La storia dei Terminal Cheesecake può richiamare a grandi linee quella dei The Membranes per fondazione, successo di culto, scioglimento e reunion a distanza di decenni.
Gruppo formato nel nord-est londinese nel 1988, e attivissimo nei primi anni novanta galleggiando tra neo psichedelia e noise rock, è stato creato da Gary Boniface alla voce (ex The Purple Things e The Vibes) insieme a Russell Smith alla chitarra (ex membro aggiunto degli A.R.Kane), Mick Parkin al basso e John Jobbagy alla batteria (anche lui ex The Purple Things). Il loro EP di esordio “Bladdersack”, è stato anche la prima uscita dell’etichetta Wiiija Records, fondata da alcuni ragazzi che lavoravano nello storico negozio di dischi londinese Rough Trade mutuando il codice postale della sede di Talbot Road (W11 1JA).
Tra psichedelia, post-punk e musica industriale, il suono della band è sempre stato provocatorio e sperimentale, come dimostra lo splendido esordio sulla lunga distanza di “Johnny Town-Mouse” (1988). Dopo altri cinque album (tra cui lo splendido “Angels In Pigtails” del 1990 definito dall’eminente critico Simon Reynolds “an epic of ruination”) e qualche cambiamento di formazione, la band si scioglie definitivamente nel 1994. La dispersione degli membri del gruppo ha portato Smith ad unirsi agli Skullflower e Boniface alla creazione del collettivo multirazziale Bud Alzir, fondato per esplorare la sua grande passione ed ispirazione, il dub.
La band si è riformata nel 2013, e dopo aver pubblicato due anni dopo un live intitolato “Cheese Brain Fondue”, è arrivato a fine 2016 questo “Dandelion Sauce of the Ancients”, un nuovo album in studio che vede la luce a ventun anni dallo scioglimento e a ventidue dall’ultimo disco. Ad affiancare i “vecchi” Russell Smith, John Jobbagy e Gordon Watson (chitarra), troviamo i nuovi Neil Francis (voce, attualmente nei Gnod) e Dave Cochrane (basso), che non sfigurano assolutamente nel confronto con i predecessori.
“Birds in 6/8” è il rutilante e febbrile attacco che mette subito le cose in chiaro, in questo periodo di revival chi meglio di un gruppo che ha davvero vissuto il periodo noise rock britannico anni 90 può reinterpretarlo con lo stesso vigore affidandolo ai gorghi psichedelici dei giorni nostri. “Poultice” è più compatta della slabbrata traccia precedente, trascinata da una massiccia ritmica stoner e rafforzata da una chitarra che lancia fendenti carichi di psichedelia, mentre con la seguente “The Winding Path” si torna sui binari noise industriali del brano di apertura, con la voce che recita inseguita dal suo stesso eco, perdendosi nei mulinelli evocati dalle distorsioni minacciose.
L’attacco doom di “Dandelions” viene prima alleggerito dalle voci femminili in sottofondo, poi accentuato dai colpi di tamburo che la lanciano in un’orbita scura di tribale efferatezza. Su questo terreno roccioso le chitarre possono lanciarsi in scorribande lisergiche che si infrangono su una barriera ghiacciata.
“Mr.Wipey’s Day Trip To Guildford Heaven” ha il titolo più lungo e il minutaggio più breve del lotto, si tratta di una sorta di sghemba filastrocca che ci inghiotte in una spirale rumoristica preparandoci con carillion e voci sullo sfondo alla lunga cavalcata di “Song For John Pt.1”, dove è naturalmente la componente psichedelica a prendere il sopravvento in una battaglia tra un basso dub e le chitarre affilate che finisce in una poltiglia di suono putrescente e fumante.
Dalle ceneri fumanti del brano precedente provano a rialzarsi tutti gli strumenti. Lo fanno lentamente in “Lord Jagged”, provano e cadono di nuovo al suolo, mentre le urla (molto Gnod) di Neil Francis tentano di rimetterli in piedi, lentamente, improvvisando senza forma, fino a quando il basso trova un riff, i tamburi volteggiano in aria mentre le bacchette colpiscono i crash, ed il brano trova la sua forma nel suo informe sviluppo, lasciandoci così, impantanati in una melma sonora che non aspetta altro che venga rimodellata mettendo di nuovo la puntina sui solchi colorati “Orange Crush” di questo splendido vinile limitato a 500 copie.