Ryley Walker torna con uno splendido quinto album in studio.
“Course In Fable” è la conferma dell’eclettismo sonoro del musicista dell’Illinois.
Molte volte abbiamo parlato su queste pagine di Ryley Walker, un songwriter/chitarrista dell’Illinois capace con il suo talento di intraprendere un affascinante percorso integrando perfettamente la sua scrittura con il retaggio della scena folk britannica degli anni ’70, strizzando l’occhio soprattutto a grandi classici del genere come John Martyn, Van Morrison e Nick Drake. Dopo l’esordio quasi in sordina di All Kinds of You, è stato il secondo album Primrose Green nel 2015 a convincere critica e pubblico grazie alle ossessive e jazzate inquietudini, l’afflato pastorale, le impennate psichedeliche, il virtuoso fingerpicking. Un paio di anni dopo a Golden Sings That Have Been Sung è stato assegnato l’arduo compito di confermare cotanta meraviglia, e il disco, nonostante qualche piccola ombra, ha evidenziato la splendida irrequietezza di un artista sempre in cerca di cambiamento. Era quindi molto atteso il quarto album intitolato Deafman Glance per stabilire dove collocare Ryley Walker: ennesima promessa non mantenuta oppure artista dall’enorme talento? Fortunatamente l’album ha spostato l’ago della bilancia sulla seconda ipotesi confermando tutte le potenzialità del songwriter americano e rivelandosi probabilmente come il suo migliore. Dentro i solchi del disco possiamo trovare non solo tutte le influenze apertamente dichiarate durante l’arco della sua carriera, ma anche altre ispirazioni e riferimenti sempre nuovi oltre a mostrare una notevole personalità e unicità. Il tutto messo al servizio di una scrittura non facile ma sempre perfettamente a fuoco tra rilassamenti bucolici e momenti sperimentali, accordi aperti e accelerazioni sincopate improvvise. Un itinerario tortuoso, irrequieto, alla ricerca di una strada che sembra difficile da trovare, ma che all’improvviso appare in tutto il suo splendore davanti all’ascoltatore.
Questa irrequietezza mostrata apertamente in musica purtroppo non ha risparmiato il Ryley Walker uomo. Nel 2018, dopo essersi trasferito a New York City, la sua dipendenza da alcool e droghe è arrivata ad un punto critico, costringendolo a chiedere aiuto e ad abbandonare le scene per un periodo di riabilitazione necessario visto il difficile stato fisico e psicologico in cui versava.
“Ho preso una miscela che ero abbastanza sicuro mi avrebbe ucciso. Ma in qualche modo mi sono svegliato, grazie a Dio, Buddha, qualunque cosa ci sia là fuori. Quando cerchi di ucciderti e non funziona, ovviamente è un punto di svolta.”
La sua etichetta di allora, la Dead Oceans, lo mette sulla retta via accompagnandolo per mano verso un duro percorso di riabilitazione. Ma non vedete la creazione della sua personale label Husky Pants Records come l’atto di un ingrato irresponsabile. Al contrario, Walker è rimasto molto legato all’etichetta indipendente dell’Indiana, ma sentiva come un atto di responsabilità il voler avere il controllo completo della sua libertà creativa e aiutare i suoi amici a pubblicare nuova musica.
“Sono un grande fan della musica folk britannica, ma credo che sia estremamente importante avere sempre la voglia di progredire artisticamente. Sono una persona che si annoia molto facilmente, quindi devo trovare sempre il modo di sfidare me stesso. Spero che ogni disco e ogni fase della mia vita siano diversi”
Course In Fable, il suo quinto album in studio, il primo della sua nuova vita, è stato realizzato con un’idea ben precisa in mente. Scordatevi le ispirazioni precedenti: John Martyn, Tim Hardin, John Fahey e compagnia. Loro restano nel suo DNA, ma già dalla scelta del produttore la nuova direzione intrapresa da Walker risulta abbastanza chiara. John McEntire, batterista, polistrumentista e dall’importante peso specifico dietro al mixer è stato uno dei personaggi chiave del suono di Chicago negli anni ’90, quello fatto dalle mille collaborazioni tra musicisti e dalle formazioni che ondeggiavano miracolosamente tra post-rock e impro-jazz come Tortoise, Gastr Del Sol, The Sea And Cake e mille altri progetti. Per registrare l’album Walker si è trasferito sulla West Coast, a Portland, dove risiede attualmente McEntire e si è affidato a fidati collaboratori di lunga data come Bill MacKay alla chitarra, Ryan Jewell alla batteria e Andrew Scott Young al basso. A loro si è unito il synth di McEntire, che ha voluto dare un tocco di drammatica bellezza ad alcune tracce grazie ad una piccola sezione di archi formata dal violoncello di Douglas Jenkins e Nancy Ives (parte integrante del Portland Cello Project). Le canzoni sono state scritte tutte con la chitarra acustica, ma sono state immaginate come grandi ed epici pezzi rock. I brani sono stati tutti provati molte volte e registrati come demo, quindi tutti i musicisti sapevano esattamente cosa fare una volta entrati in studio, cosa che non è mai accaduta durante la creazione degli album precedenti, creati soprattutto durante sessioni di improvvisazione.
“I Genesis sono il mio gruppo preferito in assoluto e amo sia il periodo di Peter Gabriel che quello di Phil Collins. Amo tutto di loro. Questo fa di me un pazzo? Allora sono davvero orgoglioso di esserlo.”
Ecco, questo è stato sorprendente. Oddio, fino ad un certo punto, vista la recente personale rilettura dell’album The Lillywhite Sessions della Dave Matthews Band, ma non mi sarei mai aspettato una risposta così da Walker quando gli ho chiesto quali fossero le band di cui si ritiene tuttora un fan. Se non avevamo dubbi sulla sua passione entusiasta per la musica in genere (seguitelo su Twitter se vi capita, troverete un artista arguto, ironico e competente), per John Martyn, Sonny Sharrock, Derek Bailey, Gastr Del Sol, Jim O’Rourke e Papa M; se potevamo sospettare il suo amore per gli irregolari Thinking Fellers Union Local 282 e per i Sonic Youth, beh, sentirlo così entusiasta per gli XTC e ancor più per i Genesis mi ha lasciato quasi sbigottito. Sorpresa che si è accentuata quando di questa passione ne aho sentito vigorosi i frutti nei solchi del disco. Non ci credete? Ascoltate l’arpeggio al minuto 0:58 del brano di apertura “Striking Down Your Big Premiere” e chiudete gli occhi: ditemi se non immaginate l’arrivo nella nebbia di Peter Gabriel a raccontare la storia del portoricano Rael che sbuca a Manhattan sulla Broadway! Per non parlare della cascata di note al minuto 4:16 della stessa traccia, dei due minuti strumentali che introducono la superlativa “A Lenticular Slap” o dell’apertura di tastiere piazzata subito dopo la metà della malinconica “Clad With Bunk” a fare da accompagnamento ad una chitarra quasi Hackettiana.
Non vi spaventate. Non c’è QUEL (temutissimo) progressive a tenere le fila di questo disco, tutto è ricondotto nella giusta misura da un artista che ha sempre voglia di progredire artisticamente, che si annoia facilmente e che è giunto in una fase di piena maturità artistica in cui riesce con disinvoltura a creare un incredibile e avventuroso equilibrio tra sperimentazione e struttura classica, riuscendo a non ripetere mai le stesse soluzioni. E che sia iniziata una fase più distesa della sua vita si capisce, oltre che dal tono delle canzoni, anche dal suo cantato che appare fluido, rilassato, poetico e vibrante come non mai. “Rang Dizzy” è una meraviglia acustica impreziosita dagli archi che si chiude con i versi “I am wise. I am so fried. Rang dizzy inside. Fuck me I’m alive” in cui con dolce crudezza parla del suo tentativo di suicidio. La seguente “A Lenticular Slap” è uno dei vertici dell’album, quasi 8 minuti dove ci si perde e ci si ritrova, mentre Walker si diverte a piazzare piccoli labirinti di complessità variabile da cui ne esce con sorprendente facilità grazie ad aperture armoniche e melodiche di tale bellezza liberatoria da togliere il fiato.
“Sono un grande fan della musica folk britannica, ma credo che sia estremamente importante avere sempre la voglia di progredire artisticamente. Sono una persona che si annoia molto facilmente, quindi devo trovare sempre il modo di sfidare me stesso.”
Se “Axis Bent” è una sorta di crocevia rilassato tra il Jim O’Rourke più pop (Eureka e Insignificance) e i Wilco con tanto di coda dissonante sul finale, “Clad With Bunk” è un malinconico flusso di coscienza che aumenta di ritmo in uno straordinario finale elettrico dove ancora i testi mostrano con azzeccati simbolismi un’umanità disperata ma pervasa di nera ironia: “Pointing fingers with trapped hands inside, Sand is better served there, I take a glass of twine knots”.
I sette minuti di “Pond Scum Ocean” iniziano con una lunga divagazione strumentale dove si sente (eccome) l’appartenenza ai Tortoise di John McEntire, con Walker che si diverte a fare il Jeff Parker della situazione prima di aprirsi di nuovo unendo mirabilmente semplicità armonica e complessità strutturale. La conclusiva “Shiva With Dustpan” è la perfetta conclusione del disco, rilassata e distesa con i violoncelli di Douglas Jenkins e Nancy Ives a fare da perfetto contraltare alla chitarra acustica creando una dolcissima distesa di suoni.
“Sono sempre ispirato da un flusso di coscienza legato alla paranoia. Vita di città, camminate al freddo, depressione e droghe. Tutto molto personale, ma credo che anche altre persone possano identificarsi in quello che scrivo.”
Non è facile affrontare i testi di Walker; sono pieni di metafore, doppi sensi, diretti e complessi allo stesso tempo, ma addentrarsi nella lettura dei suoi versi è una vera goduria cerebrale. La sua penna si muove per flashback, esprimendo una profonda umanità che, non di rado, è permeata da un umorismo sarcastico e autoironico. Dopo aver lasciato spazio ai suoi progetti più psichedelici e free-form come le recenti collaborazioni con i giapponesi Kikagaku Moyo e con David Grubbs (Squirrel Bait, Bastro, Gastr Del Sol e altro idolo musicale di Walker) nel tempio della sperimentazione londinese Café OTO (i due stanno preparando un lavoro insieme in studio), Ryley Walker è tornato a pubblicare un album di canzoni dove, per l’ennesima volta, è riuscito a cambiare le carte in tavola dal punto di vista delle ispirazioni sonore lasciando intatto il suo incredibile e avventuroso equilibrio tra sperimentazione e struttura classica. Il sollievo per averlo ritrovato è pari alla poetica meraviglia della sua musica. Course In Fable è un album che cresce ascolto dopo ascolto, registrato da Ryley Walker in uno stato di quella gioia pura che solo una rinascita può dare. Inutile dire che è destinato senza dubbio ai piani alti delle classifiche di settore (e non solo) del 2021.
TRACKLIST
1. Striking Down Your Big Premiere 5:04
2. Rang Dizzy 4:45
3. A Lenticular Slap 7:49
4. Axis Bent 4:19
5. Clad With Bunk 5:32
6. Pond Scum Ocean 7:09
7. Shiva With Dustpan 5:38