Le avventure in musica di Sounds & Grooves si uniscono al resto della banda per la 17° Stagione di RadioRock.TO The Original
Nel sesto episodio stagionale di Sounds & Grooves troveremo un piccolo anticipo del meglio del 2022
Torna l’appuntamento quindicinale di Sounds & Grooves che per il 17° anno consecutivo impreziosisce (mi piace pensarlo) lo straordinario palinsesto di www.radiorock.to. A pensarci è incredibile che sia passato già così tanto tempo da quando abbiamo iniziato questa folle ma fantastica avventura. Come (credo) già sapete, la nostra podradio è nata per dare un segnale di continuità con il passato, con quella meraviglia che Franz Andreani, Marco Artico, Flavia Cardinali, Massimo Di Roma, Michele Luches, Aldo Semenuk, Giampiero Crisanti, Gianpaolo Castaldo avevano creato e a cui, nel mio piccolo, ho provato a dare un contributo dal 1991 al 2000. Sappiamo tutti benissimo che la Radio Rock in FM come la intendevamo noi è sparita da almeno due decenni, ma in tutti questi anni di podcast sul web abbiamo cercato di tenere accesa quella fiammella per poi tentare di moltiplicarla, facendola diventare un faro di emozioni e qualità musicale. Perché la passione e la voglia di fare radio, la voglia di ascoltare e di condividere la musica di qualità, nonostante tutto, non ci è mai passata. Questa creatura dopo 3 lustri continua orgogliosamente a remare controcorrente, cercando quella libertà in musica che nell’etere è ormai diventata una mosca bianca, ed esprimendo la passione per la condivisione, per la ricerca, per l’approfondimento. Non dobbiamo aderire ad una cieca linea editoriale che ormai spinge esclusivamente il pulsante play dei servizi di streaming, ma ci lasciamo guidare semplicemente dal nostro cuore e dalla nostra passione. Fulvio Savagnone, Marco Artico, Giampiero Crisanti, Franz Andreani, Flavia Cardinali, Francesco Cauli, Ivan Di Maro, Fabio De Seta, Massimo Santori, Maurizio Nagni, Angie Rollino ed io proveremo a coinvolgervi con i nostri podcast regolari e con le rubriche tematiche di approfondimento, sperando di farvi sentire sempre di più parte di questa fantastica avventura.
La musica ha spesso il potere terapeutico di guarire le anime, lenire in qualche modo il dolore e le storture dei nostri tempi come una pozione magica, un incantesimo primordiale, facendoci fare viaggi immaginari di enorme suggestione emotiva, ed è questo il percorso che Sounds & Grooves vuole seguire, soprattutto in questo periodo confuso ed oscuro.
Nel sesto viaggio della nuova stagione troverete troverete le proposte tanto apparentemente ostiche quanto cerebralmente stimolanti degli Horse Lords, le mutazioni funk-rock dei TV On The Radio la bellezza senza tempo di Laura Nyro e alcune delle sue nuove “seguaci” come Fiona Apple e Weyes Blood (spoiler: polemiche incluse). Troveremo anche il suono drammatico a tinte scure dei Piano Magic, quello che ogni tanto strizza l’occhio al mainstream dei The National, il pop naif delle CocoRosie e l’approccio scorbutico degli straordinari Geraldine Fibbers di Carla Bozulich. Ci sarà spazio anche per la seconda parte del capolavoro di David Lance Callahan, per il pop straordinario di Stephin Merrit aka Magnetic Fields, mentre il gran finale sarà appannaggio del soul di alta classe di Durand Jones & The Indications e delle sublimi traiettorie hip-hop di uno degli album dell’anno, quello di Danger Mouse & Black Thought. Il tutto, come da ben 16 anni a questa parte, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
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Iniziamo il podcast con uno dei gruppi fondamentali dell’ultimo decennio. Gli Horse Lords sono in quattro, suonano insieme dal 2010 e vengono da Baltimora. La struttura è quella (quasi) classica di un gruppo rock: Owen Gardner (chitarra), Max Eilbacher (basso ed elettronica), Sam Haberman (batteria) e Andrew Bernstein (sax e percussioni), ma le finalità sono totalmente diverse. Gli Horse Lords agiscono come un malware che si annida nel cuore del rock, lo corrompe e lo muta in un’altra entità. Si potrebbe chiamare math rock, ma non ci sono ne equazioni ne spigoli, ci sono spirali di suono che vengono dagli studi musicali dei singoli musicisti. Tutti e quattro i componenti del gruppo hanno studiato classica contemporanea, in particolare Gardner ha iniziato suonando il banjo ed è studioso di blues americano e folk africano della Mauritania, Eilbacher studia elettronica e suona il basso solo con gli Horse Lords, Bernstein ha studiato a lungo percussioni africane, mentre Haberman è l’elemento più prettamente rock e “selvaggio” del quartetto.
Gli Horse Lords tornano con Comradely Objects, l’ennesimo capolavoro di una band capace di perseguire e di raggiungere una visione unitaria non solo musicale ma anche politica. L’inquieta e sfaccettata visione musicale del quartetto ma delinea un ritratto emozionante della rivoluzione in corso. Non è facile descrivere il suono di questi quattro hackers del rock,. Quello che esce fuori dai solchi di questo quinto album è di grande complessità, visto che coesistono complicate poliritmie, potenti soluzioni sperimentali, afrofuturismi suggestivi, e grooves minimalisti. Un impegno sociale espresso da partiture strumentali, loop ritmici in grado di incresparsi e mutare pelle sotto i nostri occhi quasi senza che ce ne accorgiamo (ascoltate la strepitosa apertura di “Zero Degree Machine”), un abbandonarsi al flusso sonoro per poi controllarlo e focalizzarlo al meglio. Se avete bisogno di nuovi stimoli in musica e di un gruppo che suona come nessun altro, gli Horse Lords fanno assolutamente per voi.
Brooklyn, NY, 2001. Tunde Adebimpe, cantante e regista indipendente di origine nigeriana, condivide un appartamento con il polistrumentista (e produttore) Dave Andrew Sitek e insieme danno vita al primo nucleo dei TV On The Radio. Il progetto piano piano si allarga con l’ingresso del chitarrista e bassista Kip Malone (Rain Machine), del batterista Jaleel Bunton e del bassista Gerard Smith. Il progetto parte da un certo revival post-punk, ma ben presto prende la sua peculiare cifra stilistica diventando perfettamente riconoscibile e conquistando grazie a una carica notevole sul palco. New wave, post-punk, soul, gospel vengono ibridati in una personale miscela coinvolgente ed emozionante.
Dopo l’esordio acerbo e autoprodotto di OK Calculator (i riferimenti ai Radiohead sono assolutamente voluti) e il primo album vero e proprio Desperate Youth, Blood Thirsty Babes pubblicato nel 2004 dalla 4AD, la band prepara il botto vero e proprio che arriva due anni più tardi con il maturo e rifinito Return To Cookie Mountain, che vede le collaborazioni di David Bowie, Kazu Makino (Blonde Redhead) e katrina Ford (Celebration). “Wolf Like Me” è uno degli episodi più trascinanti e coinvolgenti di un album che pone il nome dei TV On The Radio come uno dei più coinvolgenti del music business. Dear Science nel 2008 e Nine Types Of Light tre anni dopo consacrano definitivamente il gruppo che viene sconvolto poco dopo dalla tragica scomparsa di Gerard Smith per un cancro ai polmoni ad appena 36 anni. Il gruppo teoricamente è ancora in attività, anche se l’ultimo lavoro, Seeds, è uscito nel 2014.
La doppia vita di una band straordinaria. I The Dream Syndicate sono stati una band fondamentale di quella scena californiana chiamata Paisley Underground, capace di traghettare il recupero delle radici folk e country nel maelstrom del post-punk e della psichedelia. Cinque anni dopo essersi riuniti esclusivamente per alcuni concerti, nel 2017 il gruppo ha pubblicato How Did I Find Myself Here? dopo ben 29 anni di silenzio. La formazione vedeva, e vede tuttora, oltre a Steve Wynn il batterista originale Dennis Duck, il bassista Mark Walton (che si unì al gruppo dopo l’uscita di Medicine Show) e il chitarrista Jason Victor, membro dei The Miracle 3, l’altra band di Steve Wynn.
Le meraviglie del passato sembravano difficilmente replicabili, ma l’album aveva mostrato un gruppo capace di reinventarsi classico ed attuale allo stesso tempo in maniera sorprendente. Il secondo album della loro nuova vita artistica, These Times uscito nel 2019, ha confermato quanto mostrato di buono nel loro sorprendente ritorno: non un’imitazione pallida del loro passato ma un rimodularsi esplorativo. Una melodia, di cui sono maestri, innervata qua e la di soul e black music, come l’incalzante e splendida “The Whole World’s Watching” inserita in scaletta. L’esplorazione psichedelica e le improvvisazioni di The Universe Inside del 2020 e il più manieristico ma sempre splendido Ultraviolet Battle Hymns And True Confessions del 2022 hanno confermato come la reunion dei The Dream Syndicate sia senza dubbio quella più qualitativamente riuscita che riesca a ricordare.
Nell’estate del 1996 a Londra Glen Johnson insieme a Dominic Chennell e Dick Rance crea il primo nucleo dei Piano Magic. In realtà sebbene siano nati come un semplice progetto che prevedeva semplicemente registrazioni casalinghe, sono diventati presto una cosa seria, con i musicisti che avevano la più completa libertà di arrivare, contribuire e poi andar via, con il solo Johnson a tirare le fila. Questa modalità ha fatto si che i Piano Magic abbiano prodotto una notevole varietà di stili sonori, dal pop ispirato e spesso scuro dell’album di debutto Popular Mechanics (1997), alla malinconia eterea e alla dinamica viscerale dell’ultimo Closure del 2016.
Un suono malinconico ed emotivamente intenso, descritto spesso come ambient pop, post-rock, indietronica, dark wave, addirittura ghost rock e chi più ne ha più ne metta. Disaffected è il sesto album in studio del collettivo britannico guidato da Glen Johnson, undici tracce dove il loro coinvolgente ed onirico suono trova un perfetto spettro sonoro tra evocazioni del passato e ritmi lenti e profondi, grazie alle tastiere di Cédric Pin e con la collaborazione di John Grant. “You Can Hear The Room” è l’apertura perfetta per un disco che non ha perso un grammo del suo fascino profondo.
Lo ammetto spudoratamente, ho dei problemi con alcuni gruppi che attualmente sembrano avere un ottimo seguito di critica e pubblico. Faccio i nomi: Arcade Fire, The War On Drugs, Radiohead e The National. Seppur amando alcune delle loro canzoni, sembrerà strano, il gruppo non è mai riuscito davvero a coinvolgermi emotivamente. Matt Berninger (voce) e Scott Devendorf (basso) si incontrano a Cincinnati, Ohio, e dopo aver fatto parte di alcune band, decidono di creare un’entità nuova coinvolgendo il batterista Bryan Devendorf, fratello di Scott, e due amici di Bryan, i fratelli Aaron e Bryce Dessner. Dopo due album usciti in sordina per la Brassland, etichetta fondata dai fratelli Dessner insieme a Alec Hanley Bemis, la band passa alla Beggars Banquet facendo parlare di se per l’ottimo Alligator nel 2005.
Il grande successo arriva due anni più tardi con Boxer, album che perfeziona la scrittura del quintetto e ne certifica la statura grazie alle loro trame elettro acustiche impreziosite dalla profonda voce baritonale di Berninger. Eppure i primi due album della band di Cincinnati non sono affatto male. Forse è quella sorta di enfasi di fondo che a volte mi provoca un certo fastidio, ma ad essere sinceri il quarto album della band di Cincinnati mostra un uso sapiente di chiari e scuri che risulta stavolta convincente al mio palato, una maturità di scrittura che convince come nella splendida “Mistaken For Strangers” che apre l’album.
Carla Bozulich è senza dubbio un’icona della musica alternativa. Da sempre è maestra nel creare atmosfere tormentate e scure, alternando stasi e accelerazioni, nervosismi e rilassamenti. Nata a New York, si trasferisce in California vivendo tra droga e prostituzione, fino a quando viene salvata dall’ascolto delle sinfonie di Mahler che letteralmente trasformano la sua esistenza. La nuova vita di musicista inizia prima con gli Ethyl Meatplow, poi con i The Geraldine Fibbers con cui inizia la sinergia con il futuro chitarrista dei Wilco Nels Cline, suo compagno anche nell’avventura chiamata Scarnella. Proprio nei Geraldine Fibbers la Bozulich tira fuori le sue emozioni primitive, tratte dal blues e capaci di tentare un’ardita fusione tra punk, blues e radici musicali americane.
Nel terzo, ed ultimo, album in studio intitolato Butch, i Geraldine Fibbers trovano la quadratura del cerchio. L’apporto del nuovo arrivato Nels Cline è fondamentale nel rendere musicalmente gli incubi dei bassifondi della Bozulich e le tensioni provocate dall’incontro-scontro tra le antiche radici del suono statunitense e la ruvidezza psicotica del noise rock. “Toybox”, scritta dalla Bozulich insieme al bassista William Tutton, al batterista Kevin Fitzgerald e all’ex chitarrista Daniel Keenan, è uno dei brani più viscerali di un album da riscoprire. La Bozulich ha anche un legame stretto con il nostro paese: ha prodotto l’album d’esordio dei Blue Willa, e ha chiamato a collaborare con lei il batterista Andrea Belfi.
Lo scoppio della pandemia ed il successivo lockdown hanno fatto trovare a David Lance Callahan, ex leader dei Moonshake (band cardine del post-rock britannico dei ’90) il tempo di mettere mano ad una serie di canzoni cui stava lavorando da molto e di scriverne delle nuove. Per dirla con le parole dello stesso autore “durante l’isolamento non c’era molto altro da fare se non recuperare i miei libri, filmare e scrivere canzoni”. Tutto questo ha portato l’inglese a registrare il materiale che compongono i due volumi di English Primitive. E se il primo volume era arrivato alle mie orecchie quasi fuori tempo massimo per occupare una posizione di prestigio nella mia Playlist 2021, la seconda parte è arrivata in tempo per conquistare la vetta della mia personalissima classifica. English Primitive II è più rumoroso e più psichedelico del fratello maggiore, ma mantiene la stessa gamma eclettica di input. Questo nuovo lavoro comprende secondo il suo autore le “canzoni dell’esperienza” affrontando temi lirici come lo squallore e la corruzione dei potenti e dei loro vassalli, e le vessazioni inflitte in modi più disparati ai più deboli.
La seconda parte di English Primitive non delude le attese, mostrando un autore sempre più maturo e poliedrico, capace di mettere in musica racconti di vita vissuta e la visione di una società britannica in cui i meccanismi di assimilazione culturale e di sistema politico non sono propriamente oliati a dovere. La corruzione imperante, la brutalità intenzionale e non intenzionale inflitta ai più deboli e i modi talvolta perversi in cui ciò avviene vengono spiattellati con crudo realismo in otto racconti straordinari. Una visione intricata e spettrale sottolineata ancora una volta dalla splendida copertina, riproduzione (come nel primo volume) di un lavoro di vetro colorato dell’artista Pinkie Maclure (metà dei Pumajaw) capace di riflettere perfettamente l’oscurità e la luce delle canzoni. Sono gli splendidi ritmi di Darren Garrat (Pram) ad introdurre la rotolante e sincera “Orgy Of The Ancients”, dove Callahan descrive l’intima (e orribile) complessità della collaborazione tra i nostri media e la vecchia classe dirigente immaginando il palazzo di Caligola spostato nel 21° secolo.
Strana la storia delle sorelle Bianca Leilani e Sierra Rose Casady. Sierra nasce in Iowa, nel 1980, mentre Bianca nelle Hawaii due anni più tardi. Sono state soprannominate dalla madre rispettivamente Rosie e Coco. La loro non era certo una famiglia tradizionale: la madre, di origine Cherokee e siriana si spostava compulsivamente da uno stato all’altro del paese portando le figlie con sé mentre il padre viaggiava per gli Stati Uniti insegnando e seguendo lo sciamanesimo e il peyotismo. Dopo il divorzio dei genitori ed alcune circostanze non proprio edificanti, le sorelle si perdono di vista. Nel 2003, dopo dieci anni di lontananza, Bianca incontra a Parigi la sorella Sierra che si era trasferita tre anni prima nella capitale francese per studiare in Conservatorio e tentare la carriera di cantante d’opera.
Proprio nell’appartamento di Sierra a Parigi le sorelle iniziano a lavorare ad una serie di canzoni usando gli strumenti a loro congeniali (chitarra, flauto e arpa) e suoni da oggetti improvvisati come strumenti musicali-giocattolo acquistati nel loro quartiere, il tutto adottando un approccio lo-fi e sperimentale alla produzione, registrando con un solo microfono e un paio di cuffie malandate. Queste tracce registrate in bassa fedeltà sono state inserite in un album intitolato La Maison De Mon Rêve (La casa dei miei sogni), l’esordio del duo come CocoRosie che inizialmente doveva essere semplicemente distribuito ad una ristretta cerchia di amici. Ma l’album arriva alle orecchie del produttore Corey Rusk che, affascinato dalla costruzione naif delle folk songs in bassa fedeltà delle due sorelle, manda l’album alla prestigiosa etichetta Touch & Go pronta a ricevere l’assist e a proporre un contratto al duo pubblicando il disco. Sorprendentemente l’album, trainato da una filastrocca affascinante come la “By Your Side” inserita in scaletta, ha un ottimo successo di critica e pubblico lanciando la carriera delle CocoRosie. Il duo ha pubblicato nel 2020 il settimo lavoro in studio, Put The Shine On.
Che personaggio Stephin Merritt!! Fondatore e leader dei The Magnetic Fields, fine conoscitore di pop e dell’animo umano. Merritt ha fatto uscire nel corso del 2017 l’ennesimo progetto ambizioso della sua carriera, per celebrare degnamente i suoi 50 anni ha pubblicato il monumentale 50 Song Memoir, dedicando una canzone ad ogni anno della sua vita. Referente diretto di questo album è senza dubbio il capolavoro 69 Love Songs, triplo album che uscito nel 1999 in tre volumi separati non aveva all’inizio avuto il meritato successo di critica e pubblico.
Tra i riferimenti dell’arte di Merritt ci sono senza dubbio Leonard Cohen, Bob Dylan, ed il perfezionismo pop di Brian Wilson. L’amore, e non potrebbe essere altrimenti, è il filo conduttore dell’album, declinato in tutte le sue molteplici sfaccettature in 69 canzoni che incredibilmente riescono a non somigliarsi tra di loro. Difficile, se non impossibile, trovarne una che possa rappresentare l’intero lavoro. Alla fine la scelta è caduta su una delle melodie che mi ha sempre colpito di più, quella intitolata “Papa Was A Rodeo”.
Laura Nigro, più conosciuta come Laura Nyro, è stata una compositrice e pianista tanto brava quanto schiva e sfortunata, Sangue russo e italiano mischiato nelle vene, un padre trombettista e arrangiatore di piano, una madre appassionata di opera lirica, la Nyro ha imparato nelle strade del Bronx i ritmi del jazz, del rhythm’n’blues e della musica Motown, rielaborandoli in un personalissimo codice poetico. Ha preferito rimanere sempre lontana dai riflettori e dal successo, rifiutando molte interviste ed aborrendo le ingerenze delle etichette discografiche. Tuttavia le sue canzoni hanno fatto le fortune di altri artisti ed hanno influenzato, più o meno consapevolmente, generazioni di cantautrici americane e non (Joni Mitchell, Suzanne Vega, Rickie Lee Jones, Fiona Apple).
Straordinaria e originalissima compositrice, non è mai stata come interprete al top delle charts ma ha fatto la fortuna di molti altri grandi artisti con le sue canzoni: Blood Sweat and Tears con “When I Die”, The Fifth Dimension con “Wedding Bell Blues”, “Stoned Soul Picnic” e “Sweet Blindness”, Barbra Streisand con “Stoney End”. Solo dopo la morte, avvenuta l’8 aprile 1997 per un cancro all’utero (lo stesso triste destino che era toccato alla madre), ha ottenuto i riconoscimenti che le spettavano. Nel 2012 è stata finalmente introdotta nella Rock’n’Roll Hall of Fame. Eli And The 13th Confession esce nel 1968 e mostra a tutti il talento della compositrice newyorchese. “Poverty Train” è uno dei vertici del disco, un brano trascinante che mostra tutte le sfaccettature di un’artista enorme e incompresa.
Il secondo album del 2012 è un lavoro dalla complessa e lunga gestazione. Guardi una foto di Fiona Apple, ascolti le sue canzoni, e pensi “una così potrebbe avere tutto il music business ai suoi piedi!”, ed invece no. La talentuosa e bella Fiona è quanto di più distante possa esserci dal mondo rutilante del red carpet. Una ragazza con un’adolescenza travagliata e difficile alle spalle, che ha saputo reggere l’urto di un avvenimento che non può non lasciare il segno nella vita di chiunque con grande personalità. Dopo i primi due album che avevano riscosso un gran successo sia di pubblico che di critica, nel 2003 la Apple aveva registrato insieme a Jon Brion il terzo Extraordinary Machine. Ma la Epic Records, che si aspettava un elevato riscontro, non aveva gradito la scrittura del disco definita “poco commerciale”.
L’artista, sicura dei propri mezzi ed incurante della multinazionale che aveva bloccato la produzione, distribuì lo stesso gratuitamente l’album in rete, anche se la maggior parte delle canzoni uffiialmente vennero leaked. I fans della Apple protestarono sotto la sede della Sony per una settimana in maniera fragorosa. Il risultato fu che la Apple registrò nuovamente l’album che uscì ufficialmente sul mercato due anni dopo, nell’Ottobre 2005. Nel 2012 è uscito il suo quarto lavoro (e per ora ultimo) dal titolo lunghissimo: The Idler Wheel Is Wiser Than The Driver Of The Screw And Whipping Cords Will Serve You More Than Ropes Will Ever Do. Uno sfaccettato e meraviglioso diario personale, che mostra la maturità di un’artista di straordinaria sensibilità e talento, come dimostra la splendida “Every Single Night”.
Nel corso del 2022 avevo gradito molto poco certi perversi meccanismi social nel parlare dei Fontaines D.C. e avevo espresso il mio disappunto per le critiche fatte per partito preso o per antipatia. Devo dire che certe considerazioni le ho dovute ripetere dopo aver letto alcuni commenti dopo l’uscita di And in the Darkness, Hearts Aglow il nuovo album di Natalie Mering, in arte Weyes Blood. Eccone alcuni: “soporifero”, “canzoni non memorabili”, “troppo sofisticata”, “mancano le canzoni”, addirittura “troppo perfetto” come se la perfezione fosse un difetto, oppure (il più bello in assoluto) “invecchiato male” come se fosse un disco uscito nel 1972. Giudizi tranchant probabilmente senza un ascolto adeguato alle spalle, dati solo perché la quasi totalità delle riviste cartacee e delle webzine musicali lo ha giudicato positivamente.
Insomma, il dover per forza parlare male di qualcosa che piace, come chi urla sempre il proprio dissenso al famoso “mainstream”, qualunque esso sia. Ma il talento della Mering è notevole, dopo le esperienze con Jackie O-Motherfucker e Satanized, il percorso della songwriter californiana ha battuto i sentieri di un folk contaminato da elettronica e da aperture oniriche e psichedeliche. Nell’intenzione dell’autrice, l’album è il secondo di una speciale trilogia inaugurata dall’emozionante Titanic Rising di tre anni fa, una trilogia che vuole cercare un significato in un’epoca di instabilità e di cambiamenti irrevocabili. Una vocalità calda che rimanda ad alcune splendide interpreti degli anni ’70 (Joni Mitchell o Judee Sill), arrangiamenti estremamente eleganti con innesti elettronici (grazie anche a Daniel Lopatin aka Oneohtrix Point Never), un tocco di spiritualità e canzoni che funzionano perfettamente come la splendida “Children Of The Empire” inserita nel podcast.
Il revival del soul grazie ad etichette come la Daptone e ad artisti come i compianti Sharon Jones e Charles Bradley ha avuto il merito di avvicinare anche chi non ha vissuto l’epoca d’oro della Motown o della Stax a questo straordinario genere musicale. Un suono senza tempo rinnovato in maniera intensa da una band che viene da Bloomington, Indiana. Blake Rhein e Aaron Frazer, due studenti della Jacobs School of Music dell’Università dell’Indiana, hanno sviluppato un rapporto musicale con Durand Jones all’inizio del 2010, basandosi sui loro interessi comuni per il songwriting e i vecchi 45 giri soul. La band che prende il nome di Durand Jones & The Indications viene subito notata dall’etichetta dell’Ohio specializzata in soul Colemine Records e messa sotto contratto per far parte del loro roster.
Dopo l’esordio autointitolato, il gruppo ha pubblicato nel 2019 lo splendido American Love Call, 12 tracce perfettamente arrangiate e suonate con le voci del leader e del batterista Aaron Frazer ad alternarsi sotto il tappeto sonoro creato dalla chitarra di Blake Rhein, l’organo e il piano di Steve Okonski, il basso di Kyle Houpt (poi sostituito da Michael Isvara Montgomery), e dal sax dell’ospite Patrick Sargent. Una piccola sezione di fiati ed archi a completare uno spettro sonoro che non suona mai come un vuoto revival ma come una sorta di resurrezione di un genere musicale emozionante come pochi, come dimostra la “True Love” che ha il compito di chiudere l’intero album.
Chiudiamo il podcast in modo (forse) inatteso. Come sapete benissimo l’hip-hop non è sicuramente il mio “ambito di competenza” (ammesso e non concesso che io ne abbia uno…), ma ogni tanto ci sono lavori ascrivibili nel genere (come Sound Ancestors di Madlib lo scorso anno) che riescono a colpirmi in maniera particolare. In ogni caso nel corso degli anni il lavoro di Brian Burton aka Danger Mouse è stato piuttosto trasversale, visto che dopo l’esordio con gli Gnarls Barkley ha collaborato come musicista e come produttore insieme a Black Keys, Norah Jones, Jack White, Sparklehorse, Parquet Courts, Red Hot Chili Peppers e Michael Kiwanuka, oltre ai Danger Doom creati insieme al compianto Daniel Dumile aka MF DOOM.
Tariq Trotter aka Black Thought è un’istituzione del genere visto che da sempre è voce dei The Roots. La prima idea per un album collaborativo è scattata nella mente dei due musicisti nel 2017 ma Cheat Codes, tra i vari impegni dei due e la solita pandemia di mezzo, ha visto la luce solo nell’agosto del 2022. L’album vede le collaborazioni di una sorta di dream team: Raekwon & Kid Sister, Michael Kiwanuka nella straordinaria “Aquamarine” che chiude il podcast, A$AP Rocky & Run The Jewels”, Joey Bada$$, Russ & Dylan Cartlidge, Conway the Machine, e perfino un contributo postumo di MF DOOM. Le basi e i campioni di Danger Mouse si sposano perfettamente con la metrica e il flow impareggiabile di Black Thought, dando vita ad un album estremamente riuscito, di grande ispirazione e di enorme classe.
Un grazie speciale va, come sempre, a Franz Andreani per la sua passione, la gestione di questa banda di pazzi e per la splendida riorganizzazione del sito già attiva da qualche anno. A cambiare non è stata solo la versione grafica del sito, ma anche la “filosofia” della podradio, con le rubriche che vanno ad integrarsi nella programmazione regolare sotto l’hashtag #everydaypodcast. Sulla nostra pagina Facebook troverete quotidianamente ogni upload del sito e, ormai da tempo, è attivo anche lo splendido canale YouTube della Radio, una nuova formula senza interruzioni ne spot per ascoltare la vostra-nostra musica preferita. Iscrivetevi numerosi, vi aspettiamo!
Nel prossimo episodio di Sounds & Grooves troverete una sorta di podcast del cuore, malinconico, romantico ed onirico. Una piccola panoramica di quel mondo sognante ed incantevole che era la Sarah Records, rappresentata da Field Mice e The Orchids, il ricordo di Martin Duffy con le melodie senza tempo dei Felt, il pop da camera degli Audiac ed il cantautorato di Gabriel Kahane. Ci sarà spazio anche per i ricordi virato seppia dei Red House Painters, per le traiettorie oniriche e notturne di Aidan Moffatt aka Nyx Nòtt, e per due perle al femminile firmate da due delle migliori cantautrici di questa generazione: Julia Holter e Gemma Ray. Il gran finale sarà appannaggio del suono cristallino di Talk Talk e The Blue Nile, degli album solisti dei due leader Mark Hollis e Paul Buchanan, e per una straordinaria appendice del gruppo scozzese chiamata Quiet City. Il tutto, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
Intanto se volete potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, criticare (perché no), o proporre nuove storie musicali. Mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web.
Se volete ascoltare o scaricare il podcast, potete farlo anche dal sito della PodRadio cliccando sulla barra qui sotto. Buon Ascolto
TRACKLIST
01. HORSE LORDS: Zero Degree Machine da ‘Comradely Objects’ (2022 – Rvng Intl.)
02. TV ON THE RADIO: Wolf Like Me da ‘Return To Cookie Mountain’ (2006 – 4AD)
03. THE DREAM SYNDICATE: The Whole World’s Watching da ‘These Times’ (2019 – Anti-)
04. PIANO MAGIC: You Can Hear The Room da ‘Disaffected’ (2005 – Darla Records)
05. THE NATIONAL: Mistaken For Strangers da ‘Boxer’ (2007 – Beggars Banquet)
06. THE GERALDINE FIBBERS: Toybox da ‘Butch’ (1997 – Virgin)
07. DAVID LANCE CALLAHAN: Orgy Of The Ancients da ‘English Primitive II’ (2022 – Tiny Global Productions)
08. COCOROSIE: By Your Side da ‘La Maison De Mon Rêve’ (2004 – Touch And Go)
09. THE MAGNETIC FIELDS: Papa Was A Rodeo da ‘69 Love Songs’ (1999 – Merge Records)
10. LAURA NYRO: Poverty Train da ‘Eli And The Thirteenth Confession’ (1968 – Columbia)
11. FIONA APPLE: Every Single Night da ‘The Idler Wheel Is Wiser Than The Driver Of The Screw And Whipping Cords Will Serve You More Than Ropes Will Ever Do’ (2012 – Clean State / Epic)
12. WEYES BLOOD: Children Of The Empire da ‘And In The Darkness, Hearts Aglow’ (2022 – Sub Pop)
13. DURAND JONES & THE INDICATIONS: True Love da ‘American Love Call’ (2019 – Dead Oceans / Colemine Records)
14. DANGER MOUSE & BLACK THOUGHT: Acquamarine (feat. Michael Kiwanuka) da ‘Cheat Codes’ (2022 – BMG)