I due musicisti pubblicano un disco insieme per la prima volta dopo tanti anni di collaborazioni
“Sons Of” è un affascinante viaggio tra suggestioni techno ed echi cosmici
Chicago è stata una delle due città statunitensi (insieme a Louisville) dove negli anni ’90 si è sviluppato un genere (che in realtà comprende formazioni molto diverse tra loro) conosciuto come post-rock, il cui paradigma era quello di creare musica con una strumentazione standard ma con una finalità non prettamente rock. I Tortoise sono stati uno dei gruppi più importanti di quella scena vitale, nati dalle ceneri di grandi gruppi (Squirrel Bait, Bastro, Slint, Bitch Magnet), ma capaci di prendere varie suggestioni (rock, elettronica, dub) e farle confluire in un suono “altro” che comprendeva anche i benefici influssi di due tra le scene più interessanti e creative degli anni ’70: la scena di Canterbury da una parte ed il kraut-rock dall’altra.
John McEntire, membro fondatore, batterista e polistrumentista dei Tortoise non è solo un uomo dall’importante peso specifico dietro al mixer (tra le sue attuali produzioni anche quello dell’ultimo, splendido, Ryley Walker) ma è stato uno dei personaggi chiave di quel suono di Chicago, creato dalle tante collaborazioni tra musicisti e da formazioni che ondeggiavano miracolosamente tra post-rock e impro-jazz come Gastr Del Sol, The Sea And Cake e molti altri progetti.
Sam Prekop (ex Shrimp Boat) è stato da sempre sodale di McEntire nel progetto The Sea And Cake, cui tuttora presta la sua voce levigata per impreziosire un suono elegante e personale. Da qualche anno Prekop nelle sue produzioni soliste, ha deciso di abbandonare la voce (ed è un peccato) per dedicarsi alle sue sperimentazioni con le varie manopole e jack di rack modulari, con cui procede a briglie sciolte sovrapponendo droni, scosse electro-ambient ed un incanto minimalista di indubbio fascino.
Paradossalmente, dopo quasi tre decenni di esperienza di lavoro insieme, Sons Of è la loro prima vera e propria collaborazione completa come duo, un naturale sbocco per due artisti attratti dall’incorporazione della musica elettronica in contesti rock e jazz e il compimento di un assiduo lavoro on stage compiuto negli ultimi anni. La collaborazione del duo, infatti, ha preso forma in una serie di spettacoli in Europa nell’autunno del 2019, tutti interamente improvvisati. Prekop e McEntire si sono imposti dei parametri di base, e hanno permesso ai loro strumenti di intrecciarsi liberamente, modulati dal loro abile istinto di improvvisatori e ascoltatori.
In realtà l’intenzione primaria di Prekop e McEntire era quella di pubblicare su disco il loro show di fine 2021 al Constellation di Chicago, ma di fronte ad alcuni problemi tecnici e alla sensazione che i pezzi non fossero del tutto “compiuti”, i due hanno ben presto rivalutato le loro intenzioni originali mettendosi al lavoro per migliorare le registrazioni live. Come detto in precedenza, Prekop negli ultimi anni si era spinto sempre più in la nell’uso di campionatori, moduli sintetizzatori ed effetti, e il disco sembra una naturale estensione del suo lavoro elettronico solista, con una produzione impeccabile ma pieno di toni luminosi e pulsazioni vivaci.
Naturalmente scordatevi l’abilità tecnica di McEntire come batterista sfoggiata con i Tortoise, i suoi trigger pad vengono suonati puntando alla massima semplicità ritmica, un’impalcatura che sorregge perfettamente l’elaborata gamma di moduli sintetizzatori, campionatori ed effetti che il duo è riuscito ad implementare nel corso dei quattro lunghi brani del disco che hanno una lunghezza variabile da 8 a 23 minuti.
“A Ghost At Noon” mette subito le cose in chiaro con la fluidità dei suoni scaturiti dalle quattro mani a perfezionare una precedente esibizione live a Düsseldorf. Sequenze circolari, movimenti ritmici che svaniscono, mutano, cambiano direzione, mostrando due musicisti totalmente a proprio agio nel cambiare le carte in tavola o adagiarsi in melodie pop con grande disinvoltura. La cassa in 4/4 di “Crossing At The Shallow” è il perfetto scheletro su cui i due possono costruire per oltre 10 minuti un arsenale sonoro che strizza l’occhio alla fluidità psichedelica di Sonic Boom, evocando allo stesso tempo echi del pop alternativo dei The Sea And Cake e le alchimie sonore dei primi Tortoise. Gli oltre 23 minuti di “A Yellow Robe” sono il fulcro del disco e rappresentano il manuale sonoro del loro metodo compositivo. Un’improvvisata evocazione onirica di mondi che si muovono con ritmi ipnotici e tonalità in continuo mutamento sotto i nostri occhi, lasciando spazio alla respirazione e all’evoluzione di nuovi suoni. Nella seconda parte del brano i due si lanciano a briglie sciolte mantenendo il flusso narrativo della performance dal vivo tra percussioni alla deriva e momenti di euforica e avvolgente beatitudine melodica. Il rimbalzo delle percussioni di McEntire lancia in orbita la conclusiva “Ascending By Night” tra suggestioni techno ed echi cosmici, dimostrando come anche i “freddi” rack modulari possano avere un’anima e un caldo cuore pulsante.
Devo ammetterlo, ho approcciato Sons Of di Prekop e McEntire con diffidenza, la stessa mostrata dai due gatti di McEntire immortalati in copertina. Probabilmente troppo ancorato alle loro primarie band di appartenenza e diffidente verso il nuovo percorso seguito principalmente da Prekop. Ma andando avanti con gli ascolti l’album si è rivelato un viaggio emozionante e diversificato capace di rilevare sfumature a ogni ascolto.
TRACKLIST
1. A Ghost At Noon 7:51
2. Crossing At The Shallow 10:57
3. A Yellow Robe 23:41
4. Ascending By Night 13:41