Album di esordio per il quartetto francese.
“Mysore Pak” è lo straordinario frutto di 20 anni di duro lavoro.
A volta la strada per la pubblicazione di un album può diventare davvero lunga e tortuosa se i primi tasselli del puzzle non vanno subito al posto giusto. Nel 1992, a Parigi, Rose-Laure Daniel (basso e voce), Isabelle Vigier (chitarra) e Marine Laclavère (batteria) danno vita al progetto One Arm prendendo il nome da un racconto del drammaturgo e poeta americano Tennessee Williams. Le tre ragazze fanno parte senza sosta della scena musicale post-punk e no wave parigina e francese fino al 1996. In questi quattro anni le tre “minimaliste isteriche”, come amavano definirsi, hanno condiviso i palchi di mezza Europa con band come The Ex, Pram, Moonshake, Dog Faced Hermans e Pond (band statunitense che incideva per Sub Pop, non gli attuali indie-rockers australiani), trovando il tempo di autoprodursi una cassetta composta da 9 tracce, un singolo (recentemente ristampato solo digitalmente dalla Atypeek Music e disponibile sul loro Bandcamp) e di apparire in numerose compilations prima di sciogliersi definitivamente nel 1997.
Ma non tutto era perduto. Un anno dopo, digerito l’abbandono della Vigier, la sezione ritmica della band decide di riprendere il progetto facendolo partire di nuovo con due nuovi compagni di avventura. Una strada apparentemente folle visto che i nuovi arrivati componevano anche loro la sezione ritmica di un gruppo appena sciolto, La Mâchoire. L’innesto della batteria di Dilip Magnifique e del basso di Rico Herry ha dato vita ad un ibrido e simmetrico quartetto: due donne, due uomini, due bassi e due batterie. I quattro hanno iniziato a creare canzoni totalmente nuove, prendendo in prestito dal vecchio repertorio solo “Hitch-Raping” e “Space Is The Place” che faceva parte di un loro side project chiamato Mysore Pak. Dopo alcuni concerti (di cui uno memorabile all’Elysées-Montmartre di Parigi nel 2000 di supporto ai Sonic Youth) e un demo, l’album stava finalmente per essere pubblicato da un’etichetta belga, la FBWL. Ma il destino aveva deciso ancora una volta di voltargli le spalle. L’etichetta fallisce, nessun’altra label si fa avanti e i componenti della band si salutano tornando ad essere geograficamente distanti. Bisognerà aspettare altri 15 anni per far si che qualcosa si muovesse di nuovo sul fronte One Arm. Prima un tentativo con un’altra etichetta fallito per motivi logistici, poi l’interesse della Atypeek Music che ha portato la band a riprendere i vecchi demo, arricchirli, remixarli e trasformarli nella versione definitiva che troviamo nella loro prima uscita sulla lunga distanza, finalmente pubblicata ad inizio 2021, che prende il nome proprio dal loro antico progetto alternativo.
Come detto nel lungo preambolo, i brani di Mysore Pak sono stati composti e registrati in un lungo lasso di tempo, un concentrato di stili e scrittura assolutamente sorprendente per qualità e peso specifico che risulta incredibilmente coeso nonostante la differenza temporale. Due bassi, due batterie, samples, field recordings capaci di shakerare post-rock britannico anni ’90 (quella meravigliosa estetica sonora che faceva capo all’etichetta Too Pure), funk, krautrock, new wave e musica industriale in un calderone febbrile di grande effetto. La partenza è con il botto, visto che le trascinanti “Real” e “ESG” spingono subito il piede sull’acceleratore, ma i diabolici quattro trovano il modo di rallentare subito i ritmi prima con la splendida e ondeggiante “Space Is The Place” (unico brano dove è presente una chitarra) dove fa capolino il cameo di Little Annie, poi con i riflessi di specchi ed echi della sinuosa “Figure”, mentre le voci che sembrano arrivare da una lontana moschea di “Fiddle” vanno a planare su una sorta di giga lenta e scura. Con la trascinante “City” si torna a rilasciare nervi e muscoli, e quella che sembra una chitarra che sbuffa e si impenna non sono altro che gli effetti e i pedali di Rico in uno dei loro migliori travestimenti; le voci e i suoni che si avvicendano nei nostri padiglioni auricolari rendono gli strumentali “B.O.” e “Change” inquietanti e avvincenti allo stesso tempo, il basso super dub di “Hitch-Raping” ci fa ciondolare la testa prima che le percussioni accelerino febbrilmente il ritmo per portarci diretti nel mondo trascinante di “Top Tone”, il brano più lungo del lotto, quasi 8 superlativi minuti dove la voce di Laure, samples, ritmi tribali, bassi, echi mediorientali e dub, si intrecciano in uno stratificato microcosmo emozionale. Con ogni probabilità il brano migliore di un album superlativo. A chiudere il disco ci pensa una “Step 3” che alterna pause seducenti a oscillazioni di suoni e voci e la propulsione wave dello strumentale “Virgule”.
Il gruppo francese ci ha messo tanto tempo per pubblicare il proprio manifesto sonoro, ma sento di poter dire senza timore di smentita che non è stata un’attesa vana. I quattro musicisti hanno messo su un album di sicura suggestione, capace di colpire con complesse trame ritmiche che vengono costantemente trafitte dagli inserimenti ispiratissimi degli effetti e dalle bordate di suoni meravigliosamente organizzati. Lo stesso Dave Callahan dei Moonshake aveva dichiarato con orgoglio che The Sound Your Eyes Can Follow era un disco “guaranteed guitar-free”, e gli One Arm, che con Callahan e compagni hanno diviso molte volte il palco negli anni ’90, hanno saputo rinfrescare e rinverdire quel suono coraggioso in maniera assolutamente perfetta. A questo punto non ci resta altro che ascoltare di nuovo il disco e sperare che non ci facciano aspettare altri 20 anni per un seguito.
TRACKLIST
1. Real 3:44
2. ESG 3:36
3. Space Is The Place 3:52
4. Figure 3:42
5. Fiddle 3:42
6. City 4:19
7. BO 3:29
8. Change 4:25
9. Hitch 4:20
10. Top Tone 7:48
11. Step 3 3:34
12. Virgule 5:06