmica e nella costruzione sonora, “South American Eye” è uno dei suoi più riusciti arrangiamenti tra melodie irresistibili, musicisti sgangherati ma allo stesso tempo fiabeschi, e una costante psichedelia di fondo. Impossibile non volergli bene, non apprezzare le sue costruzioni naif. Un personaggio eccentrico e a suo modo geniale come pochi, da riscoprire e da riassaporare di tanto in tanto.

Torniamo in Irlanda, andando a parlare di una delle band più interessanti uscite in Gran Bretagna in quell’era tra post-punk e new wave. I Virgin Prunes si formarono nel 1977 per volere del leader Gavin Friday (vero nome Fionan Harvey), riunendosi in uno dei più importanti circoli sociali della Dublino dell’epoca: il Lypton Village. Il collettivo agiva nella duplice veste di gruppo teatrale e musicale. Il gruppo si fece notare grazie ai suoi spettacoli surreali e sinistri già dalla fine degli anni ’70. Friday e l’altro cantante Guggi (Derek Rowen), insieme alla terza voce Dave-iD Busaras, al chitarrista Dik Evans, al bassista Strongman (Trevor Rowen, fratello di Guggi) e al batterista Pod (Anthony Murphy), completano la formazione originale che si assicurò un contratto con la Rough Trade Records pubblicando i primi due singoli.
Nello stesso circolo si riunivano anche gli U2, e ad inizio carriera le strade dei due gruppi hanno preso strade parallele, tra l’altro nei Prunes come detto c’era Richard “Dik” Evans alla chitarra, fratello di The Edge. I Prunes hanno sempre privilegiato un approccio surreale, una new wave scura e intrisa di folk su cui Friday recita le sue litanie. Dopo l’inserimento della batterista Mary D’Nellon i Prunes pubblicano il loro secondo album …If I Die, I Die, considerato (a ragione) l’apice della loro carriera. Il disco, prodotto da Colin Newman dei Wire, contiene alcune delle loro migliori canzoni come questa splendida e tribale cavalcata intitolata “Caucasian Walk”.

Il cantante Ian McCulloch inizia a far musica nel 1977 a Liverpool con i Crucial Three, band che vedeva il cantante insieme a Pete Wylie (futuro membro degli Wah!) e Julian Cope. Quando Wylie se ne andò, McCulloch e Cope formarono gli A Shallow Madness, che ebbero vita breveQuando McCulloch lasciò il gruppo, gli A Shallow Madness cambiarono nome in The Teardrop Explodes mentre McCulloch si unì al chitarrista Will Sergeant e al bassista Les Pattinson per formare gli Echo & The Bunnymen. Dopo un debutto dal vivo nel 1978 all’Eric’s Club di Liverpool proprio come apertura per i Teardrop Explodes, il gruppo fa il suo esordio nel 1980 con Crocodiles, capace di entrare subito nella top 20 della UK Albums Chart.
L’innesto, durante le registrazioni dell’album, del batterista Pete De Freitas (che morirà tragicamente nel 1989 in un incidente motociclistico) al posto della drum machine usata fino a quel momento, è importante per le dinamiche del gruppo. Il grande merito del gruppo, probabilmente, è quello di aver innestato il nevrotico post-punk dell’epoca con una calda corrente psichedelica, il tutto corredato da una splendida vena melodica. Dopo altri due album di buon successo come Heaven Up Here e Porcupine, Echo & The Bunnymen trovano il grande successo nel 1984 con l’uscita di Ocean Rain, considerato in maniera unanime come l’album di riferimento della band. Il disco ottiene un enorme successo per le splendide soluzioni melodiche e per uno dei brani di riferimento di tutta un’epoca come la “The Killing Moon” inserita in scaletta. Tra alterne vicende, e una pausa di circa quattro anni, McCulloch e Sergeant sono ancora insieme e l’ultimo album dei Bunnymen, The Stars, The Oceans & The Moon, è uscito nel 2018.

Nel novembre del 1977, un ragazzo di sedici anni chiamato Matt Johnson pubblicò un annuncio sul NME per cercare un bassita e un chitarrista solista che fossero nella scia dei Velvet Underground e di Syd Barrett. In un secondo annuncio sulla stessa rivista, Johnson corresse il tiro indicando come influenze i The Residents e i Throbbing Gristle. Intanto, mentre cercava di mettere in piedi il suo gruppo, nel 1978 Johnson aveva registrato un album demo da solista (See Without Being Seen), che continuò a vendere su cassette in vari concerti underground. L’esordio solista come Matt Johnson, Burning Blue Soul, venne pubblicato nel 1981 sotto l’ala protettrice di Ivo Watts-Russell e della sua etichetta, la 4AD. Sempre in bilico fra melodie e sperimentazioni, Johnson ha poi creato la sua creatura mutante, chiamandola The The, con cui plasmare la sua visione musicale complessa e accessibile allo stesso tempo.
Eh sì, spesso ci si dimentica di lui, ma Matt Johnson è davvero un personaggio importante nella scena musicale inglese a partire dagli anni ’80. I The The sono la sua fluida creatura, una sorta di collettivo in continua mutazione con cui ha sviluppato il suo canovaccio sonoro dal 1983 fino ad arrivare alle colonne sonore dei giorni nostri. Soul Mining, il suo esordio con la nuova sigla, è un album tanto bello quanto importante, sette brani in cui Johnson rivela la sua personale visione del pop, rivestito di tessuto soul, e di un grande e complesso senso dell’armonia. “The Twilight Hour” è senza dubbio uno dei vertici del disco.

Mettiamo subito le cose in chiaro: Jonathan Wilson possiede un talento cristallino. Il compositore, polistrumentista e produttore californiano aveva fatto centro pieno con i suoi ultimi due album prima di scivolare sulla sua megalomania che lo ha portato con Rare Birds ad abbracciare le soluzioni più pompose e stratificate degli anni ’80. Il suo album precedente, Fanfare (per me disco dell’anno nel 2013) aveva colpito critica e pubblico per l’abilità delle costruzioni armoniche e per gli splendidi arrangiamenti. Nel suo splendido artigianato folk e dalle reminiscenze della west-coast dei seventies, si è fatto accompagnare da alcuni numi tutelari di ieri (Graham Nash, David Crosby, Jackson Browne e Roy Harper) e altri nomi emergenti di oggi (Josh Tillman meglio conosciuto come Father John Misty), che lo hanno aiutato a veicolare il suo impeto e la sua retromania nella costruzione di canzoni che funzionano davvero. “Moses Pain” è solo una delle perle di un disco da riassaporare poco per volta.

Molte volte abbiamo parlato su queste pagine di Ryley Walker, un songwriter/chitarrista dell’Illinois capace con il suo talento di intraprendere un affascinante percorso partito da una perfetta integrazione della sua scrittura con il retaggio della scena folk britannica degli anni ’70. Dopo il successo di Primrose Green, Walker ha evidenziato degli album seguenti la splendida irrequietezza di un artista sempre in cerca di cambiamento. Nei i solchi dei suoi album possiamo trovare non solo tutte le influenze apertamente dichiarate durante l’arco della sua carriera, ma anche altre ispirazioni e riferimenti sempre nuovi oltre a mostrare una notevole personalità e unicità. Il tutto messo al servizio di una scrittura non facile ma sempre perfettamente a fuoco tra rilassamenti bucolici e momenti sperimentali, accordi aperti e accelerazioni sincopate improvvise. Un itinerario tortuoso, irrequieto, alla ricerca di una strada che sembra difficile da trovare, ma che all’improvviso appare in tutto il suo splendore davanti all’ascoltatore.
Questa irrequietezza mostrata apertamente in musica purtroppo non ha risparmiato il Ryley Walker uomo. Nel 2018, dopo essersi trasferito a New York City, la sua dipendenza da alcool e droghe è arrivata ad un punto critico, costringendolo a chiedere aiuto e ad abbandonare le scene per un periodo di riabilitazione necessario visto il difficile stato fisico e psicologico in cui versava. La sua nuova vita è iniziata con la creazione della sua personale label chiamata Husky Pants Records è con un nuovo album, Course In Fable, prodotto da un personaggio cardine della storia recente di Chicago in musica come John McEntire. Course In Fable è lo specchio un artista che ha sempre voglia di progredire artisticamente, che si annoia facilmente e che è giunto in una fase di piena maturità artistica in cui riesce con disinvoltura a creare un incredibile e avventuroso equilibrio tra sperimentazione e struttura classica, riuscendo a non ripetere mai le stesse soluzioni. La conclusiva “Shiva With Dustpan” è la perfetta conclusione del disco, rilassata e distesa con i violoncelli di Douglas Jenkins e Nancy Ives a fare da perfetto contraltare alla chitarra acustica creando una dolcissima distesa di suoni.

Una straordinaria sinergia ha portato nel 1998 quattro straordinari musicisti ad unire le proprie forze negli Orange Music Sound Studios di West Orange, New Jersey. Meridiem è un album prodotto da Giampiero Bigazzi per l’etichetta italiana Materiali Sonori, che vede le personalità del cantante Percy Howard, del batterista Charles Hayward (This Heat, Gong, About Group e molti altri), il chitarrista Fred Frith (Henry Cow, Material, Massacre, Naked City, John Zorn e un’infinità di altri progetti), e il bassista Bill Laswell (Golden Palominos, Painkiller, Material Massacre e anche per lui una serie infinita di album e gruppi).
Da questo album pervaso da un fascino oscuro e intrigante Hayward prese il nome per un suo progetto sonoro che in tre album e svariate collaborazioni andava a spaziare dallo spoken-word alla sperimentazione. Laswell come sempre è stato il collante di questa nuova entità. Proprio in quel momento insieme a Hayward e Frith stava registrando Funny Valentine, il secondo album dei Massacre, e gli era sembrato giusto, una volta contattato da Howard, portarsi dietro i collaudati compagni di avventura. Il risultato è stato di grande fascino, basti ascoltare questa splendida “Lunarsa”.

Ufficialmente i Portishead, nati a Bristol dall’incontro tra l’ingegnere del suono e musicista Geoff Barrow e la cantante Beth Gibbons, sono semplicemente in pausa di riflessione. Di fatto non incidono insieme da molto (troppo) tempo. Barrow, dopo aver collaborato in studio alla nascita di una vera pietra miliare del trip-hop come Blue Lines dei Massive Attack, era rimasto talmente affascinato da quelle sonorità da decidere di formare un gruppo per svilupparle secondo le sue idee e la sua personalità. Trovato il perfetto contraltare vocale in Beth Gibbons, aveva già formato di fatto il primo nucleo della band che che prese il nome dalla città dove era cresciuto, Portishead, nel Somerset, Sud-Ovest Inglese.
Dummy, il loro album di esordio, vede la formazione allargata a trio con l’inserimento del chitarrista di estrazione jazz Adrian Utley, ed è una collezione di visioni cinematiche segnate dai ritmi pennellati da Barrow che alternano ballate languide a movimenti sincopati. Il tutto cesellato dalla voce di Beth Gibbons che sussurra, invoca al cielo, emoziona. Difficile scegliere un solo brano che possa rappresentare tanta meraviglia. Alla fine la scelta è caduta sull’apertura di “Mysterons”. Dopo essere stati la band cardine del movimento trip-hop insieme ai Massive Attack, i tre si sono presi una lunga pausa prima di tornare dopo 11 anni. L’album Third, uscito nel 2008, risulta personale ed attuale anche a distanza di così tanto tempo, convincendo senza mai riciclare lo schema vincente dell’esordio con intuizioni geniali e l’inserimento di suggestioni kraut rock.

Continuando sulle stesse traiettorie, abbiamo parlato in precedenza dell’importanza di Blue Lines dei Massive Attack. In realtà tutto nasce a Bristol nel 1982 quando iniziò a farsi largo uno dei primi soundsystems locali chiamato The Wild Bunch. Del collettivo facevano parte, tra gli altri, i DJ Grantley “Daddy G” Marshall, Andrew “Mushroom” Vowles, il musicista e rapper Adrian “Tricky” Thaws, e l’artista di graffiti e rapper Robert “3D” Del Naja. Proprio questi quattro diedero vita al progetto Massive Attack, che Tricky abbandonò nel 1994 dopo l’uscita di Protection per dedicarsi alla sua carriera solista che iniziò un anno più tardi con l’album Maxinquaye, prodotto proprio dai Massive Attack.
Il suo contratto con la Island Records prevedeva che l’artista non potesse far uscire due album in un anno a nome Tricky, e per la fine del 1996 era già prevista la pubblicazione di Pre-Millennium Tension. Ma Thaws aveva questi demo pronti che a lui piacevano particolarmente e non vedeva l’ora di rifinirli insieme ad altri artisti come Björk, Neneh Cherry, Alison Moyet, Terry Hall e Martina Topley-Bird. L’escamotage trovato è stato quello di scegliere una ragione sociale temporanea, e la scintilla è stata una conferenza stampa in Germania, quando l’intervistatore aveva chiesto a Tricky “Allora, come ci si sente a essere Dio?”, poi si era fermato e aveva concluso: “Beh, quasi Dio”. Nearly God è un album scuro e affascinante che lambisce molti generi grazie alla scura voce di Tricky e delle splendide collaborazioni. “Poems”, con Terry Hall e Martina Topley-Bird, è uno dei vertici di un disco che (con altri) ha segnato un’epoca.

Keeley Forsyth nasce come attrice di teatro, salvo poi partecipare a numerose serie tv britanniche. Ma è sempre stata un’artista a 360 gradi, appassionata di poesia e di musica, si è ritrovata a cantare i suoi versi accompagnandosi da uno scheletro musicale. Profondamente ancorata alla realtà e al dramma quotidiano dell’esistenza, Keeley, insieme al compositore Matthew Bourne, aveva dato alle stampe nel 2020 il suo album di esordio intitolato Debris, convincendo critica e pubblico grazie ad una voce profonda che ricorda echi di Nico e Scott Walker e agli arrangiamenti minimali ma di grande profondità.
la magia si è ripetuta nel 2022 con il suo secondo disco, intitolato Limbs, così uguale ma così diverso. Stavolta c’è il polistrumentista Ross Downes accanto a Keeley, ed il suo sapiente uso dell’elettronica crea una potente visione amplificata dalla disperazione delle paure e dei traumi quotidiani dei versi della Forsyth. Arrangiamenti apparentemente fragili e una voce che scandaglia l’animo umano, una sinergia che affascina e avvolge come nella splendida “Blindfolded” inserita in scaletta. Limbs è senza dubbio uno degli album più interessanti usciti nel 2022.

Chiudiamo il podcast con un altro viaggio negli oscuri meandri dell’anima. Il produttore elettronico londinese Bobby Krlic, alias The Haxan Cloak nel 2013 ha pubblicato un album che ci fa tuffare nelle acque nere della nostra peggior paura: la morte. Lo scuro argomento di cui parla Excavation è proprio quello, un viaggio dopo la morte condotto da trame elettroniche che ci conducono nell’inaspettato, in una ipotetica discesa verso gli inferi tra sussulti e angosce. Le registrazioni sono partite da materiale suonato da Krlic su strumenti acustici, uniti poi a campionamenti e field recordings. Ci sono gli archi a spingere l’anima nell’aldilà, insieme a droni, percussioni che sbucano da ogni parte, aumentando il senso di disorientamento.
Un pozzo nero verso una profondità senza fine, o forse verso una calma in attesa di giudizio. Non c’è un leggero sollievo dal malessere di Krlic, che a proposito delle sessioni in studio ha confessato: “Stare in quella zona per così tanto tempo può mandarti fuori di testa”. ma nonostante tutto la cupezza di fondo si stempera lasciando posto ad alcune tracce melodiche nella “The Mirror Reflecting (Part 2)” che chiude il podcast, dove una certa forma di redenzione alleggerisce le atmosfere electrodark del disco, innestando nell’ascoltatore una sorta di ipnosi in qualche modo catartica.
Un grazie speciale va, come sempre, a Franz Andreani per la sua passione, la gestione di questa banda di pazzi e per la splendida riorganizzazione del sito già attiva da qualche anno. A cambiare non è stata solo la versione grafica del sito, ma anche la “filosofia” della podradio, con le rubriche che vanno ad integrarsi nella programmazione regolare sotto l’hashtag #everydaypodcast. Sulla nostra pagina Facebook troverete quotidianamente ogni upload del sito e, ormai da tempo, è attivo anche lo splendido canale YouTube della Radio, una nuova formula senza interruzioni ne spot per ascoltare la vostra-nostra musica preferita. Iscrivetevi numerosi, vi aspettiamo!
Nel prossimo episodio di Sounds & Grooves troverete il mio piccolo ma sentito omaggio a due enormi artisti che sono venuti a mancare da poco: Mimi Parker dei Low e Keith Levene dei Public Image Limited. Ci saranno anche le ispirate mutazioni di King Krule, l’entusiasmo intelligente dei Parquet Courts e due maestri di songwriting e arrangiamenti come Robert Forster e Michael Head con la sua Red Elastic Band. Andremo a ripescare la (mai stucchevole) magniloquenza dell’esordio di John Grant e la freschezza di Courtney Barnett. C’è spazio anche per la magia della voce incantevole di Melanie De Biasio, i viaggi crepuscolari degli Spain ed l’intelligente (e solo apparentemente fragile) lo-fi dei Fenster. Il finale sarà appannaggio delle traiettorie stranianti ma evocative di Vicky Mettler alias Kee Avil e delle ambiziose partiture dei These New Puritans. Il tutto, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
Intanto se volete potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, criticare (perché no), o proporre nuove storie musicali. Mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web.
Se volete ascoltare o scaricare il podcast, potete farlo anche dal sito della PodRadio cliccando sulla barra qui sotto. Buon Ascolto
TRACKLIST
01. POLVO: High-Wire Moves da ‘Exploded Drawing’ (1996 – Touch And Go)
02. GILLA BAND: Backwash da ‘Most Normal’ (2022 – Rough Trade)
03. THREE MILE PILOT: One Step Ladder da ‘Nà Vuccà Dò Lupù’ (1992 – Headhunter Records)
04. DOGBOWL: South American Eye da ‘Cyclops Nuclear Submarine Captain’ (1991 – Shimmy Disc)
05. VIRGIN PRUNES: Caucasian Walk da ‘…If I Die, I Die’ (1982 – Rough Trade)
06. ECHO & THE BUNNYMEN: The Killing Moon da ‘Ocean Rain’ (1984 – Korova)
07. THE THE: The Twilight Hour da ‘Soul Mining’ (1983 – Epic)
08. JONATHAN WILSON: Moses Pain da ‘Fanfare’ (2013 – Bella Union)
09. RYLEY WALKER: Shiva With Dustpan da ‘Course In Fable’ (2021 – Husky Pants Records)
10. PERCY HOWARD, CHARLES HEYWARD, FRED FRITH, BILL LASWELL: Lunarsa da ‘Meridiem’ (1998 – Materiali Sonori)
11. PORTISHEAD: Mysterons da ‘Dummy’ (1994 – Go! Beat)
12. NEARLY GOD: Poems (with Terry Hall & Martina Topley Bird) da ‘Nearly God’ (1996 – Durban Poison)
13. KEELEY FORSYTH: Blindfolded da ‘Limbs’ (2022 – Leaf)
14. THE HAXAN CLOAK: The Mirror Reflecting (Part 2) da ‘Excavation’ (2013 – Tri Angle)