Le avventure in musica di Sounds & Grooves continuano nella 12°stagione di RadioRock.to The Original
Speriamo che siano state di vostro gradimento tutte le novità messe in campo dalla 12° stagione di radiorock.to: dall’atteso restyling del sito, al nuovo hashtag #everydaypodcast che ci caratterizza, per finire (last but not least) alla qualità della musica e del parlato che speriamo sempre sia all’altezza della situazione e soprattutto delle vostre aspettative. La Radio Rock in FM come la intendiamo noi è sparita da due decenni, ma in questi 12 anni stiamo tenendo accesa una fiammella, cercando di raddoppiarla, moltiplicarla, farla diventare un faro di emozioni e qualità musicale con tutta la passione e la voglia di fare radio che nonostante tutto non ci è mai passata.
L’8° Episodio di Sounds & Grooves per www.radiorock.to non era atteso come l’Episodio 8 di Star Wars ma spero possa avere dei motivi di interesse ))))) Il solito mega-podcast di circa un’ora e mezza con una piccola anteprima di quella che sarà la mia Playlist 2017 (Idles, Michael Head & The Red Elastic Band, Nicole Mitchell), un ripescaggio di quella dell’anno scorso (Rhyton), una finestra sul monto proto-punk e punk (MC5, Rocket From The Tombs, The Clash) un brevissimo viaggio in Irlanda (My Bloody Valentine, Virgin Prunes) alcune certezze (Morphine, Bob Dylan), e molte sorprese (Foetus, OM, Matana Roberts). Non mancate di farci sentire il vostro affetto e di darci il vostro apporto quotidiano. E’ una stagione importante, ci siamo rifatti il trucco per offrire il meglio anche dal punto di vista grafico e funzionale, con un sito web nuovo di zecca al passo con i tempi.
Download, listen, enjoy!!!
Prima di partire con questo viaggio in musica potete effettuare il download del podcast anche nella versione a 320 kb/s semplicemente cliccando sul banner qui sotto.
Gli MC5, (Motor City Five), uno dei gruppi che hanno anticipato il punk e l’heavy metal, e fra i capostipiti del proto-punk, si formarono a Detroit nel 1965, e pubblicarono il loro primo storico album, Kick Out the Jams nel 1969. L’album fu registrato dal vivo in una memorabile notte di Halloween alla Russ Gibb’s Grande Ballroom di Detroit, e l’idea di esordire con un live fu del leader dei White Panthers, John Sinclair, ideologo del gruppo che decise che era impossibile portare in studio la loro leggendaria energia. La voce indemoniata di Rob Tyner (come scordare il leggendario urlo “Kick out the jams, motherfuckers!!!” prima della leggendaria title track), e le chitarre incandescenti di Fred “Sonic” Smith (futuro marito di Patti Smith) e Wayne Kramer illuminarono a giorno una notte storica che vide esibirsi sullo stesso palco anche gli Stooges di Iggy Pop. Il disco non ebbe grandi riscontri commerciali, ma tracciò un segno indelebile nella storia del rock, aprendo una strada di aggressività feroce ed incendiaria che sarà sviluppata solo 7 anni più tardi con l’avvento del punk. Ascoltate l’apertura di “Ramblin’ Rose” e verrete catapultati in prima fila ad assistere ad un evento imperdibile nella storia del rock.
Nell’arco di pochi giorni abbiamo ricordato la morte di Joe Strummer ed il compleanno di Paul Simonon, motivi più che validi per inserire in scaletta uno dei gruppi più amati. Simonon fu scelto non per la sua particolare bravura nel suonare (non aveva mai toccato uno strumento a quell’epoca), ma per la sua immagine: biondo, alto e molto sicuro di sé. Vista la sua avversione per suonare la chitarra, dopo disastrosi tentativi, Mick Jones gli insegnò a suonare il basso. Nel 1976, sciolti i London SS, Jones e Simonon, reclutarono Joe Strummer dai 101’ers come cantante e chitarrista ritmico e formarono i The Clash. Dopo numerosi cambi di batteristi, si unì a loro Terry Chimes, e grazie a varie esibizioni dal vivo, ebbero subito un notevole seguito nella nascente scena punk inglese. Chimes fu successivamente rimpiazzato con Topper Headon. La copertina di London Calling ritrae lo stesso Simonon mentre distrugge il suo basso (foto di copertina) durante la seconda data di un’esibizione dal vivo al Palladium di New York. La title track è una degli inni punk più conosciuti di sempre, anche se il punk come era stato concepito nel 1979 era in realtà già stato superato.
David Thomas, folle, paranoico e schizofrenico cantore dell’alienazione industriale con i Pere Ubu, ha riformato agli inizi degli anni 2000 una della band cardine per la deflagrazione del punk, i Rocket From The Tombs, che dirige da par suo sotto la falsa identità di Crocus Behemoth. Quando i Rocket From The Tombs si sciolsero nel 1975, il chitarrista Gene O’ Connor e il batterista Johnny Madansky si unirono al cantante Stiv Bators per formare i Frankenstein, che in seguito cambiarono nome in Dead Boys, mentre il chitarrista Peter Laughner e David Thomas formarono i Pere Ubu con il bassista Tim Wright (ex tecnico audio dei Rocket From The Tombs). Entrambe le bands usarono le vecchie canzoni dei RFTT che nei due anni di attività negli anni ’70 non avevano mai inciso nemmeno un singolo. Due anni fa, la pubblicazione di Black Record ha sorpreso per la ritrovata energia del gruppo che ha incluso nell’album la versione (finalmente) definitiva dell’inno proto-punk “Sonic Reducer”.
James George Thirlwell non è mai stato un personaggio “normale”. Australiano trapiantato a Londra alla fine degli anni ’70, ha avuto modo di entrare in contatto con gruppi come Throbbing Gristle, Birthday Party, Cabaret Voltaire, Nurse With Wound che hanno contribuito a plasmare la sua personale visione sinfonico-apocalittica della musica industriale. Agendo dietro al moniker di Foetus declinato in diverse varianti (You’ve Got Foetus On Your Breath, Foetus Interruptus, Scraping Foetus Off The Wheel), manipola suoni rappresentando il caposaldo dell’industrial music dell’epoca. Il biennio 1984-85 è stato l’apice della sua fantasia visionaria, prendendo in prestito la magniloquenza di Richard Wagner, e piegandola ai suoi scopi di potente e dinamitarda discesa degli inferi accompagnata dalla fanfara. Hole e Nail sono stati gli apici della sua visione musicale, una sorta di mostro mutante mezzo punk e mezzo synth-pop, preso per mano dal sarcastico ed efferato Thirlwell verso una solenne e tenebrosa esaltazione. Stavolta ho scelto “Sick Man”, tratto da Hole, uno dei capolavori di un artista tanto misconosciuto quanto di enorme talento.
Gli Idles nascono a Bristol nel 2010 con una spiccata attitudine punk e uno sguardo a 360 gradi verso l’evolversi della situazione sociale e politica in Gran Bretagna. Il cantante Joseph Talbot, i chitarristi Mark Bowen e Lee Kiernan, il bassista Adam Devonshire e il batterista Jon Beavis, assorbono mano mano rabbia ed urgenza facendola poi defluire lentamente, scandendo le uscite e preparandole con grande meticolosità. Dopo tre EP, il devastante esordio sulla lunga distanza fra post-punk e post-hardcore della formazione di Bristol si è materializzato nel 2017 e si intitola Brutalism. Nei 41 minuti dell’album tra le accuse ai Tories e le denunce al sistema sanitario nazionale britannico c’è anche spazio per lo straordinario e coinvolgente “na na na na na na” da hooligan ubriaco di “Exeter”. La sezione ritmica è un rullo compressore, le chitarre sono adrenaliniche nel loro liberatorio lasciarsi andare. Il tagliente realismo delle tematiche sociali viene raccontato con pathos e refrain travolgenti. Joseph Talbot e compagni sanno perfettamente come raggiungere e coinvolgere emotivamente gli ascoltatori, riuscendo a scuotere tutti dall’apatia con il loro messaggio tanto sgradevole e brutale quanto reale. Carne e sangue, naked truth, francamente non riesco a chiedere di meglio.
I My Bloody Valentine sono nati a Dublino nel 1983 per volere del chitarrista Kevin Shields, ed abbandonarono presto le suggestioni dark per approdare su altri lidi e creare un muro di feedback tanto forte quanto trascendente, e facendo di fatto nascere il genere shoegaze, così chiamato per la particolarità dei musicisti a guardare dal vivo più la pedaliera degli strumenti che il pubblico in sala. Il loro secondo lavoro in studio, Loveless, è considerato un vero capolavoro ed uno degli album più importanti degli anni ’90, lavoro che ha tra i suoi apici questa splendida “When You Sleep” con le impennate taglienti delle tastiere che squarciano ripetutamente il muro di feedback creato da un gruppo che all’epoca ha davvero tentato (riuscendoci) di imboccare una strada nuova. A ventidue anni di distanza da Loveless, è uscito nel 2013 il nuovo album in studio della band, intitolato semplicemente m b v.
Restiamo in Irlanda, parlando di una delle band più interessanti uscite in Gran Bretagna nell’era tra post punk e new wave. I Virgin Prunes si formarono nel 1977 per volere del leader Gavin Friday (vero nome Fionan Harvey), e si riunivano in uno dei circoli sociali di Dublino, il Lypton Village agendo nella duplice veste di gruppo teatrale e musicale. Nello stesso circolo si riunivano anche gli U2, e ad inizio carriera le strade dei due gruppi hanno preso strade parallele, tra l’altro nei Prunes c’era Richard “Dick” Evans alla chitarra, fratello di The Edge. I Prunes hanno sempre privilegiato un approccio surreale, una new wave scura e intrisa di folk su cui Friday recita le sue litanie. Il secondo album …If I Die, I Die è l’apice della loro carriera, prodotto da Colin Newman dei Wire, contiene alcune delle loro migliori canzoni come questa splendida “Baby Turns Blue”.
Il cantante e bassista Al Cisneros insieme a Chris Hakius (batteria), e Matt Pike (chitarra) forma a San Jose (California) nel 1990 gli Sleep, abbandonando il punk della sua vecchia band Asbestosdeath e abbandonandosi ai riff sabbathiani e ad una pesante cadenza lisergica che diventerà un vero e proprio marchio di fabbrica. Il loro secondo album, Sleep’s Holy Mountain è una vera e propria pietra miliare di un genere che dal doom-metal si trasforma lentamente ma inesorabilmente in stoner-rock. Nel 2003 Cisneros e Hakius decisero di formare una loro band, chiamandola OM, un duo dedito ad una sorta di lento rituale doom con precisi riferimenti religiosi. Advaitic Songs, è tuttora il loro ultimo album in studio, pubblicato nel 2012 per la Drag City. La band, con il quinto album (il secondo con il batterista Emil Amos al posto di Hakius) da vita ad una vera e propria saga oscura, orientaleggiante, mistica e spirituale. Un doppio album che vede la presenza del nuovo membro Robert Aiki Aubrey Lowe (ex 90 Day Men) alla voce e cori, e ben tre brani su 5 sopra i dieci minuti. Giovanni Battista campeggia nella copertina dell’album, ancora una volta l’iconografia cristiana trova spazio in una loro cover, mentre il duo con “Addis” apre il disco in maniera evocativa ed epica.
Michael Head è sempre stato uno dei talenti più cristallini del pop rock britannico, nato a Liverpool ma innamorato della musica statunitense, autore brillante sia con i The Pale Fountains che con gli Shack, gruppi che avrebbero meritato sicuramente più fortuna e considerazione. Pensavamo di averlo perso per strada, anche se qualche anno fa con la sua nuova formazione chiamata The Red Elastic Band aveva fatto uscire Artorius Revisited, un EP più che dignitoso. Ma non credevo mai di poterlo ritrovare così in forma. Adiós Señor Pussycat è uno splendido album, in cui Head allontana i suoi ultimi difficili anni, e ci mostra tutta la sua abilità nel costruire canzoni scintillanti e meravigliose come “4 & 4 Still Makes 8”, mirabilmente sospesa tra rock, pop e folk.
Ecco uno dei miei gruppi preferiti in assoluto ed uno dei gruppi più innovativi e originali di tutti gli anni ’90: i Morphine. Come è possibile definire un gruppo che mette da una parte lo strumento principe del rock, la chitarra, e basa il suo suono semplicemente su sax baritono e sezione ritmica? Il basso a due corde e la voce suadente, profonda ed emozionale di Mark Sandman, il sax di Dana Colley e la batteria di Jerome Deupree hanno generato un sound unico, una formula stilistica che attingeva allo stesso tempo dal blues, dalla new wave, dal jazz, ma senza appartenere a nessuno se non a loro stessi. Tenebrosi, affascinanti, energici. Cure For Pain è stato il loro secondo lavoro, album che sta in mezzo ad una triade affascinante e quasi senza eguali tra Good e Yes. Like Swimming del 1997 era stato il primo album debole del gruppo, prima che un maledetto attacco cardiaco si portasse via Sandman in una calda serata di luglio a Palestrina, vicino Roma, dove i Morphine si stavano esibendo all’interno del festival Nel Nome Del Rock. “All Wrong” riassume in pochi minuti la potente magia che scaturiva da un gruppo davvero unico.
Bob Dylan non è un songwriter qualunque, ha inciso in maniera determinante sulla storia della musica moderna, ha ridefinito e ridisegnato da capo il ruolo di cantautore, ha scritto un’infinità di brani immortali. Lo spessore letterario di Dylan, lo ha portato a vincere nell’ottobre 2016 il premio Nobel per la letteratura, e nonostante le polemiche che si sono scatenate dopo l’assegnazione del premio, da amante della musica sono stato più che felice di vedere che è stato capito che anche i testi delle canzoni possono, in alcuni casi, essere letteratura. Dylan è stato anche uno dei pochissimi, e probabilmente il solo, ad aver pubblicato almeno un capolavoro per ogni decade a partire dagli anni ’60. Gli anni ’90 sono stati illuminati dal suo 30° album in studio intitolato Time Out Of Mind. Il disco è stato prodotto da Daniel Lanois, che è stato fondamentale per l’aggiornamento del suono di Dylan, grazie anche ad un innovativo posizionamento dei microfoni ed il certosino lavoro in sede di missaggio. L’album vede un Dylan estremamente ispirato, al contrario di quello che era successo con il precedente Under The Red Sky del 1990, e tra i brani di spicco c’è “Highlands” (il brano più lungo scritto da Dylan con i suoi 16 minuti) e questa “Cold Irons Bound”, che vinse un Grammy Award per la miglior performance vocale.
Al #2 della mia personale classifica di fine 2016 erano finiti i Rhyton da Brooklyn, NY, band difficilmente classificabile, provate voi dopo averli ascoltati a mettere il loro suono in un singolo contenitore. La band è formata da tre musicisti che amano sperimentare, giocare con i suoni, improvvisare, esplorare avidi di emozioni il proprio subconscio; anche il più revivalista dei tre (Dave Shuford aka D.Charles Speer), lo è in modalità assolutamente avventurosa. Nel nuovo Redshift, i musicisti riescono nell’impresa di mettere a confronto brulli territori alieni con rigogliose tradizioni folk e country. Costruzione e decostruzione, due facce della stessa medaglia, due parti che sembrano così distanti tra loro ma che in realtà sono semplicemente connesse su un diverso piano della realtà. Provate a perdervi nella foresta e nel cosmo all’interno dello stesso viaggio, come nell’elettrico cavalcare alla Quicksilver Messenger Service della splendida “End Of Ambivalence”. I Rhyton si dimostrano veri e propri maestri nell’arte di un revivalismo che non risulta mai pedissequo e fine a se stesso, ma in continua espansione e mutazione.
Nicole Mitchell è una nota flautista e compositrice, vincitrice del premio di miglior flautista dell’anno quattro anni di fila per la Jazz Journalists Association, presidente della Association for the Advancement of Creative Musicians (AACM) di Chicago, e fondatrice di diversi gruppi come Black Earth Ensemble e del Black Earth Strings. Il suo nuovo nuovo progetto multimediale si intitola Mandorla Awakening II: Emerging Worlds. Commissionato dal Museum of Contemporay Art di Chicago, è sia un romanzo che un disco. Basato nel 2099, quando la società dell’Unione mondiale è in decadenza, il racconto segue una coppia mentre naviga intorno a due civiltà contrastanti – una molto più utopica dell’altra. L’album è potente sia nel concept sia nell’esecuzione, evocativo e viscerale, tra jazz, avanguardia e afro-futurismo. “TimeWrap” è lo splendido brano che chiude l’intero lavoro.
Il disco di Nicole Mitchell mi ha fatto venire in mente, anche per assonanza di titoli e non solo musicale, quanto prodotto negli ultimi anni dalla sassofonista Matana Roberts. La sua visione musicale è estremamente affascinante ed è incredibile la quantità di idee messe in mezzo dall’artista nella saga Coin Coin, pubblicata dalla Constellation e arrivata al terzo capitolo. Io ho voluto chiudere il podcast facendo un passo indietro e proponendovi “Was The Sacred Day”, un brano tratto dal secondo capitolo intitolato Coin Coin Chapter Two: Mississippi Moonchile uscito nel 2013. La sassofonista di Chicago con i suoi fidi e numerosi collaboratori, mostra tutta la sua potente visione sonora che attinge a piene mani non solo dalla storia della sua famiglia, ma in generale dalla storia della schiavitù degli afroamericani. Il suo viaggio antropologico-musicale prosegue con l’uso sapiente del sax, della voce e dei synth analogici, confermandosi, ancora una volta, come uno dei personaggi cardine della musica di avanguardia contemporanea.
Spero abbiate gradito l’atteso restyling del sito (per questo e molto altro, un grazie speciale va sempre a Franz Andreani), che sta sempre migliorando giorno dopo giorno grazie anche alle vostre segnalazioni. A cambiare non è solo la veste grafica, ma anche la “filosofia” della podradio, con le rubriche che vanno ad integrarsi nella programmazione regolare sotto l’hashtag #everydaypodcast. Tutte le novità le trovate sempre aggiornate in tempo reale sulla nostra pagina Facebook.
Noi ci ritroveremo il 5 gennaio del nuovo anno con un nuovo episodio di Sounds & Grooves dove probabilmente ci sarà un’anticipazione della mia personalissima Playlist di fine anno.
Intanto se volete potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, anche scrivere critiche (perché no), o proporre nuove storie musicali, mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web.
Se volete ascoltare o scaricare il podcast, potete farlo anche dal sito della stessa PodRadio cliccando sulla barra qui sotto. Buon Ascolto
TRACKLIST
01. MC5: Ramblin’ Rose da ‘Kick Out The Jams’ (Elektra – 1969)
02. THE CLASH: London Calling da ‘London Calling’ (CBS – 1979)
03. ROCKET FROM THE TOMBS: Sonic Reducer da ‘Black Record’ (Fire Records – 2015)
04. Scraping FOETUS Off The Wheel: Sick Man da ‘Hole’ (Self Immolation – 1984)
05. IDLES: Exeter da ‘Brutalism’ (Balley Records – 2017)
06. MY BLOODY VALENTINE: When You Sleep da ‘Loveless’ (Creation Records – 1991)
07. VIRGIN PRUNES: Baby Turns Blue da ‘…If I Die, I Die’ (Rough Trade – 1982)
08. OM: Addis da ‘Advaitic Songs’ (Drag City – 2012)
09. MICHAEL HEAD & THE RED ELASTIC BAND: 4 & 4 Still Makes 8 da ‘Adiós Señor Pussycat’ ( Violette Records – 2017)
10. MORPHINE: All Wrong da ‘Cure For Pain’ (Rykodisc – 1993)
11. BOB DYLAN: Cold Irons Bound da ‘Time Out Of Mind’ (Columbia – 1997)
12. RHYTON: End Of Ambivalence da ‘Redshift’ (Thrill Jockey – 2016)
13. NICOLE MITCHELL: TimeWrap da ‘Mandorla Awakening II: Emerging Worlds’ (FPE Records – 2017)
14. MATANA ROBERTS: Was The Sacred Day da ‘Coin Coin Chapter Two: Mississippi Moonchile’ (Constellation – 2013)