Tornano le avventure in musica di Sounds & Grooves con il 4° Episodio della 13° Stagione di RadioRock.to The Original
Meno novità ma tante cose da riscoprire in questo episodio di Sounds & Grooves
Sounds & Grooves arriva al 4° Episodio della 13° Stagione di www.radiorock.to, ed è per me a distanza di anni sempre meraviglioso registrare e dare un segnale di continuità con il passato, con quella meraviglia che Franz Andreani, Marco Artico, Massimo Di Roma, Flavia Cardinali, Gianpaolo Castaldo avevano creato e a cui, nel mio piccolo, ho provato a dare il mio contributo dal 1991 al 2000. La Radio Rock in FM come la intendevamo noi è sparita da due decenni, ma in questi 12 anni abbiamo cercato nel nostro piccolo di tenere accesa una fiammella, cercando di raddoppiarla, moltiplicarla, farla diventare un faro di emozioni e qualità musicale con tutta la passione e la voglia di fare radio che nonostante tutto non ci è mai passata. Non siamo una radio “normale”. Non solo perché trasmettiamo in differita e attraverso podcast registrati, ma soprattutto perché andiamo orgogliosamente musicalmente controcorrente rispetto a quella che è diventata la consuetudine delle emittenti radiofoniche al giorno d’oggi.
“Opposite Middle” si muove sinuoso per oltre 80 minuti tra nuove suggestioni e interessanti ripescaggi. Troverete gli spasmi noise rock di Membranes e Terminal Cheesecake, i saliscendi emozionali di June Of 44 e Shipping News, le scure ambientazioni da fine del mondo della svedese Anna von Hausswolff. C’è spazio per la straordinaria conferma del post-Brexit-punk degli Idles, il ponte tra due mondi di Arto Lindsay, lo splendido songwriting di Ryley Walker e il ripescaggio dei britannici Gomez. C’è anche un fantastico viaggio nel centro italia tra Toscana ed Emilia con la psichedelia dei Julie’s Haircut e l’esordio (tutto da ascoltare) degli Ask The White (Simone Lanari e Isobel Blank) a riconciliarci con la musica prodotta nella nostra derelitta penisola. E se i Cave vi porteranno in un mondo dove il funk e la black music cambiano pelle, il trio Anne-James Chaton + Thurston Moore + Andy Moor e gli Horse Lords di Baltimora vi sballotteranno con le loro proposte tanto apparentemente ostiche quanto cerebralmente stimolanti.
Lunga vita a RadioRock The Original. #everydaypodcast
Download, listen, enjoy!!!
Prima di partire con questo viaggio in musica potete effettuare il download del podcast anche nella versione a 320 kb/s semplicemente cliccando sul banner qui sotto.
Iniziamo il podcast con un gruppo formato agli albori degli anni ’80 dal bassista John Robb. I The Membranes rimasero attivi dal 1981 al 1989, incidendo 6 album ed una manciata di singoli ed EP. Il loro art-punk interessante e spigoloso, arguto e scazzato, ma non privo di una spiccata componente pop, riuscì a catturare solo lo status di gruppo di culto e l’ammirazione di una piccola fetta di pubblico tra cui, fortunatamente, c’erano anche alcuni personaggi di un certo rilievo per la storia del rock tra cui John Peel, Mark Stewart e Steve Albini. Dopo lo scioglimento del gruppo, Robb si dedicò quasi esclusivamente al mestiere di giornalista, sia televisivo per la BBC sia come autore di libri, pubblicando, tra le altre cose, anche una splendida retrospettiva sul periodo punk intitolata Punk Rock: An Oral History, fino a quando nel 2010 decise di riformare la band.
Il doppio album uscito nel 2015 intitolato Dark Matter/Dark Energy, ce li fa ritrovare in forma strepitosa. La band di Blackpool mostra subito un’energia ed una forza inaudita. aggredendo il malcapitato ascoltatore con l’epico assalto di “Do The Supernova”, dove sembra che questi 26 anni non siano mai passati, vista la forza con cui Robb maltratta il suo basso e strepita al microfono, mentre nel finale le tastiere e le scariche elettriche della batteria hanno come risultato un’esplosione siderale che squarcia il cielo. La band si ricorda del suo passato meravigliosamente anarchico, riprendendo i suoni da loro sciorinati e sintetizzati negli anni ’80 ma attualizzandoli dinamicamente ai giorni nostri e aumentandone ancora, se possibile, l’energia ed il groove.
La storia dei Terminal Cheesecake può richiamare a grandi linee quella dei The Membranes per fondazione, successo di culto, scioglimento e reunion a distanza di decenni. La band si forma nel nord-est londinese nel 1988 ed è attivissima nei primi anni novanta, galleggiando tra neo psichedelia e noise rock. La formazione vede Gary Boniface alla voce (ex The Purple Things e The Vibes) insieme a Russell Smith alla chitarra (ex membro aggiunto degli A.R. Kane), Mick Parkin al basso e John Jobbagy alla batteria (anche lui ex The Purple Things). Tra psichedelia, post-punk e musica industriale, il suono della band è sempre stato provocatorio e sperimentale, come dimostra lo splendido esordio sulla lunga distanza di Johnny Town-Mouse (1988). Dopo altri cinque album e qualche cambiamento di formazione, la band si scioglie definitivamente nel 1994. La band si è riformata nel 2013, e dopo aver pubblicato due anni dopo un live intitolato Cheese Brain Fondue, è arrivato a fine 2016 questo Dandelion Sauce of the Ancients, un nuovo album in studio che vede la luce a ventun anni dallo scioglimento e a ventidue dall’ultimo disco.
Ad affiancare i “vecchi” Russell Smith, John Jobbagy e Gordon Watson (chitarra), troviamo i nuovi Neil Francis (voce, attualmente nei Gnod) e Dave Cochrane (basso), che non sfigurano assolutamente nel confronto con i predecessori. “Poultice” è una traccia compatta, trascinata da una massiccia ritmica stoner e rafforzata da una chitarra che lancia fendenti carichi di psichedelia. L’album è un prezioso compendio di psichedelia, noise, stoner ed echi industrial. In fondo chi meglio di un gruppo che ha davvero vissuto il periodo noise rock britannico anni 90 può reinterpretarlo con lo stesso vigore?
Negli anni ’90 i due poli del post rock a stelle e strisce erano senza dubbio Chicago e Louisville. Nel suono dei gruppi che venivano dalla cittadina del Kentucky era preponderante la ritmica spigolosa dei Can o la spinta motoristica dei Neu!. Molti degli album registrati in quel periodo non ebbero all’epoca la meritata dimensione mediatica solo per la quasi contemporanea esplosione del movimento grunge che, almeno a livello mainstream, ne oscurò la visibilità. Fortunatamente il tempo si è rivelato galantuomo e con il passare degli anni ha reso giustizia a gruppi come i Rodan di cui abbiamo parlato nello scorso podcast. La band era formata da Jeff Mueller (chitarra/voce), Jason Noble (chitarra/voce), Tara Jane O’Neil (basso/voce) e Kevin Coultas (batteria). Il loro unico album Rusty è una delle pietre miliari del post rock statunitense, con l’evocativa alternanza di melodie lente e strappi violenti. Purtroppo la band si sciolse subito, ma nel 1996 Jason Noble and Jeff Mueller, iniziarono a suonare insieme per un programma della National Public Radio chiamato This American Life. I due si trovarono talmente bene a suonare insieme, da formare gli Shipping News accogliendo accanto a loro il batterista Kyle Crabtree e il bassista Todd Cook (ex For Carnation). Parallelamente Mueller aveva iniziato anche il suo percorso con i June Of 44. Il secondo album della band esce nel 2001 e si intitola Very Soon, and in Pleasant Company. La band è ridotta a trio comprendente Noble, Mueller e Crabtree, ed il disco è uno splendido alternarsi tra le nervose accellerazioni dei June of 44 ed il mondo più pacato e classico dei Rachel’s, come dimostra perfettamente la “The March Song” inserita in scaletta. Purtroppo nel 2009 a Jason Noble è stato diagnosticato un raro cancro degenerativo che lo ha portato al decesso tre anni dopo a soli 40 anni.
Loro sono senza dubbio una delle band più interessanti uscite negli ultimi anni nella terra di Albione. Gli Idles nascono a Bristol nel 2010 con una spiccata attitudine punk e uno sguardo a 360 gradi verso l’evolversi della situazione sociale e politica in Gran Bretagna. Il cantante Joseph Talbot, i chitarristi Mark Bowen e Lee Kiernan, il bassista Adam Devonshire e il batterista Jon Beavis, assorbono mano mano rabbia ed urgenza facendola poi defluire lentamente, scandendo le uscite e preparandole con grande meticolosità. Dopo tre EP, il devastante esordio sulla lunga distanza fra post-punk e post-hardcore della formazione di Bristol si è materializzato nel 2017 e si intitola Brutalism. Un album che aveva colpito per la capacità del gruppo di Bristol di aggiornare il vocabolario post-punk facendo leva su una capacità empatica e comunicativa fuori dal comune.
Come sempre quando si ha un’aspettativa molto alta, si temeva un calo nel sempre complicato secondo album. L’ascolto di Joy As An Act Of Resistance spazza via tutti i dubbi e le paure. E’ un lavoro uguale ma diverso, mantiene tutti i cromosomi che hanno legittimato il successo dell’esordio, aggiungendo (se possibile) ancora più carica drammatica. Sempre cinici, sempre sarcastici, forse con ancora più consapevolezza dell’enorme potenziale che hanno in mano. “I’m Scum” con il suo ritornello anthemico è solo una delle frecce avvelenate che compongono il loro enorme secondo album.
I June Of 44 sono una band formata nel 1994 dall’unione di Jeff Mueller (di cui abbiamo parlato poco fa come membro fondatore degli Shipping News) alla chitarra e voce, Doug Scharin alla batteria (ex Codeine), Fred Erskine al basso e tromba (dagli Hoover) e Sean Meadows (dai Lungfish) alla chitarra. Hanno esordito con un album (Engine Takes To The Water) che ereditava dai Rodan l’amore per il rock disarticolato e sperimentale, mentre prendeva dagli Hoover gli spunti hardcore e i rigurgiti di improvvisazione. L’EP The Anatomy Of Sharks, uscito a breve distanza dal secondo Tropics And Meridians, contiene tre pezzi registrati nelle stesse sedute di quell’album, e sono tra i migliori in assoluto della loro produzione. I brani mostrano il meglio della band, gli spunti vocali densi di teatralità di Jeff Mueller, le continue stasi e accelerazioni, sperimentalismi dissonanti, dilatazioni sospensive, cambi di ritmo e una persistente tensione drammatica come dimostra la splendida “Seemingly Endless Steamer”.
Cooper Crain è un bel genietto: musicista e produttore (Ryley Walker), ama il krautrock e la psichedelia che diffonde a piene mani nei suoi progetti principali: Cave e Bitchin’ Bajas. I Cave si formano nel 2006 e con Threace innestano nel loro motore profondamente kraut-motorik, una benzina estremamente potente formata da una scoppiettante miscela black funk anni ’70. Cooper Crain, Dan Browning e Rex McMurry, per il loro terzo album in studio (il secondo per la Drag City) vengono raggiunti dal chitarrista Jeremy Freeze ed in alcune tracce dal sassofonista e flautista Rob Frye (entrato di recente in pianta stabile nella nuova line-up della band). Ed è proprio Frye a rendere così particolare il groove afro-psichedelico della lunga “Shikaawa”. Nel 2017 i Cave hanno fatto uscire l’altrettanto ottimo Allways, in cui tornano indietro nel tempo ancora una volta, esplorando stavolta con successo il magico mondo della pop music anni ’70.
Nel 1998 i Gomez, gruppo britannico proveniente da Southport, esordiva con un album (Bring It On) che veniva incensato da critica e pubblico per il suo (riuscito) tentativo di unire il rock-blues con il pop e la psichedelia con piccole e mirate pennellate di elettronica. I cinque bisseranno l’anno successivo con Liquid Skin salvo poi perdere progressivamente idee ed ispirazione. “We Haven’t Turned Around” è una canzone tratta dal loro periodo migliore, più precisamente dal secondo album. Il brano è stato anche inserito nella colonna sonora del film American Beauty, diretto da Alan Ball e vincitore di ben 5 Oscar e sei Golden Globe. La versione che ho scelto per questo podcast è quella registrata dal vivo al The Fillmore di San Francisco nel 2005 e finita nell’album live Out West.
Il lungo viaggio dei Julie’s Haircut è arrivato alla settima fermata, un momento cruciale per la band emiliana perché Invocation and Ritual Dance of My Demon Twin viene pubblicato da una delle etichette più importanti del mondo in ambito psichedelico, la britannica Rocket Recordings. Dal 2005 la musica del gruppo si è mossa verso territori più sperimentali, concentrandosi soprattutto sull’improvvisazione e la ricerca sonora, senza però perdere contatto con il groove e la melodia che hanno caratterizzato la loro musica fin dalla formazione avvenuta nel 1994. Il collettivo giunge quindi ad un crocevia importante del proprio percorso evolutivo, e lo supera splendidamente salendo sul razzo simbolo della label britannica per esplorare il cosmo dal punto di vista della loro metà oscura.
C’è tanto all’interno di questo ambizioso lungo viaggio, la psichedelia tout court, le suggestioni del Miles Davis elettrico, il krautrock, tracce di afro-beat, aperture orientaleggianti, ma il tutto è veicolato ottimamente svolgendosi in una trama avvincente e suggestiva che va assaporata e assorbita con calma. La grande varietà di questo esoterico trip viene confermata dall’ipnotica danza folk/orientaleggiante/dronica chiamata “Cycles”. Tra voci impalpabili, ipnotiche circolarità che dilatano lo spazio sonoro, improvvisazioni, fiati evocativi e spirito anarchico, l’album si snoda in maniera eccelsa portandoci in un mondo tanto oscuro quanto affascinante, consegnandoci un gruppo che è cosa buona e giusta inserire nell’eccellenza della nostra (martoriata) Italia in musica.
Chitarrista, sperimentatore, nato a Richmond, Virginia ma cresciuto in Brasile al seguito dei genitori, missionari presbiteriani, Arto Lindsay è sempre stato un artista dallo stile unico, in perfetto equilibrio tra le sue due diverse anime. Con Cuidado Madame (leggi la recensione) il suo primo album solista da 13 anni a questa parte, si dimostra ancora una volta capace di attraversare sia i pericoli della foresta amazzonica che i dedali della tentacolare New York City con elegante sicurezza. Arto vive a Rio, ha una passionaccia per la musica black e hip-hop più che per l’attualità strettamente rock. Queste influenze mischiate alla sua sensibilità da tropicalismo brasiliano sono apertamente riconoscibili lungo tutto lo scorrere dell’album. Solo a tratti esce fuori quella scorbutica sei corde che ha marchiato a fuoco con i DNA l’epoca della no wave mirabilmente dipinta da Brian Eno sulla fondamentale compilation “No New York”. Il “possesso palla” è di poco favorevole all’idioma inglese rispetto al portoghese (60%/40%) ma davvero poco importa, perché la lingua comune del disco è ricercata, forbita, accessibile, di grande eleganza come nella splendida “Each To Each”.
In una situazione così complicata come quella del nostro paese, è importante che la passione e la curiosità non vengano mai meno, per andare a cercare le proposte davvero interessanti che invece ci sono sempre, anche se nel caso della nostra penisola bisogna andare a cercare più a fondo… Abbiamo parlato più di una volta del mio (quasi) omonimo Stefano Amerigo Santoni, che dopo averci deliziato con i Sycamore Age ha messo in campo gli interessantissimi Ant Lion, con cui propone un suono intrigante e coraggioso insieme ad altri tre musicisti della scena toscana: Simone Lanari (Walden Waltz), Alberto Tirabosco (Punk Lobotomy) e Eleonora Giglione aka Isobel Blank (Vestfalia).
Dopo l’uscita del disco degli Ant Lion, Isobel Blank e Simone Lanari si sono messi in proprio con un progetto chiamato Ask The White. La voce incredibile di Isobel insieme alla chitarra di Simone creano intrecci evocativi inconsueti per il panorama musicale italiano. L’album si intitola Sum And Substraction ed esce per l’etichetta dei nostri amici Vonneumann, la AOR (Ammiratore Omonimo Records). Le strutture aperte delle loro composizioni lasciano sempre spazio a direzioni inaspettate. Come suggerisce il titolo del disco e il nome del gruppo, il bianco è la somma di tutti i colori che dal bianco emergono singolarmente proprio grazie alla sottrazione. Così, allo stesso tempo, la somma delle due menti creative sottrae le individualità facendo emergere la complicità e la contrapposizione dei due musicisti. “Just Take Me To” è una splendida cartina di tornasole di un gruppo che ci sa regalare solo cose belle. E Dio solo sa quanto abbiamo bisogno di meraviglie in Italia…
Qualcuno l’aveva già notata qualche tempo fa, questa minuta ragazza svedese che apriva i concerti degli Swans senza tremare al cospetto di un gruppo principale così importante. Dead Magic è il quarto album in studio di Anna von Hausswolff, senza dubbio il più importante e quello riuscito meglio: il disco che consacra la trentaduenne songwriter scandinava come una delle realtà più affascinanti emerse in questi anni. L’artista usa il suo organo e la sua voce duttile e potente per dipingere un’umanità in bilico tra luce ed ombre, scenari apocalittici ed esoterici. Sono solo 5 brani, di cui due superiori ai 10 minuti, ma bastano ed avanzano per trasportarci in un mondo di scura magia dove tutto è possibile, perfino unire la sua neoclassicità con il doom metal ed il weird folk. Un disco fatto di chiari e scuri, evocativo, potente, tribale, che non faticherà ad issarsi nelle prime posizioni di molte playlist di fine anno. “The Mysterious Vanishing Of Electra” è uno dei brani migliori dell’album, con il suo potente muro di suono.
Qualche anno fa avevamo già parlato su queste pagine di Ryley Walker, un songwriter/chitarrista dell’Illinois capace di trovare la sua strada con il suo fingerpicking, integrando perfettamente la sua scrittura con il retaggio della scena folk britannica degli anni ’70, soprattutto John Martyn, Van Morrison e Nick Drake. Primrose Green era stato uno splendido album, capace di convincere critica e pubblico grazie alle ossessive e jazzate inquietudini, l’afflato pastorale, le impennate psichedeliche, il virtuoso fingerpicking. Un paio di anni dopo a Golden Sings That Have Been Sung era stato assegnato l’arduo compito di confermare cotanta meraviglia. Ma nonostante gli sforzi e il cambiamento verso un lato più sperimentale, il disco presentava tra i solchi più ombre che luci.
Era quindi molto atteso questo nuovo album intitolato Deafman Glance per stabilire dove collocare Ryley Walker: come ennesima promessa non mantenuta oppure come artista dall’enorme talento. Fortunatamente il nuovo disco non solo ci conforta sul talento del songwriter americano, ma risulta alla fine il migliore che abbia mai registrato. Ci sono tutte le influenze apertamente dichiarate durante l’arco della sua carriera, ma sono messe al servizio di una scrittura non facile ma sempre perfettamente a fuoco tra rilassamenti bucolici e momenti sperimentali, accordi aperti e accelerazioni sincopate improvvise, come nella splendida “Opposite Middle”.
Questo disco è nato come rappresentazione teatrale per sviluppare un tema tanto affascinante quanto complesso: quello dei cosiddetti eretici. Personaggi storici che spesso e volentieri erano semplici studiosi e intellettuali con l’unica colpa di farsi domande e di voler allontanarsi radicalmente dalle ideologie ufficialmente accettate. Sviluppare un tema così controverso ha intrigato così tanto il poeta-vocalist francese Anne-James Chaton, da convincerlo a chiamare di nuovo il suo decennale amico e sodale Andy Moor (chitarrista dei The Ex e fondatore dell’etichetta Unsounds) e ad aggiungere la chitarra abrasiva di Thurston Moore per dare ancora più forza all’approfondimento di una serie di personaggi radicali ed eretici che hanno caratterizzato la storia recente.
Heretics è stato pubblicato una splendida confezione che oltre al disco e al libro dei testi unisce anche un ottimo film in DVD intitolato “Journal D’Hérésie / Making Heretics” diretto da Benoît Bourreau, che mostra i tre in sala d’incisione e documenta la realizzazione dell’album nei dettagli. L’interscambio tra i testi e l’elettronica di Chaton e le chitarre di Moor e Moore è fluido e devastante nel dipingere le figure che hanno affascinato questo trio: da Caravaggio a Borroughs, da Dylan Thomas a T.S. Eliot, dal Marchese de Sade a Johnny Rotten. Testi poetici e improvvisazione sperimentale, melodia e noise si alternano, usando nelle varie tracce tutte le diverse combinazioni tra voce, chitarra ed elettroniche come in questa “Dull Jack”. Siano esse usate in solo, duo o trio, riescono perfettamente ad esplorare un tema tanto complesso e difficile quanto affascinante e oscuro. In tutto questo troviamo la splendida dimensione estetica di Heretics, nella combinazione tra chitarra noise-rock e spoken words in grado di creare un universo nuovo, misterioso ed estremamente complesso.
A chiudere il podcast troviamo un quartetto di Baltimora che ha la struttura (quasi) classica di un gruppo rock, Owen Gardner (chitarra), Max Eilbacher (basso), Sam Haberman (batteria) e Andrew Bernstein (sax e percussioni), ma le cui finalità sono completamente diverse. Gli Horse Lords agiscono come un malware che si annida nel cuore del rock, lo corrompe e lo muta in un’altra entità. Si potrebbe chiamare math rock, ma non ci sono equazioni ne spigoli, ci sono spirali di suono che vengono dagli studi musicali dei quattro, tra classica contemporanea, elettronica e percussioni africane. Quello che esce fuori di solchi del loro nuovo Interventions è di grande complessità, visto che coesistono complicate poliritmie, potenti soluzioni sperimentali, afrofuturismi suggestivi, e grooves minimalisti. “Bending to the Lash”, uno dei due fulcri del disco, stupisce per l’interplay tra i quattro, e per l’abilità nel costruire strutture mai banali e ricche di tensione emotiva, tra energia post-punk e suggestioni che sembrano arrivare dai territori abitati da sperimentatori come This Heat o Can.
Un grazie speciale va sempre a Franz Andreani per la nuova veste grafica attiva già dallo scorso anno. A cambiare non è solo la versione web2.0 del sito, ma anche la “filosofia” della podradio, con le rubriche che vanno ad integrarsi nella programmazione regolare sotto l’hashtag #everydaypodcast. Tutte le novità le trovate sempre aggiornate in tempo reale sulla nostra pagina Facebook.
Ci rivediamo tra due settimane con il quarto episodio dove troverete il punk al femminile degli indimenticabili X-Ray Spex, il folk virato Irlanda dello scozzese Mike Scott e dei suoi The Waterboys. Il post-hardcore anni ’90 di Girls Against Boys e Garden Variety si intrecceranno con moltissime novità: dalla reunion dei tedeschi Locust Fudge all’ennesimo centro pieno degli Sleaford Mods con un nuovo EP. E se Micah P Hinson viene folgorato sul cammino di Santiago e lancerà frecce avvelenate con i suoi texani musicisti dell’apocalisse, Kristin Hersh ci ricorderà di essere tra le migliori songwriter in giro con un ritorno ad un suono tanto abrasivo quanto convincente. E che dire del secondo album della migliore interprete di pedal steel, Heather Leigh, che unisce allo strumento la sua splendida voce per ammorbidire la durezza della sua proposta. Todd Rittmann continua a stupire con una variante dei suoi Dead Rider, mentre Courtney Barnett si conferma songwriter ispirata e convincente. A chiudere il cerchio ci pensano due gruppi tanto sghembi quanto eccitanti come Cheer-Accident e Drinks, oltre ad un Tom Waits in stato di grazia con un album da riscoprire come Real Gone. Il tutto, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
Intanto se volete potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, criticare (perché no), o proporre nuove storie musicali. Mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web.
Se volete ascoltare o scaricare il podcast, potete farlo anche dal sito della stessa PodRadio cliccando sulla barra qui sotto. Buon Ascolto
TRACKLIST
01. THE MEMBRANES: Do The Supernova da ‘Dark Matter/Dark Energy’ (2015 – Cherry Red)
02. TERMINAL CHEESECAKE: Poultice da ‘Dandelion Sauce Of The Ancients’ (2016 – Box Records)
03. SHIPPING NEWS: The March Song da ‘Very Soon, And In Pleasant Company’ (2001 – Quarterstick Records)
04. IDLES: I’m Scum da ‘Joy As An Act Of Resistance’ (2018 – Partisan Records)
05. JUNE OF 44: Seemingly Endless Steamer da ‘The Anatomy Of Sharks EP’ (1997 – Quarterstick Records)
06. CAVE: Shikaakwa da ‘Threace’ (2013 – Drag City)
07. GOMEZ: We Haven’t Turned Around (Live) da ‘Out West’ (2005 – ATO Records)
08. JULIE’S HAIRCUT: Cycles da ‘Invocation And Ritual Dance Of My Demon Twin’ (2017 – Rocket Recordings)
09. ARTO LINDSAY: Each On Each da ‘Cuidado Madame’ (2017 – Ponderosa Music & Art)
10. ASK THE WHITE: Just Take Me To da ‘Sum And Substraction’ (2018 – Ammiratore Omonimo Records)
11. ANNA VON HAUSSWOLFF: The Mysterious Vanishing Of Electra da ‘Dead Magic’ (2018 – City Slang)
12. RYLEY WALKER: Opposite Middle da ‘Deafman Glance’ (2018 – Dead Oceans)
13. ANNE-JAMES CHATON+THURSTON MOORE+ANDY MOOR: Dull Jack da ‘Heretics’ (2016 – Unsounds)
14. HORSE LORDS: Bending To The Lash da ‘Interventions’ (2016 – Northern Spy)