Tornano le avventure in musica di Sounds & Grooves con il 5° Episodio della 13° Stagione di RadioRock.to The Original
Meno novità ma tante cose da riscoprire in questo episodio di Sounds & Grooves
Sounds & Grooves arriva al 5° Episodio della 13° Stagione di www.radiorock.to, ed è per me a distanza di anni sempre meraviglioso registrare e dare un segnale di continuità con il passato, con quella meraviglia che Franz Andreani, Marco Artico, Massimo Di Roma, Flavia Cardinali, Gianpaolo Castaldo avevano creato e a cui, nel mio piccolo, ho provato a dare il mio contributo dal 1991 al 2000. La Radio Rock in FM come la intendevamo noi è sparita da due decenni, ma in questi 12 anni abbiamo cercato nel nostro piccolo di tenere accesa una fiammella, cercando di raddoppiarla, moltiplicarla, farla diventare un faro di emozioni e qualità musicale con tutta la passione e la voglia di fare radio che nonostante tutto non ci è mai passata. Non siamo una radio “normale”. Non solo perché trasmettiamo in differita e attraverso podcast registrati, ma soprattutto perché andiamo orgogliosamente musicalmente controcorrente rispetto a quella che è diventata la consuetudine delle emittenti radiofoniche al giorno d’oggi.
“Shake It” si muove sinuoso per quasi 90 minuti: il punk al femminile degli indimenticabili X-Ray Spex, il folk virato Irlanda dello scozzese Mike Scott e dei suoi The Waterboys e il post-hardcore anni ’90 di Girls Against Boys e Garden Variety si intrecciano con moltissime novità. Dalla reunion dei tedeschi Locust Fudge all’ennesimo centro pieno del nuovo EP degli Sleaford Mods. E se Micah P Hinson viene folgorato sul cammino di Santiago lanciando frecce con i suoi texani musicisti dell’apocalisse, Kristin Hersh ci ricorda di essere tra le migliori songwriter in giro con un ritorno ad un suono tanto abrasivo quanto convincente, e che dire del secondo album della migliore interprete di pedal steel, Heather Leigh, che unisce allo strumento la sua splendida voce per ammorbidire la durezza della sua proposta. Todd Rittmann continua a stupire con una variante dei suoi Dead Rider, mentre Courtney Barnett si conferma songwriter ispirata e convincente. A chiudere il cerchio ci pensano due gruppi tanto sghembi quanto eccitanti come Cheer-Accident e Drinks, oltre ad un Tom Waits in stato di grazia con un album da riscoprire come Real Gone.
Lunga vita a RadioRock The Original. #everydaypodcast
Download, listen, enjoy!!!
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Iniziamo il podcast con una band nata in Inghilterra nel 1976, in piena era punk. Gli X-Ray Spex erano composti da Poly Styrene (Marion Joan Elliott-Said) alla voce, Jack Airport (Jack Stafford) alle chitarre, Paul Dean al basso, Paul Hurding alla batteria e Lora Logic (Susan Whitby) al sassofono. Proprio il sassofono abrasivo della Logic era decisamente inusuale per un gruppo punk e contribuì non poco a caratterizzare la band oltre alla voce potente ed allucinata di Poly Stirene. Il loro unico album in studio si intitola Germfree Adolescents, ed esce per la major EMI nel 1978. Curiosamente nonostante il grande consenso critico, l’album non fu pubblicato negli Stati Uniti fino al 1992. L’album presentava al sassofono Rudi Thomson al posto della Logic, che era andata via dopo aver registrato i primi singoli della band. Il loro suono è uno dei più particolari e maturi del punk inglese, con le invettive anti-consumistiche e anti-capitalistiche di Poly Stirene a fare da perfetto compendio alla loro carica viscerale. La band purtroppo si sciolse quasi subito, riformandosi a sorpresa nel 1995 registrando un secondo album, Conscious Consumer. Qualche tempo dopo si sciolsero definitivamente. Poly Styrene è morta il 25 aprile del 2011. Se volete ripercorrere la storia di una delle band più interessanti e vitali del punk britannico, cercate e trovate The Anthology, due CD che coprono tutta la storia della band. “Art-I-Ficial” è il brano che apriva come meglio non si potrebbe il loro devastante album di esordio.
Uno dei due chitarristi degli U.S. Maple (autori di 5 pregevoli album dal 1995 al 2003 e perfetta incarnazione di quel fenomeno che andava sotto il nome di “Now Wave”), Todd Rittmann, nel 2009 ha creato i Dead Rider, un nuovo progetto con cui portare a compimento la sua missione di scomporre e ricomporre vari generi musicali. Rittmann con i suoi nuovi compagni di avventura: Matthew Espy, batteria, Andrea Faugh, tromba e tastiere, e Thymme Jones, elettronica, tastiere, fiati e batteria (questi ultimi due anche nei Cheer-Accident) ci avevano già convinto nel 2014 con un album intitolato Chills On Glass, che aveva incantato per il gioco degli incastri, e per l’abilità di Rittmann e compagni di creare un’equilibrata alchimia tra ingredienti apparentemente molto diversi, per poi confermarsi 3 anni dopo cambiando riferimenti stilistici ma facendo di nuovo centro. Su Crew Licks l’obiettivo del restauro diventava la black music, e il dipanarsi delle nove tracce era come il gioco della pentolaccia, con i quattro che dopo aver messo nella pignatta di terracotta soul, funk, psichedelia anni’70, si divertivano a colpirla a turno con violente mazzate. Stavolta la creatura feroce e mutante di Rittmann cambia leggermente nome, riducendosi a trio (non è più della partita Thymme Jones) ma ospitando la voce del britannico Paul Williams, di cui poco si sa se non che è stato il manager dell’attore Crispin Glover. Una sorta di Tom Waits quasi più roco, perfetto per sottolineare i pestoni storti e dilatati di questa band che riesce sempre a stupire per l’ennesima rivisitazione e reinvenzione della materia rock-blues. Ascoltate “Not A Point On A Scale” per capire perché questa band è ormai tra le mie preferite in assoluto. Dead Rider Trio Featuring Mr. Paul Williams è l’ennesimo centro pieno.
Abbiamo parlato in precedenza dei Cheer-Accident, gruppo tanto creativo quanto, purtroppo, poco considerato. La creatura di Thymme Jones ha sempre preferito trame tortuose per esprimere il proprio discorso musicale. Un incredibile ed inestricabile intreccio di post-rock, kraut, progressive, dove melodie e dissonanze sanno amalgamarsi in un’appiccicosa ed intrigante melassa. La band in realtà è stata sempre una sorta di collettivo mutante, plasmato dalle sapienti mani di Thymme Jones (batteria, voce, piano, tromba, noises), capace di passare da quartetto a ensemble comprensivo di fiati ed archi. Negli ultimi anni il fulcro del gruppo sembra essersi stabilizzato, vedendo a fianco del leader il basso e le tastiere di Dante Kester, la chitarra e la tromba di Jeff Libersher. Intorno a questo trio girano a turno numerosi altri musicisti. In particolare, per il loro diciottesimo album in studio intitolato Putting Off Death troviamo il sax di Cory Bengtsen e Ross Feller, il violino di Julie Pomerleau e molti altri musicisti di Chicago, impegnati a rendere ancora più denso e complesso il suono. L’album, come quasi tutta la discografia della band, regala momenti di complessità intrigante come dimostra la splendida “Lifetime Guarantee”.
A cavallo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 Dirk Dresselhaus con i suoi Hip Young Things e Christopher Uhe con gli Speed Niggs, si destreggiano tra la chitarra ed il microfono, incrociando la loro strada svariate volte sui palchi tedeschi. I due ci mettono poco tempo a capire che le loro affinità musicali sono molteplici fino a decidere di proseguire insieme il loro percorso sotto la ragione sociale di Locust Fudge. Il duo esordisce nel 1993 pubblicando Flush, per poi bissare a stretto giro di posta l’anno successivo con Royal Flush. Poi per entrambi prevale il desiderio di seguire progetti personali e le loro strade, inevitabilmente, si dividono. Nel corso del 2014, per celebrare la ristampa in vinile dei primi due album, Dresselhaus e Uhe hanno fatto un piccolo tour insieme al batterista Chikara Aoshima, presentando brani vecchi ed alcune tracce nuove scritte per l’occasione. Evidentemente il risultato è stato più che buono se i tre hanno preso la decisione di tornare in sala di incisione per la prima volta dopo vent’anni, rispolverando la sigla Locust Fudge.
Nell’assemblare Oscillation i due titolari della sigla, da buoni fratelli, si sono spartiti la scrittura della 10 tracce (5 a testa) nonché il ruolo da cantante/chitarrista, prendendo a piene mani da un certo (classico) rock alternativo anni ’90 e strizzando l’occhio in particolare a Neil Young e ai conterranei The Notwist, due artisti che erano già stati oggetto di cover nel primo album della band.“No Defense” è semplicemente uno dei vertici dell’album. Una canzone che parte seguendo i cliché del genere, ma che dopo un paio di minuti aziona uno scambio che consente alla variabile impazzita del disco, Ulrich Krieger, di mettere in moto il suo sax urticante doppiato dal clarinetto dell’argentino di stanza in Germania Lucio Capece, prima di far rientrate il tutto sui binari consueti come se nulla fosse.
A volte capita di imbattersi in dischi comprati chissà quando, ascoltarli con curiosità dopo molto tempo e scoprire in quei solchi impolverati svariati motivi di interesse. I Garden Variety sono stati una band proveniente da Valley Stream, Long Island, NY, capace di pubblicare due album al di sopra della media per quanto riguarda la produzione post-hardcore americana degli anni ’90. Anthony Roman (basso e voce), Anthony Rizzo (chitarra) e Joe Gorelick (batteria), in quel periodo si sono affiancati con successo a band come Jawbox, Texas Is The Reason, Superchunk o Quicksand. Un’estetica sonora aggressiva e dissonante, capace però di enormi slanci melodici, Knocking The Skill Level è stato il loro secondo e (purtroppo) ultimo album, uscito nel 1995. “Room 183” è il brano perfetto per mostrare l’alternanza tra dinamismo ritmico e la capacità melodica della band, il tutto al servizio di un’ottima capacità di scrittura. Un disco ed un gruppo assolutamente da riscoprire per gli amanti di questo genere.
Nonostante sia rimasta lontana dalle luci dei riflettori e dal red carpet, Kristin Hersh negli ultimi anni si è dimostrata autrice sempre ispirata ed estremamente attiva. Nel 2013 è tornata con i suoi Throwing Muses pubblicando Purgatory/Paradise (primo album dopo un decennio di silenzio del gruppo che insieme a Pixies e Dinosaur Jr. ha fatto parte dell’elite della scena indie power rock di Boston), continua a sfornare EP con i 50 Foot Wave, e ha pubblicato tre libri: un’autobiografia, un testo per bambini, e “Don’t Suck, Don’t Die: Giving Up Vic Chesnutt”, un libro che racconta la vita tormentata del compianto Vic Chesnutt, sublime songwriter e suo amico fraterno scomparso nel 2009. Proprio il “formato libro” sembra essere diventato il preferito della prolifica songwriter. Nel 2016 Wyatt At The Coyote Palace si componeva di un libro con copertina rigida composto di ben 64 pagine di storie scritte dalla songwriter, alternate ai testi delle canzoni che fanno parte dei due CD inclusi nella confezione. E se quel doppio album era un flusso inquieto e malinconico ispirato dal suo figlio autistico Wyatt e dalla sua attrazione per un appartamento abbandonato abitato dai coyote che si trovava proprio accanto allo studio di registrazione di Rhode Island, con Possible Dust Clouds la Hersh torna a comporre canzoni con uno scheletro elettrico e tirato come i migliori episodi della sua band madre. “Lethe” è uno dei brani migliori di una autrice che non smette di stupire per la sua incredibile e longeva abilità nel comporre meraviglie.
Torniamo a parlare di post-hardcore anni ’90, e lo facciamo con una band che colpevolmente ho passato molto raramente nei miei podcast. I Girls Against Boys di Washington nascono dalle ceneri dei Soulside e si impongono quasi subito come uno dei gruppi più esplosivi ed eccitanti della scena grazie alla voce ruvida e potente di Scott McCloud e all’uso del doppio basso che li rende davvero unici. Cruise Yourself è il loro terzo album in studio, esce nel 1994, ed ha il difficile compito di non far rimpiangere il precedente Venus Luxury Baby N.1, probabilmente il capolavoro del gruppo. Il risultato è un sound non selvaggio come il disco precedente ma capace di mediare l’assalto frontale con sofisticate aperture di tastiere e rimandi alla psichedelia degli anni ’60. L’alternanza tra i brani più tirati e quelli più ad ampio respiro rimane, e “(I) Don’t Got A Place” è uno di quei brani dove entrambe le anime del gruppo coesistono perfettamente, mostrando una cifra stilistica tanto ispirata quanto efficace.
Voi malcapitati che seguite i miei podcast su Radio Rock The Original conoscete bene la mia predilezione per gli Sleaford Mods. Sulla loro forza rabbiosa mi sono espresso più di una volta. Da qualche anno duo punk-hop di Nottingham formato da Jason Williamson e Andrew Fearn ha firmato per la storica etichetta britannica Rough Trade senza perdere un grammo della loro ferocia sociale. Dal vivo poi sono assolutamente divertenti, più Williamson si danna, sbraita, inveisce, si avvita su se stesso, urla con il suo accento improponibile del nord dell’inghilterra, più il suo compare se la sghignazza bevendo birra e semplicemente facendo partire e stoppando le sue basi sul laptop. E mentre sta per uscire il loro nuovo Eton Alive per la loro nuova etichetta Extreme Eating, voglio proporvi, “Stick In A Five And Go” il brano che apre il loro EP autointitolato uscito nel 2018. Niente di particolarmente nuovo, la loro formula è ormai facilmente identificabile, ma la semplicità con cui i due la fanno evolvere rimanendo fedeli a loro stessi è meravigliosamente spaventosa. Pur non essendolo nel suono, nessun gruppo incarna meglio di loro la vera essenza del punk, nessuno rimane a livelli così qualitativamente alti al giorno d’oggi.
Il songwriter e chitarrista americano Tim Presley è un personaggio davvero interessante. Dopo aver formato e sciolto i Darker My Love, il cantautore ha fatto parte di una delle innumerevoli line-up dei The Fall del compianto Mark E. Smith registrando con la band l’album Reformation Post TLC pubblicato nel 2007. Dopo una serie di album a nome White Fence, di cui uno in coabitazione con Ty Segall, Presley ha iniziato a collaborare con la cantautrice gallese Cate Le Bon, formando i Drinks. E se con il suo primo lavoro a suo nome, The Wink (disco suonato in collaborazione proprio con Cate Le Bon insieme alla batterista Stella Mozgawa) rimandava ad una psichedelia declinata in maniera inusuale e deforme interpretata con una scrittura decisa e una forte personalità, il secondo album dei Drinks mantiene le ottime premesse dell’esordio. Hippo Lite è un magnifico gioco di incastri raffinato e sfuggente. La psichedelia pop dei due viene scomposta e ricomposta, infilando una dissonanza, un esperimento proprio mentre l’ascoltatore inizia ad adagiarsi sulle melodie. E Presley non smette di stupirci, un nuovo album a nome Tim Presley’s White Fence è dietro l’angolo…
La songwriter australiana Courtney Barnett aveva già convinto con The Double EP: A Sea of Split Peas, ma è con il primo lavoro sulla lunga distanza Sometimes I Sit And Think…che si è confermata come artista dal grande talento compositivo, capace di esplorare sentimenti diversi con la sua voce e la sua chitarra, ora scanzonata ora dolente. Uno splendido talento melodico. Inutile dire che erano altissime le aspettative per il nuovo album, che si è materializzato da poco sugli scaffali dei negozi e che si intitola Tell Me How You Really Feel. Il disco è sincero, schietto e convincente, forse un po’ sotto al meraviglioso disco di debutto. Ma brani come “Charity” mostrano un talento ed una scrittura notevolmente superiori alla media. Brava Courtney.
Durante la realizzazione di This Is The Sea, nel 1985, Mike Scott, leader dei The Waterboys, incontra ad Edinburgo il violinista irlandese Steve Wickham. I due trovano un comune amore nella musica folk tradizionale irlandese e dopo la collaborazione del violinista nel brano “The Pan Within”, Wickham diventa a tutti gli effetti un membro della band. La sinergia tra i due diventa sempre più stretta coma la loro amicizia. Wickham invita Scott a trascorrere con lui il capodanno a Dublino, il cantante/chitarrista accetta, ma al posto di restare per un breve lasso di tempo nella verde isola ci resterà per ben 5 anni. Dal 1986 al 1988 la band fa sede negli storici Windmill Lane Studios della capitale irlandese, per poi terminare le registrazioni alla Spiddal House di Galway, immortalata nella splendida copertina di Fisherman’s Blues. Il cambio di rotta della band è tanto evidente quanto scontato, un meraviglioso tributo alla musica folk irlandese, suonato con intensa passione ed energia. Tra traditionals e brani presi in prestito (“Sweet Thing” di Van Morrison e “This Land Is Your Land” di Woody Guthrie), Scott e i suoi amici tirano fuori molti splendidi brani come questa trascinante “And A Bang On The Ear”, scelta come secondo singolo e diventata N°1 in Irlanda.
Micah P. Hinson, folksinger nato a Memphis ma texano d’adozione, è ormai da anni una delle voci più interessanti del songwriting americano. Le sue liriche autobiografiche, sarcastiche e profonde, si sposano perfettamente con la sua visione cinematica e il suo modo dolcemente violento di interpretare la tradizione americana. Micah si è sempre confermato anche live come grande intrattenitore, raccontando storie della sua vita personale e della grande periferia americana, quella dove il massimo della vita è andarsi a sbronzare al bar o trangugiare un six pack davanti alla tv. Se lo scorso anno con Micah P. Hinson presents The Holy Strangers, il songwriter ha voluto creare una «moderna opera folk» dove raccontare la storia di una famiglia in tempo di guerra, stavolta con l’ennesima nuova sigla, The Musicians of the Apocalypse, mette in musica le idee che si sono accavallate nella sua mente durante i passi che lo hanno portato a compiere il famoso cammino fino a Santiago Di Compostela. Tornato in Texas Micah ha raccolto svariati musicisti che avevano collaborato con lui in passato ed in sole 24 ore ha registrato When I Shoot At You With Arrows, I Will Shoot To Destroy You l’ennesimo album diretto, sincero, in cui il nostro esprime i suoi peccati e cerca la redenzione scoccando frecce che colpiscono sempre il bersaglio. In sette tracce registrate alla vecchia maniera, rigorosamente con equipaggiamento analogico, Hinson mostra ancora una volta la sua abilità nel saper miscelare perfettamente la tradizione country-folk con il songwriting più contaminato e moderno, stavolta chiudendo con i 9 minuti della strumentale “The Skulls Of Christ” dove condensa tutti gli orrori dei nostri tempi. “I Am Looking For The Truth, Not A Knife In The Back” è il brano che ci instrada verso il nuovo cammino di Micah.
Faccio di nuovo mea culpa. Un artista enorme di cui mi ricordo troppo poco spesso nella compilazione dei miei podcast. Che dire su Tom Waits che non sia già stato detto o sviscerato in tanti anni? Con i suoi alti (molti) e i suoi bassi (pochissimi), l’artista di Pomona non ha mai fatto un album che non sia onesto, diretto e passionale. Real Gone, uscito nel 2004, è stato prodotto e scritto a 4 mani con la moglie, e pone l’accento sui ritmi e la percussività, abbandonando il pianoforte. La batterie e le percussioni sono affidate a Brain (batterista dei Primus) e al figlio dello stesso Waits, Casey, mentre la creatività della sezione ritmica viene completata dall’enorme talento di Les Claypool. Aggiungiamo alla scrittura e alla voce di Waits il rientrante Marc Ribot alla chitarra ed il risultato è uno dei migliori album dell’artista negli ultimi anni, dove blues metropolitano, funk sghembo sanciscono ancora una volta la sua inesauribile vena creativa. “Shake It” è uno dei migliori esempi di cotanta meraviglia.
L’approccio personale e visionario di Heather Leigh alla pedal steel guitar ci aveva già convinto nel 2015 ascoltando il suo primo album solista I Abused Animal . Visto che ormai la fanciulla è diventata il riferimento della scena avant-improv-noise per quanto riguarda il suo particolare strumento, non stupisce affatto l’unione con il sassofono del veterano della scena avant-jazz Peter Brötzmann sia live che in studio. La regina della pedal steel è tornata con Throne, un disco che evoca al solito una straniante sensualità, ma stavolta con modalità diverse. Innanzitutto si fa accompagnare da due musicisti, John Hannon al violino e synth, e David Keenan (marito della Leigh e firma dello splendido magazine The Wire) al basso. Ma non è l’unica novità. Le asperità del suo esordio solista e (ancor di più) dei suoi lavori con Brötzmann vengono smussate dalla voce della stessa Leigh, impegnata nel contrastare in maniera melodica le impennate furenti del suo strumento. Sono a volte canzoni d’amore perverse, intrise di una sessualità sovversiva e intrigante, spesso della durata di una canzone “pop” come questa splendida “Soft Seasons”, tranne la lunga “Gold Teeth” che si dipana per oltre un quarto d’ora con i suoi saliscendi emozionali. Heather Leigh con questo album cerca una nuova strada, trovando l’album più “facile” della sua carriera pur senza rinunciare alle dissonanze del suo incredibile strumento.
Un grazie speciale va sempre a Franz Andreani per la nuova veste grafica attiva già dallo scorso anno. A cambiare non è solo la versione web2.0 del sito, ma anche la “filosofia” della podradio, con le rubriche che vanno ad integrarsi nella programmazione regolare sotto l’hashtag #everydaypodcast. Tutte le novità le trovate sempre aggiornate in tempo reale sulla nostra pagina Facebook.
Ci rivediamo tra due settimane con il 6° Episodio di Sounds & Grooves, dove troverete molte differenti suggestioni per un podcast dalla complessa gestazione. Dalle asperità di Gold Dime e Talk Normal al soul di Charles Bradley e Marvin Gaye. Dal songwriting al femminile di Laura Nyro, Ani DiFranco, Gemma Ray e Laura Veirs alla semplicità evocativa di Jim O’Rourke e David Sylvian. Dalla classicità degli Spirit all’unicità dei Morphine. Per poi assaporare le suggestioni etniche di Dirtmusic e Dead Can Dance. Il tutto, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
Intanto se volete potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, criticare (perché no), o proporre nuove storie musicali. Mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web.
Se volete ascoltare o scaricare il podcast, potete farlo anche dal sito della stessa PodRadio cliccando sulla barra qui sotto. Buon Ascolto
TRACKLIST
01. X-RAY SPEX: Art-I-Ficial da ‘Germfree Adolescents’ (1978 – EMI)
02. DEAD RIDER TRIO: Not A Point On A Scale da ‘Dead Rider Trio Featuring Mr. Paul Williams’ (2018 – Drag City)
03. CHEER-ACCIDENT: Lifetime Guarantee da ‘Putting Off Death’ (2017 – Cuneiform Records)
04. LOCUST FUDGE: No Defense da ‘Oscillation’ (2018 – Play Loud!)
05. GARDEN VARIETY: Room 183 da ‘Knocking The Skill Level’ (1995 – Headhunter Records)
06. KRISTIN HERSH: Lethe da ‘Possible Dust Clouds’ (2018 – Fire Records)
07. GIRLS AGAINST BOYS: (I) Don’t Got A Place da ‘Cruise Yourself’ (1994 – Touch And Go)
08. SLEAFORD MODS: Stick In A Five And Go da ‘Sleaford Mods EP’ (2018 – Rough Trade)
09. DRINKS: Real Outside da ‘Hippo Lite’ (2018 – Drag City)
10. COURTNEY BARNETT: Charity da ‘Tell Me How You Really Feel’ (2018 – Marathon Artists)
11. THE WATERBOYS: And A Bang On The Ear da ‘Fisherman’s Blues’ (1988 – Ensign)
12. MICAH P. HINSON And The MUSICIANS Of The APOCALYPSE: I Am Looking For The Truth, Not A Knife In The Back da ‘When I Shoot At You With Arrows, I Will Shoot To Destroy You’ (2018 – Full Time Hobby)
13. TOM WAITS: Shake It da ‘Real Gone’ (2004 – Anti-)
14. HEATHER LEIGH: Soft Seasons da ‘Throne’ (2018 – Editions Mego)