Tornano le avventure in musica di Sounds & Grooves con il 6° Episodio della 13° Stagione di RadioRock.to The Original
Meno novità ma tante cose da riscoprire in questo episodio di Sounds & Grooves
Sounds & Grooves arriva al 6° Episodio della 13° Stagione di www.radiorock.to, ed è per me a distanza di anni sempre meraviglioso registrare e dare un segnale di continuità con il passato, con quella meraviglia che Franz Andreani, Marco Artico, Massimo Di Roma, Flavia Cardinali, Gianpaolo Castaldo avevano creato e a cui, nel mio piccolo, ho provato a dare il mio contributo dal 1991 al 2000. La Radio Rock in FM come la intendevamo noi è sparita da due decenni, ma in questi 12 anni abbiamo cercato nel nostro piccolo di tenere accesa una fiammella, cercando di raddoppiarla, moltiplicarla, farla diventare un faro di emozioni e qualità musicale con tutta la passione e la voglia di fare radio che nonostante tutto non ci è mai passata. Non siamo una radio “normale”. Non solo perché trasmettiamo in differita e attraverso podcast registrati, ma soprattutto perché andiamo orgogliosamente musicalmente controcorrente rispetto a quella che è diventata la consuetudine delle emittenti radiofoniche al giorno d’oggi.
Nei quasi 80 minuti di Flood And a Fire troverete molte differenti suggestioni per un podcast dalla complessa gestazione. Dalle asperità di Gold Dime e Talk Normal al soul di Charles Bradley e Marvin Gaye. Dal songwriting al femminile di Laura Nyro, Ani DiFranco, Gemma Ray e Laura Veirs alla semplicità evocativa di Jim O’Rourke e David Sylvian. Dalla classicità degli Spirit all’unicità dei Morphine. Per poi assaporare le suggestioni etniche di Dirtmusic e Dead Can Dance. Il tutto, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
Lunga vita a RadioRock The Original. #everydaypodcast
Download, listen, enjoy!!!
Prima di partire con questo viaggio in musica potete effettuare il download del podcast anche nella versione a 320 kb/s semplicemente cliccando sul banner qui sotto.
Iniziamo il podcast con un personaggio molto particolare. Il 2017 ha visto il ritorno della cantante/batterista/singwriter Andrya Ambro dopo l’esperienza Talk Normal con un nuovo progetto chiamato Gold Dime. La musicista con la sua nuova ragione sociale ha deciso di portare avanti quanto prodotto con Talk Normal. Qui però riesce a ridurre l’aggressività della proposta aumentandone l’approccio scuro ed industriale. Il disco si intitola Nerves (leggi la recensione). Come fa intuire il titolo, sono proprio le terminazioni nervose a fare da scheletro ad otto tracce intime ed aggressive che si muovono in maniera oscura. Il drumming sembra essere sempre sul punto di esplodere, mentre intrusioni elettroniche e scudisciate chitarristiche sanno come far male viaggiando perennemente sospese sul filo del rasoio. A dispetto dei suoi oltre otto minuti di durata, è al singolo (!) “Easy” che viene assegnato il ruolo di portabandiera del disco. Il suono sembra apparentemente accessibile, ma in profondità si rivela assai minaccioso. Il suo ossessivo ritmo di basso, i vocalizzi art rock della leader e le rasoiate di chitarra, ne minano la struttura dalle fondamenta.
Nel 2005 a Brooklyn, due musiciste si incontrano alla New York University. Andrya Ambro e Sarah Register trovano diverse affinità elettive e un comune modo di concepire la musica che le portano ad unirsi sotto il nome di Talk Normal con la prima alla batteria e la seconda alla chitarra. Due album, un paio di EP e qualche split (tra cui due con Thurston Moore) prima di sciogliersi, un peccato perché il loro scorbutico approccio alla no wave aveva più di un motivo di interesse. Lo scioglimento non ha inficiato l’amicizia tra le due ragazze, tanto è vero che il ritorno della Ambro sotto la nuova ragione sociale di Gold Dime, di cui abbiamo appena parlato, vede la Register fida alleata dietro al mixer. Sugarland è stato il loro esordio, un disco estremamente interessante che sotto la dura e ruvida scorza aveva moltissimi pregi: la bontà della scrittura e l’interplay tra le due musiciste. “In Every Dream Home A Heartache” è uno dei vertici di un album e di una band sicuramente da riscoprire.
I Morphine sono stati una delle band più innovative geniali ed importanti degli anni novanta. Come definire il suono di un gruppo che mette da una parte lo strumento principe del rock, la chitarra, e basa il suo suono su un sax baritono ed una sezione ritmica? Il basso a due corde e la voce suadente, profonda ed emozionale di Mark Sandman, il sax di Dana Colley e la batteria di Jerome Deupree hanno generato un sound unico, una formula stilistica che attingeva allo stesso tempo dal blues, dalla new wave, dal jazz, ma senza appartenere a nessuno se non a loro stessi. Tenebrosi, affascinanti, energici. Cure For Pain è stato il loro secondo lavoro, album che sta in mezzo ad una triade affascinante e quasi senza eguali tra Good e Yes. Like Swimming del 1997 era stato il primo album del gruppo a mostrare una qualche debolezza, prima che un maledetto attacco cardiaco si portasse via Sandman in una calda serata del luglio 1999 a Palestrina, vicino Roma, dove i Morphine si stavano esibendo all’interno del festival nel Nome Del Rock. “Thursday” riassume in pochi minuti la potente magia che scaturiva da un gruppo davvero unico.
David Alan Batt, in arte David Sylvian, dopo la fortunata esperienza in piena era new wave come frontman dei Japan insieme a Mick Karn, Richard Barbieri e Steve Jansen, ha iniziato nel 1984 una lunga, variegata ed ambiziosa carriera solista. Nel suo percorso ha collaborato con nomi importanti del rock e dell’avanguardia come Robert Fripp, Mark Isham, Ryuichi Sakamoto, Holger Czukay, Jon Hassell, David Torn, e molti altri per creare meravigliosi ed immaginifici paesaggi sonori impreziositi dalla sua voce suadente e vellutata. All’inizio del nuovo millennio, Sylvian decide di abbandonare la Virgin per creare una sua personale etichetta, la Samadhi Sound con cui esordirà nel 2003 con Blemish. Per celebrare gli anni insieme, nel 2000 la Virgin da alle stampe Everything And Nothing, un doppio album che racchiude alcuni brani inediti, ed altri registrati di nuovo per l’occasione insieme ad altri meno conosciuti. La splendida “Ride” che propongo è tratta dalle sessions di uno dei suoi album più conosciuti e meglio riusciti, quel Secrets Of The Beehive che incantò nel 1987, trainato dai singoli “Orpheus” e “Let The Happiness In” e registrato con l’aiuto di Ryuichi Sakamoto, Mark Isham, Steve Jansen, Danny Thompson, e David Torn. L’album (insieme agli altri 2 precedenti) è stato recentemente ristampato per la prima volta in vinile 180 grammi, con una nuova copertina apribile basata sulle foto originali di Nigel Grierson. L’album è disponibile a questo link sul sito ufficiale dell’artista.
Laura Nigro, più conosciuta come Laura Nyro, è stata una compositrice e pianista tanto brava quanto schiva e sfortunata, Sangue russo e italiano mischiato nelle vene, un padre trombettista e arrangiatore di piano, una madre appassionata di opera lirica, la Nyro ha imparato nelle strade del Bronx i ritmi del jazz, del rhythm’n’blues e della musica Motown, rielaborandoli in un personalissimo codice poetico. Ha preferito rimanere sempre lontana dai riflettori e dal successo, rifiutando molte interviste ed aborrendo le ingerenze delle etichette discografiche. Tuttavia le sue canzoni hanno fatto le fortune di altri artisti ed hanno influenzato, più o meno consapevolmente, generazioni di cantautrici americane e non (Joni Mitchell, Suzanne Vega, Rickie Lee Jones, Fiona Apple). Straordinaria e originalissima compositrice, non è mai stata come interprete al top delle charts ma ha fatto la fortuna di molti altri grandi artisti con le sue canzoni: Blood Sweat and Tears con “When I Die”, The Fifth Dimension con “Wedding Bell Blues”, “Stoned Soul Picnic” e “Sweet Blindness”, Barbra Streisand con “Stoney End”. Solo dopo la morte, avvenuta l’8 aprile 1997 per un cancro all’utero (lo stesso triste destino che era toccato alla madre), ha ottenuto i riconoscimenti che le spettavano. Nel 2012 è stata finalmente introdotta nella Rock’n’Roll Hall of Fame. Eli And The 13th Confession esce nel 1968 e mostra a tutti il talento della compositrice newyorchese. “Eli’s Comin'” è uno dei vertici del disco ma naturalmente ha avuto il successo che meritava in classifica solo un anno dopo nell’interpretazione dei Three Dog Night.
Nonostante sia rimasta sempre lontana dalle luci dei riflettori e dal red carpet, Laura Veirs negli ultimi anni si è dimostrata autrice sempre ispirata ed estremamente attiva. Dopo aver esordito nel 1999, la Veirs ha pubblicato 10 album in studio, creando una sua personale etichetta, la Raven Marching Band, anche se i suoi dischi sono distribuiti dalla Bella Union in Europa. Un’autrice di rara eleganza, la cui scrittura è sempre misurata e sensibile, ogni suo album raccoglie la sufficienza piena e talvolta va anche oltre. Saltbreakers è uscito nel 2007 ed oltre ad essere il suo ultimo album per la Nonesuch Records è stato anche uno di quelli riusciti meglio. Tra folk, indie rock e country, la Veirs, ispirata dal nuovo batterista/produttore/compagno Tucker Martine, da il meglio di se, accompagnata da splendidi musicisti su cui spicca la presenza del chitarrista Bill Frisell. Il suo amore per la letteratura e per il mondo marino si esprime in dodici splendidi affreschi sonori, tra cui spicca la trascinante “Nightingale”.
Personaggio incredibile Jim O’Rourke, importantissimo come musicista nel cesellare alcune della pagine più memorabili del post rock anni ’90 con i Brise-Glace e (insieme a David Grubbs) con i Gastr Del Sol. Ma anche formidabile nel rilanciare e recuperare Faust, John Fahey, Sonic Youth e far risorgere i Wilco, producendo il disco della discordia Yankee Hotel Foxtrot e rendendolo imperituro. Dopo molti anni Jimbo nel 2015 lascia da parte le sue più recenti incisioni perennemente in bilico tra improvvisazione ed avanguardia per tornare, già dal titolo, ad incidere canzoni semplici. Simple Songs in realtà è un disco semplice solo di nome, di fatto le otto tracce che compongono l’album semplici non lo sono affatto, anche se il fatto di essere estremamente orecchiabili potrebbe farlo pensare. Le canzoni incise con la collaborazione di tutti musicisti giapponesi negli ormai famosi Steamroom Studiosdi Tokyo dove O’Rourke risiede da tempo, sono state concepite come una sorta di microsuites che stupiscono per l’ispirazione limpida, la meraviglia della costruzione degli incastri e la grande sensibilità e capacità di autore del chicagoano. Basti ascoltare le melodie ed il finale imperioso della meravigliosa “End Of The Road”.
Spesso e volentieri, quando si va a ritroso nel tempo si vanno a ripescare i mostri sacri, quelli che hanno lasciato una traccia indelebile nella storia della nostra musica preferita. Ma c’è un gruppo che, pur non essendo stato molto sotto i riflettori, è stato tra i più originali della storia del rock psichedelico. Appena trasferito da Hollywood a New York, il giovane chitarrista Randy Wolfe ebbe la fortuna di suonare al Greenwich Village insieme ad un altro virtuoso dello strumento, l’ancora sconosciuto Jimi Hendrix. Secondo la leggenda fu proprio Hendrix a ribattezzarlo “Randy California” in onore del suo stato di provenienza. Tornato in California assieme alla famiglia, Randy California dette vita con Ed Cassidy al gruppo denominato Spirits Rebellious, nome preso in prestito dal nome di un’opera del poeta e filosofo libanese Khalil Gibran. Il nome del quintetto fu presto contratto in Spirit. La band fu ingaggiata dalla Ode Record di Lou Adler, produttore che aveva già curato i Mamas and Papas, e nel 1968 incisero il primo album, Spirit, in cui si mescolano sonorità folk, spunti jazzistici ed elementi rock.
I vertici del gruppo sono senza dubbio il secondo album The Family That Plays Together (1969) ed il primo album pubblicato dalla Epic, Twelve Dreams of Dr. Sardonicus (1970), dove la band perfeziona il sapiente mix tra musica psichedelica, blues, hard-rock e folk, lasciando la chitarra di Randy California libera di scorrazzare seguendo le orme hendrixiane. “When I Touch You” è un ipnotico mantra degno di uno dei dischi più belli pubblicati in un decennio storico. Nel gennaio 1997 mentre si trova con la famiglia alle Hawaii, Randy California muore prematuramente, annegando nelle acque dell’Oceano Pacifico, risucchiato da una forte corrente d’acqua nel tentativo (peraltro riuscito) di salvare la vita al figlio dodicenne. Ed è bello ogni tanto far risuonare forte la sua chitarra meravigliosa.
Era davvero impossibile non voler bene a Charles Bradley che nel 2011 ci aveva stupito, ed in qualche modo commosso, con il suo splendido esordio avvenuto in tarda età. Il brutto male che lo aveva già colpito si è ripresentato portando con se il suo conto salatissimo, e ce l’ha portato via a 68 anni nel 2017. Victim Of Love è stato il suo secondo album in studio, il disco di un artista ormai completo e confidente del suo status di stella del panorama soul, un artista che riusciva a padroneggiare sia la classicità del genere che i diversi innesti stilistici con grande naturalezza. Fa sorridere dire “album della maturità” per un artista che aveva già spento 64 candeline, ma è proprio così, perché il soul-singer padroneggia ogni brano con una abilità ed una forza emotiva davvero impressionante come dimostra la splendida e trascinante “Strictly Reserved For You”. Il suo non è stato un revival, ma la sua vera essenza, la sua realtà, ed è stato questo a conquistare e a fare tutta la differenza del mondo. Ci mancherà moltissimo la sua passione e la sua musica. Bradley, come Sharon Jones, nella vita aveva combattuto molte battaglie e aveva sempre vinto, è sempre stato troppo forte e ha sempre avuto un cuore troppo grande per lasciarsi andare. Ha trascorso gli ultimi mesi della sua vita alternando le cure ai tour, mostrando sul palco la stessa feroce determinazione e intensità di sempre. On stage, era una forza magnetica di pura vita, piena di sangue e sudore, un’esplosione di urla e scuotimenti, capace di conquistare il cuore di chiunque lo vedesse on stage.
Impossibile immaginare la soul music senza un artista importante e fondamentale per il genere come Marvin Gaye. Una profonda fede religiosa, ma anche momenti di depressione, a partire da quello causato dalla malattia della sua sodale di palco Tammi Terrell con cui interpretò molti duetti di successo. È stato un artista importantissimo nello sviluppo della soul music, tra i primi ad assecondare lo spirito della Motown che divenne presto punto di riferimento del soul afroamericano con il suo repertorio di alta fattura che strizzava l’occhio alle classifiche. Gaye nel 1971 fa cambiare tendenza alla Motown con What’s Going On?, manifesto della nuova soul music, un disco che allontana in qualche modo l’amore carnale per mettere in primo piano la paura per i cambiamenti del mondo, per le condizioni sociali di alcune categorie di persone e per l’inquinamento ambientale. Un album di profonda spiritualità che cambia per sempre la prospettiva della musica afroamericana. Due anni dopo Gaye incide il suo altro capolavoro, Let’s Get It On, dove cerca una sorta di compromesso tra spiritualità e sensualità, con il suo incedere vocale meravigliosamente inquieto. La sua vita venne spezzata la mattina del primo aprile 1984, a Los Angeles, appena un giorno prima del suo quarantacinquesimo compleanno, Marvin Pentz Gaye jr da Washington, in arte Marvin Gaye, litigò per l’ennesima volta con suo padre che gli sparò con la pistola che lo stesso cantante gli aveva regalato qualche mese prima. Morì prima di raggiungere l’ospedale.
Prosegue senza sosta il viaggio dei chitarristi Chris Eckman (Walkabouts) e Hugo Race (Birthday Party, Bad Seeds, Fatalists), che perdono per strada Chris Brokaw (Codeine, Come), ma non la loro voglia di esplorare strade nuove e culture diverse. Il viaggio dei Dirtmusic prosegue dal Mali fino alla Turchia, altro paese in crisi sociale e politica. Qui i due hanno fatto comunella con una vecchia conoscenza come Murat Ertel, che con il suo saz elettrificato ha reso unico ed intrigante il suono del gruppo psych-dub Baba Zula. Inevitabilmente l’umore del nuovo album Bu Bir Ruya risente dell’atmosfera incontrata dai musicisti in studio ad Istanbul proprio quando parte dell’esercito tenta un colpo di stato per rovesciare il governo del presidente Erdogan. Il risultato è un disco evocativo, più scuro e meno blues, arricchito da altri splendidi ospiti come la voce della canadese Brenda McCrimmon e le percussioni tribali di Ümit Adakale. “The Border Crossing” è una delle tracce più ipnotiche ed evocative del lotto, impreziosita da un recitato programmatico come “I Need You To Help To Get Across The Border” a renderlo più attuale ed urgente.
I Dead Can Dance, duo australiano formato da Lisa Gerrard e Brendan Perry, hanno incarnato perfettamente uno spirito nuovo, nato dalla stagione dark, ma ben presto dedito ad una continua evoluzione, andando a riscoprire la tradizione folk europea, ritmi tribali, conditi da un’attitudine mistica che li ha resi tra gli esponenti maggiori dell’estetica dell’etichetta 4AD. La prima fase della loro carriera viene chiusa nel 1994 con un album live intitolato Toward The Within, in cui la band dimostra di non essere prettamente una band da studio, ma di essere capace di allargare il proprio spettro sonoro sul palcoscenico non prendendo molto dai loro dischi, ma introducendo nuove strutture nodali che permettono improvvisazioni, seguendo un approccio melodico. “Rakim” è l’incipit di un disco dalle enormi suggestioni. Quasi a sorpresa dopo molti anni di silenzio, la band si è riunita pubblicando prima Anastasis nel 2012 poi l’ottimo Dionysus lo scorso anno.
Un’altra songwriter poco celebrata ma dal grande talento. La britannica Gemma Ray ha inciso ad oggi 8 album, di cui uno formato da cover, creando un suo personale cocktail formato da folk, blues, psichedelia, pop e quel pizzico di noir che la rende ancora più affascinante. Island Fire è stato il suo quarto lavoro in studio, inciso nel 2014, album che mostra coraggio e maturità stilistica, in uno slancio creativo verso la melodia perfetta. Un album più orchestrale e meno “aggressivo” del recente passato, con i suoi riferimenti anni ’50 e le sue ballate di sensualità intrigante, come la meravigliosa “Flood And A Fire” che propongo nel podcast e che mostra ancora una volta il suo grande talento compositivo ed espressivo.
Mi piace chiudere il podcast con una delle mie artiste preferite. Ani DiFranco è ormai da moltissimi anni un’istituzione vera e propria del songwriting al femminile. Icona della ribellione, apertamente bisessuale e femminista, capace di esprimere una straordinaria energia persino da sola con la sua fida chitarra acustica, Ani da Buffalo, New York, è stata capace di raccogliere intorno a se un enorme e fedele seguito, senza mai vendere l’anima al music business, ma vendendo lo stesso milioni di dischi. Ha creato una sua personale etichetta, la Righteous Babe Records, con cui pubblica dischi dal lontano 1990. Out Of Range, il suo quinto album in studio, esce nel 1994, ed è uno dei lavori più riusciti della folksinger, capace di spaziare dalla spigolosa title track alla ballata conclusiva “You Had Time”, passando per quella “Overlap” che chiude questo podcast e che diventerà presto cardine di tutti i suoi famosi ed energici live. La sua nota prolificità è stata confermata negli anni. Binary, il suo diciannovesimo album in studio, è uscito nel 2017 e vede l’apporto di musicisti come Maceo Parker, Gail Ann Dorsey e Justin Vernon (Bon Iver). Il 7 maggio uscirà la sua autobiografia “No Walls and the Recurring Dream”, che può essere pre-ordinata a questo link.
Un grazie speciale va sempre a Franz Andreani per la nuova veste grafica attiva già dallo scorso anno. A cambiare non è solo la versione web2.0 del sito, ma anche la “filosofia” della podradio, con le rubriche che vanno ad integrarsi nella programmazione regolare sotto l’hashtag #everydaypodcast. Tutte le novità le trovate sempre aggiornate in tempo reale sulla nostra pagina Facebook.
Il 7° Episodio di Sounds & Grooves mostrerà l’effetto delle deflagrazioni di Dazzing Killmen e Big Black, il talento di King Krule, l’affascinante lentezza di Low, Mazzy Star, Red House Painters e molte altre suggestioni sonore. Il tutto, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
Intanto se volete potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, criticare (perché no), o proporre nuove storie musicali. Mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web.
Se volete ascoltare o scaricare il podcast, potete farlo anche dal sito della stessa PodRadio cliccando sulla barra qui sotto. Buon Ascolto
TRACKLIST
01. GOLD DIME: Easy da ‘Nerves’ (2017 – Fire Talk)
02. TALK NORMAL: In Every Dream Home A Heartache da ‘Sugarland’ (2009 – Rare Book Room Records)
03. MORPHINE: Thursday da ‘Cure For Pain’ (1994 – Rykodisc)
04. DAVID SYLVIAN: Ride da ‘Everything And Nothing’ (2000 – Virgin)
05. LAURA NYRO: Eli’s Coming da ‘Eli And The Thirteenth Confession’ (1968 – Columbia)
06. LAURA VEIRS: Nightingale da ‘Saltbreakers’ (2007 – Nonesuch)
07. JIM O’ROURKE: End Of The Road da ‘Simple Songs’ (2015 – Drag City)
08. SPIRIT: When I Touch You da ‘Twelve Dreams Of Dr. Sardonicus’ (1970 – Epic)
09. CHARLES BRADLEY: Strictly Reserved For You da ‘Victim Of Love’ (2013 – Dunham/Daptone Records)
10. MARVIN GAYE: What’s Going On da ‘What’s Going On’ (1971 – Tamla)
11. DIRTMUSIC: The Border Crossing da ‘Bu Bir Ruya’ (2018 – Glitterbeat)
12. DEAD CAN DANCE: Rakim da ‘Toward The Within’ (1994 – 4AD)
13. GEMMA RAY: Flood And A Fire da ‘Island Fire’ (2012 – Bronzerat)
14. ANI DiFRANCO: Overlap da ‘Out Of Range’ (1994 – Righteous Babe Records)