Come sempre, volenti o nolenti, a fine anno arriva il momento di tirare le somme. Lo ammetto, quello di cercare di incasellare gli ascolti preferiti degli ultimi 12 mesi è una pratica difficile e soggetta a continue revisioni ma sempre stimolante e divertente. Amate e odiate, le classifiche di fine anno andrebbero prese sempre e comunque come stimolo per la nostra curiosità di famelici ascoltatori-consumatori di musica. Come detto, è sempre complicato mettere in un qualunque ordine le proprie preferenze. Gli ascolti sono diversi e diversificati e se alcuni album possono essere ascoltati con una certa “leggerezza”, altri hanno bisogno di un mood particolare o di un diverso momento della giornata per essere assaporati a pieno, momenti che non sempre possiamo avere a disposizione nella nostra frenetica quotidianità. Sicuramente, come ormai è chiaro da qualche anno, le modalità di ascolto della musica sono cambiate in maniera drastica: adesso abbiamo la possibilità di trovare letteralmente tutto a disposizione, in qualsiasi momento ed in qualsiasi modo. I servizi di streaming hanno giorno dopo giorno soppiantato sia la vendita dei cd che quella del download della musica “liquida”, lasciando la vendita del supporto fisico ai (quasi) soli appassionati, che sempre più spesso prediligono il caro vecchio vinile (anche se in questo caso il prezzo è aumentato in maniera purtroppo considerevole).
Fare una classifica dei migliori album dell’anno, visto il numero gigantesco di uscite annuali, è un’impresa al limite del fantascientifico. Probabilmente a ragione, qualcuno lo considera anche un inutile esercizio di stile: difficile stabilire gerarchie, e soprattutto, fissare i “giusti” parametri da usare. Quali sarebbero? In base a cosa?
Come detto in precedenza è letteralmente impossibile solo cercare di ascoltare tutto, troppe le pubblicazioni e troppo poco il tempo quotidiano a disposizione per ascoltare nuova musica con l’attenzione che spesso meriterebbe. Anche quest’anno ci saranno sicuramente alcuni album messi in fondo alla classifica che hanno avuto sicuramente la sfortuna di avere meno ascolti a disposizione e meno possibilità di essere apprezzati. Già gli ascolti sono giocoforza limitati, poi vengono filtrati attraverso la nostra particolare sensibilità, assecondando i gusti personali e la nostra attitudine musicale. Ma il tempo è tiranno e la realtà di Sounds & Grooves è davvero pochissima cosa (visto che sono l’unico a gestirla nella sua totalità) se paragonata a corazzate del mondo delle webzines musicali come OndaRock (con cui collaboro da qualche anno), SentireAscoltare dello stimatissimo Stefano Pifferi, Distorsioni, o gli splendidi blog personali di autentici giornalisti professionisti ed enormi conoscitori di musica come Eddy Cilìa, Federico Guglielmi o Carlo Bordone, tanto per citare i primi che mi vengono in mente.
In questo spazio, come quasi ogni anno, ho voluto semplicemente buttare giù, come appuntandoli su un taccuino, gli album che negli ultimi 12 mesi ho ascoltato di più, e che sono riusciti maggiormente a coinvolgermi, e condividere con voi la mia interpretazione, il mio modo di sentire. Nonostante ci siano un milione di classifiche sparse nel web, sia quelle compilate dalla varie (più o meno trendy) music webzines e magazines, che quelle postate sui vari profili personali dei social networks, credo che da ognuna di queste ci sia sempre da qualcosa da imparare, uno o più nomi da annotare per poi approfondire con curiosità.
In calce ai 50 album che più hanno segnato la mia annata musicale, troverete un’altra lista composta da outsiders, album che non sono entrati nella Top 50, sfiorando la mia personale eccellenza, ma che per molti di voi potrebbero invece essere (giustamente) degni della portata principale. Nei titoli che formano questa lunga lista, ce n’è per tutti i gusti. C’è sempre un oceano di musica da scoprire, e molti (me compreso) non sono riusciti a rinunciare al fascino irresistibile dei tesori (o presunti tali) sommersi, avendo come risultato un’enorme varietà di nomi all’interno delle singole playlist.
Discorso a parte meritano le ristampe e quelle etichette (Light In The Attic, Superior Viaduct, Numero Group, Cherry Red tanto per citarne alcune) che hanno riportato alla luce o ampliato in maniera scintillante autentici capolavori, alcuni ripescati dall’oblio, altri semplicemente tirati a lucido. Ho compilato una piccolissima classifica anche delle mie preferenze in tal senso.
Ogni classifica dei migliori album dell’anno porta una scintilla per rinvigorire quella fiamma appassionata dentro ognuno di noi. Da parte mia un abbraccio speciale, consentitemelo, va sempre a quella che è la mia “famiglia” da sempre, prima in FM e poi sul web, ovverosia quella splendida podradio chiamata Radiorock.TO The Original.
#everydaypodcast
#1
DAVID LANCE CALLAHAN English Primitive II (Tiny Global Productions)
Lo scoppio della pandemia ed il successivo lockdown hanno fatto trovare a David Lance Callahan, ex leader dei Moonshake (band cardine del post-rock britannico dei ’90) il tempo di mettere mano ad una serie di canzoni cui stava lavorando da molto e di scriverne delle nuove. Per dirla con le parole dello stesso autore “durante l’isolamento non c’era molto altro da fare se non recuperare i miei libri, filmare e scrivere canzoni”. Tutto questo ha portato l’inglese a registrare il materiale che compongono i due volumi di English Primitive. E se il primo volume era arrivato alle mie orecchie quasi fuori tempo massimo per occupare una posizione di prestigio nella mia Playlist 2021, la seconda parte è arrivata in tempo per conquistare la vetta della mia personalissima classifica. English Primitive II è più rumoroso e più psichedelico del fratello maggiore, ma mantiene la stessa gamma eclettica di input. Questo nuovo lavoro comprende secondo il suo autore le “canzoni dell’esperienza” affrontando temi lirici come lo squallore e la corruzione dei potenti e dei loro vassalli, e le vessazioni inflitte in modi più disparati ai più deboli. La seconda parte di English Primitive non delude le attese, mostrando un autore sempre più maturo e poliedrico, capace di mettere in musica racconti di vita vissuta e la visione di una società britannica in cui i meccanismi di assimilazione culturale e di sistema politico non sono propriamente oliati a dovere. La corruzione imperante, la brutalità intenzionale e non intenzionale inflitta ai più deboli e i modi talvolta perversi in cui ciò avviene vengono spiattellati con crudo realismo in otto racconti straordinari. Una visione intricata e spettrale sottolineata ancora una volta dalla splendida copertina, riproduzione (come nel primo volume) di un lavoro di vetro colorato dell’artista Pinkie Maclure (metà dei Pumajaw) capace di riflettere perfettamente l’oscurità e la luce delle canzoni.
Listen: Invisible Man
#2
HORSE LORDS Comradely Objects (RVNG Intl.)
Gli Horse Lords sono in quattro, suonano insieme dal 2010 e vengono da Baltimora. La struttura è quella (quasi) classica di un gruppo rock: Owen Gardner (chitarra), Max Eilbacher (basso ed elettronica), Sam Haberman (batteria) e Andrew Bernstein (sax e percussioni), ma le finalità sono totalmente diverse. Gli Horse Lords agiscono come un malware che si annida nel cuore del rock, lo corrompe e lo muta in un’altra entità. Si potrebbe chiamare math rock, ma non ci sono ne equazioni ne spigoli, ci sono spirali di suono che vengono dagli studi musicali dei singoli musicisti. Tutti e quattro i componenti del gruppo hanno studiato classica contemporanea, in particolare Gardner ha iniziato suonando il banjo ed è studioso di blues americano e folk africano della Mauritania, Eilbacher studia elettronica e suona il basso solo con gli Horse Lords, Bernstein ha studiato a lungo percussioni africane, mentre Haberman è l’elemento più prettamente rock e “selvaggio”. Il quartetto di Baltimore è tornato nel corso del 2022 con Comradely Objects, l’ennesimo capolavoro di una band capace di perseguire e di raggiungere una visione unitaria non solo musicale ma anche politica. L’inquieta e sfaccettata visione musicale del quartetto ma delinea un ritratto emozionante della rivoluzione in corso. Non è facile descrivere il suono di questi quattro hackers del rock,. Quello che esce fuori dai solchi di questo quinto album è di grande complessità, visto che coesistono complicate poliritmie, potenti soluzioni sperimentali, afrofuturismi suggestivi, e grooves minimalisti. Un impegno sociale espresso da partiture strumentali, loop ritmici in grado di incresparsi e mutare pelle sotto i nostri occhi quasi senza che ce ne accorgiamo, un abbandonarsi al flusso sonoro per poi controllarlo e focalizzarlo al meglio. Se avete bisogno di nuovi stimoli in musica e di un gruppo che suona come nessun altro, gli Horse Lords fanno assolutamente per voi.
Listen: Zero Degree Machine
#3
ŠIROM The Liquified Throne Of Simplicity (Glitterbeat)
Fortunatamente è possibile uscire dalle traiettorie abituali della geografia musicale per perdersi in luoghi immaginifici e inattesi. Il trio sloveno Širom dipinge un universo avventuroso e oscuro di estrema libertà creativa e di indicibile bellezza. Iztok Koren (banjo, guembri, percussioni), Ana Kravanja (voce, viola, daf, ocarina, percussioni) e Samo Kutin (ghironda, tampura brač, percussioni, cordofoni, voce) giocano non solo con una mole straordinaria di strumenti autocostruiti (come un liuto amplificato con una molla collegata ad un tamburo), ma anche con una serie di ispirazioni capaci di attingere non solo dalle musiche tradizionali dell’Europa dell’Est, ma anche dal minimalismo di Steve Reich o dall’avanguardia jazz dell’Art Ensemble of Chicago. La Slovenia è una nazione che era stata inghiottita dalla Jugoslavia e prima ancora, a distanza di secoli, dall’Impero Romano, Bizantino e Austro-Ungarico, ma è anche un crocevia strategico nel cuore dell’Europa centrale, dei Balcani e dell’Adriatico, con una ricca topografia atavica di montagne, foreste profonde e paesaggi carsici. Una geografia capace di indurre un senso contemplazione e di creare una forte energia psichica, sviluppata dal trio nelle lunghe ed elaborate composizioni spalmate nei 77 minuti di questo evocativo The Liquified Throne of Simplicity, il loro quarto lavoro in studio. Durante i giorni più bui della pandemia, il trio si è messo a camminare per le zone più remote della loro terra natale, per stabilire una sorta di riconnessione con l’ambiente circostante, ma anche per cercare l’ispirazione. Un’altra importante motivazione è stata trovata nell’esplorazione, nello studio e nella ricerca di una lista sempre più lunga di strumenti esotici, nella riproposizione di un assemblaggio di oggetti trovati e nella costruzione di nuovi dispositivi efficaci come i risonatori acustici. All’insieme di suoni già diversificati hanno aggiunto il tampura brač (un mandolino/chitarra accorciato della regione balcanica), il daf (un tamburo a cornice mediorientale) , l’ocarina (uno strumento a fiato scanalato a forma di nave), il liuto e il guembri nordafricano a tre corde, ricoperto di pelle e pizzicato dal basso (strumento caratteristico della musica spirituale marocchina Gnawa). Tutto ciò si aggiunge al ripetuto suono della ghironda e all’uso della lira, della viola, del banjo a tre corde, del balafon, del ribab e del mizmar. Un disco magico, un folk immaginario ed immaginifico di enorme impatto che vive di momenti di enorme energia e di altri più meditativi disegnando nuove mappe capaci di portare l’ascoltatore in mondi epici e lontani a cavallo tra passato e futuro.
Listen: Grazes, Wrinkles, Drifts into Sleep
#4
BREATHLESS See Those Colours Fly (Tenor Vossa)
In questo 2022 così scuro e confuso, un lampo di vera luce a rischiarare la via è stato senza dubbio il grande (e per certi versi inaspettato) ritorno dei Breathless di Dominic Appleton, Ari Neufeld e Gary Mundy dopo ben 10 anni di silenzio. Certo erano in pochi ad aspettarsi il ritorno della band inglese, soprattutto dopo il grave incidente occorso al batterista Tristram Latimer Sayer. Ma i tre “superstiti” non si sono persi d’animo, lavorando con una batteria elettronica che non ha minimamente scalfito le potenzialità emozionali ed immaginifiche del gruppo, quella capacità di essere un faro nella nebbia, un suono delicato ma non certo timido. Senza troppi giri di parole, See Those Colours Fly è un disco assolutamente magnifico. Il quartetto ridotto forzatamente a trio ha assorbito un evento così traumatico traendone in qualche modo nuova linfa, conducendoci con la consueta maestria su sentieri emotivi fuori dal tempo. Nove nuove tracce malinconiche in questo maestoso crocevia tra post-punk, psichedelia, dream-pop e shoegaze. Un flusso sonoro struggente ed evocativo che rischiara l’oscurità di questi tempi inquieti con brani meravigliosi come la “So Far From Love” che potete ascoltare cliccando qui sotto.
Listen: So Far From Love
#5
MOOR MOTHER Jazz Codes (Anti-)
Lei è una delle artiste più dotate, talentuose, libere e coraggiose del panorama musicale attuale. Poetessa, attivista, musicista, Camae Ayewa in arte Moor Mother è in grado di celebrare la cultura afroamericana e di esplorarne le radici. Il confinamento dovuto alla pandemia aveva avuto come risultato alcune splendide playlist compilate da Camae per Spotify e la pubblicazione di uno splendido album intitolato Black Encyclopedia Of The Air. Anche questo album, se vogliamo, pone le sue basi nel lockdown, periodo in cui Moor Mother ha scritto numerose poesie dedicate alle sue fonti di ispirazione della storia della musica afroamericana tra cui Albert Ayler, John Coltrane, Julius Eastman, Billie Holiday, Nina Simone, Sun Ra, Mary Lou Williams. Il tutto è stato poi consegnato nelle mani sapienti del suo (ormai) sodale produttore svedese Olof Melander, con il quale sono stati assemblate le 18 tracce (21 nella versione in CD) che compongono questo straordinario Jazz Codes. Ma non è stato un lavoro a quattro mani, per assemblare i brani i due si sono affidati a straordinari musicisti come Mary Lattimore (arpa), Nicole Mitchell (flauto), Jason Moran (piano), Keir Neuringer (sax), Aquiles Navarro (tromba) e diversi vocalist, che hanno mandato il loro contributi non sapendo dove sarebbero finiti. L’assemblaggio di questi frammenti sonori è stata straordinaria, Ayewa con Jazz Codes compie l’ennesimo prodigio di dipingere un affresco sonoro capace di incantare, di sorprendere, ricordando il passato e proiettandosi nel futuro, superando ogni divisione, e sperando (temo invano) che questa o le prossime generazioni siano in grado di avere più impegno civile e di non avere alcun tipo di preconcetto.
Listen: Jazz Codes (Full Album Stream)
#6
PARTY DOZEN The Real Work (Temporary Residence)
Sono rimasto molto sorpreso dall’assoluta mancanza di italico inchiostro virtuale versato per uno dei gruppi che più mi ha colpito nel corso dell’anno: gli australiani Party Dozen. Ammetto spudoratamente che anche io sono arrivato a scoprire in netto ritardo il duo formato a Sidney dalla sassofonista Kirsty Tickle e dal batterista Jonathan Boulet, visto che l’album The Real Work è il terzo della loro discografia. Un progetto nato dall’amore per l’improvvisazione, una passione che farebbe fatica a reggersi in piedi se non ci fossero della basi ben solide a sostenerla. E a sostenere i Party Dozen e a dargli un pochino di quella popolarità che meritano, ci ha pensato Nick Cave, con il suo contributo vocale a “Macca The Mutt”, uno dei brani più trascinanti dell’ultimo album in studio. Il drumming potente di Boulet, il soffio vigoroso e le urla nel sassofono di Tickle insieme ad un uso intelligente dell’elettronica, formano un quadro intrigante e compiuto, con atmosfere variabili dal noise alla psichedelia. Un suono che riesce, come per magia, a fermarsi un attimo prima di diventare inaccessibile. The Real Work è una foschia allucinatoria tra spasmi di improvvisazione, echi di Stooges, doom, noise, jazz. Un treno che più volte rischia di deragliare e che per pura magia rimane sempre ben saldo sui binari, condotto con maestria da due musicisti capaci di sperimentare tracciando una strada adrenalinica di notevole impatto che, speriamo, non rimarrà limitata ad una fama sotterranea. “The Worker” è solamente uno degli episodi intriganti di un disco che, lo ammetto spudoratamente, è riuscito davvero ad entusiasmarmi.
Listen: The Worker
#7
MICHAEL HEAD & THE RED ELASTIC BAND Dear Scott (Modern Sky)
Michael Head è sempre stato uno dei talenti più cristallini del pop rock britannico, nato a Liverpool ma innamorato della musica statunitense, autore brillante sia con i The Pale Fountains che con gli Shack, gruppi che avrebbero meritato sicuramente più fortuna e considerazione. Pensavamo di averlo perso per strada, anche se qualche tempo fa con la sua nuova formazione chiamata The Red Elastic Band aveva fatto uscire Artorius Revisited, un EP più che dignitoso. Ma due anni fa non avrei mai creduto di poterlo ritrovare così in forma. Adiós Señor Pussycat era uno splendido album, in cui Head allontanava i suoi ultimi difficili anni, e ci mostrava tutta la sua abilità nel costruire canzoni scintillanti e meravigliose, mirabilmente sospese tra rock, pop e folk. La sua chitarra cristallina, ed la sua capacità di trasferire i Love di Arthur Lee a Liverpool è stata (fortunatamente) confermata con l’uscita di Dear Scott, album meravigliosamente prodotto dall’ex-Coral Bill Ryder-Jones. I fiati, gli archi e la chitarra acustica di Head si fondono insieme in dodici brani eleganti e arrangiati meravigliosamente, dodici ballate che contengono al loro interno un cambio di passo mozzafiato. La“Kismet” che potete ascoltare qui sotto è solo un esempio di come questo disco (come il suo predecessore) riesca a farci innamorare, ancora una volta perdutamente. Il magazine britannico Mojo l’ha addirittura messo in cima alla classifica degli album del 2022!
Listen: Kismet
#8
MATCHESS Sonescent (Drag City)
Da più di un decennio Whitney Johnson attraversa la scena musicale underground di Chicago. Nata come musicista classica, è stata attratta presto dal punk e dalla psichedelia, andando a collaborare con moltissime realtà sia rock e psichedeliche (Ryley Walker, Bitchin Bajas, Oozing Wound, Circuit Des Yeux) che sperimentali (Verma, Simulation, Damiana). Ha lavorato con minimalisti come La Monte Young e Marian Zazeela e parallelamente alla musica ha intrapreso un cammino di impegno universitario e sociale che l’ha portata a gestire programmi di alfabetizzazione, lavorare con rifugiati e a prendere un master in politica culturale e un dottorato in sociologia. Il suo progetto solista Matchess è arrivato, dopo la trilogia Seraphastra–Somnaphoria–Sacracorpa pubblicata dalla Trouble In Mind dal 2015 al 2018, ad un nuovo lavoro intitolato Sonescent, stavolta pubblicato dalla chicagoana Drag City. Il disco è nato mentre la pratica della meditazione portava la Johnson a focalizzarsi sull’ascolto del suono del suo corpo, il respiro, il battito del cuore. Questi suoni, in qualche modo inediti, hanno coinvolto talmente la sua mente da riuscire a trasformarsi in musica, ma la promessa del silenzio durante il periodo di meditazione non gli ha consentito di trasformare subito quelle canzoni in qualcosa di registrato. Il processo di creazione dell’album, quindi, è dovuto passare da uno sforzo di memoria. Una volta terminato il ritiro meditativo la Johnson ha dovuto ricreare le varie partiture per poi ricollocarle in una sorta di spazio silenzioso. Il disco è composto da due lunghe tracce che vanno ad esplorare il lento navigare della mente all’interno del corpo. Whitney Johnson, in questo suo nuovo lavoro a nome Matchess, ha colpito profondamente con un disco onirico e bellissimo, in cui sogno e ricordo, mente e corpo si uniscono in un flusso ininterrotto di enorme bellezza rigeneratrice.
Listen: Almost Gone [excerpt]
#9
BILL CALLAHAN YTILAER (Drag City)
Ho sempre amato le canzoni in bassa fedeltà, pervase da un ambientazione decadente, da una malinconia che non raramente viene attraversata da un pungente sarcasmo. Lui si nascondeva sotto lo pseudonimo di Smog, ma dal 2007, dopo aver rilasciato diversi album notevoli tra cui il capolavoro Julius Caesar, ha deciso di firmarsi semplicemente con il suo vero nome: Bill Callahan. Esponente di punta di un certo tipo di cantautorato lo-fi insieme a Will Oldham o al compianto Jason Molina, Callahan ha sempre continuato a sfornare album mai meno che eccellenti centellinando le uscite negli anni. L’ultimo album di Callahan risaliva al 2019 (sei anni dopo lo splendido Dream River), Shepherd in a Sheepskin Vest era composto da ben 20 canzoni che mostravano una rilassatezza ed una profondità nuova, dovuta al matrimonio e alla recente paternità. Stavolta di anni ne sono passati solo tre, e Bill Callahan è tornato con un’ora di musica che prende il nome di YTI⅃AƎЯ. Le sue composizioni sono semplici ma mai banali, suonate in punta di dita, sussurrate, attraversate da anni di folk, country, da storie di vita vissuta da raccontare con intelligente sarcasmo. Sornione come sempre, accompagnato da splendidi musicisti (Matt Kinsey alla chitarra, Emmett Kelly al basso, Sarah Ann Phillips a organo e piano e Jim White alla batteria più una piccola sezione fiati) Callahan ci mostra una volta in più la sua straordinaria capacità di racconto, dal folk al soul sussurrato, tutto estremamente intimo e caldo anche se con il titolo visto allo specchio. Un artista che canta e suona (superbamente) con la consapevolezza dello stregone che sa come ammaliare chiunque lo ascolti: una certezza.
Listen: Coyotes
#10
KALI MALONE Living Torch (Portraits GRM)
C’è una rubrica molto particolare su radiorock.to che ho l’onore di curare insieme a Fulvio Savagnone il cui titolo è Droni e Bordoni. Questa serie di podcast propone musiche altre che nessuna radio “normale” oserebbe proporre, dal free jazz alle sperimentazioni più ardite. La compositrice Kali Malone, oltre a suonare in maniera meravigliosa l’organo a canne (abilità che appare più che chiara nel precedente The Sacrificial Code), ha sempre implementato sistemi di accordatura specifici in una struttura minimalista per coro, ensemble di musica da camera e formati elettroacustici. La sua musica è ricca di tessitura armonica attraverso una strumentazione sintetica e acustica in movimenti ripetitivi e durate prolungate. All’avanguardista svedese di base a Stoccolma la prestigiosa GRM (Groupe de Recherches Musicales) di Parigi fondata da Pierre Schaeffer ha commissionato nel 2019 un progetto per testare il sistema di diffusione multicanale Acousmonium. Living Torch è uno di quei dischi che teoricamente non dovrebbero essere nelle mie corde, e che invece riescono incredibilmente a rapirmi, coinvolgermi, emozionarmi e trasportarmi in un mondo “altro”. Kali Malone, con questi due lunghi brani aggiunge una vera e propria pietra miliare significativa a un repertorio già affascinante. La compositrice viene affiancata dal trombone di Mats Äleklint e dal clarinetto basso di Isak Hedtjärn nei 33 minuti di un album dove passa a macchine più sperimentali come la boîte à bourdon (una sorta di ghironda con un motorino che gli consente di mantenere lo stesso accordo), un generatore di onde sinusoidali e il sintetizzatore ARP 2500 appartenuto ad una straordinaria interprete della musique concrète come Éliane Radigue. Composto negli studi GRM di Parigi tra il 2020-2021, Living Torch è un’opera di grande intensità, un’opera che si colloca all’incrocio tra scrittura strumentale e composizione elettroacustica rifacendosi a molteplici filoni, tra cui la prima musica moderna, il minimalismo americano e la musique concrète. Il disco risulta potente e malinconico, intrigante e affascinante
Listen: Living Torch I
#11
THE DELINES The Sea Drift (Decor)
Personaggio straordinario Willy Vlautin. Capace di dare vita e forma con la sua voce, la sua chitarra e i suoi testi ad una splendida creatura come i Richmond Fontaine e a scrivere sei romanzi di successo. Non contento, dopo lo scioglimento di un’affermata realtà dell’alt-country come i Richmond Fontaine, Vlautin ha creato una nuova entità chiamata The Delines rivestendo a nuovo la splendida voce di Amy Boone, corista negli ultimi tour della sua band precedente. Il quintetto di Portland, Oregon, con The Sea Drift è arrivato al suo terzo capitolo in studio che perfeziona l’alchimia tra country e soul dei due album precedenti. Storie di perdenti, di persone che camminano sempre sul bordo rischiando di perdere l’equilibrio. Un’umanità raccontata in maniera empatica ed evocativa, con tutti i suoi languori e le sue debolezze, trasportata lungo la corrente del mare. Queste storie scritte da Vlautin vengono interpretate da straordinari musicisti: ci sono le tastiere, la tromba e gli arrangiamenti di un Cory Gray in stato di grazia, il basso soul di Freddy Trujillo, le misurate percussioni di Sean Oldham e un piccolo gruppo di altri musicisti che si sono uniti ai cinque come Kyleen e Patty King a violino e viola, Collin Oldham al cello e Noah Bernstein al sax. La voce di Amy Boone è più profonda ed empatica che mai, come se il suo drammatico incidente d’auto del 2016 e la difficoltà della riabilitazione l’avessero resa ancora più conscia del dolore provato dai protagonisti dei racconti di Vlautin e capace di dare profondità ai flussi sonori caldi, avvolgenti e raffinati creati dal gruppo. The Sea Drift mantiene quello che la copertina promette: un album assolutamente evocativo, malinconico e bellissimo.
Listen: Drowning In Plain Sight
#12
ONEIDA Success (Joyful Noise)
Il 2022 ha visto il grande ritorno di una delle band cardine di un certo tipo di avant-rock. Gli Oneida avevano prenotato lo studio per registrare la prima di queste canzoni nel marzo 2020, ma con l’intensificarsi della pandemia e il conseguente lockdown hanno dovuto cancellare quelle date, trascorrendo i 15 mesi successivi a dare le capocciate al muro per aver perso quell’opportunità. Sarebbe stata la pausa più lunga da quando Fat Bobby e Kid Millions avevano iniziato a suonare in una band al terzo anno di liceo. A quel punto i cinque membri degli Oneida si sono rintanati nelle loro varie sedi – Bobby a Boston, Kid Millions, Shahin Motia, Hanoi Jane e Barry London sparsi per New York – e hanno scritto del materiale. “Avevamo una grande e crescente collezione di canzoni”, ricorda Bobby. “Come tutti quelli che lavorano in modo produttivo e creativo, ti abitui al fatto che a volte il rubinetto è aperto. A volte il rubinetto è chiuso. Questa volta il rubinetto era aperto”. E per fortuna che il rubinetto era aperto… Quando la pandemia si è attenuata, gli Oneida sono tornati insieme nel maggio del 2021, affittando uno studio a Rockaway Queens per poter suonare e registrare insieme per la prima volta dopo oltre un anno. Non c’erano canzoni né programmi. L’idea era solo quella di improvvisare insieme per due giorni e vedere cosa veniva fuori. Nessuno nella band sapeva se sarebbero stati ancora in grado di suonare insieme allo stesso modo, con la stessa intensità, dopo tanto tempo di separazione. Ma la magia era ancora lì. Il gruppo ha seguito il proprio istinto avendo sempre come numi tutelari “il clangore indistinto dei Velvet Underground, l’euforia lancinante delle tastiere dei Clean, il lirismo paranoico dei Suicide, la vertigine di “Roadrunner” dei Modern Lovers, l’apertura temporale dei Can”. Success è un album in qualche modo “asciutto”, secondo loro “non è altro che un disco di canzoni rock, niente altro, fatte al più da soli due accordi”, ma ce ne fossero di dischi così, di gruppi così. Un disco trascinante che cavalca punk, garage, kraut, beat e psichedelia, rimanendo meravigliosamente Oneida.
Listen: Solid
#13
ERIC CHENAUX Say Laura (Rough Trade)
Eric Chenaux è una sorta di songwriter post moderno in bilico tra folk e jazz. Nato a Toronto, ottimo chitarrista, è entrato nelle grazie della prestigiosa etichetta canadese Constellation Records per il suo modo originale ed obliquo di comporre e di pizzicare le sei corde. Eric ha composto e suonato musica per film e danza contemporanea, e ha collaborato con con l’artista visuale Marla Hlady per numerose installazioni sonore. Tra ostiche sperimentazioni e ballate oblique, Chenaux due anni dopo l’ottimo Slowly Paradise, nel corso del 2022 ha dato alle stampe il suo settimo lavoro in studio intitolandolo Say Laura. Cinque brani dalla durata variabile tra i sette e i quattordici minuti, un disco leggermente meno accessibile del precedente ma che mantiene la sua straordinaria originalità. Il disco mostra e amplifica, se possibile, ancora di più le sue romantiche dissonanze, la sua tecnica chitarristica, la sua splendida voce ed un modo quasi unico di coniugare acustica ed elettronica in un disco di grande fascino e di trasporto quasi mistico. Ascoltare qualcosa che non sembra nessun altro se non Eric Chenaux sembra quasi un miracolo nel 2022, un suono cangiante che vira dal jazz al pop, dal folk al cantautorato classico amplificando emozioni e sensazioni ad ogni cambiamento della sua chitarra amplificata, trattata e astratta. L’ennesimo capolavoro di un uomo che non finisce mai di stupirci. “Posso scegliere? Preferirò sempre incontrare Miss Sperimentazione piuttosto che Miss Interpretazione. È una ballerina molto migliore.” (Eric Chenaux)
Listen: Say Laura
#14
FONTAINES D.C. Skinty Fia (Partisan Records)
A volte mi ostino a cercare di capire perché i meccanismi social portano sempre a ricoprire di insulti un gruppo o un artista che hanno avuto un consenso al di fuori dell’ordinario. Il che potrebbe essere un sacrosanto “diritto alla critica” se non fosse che a volte si prende come scusa banale il fatto (alquanto soggettivo) che l’artista o il gruppo “non dice niente di nuovo”. Come se il panorama musicale mondiale, mai così terribilmente frammentato ed inutilmente vasto, fosse pieno di artisti che trovano una via mai percorsa da altri. A maggio 2019 scrivevo entusiasta: “I Fontaines D.C., con la forza dirompente di Dogrel, si aggiungono a Idles, Fat White Family, Shame e Sleaford Mods come esponenti di punta del nuovo “rock” britannico. L’atmosfera sporca, l’istintività sfacciata, la capacità di comporre versi intensi e storie in cui molti possono identificarsi, sono la chiave fondamentale per comprendere il successo di questi cinque irlandesi, oltre all’amore/odio per la propria terra espresso in un accento locale volutamente marcato.” Proprio il successo di Dogrel ha proiettato i ragazzi irlandesi in una inaspettata nuova condizione artistica, trascinandoli in una vita quasi esclusivamente on the road, prima in Europa poi negli States, sempre più lontani dalla loro città natale. Nel secondo A Hero’s Death, disco ben più introspettivo, L’Irlanda veniva guardata da lontano, dalla vita on the road, ma a cambiare erano solo le prospettive, non la profondità delle suggestioni che stavano dietro ogni canzone. Il terzo album, Skinty Fia, è (secondo il mio modestissimo parere)il loro album più maturo, con la propria terra vista da una prospettiva così vicina ma così lontana: da immigrati irlandesi nella capitale inglese. Non è un caso che l’incipit del disco è affidata a “Ár gCroíthe Go Deo” brano che parla di Margaret Keane un’anziana irlandese che viveva a Coventry, in Inghilterra. Dopo la morte la famiglia ha voluto onorarne le radici irlandesi incidendo le parole gaeliche “in ár gCroíthe go deo” sulla sua tomba, che significa “per sempre nei nostri cuori”, un messaggio tenero che però la Chiesa inglese ha ritenuto inopportuno poiché poteva essere letto come uno slogan politico. Accantonate l’odioso termine “post-punk”, i Fontaines D.C. mettono a punto una scaletta perfettamente messa a fuoco con personalità e grande capacità di scrittura, dove spicca l’atto di amore nei confronti dell’isola di smeraldo “I Love You”, il cui incedere vocale e i testi taglienti sono tra le vette dell’anno appena trascorso. Al netto delle odiose chiacchiere da social, un disco importante per una band che sta diventando importante.
Listen: I Love You
#15
OREN AMBARCHI Shebang (Drag City)
Da sempre il chitarrista e sperimentatore australiano Oren Ambarchi è interessato a trascendere l’approccio strumentale convenzionale, soprattutto quando agisce sul suo strumento principe. Nel corso della sua carriera, come solista e in sinergia con moltissimi artisti ha esplorato i più svariati mondi sonori, facendo diventare qualsiasi strumento suonasse una sorta di laboratorio viaggiante per indagare sul suono. Un percorso avventuroso che lo ha portato ad esplorare minimalismo, elettronica, afrobeat, psichedelia ed altri inquieti suoni. Il ritorno di Ambarchi solista si intitola Shebang, la conclusione di una sorta di trilogia basata su esperimenti ritmici iniziata con Quixotism (2014) e proseguita due anni più tardi con l’ottimo Hubris. Sebbene sia naturalmente Ambarchi il mattatore di questa lunga suite di 35 minuti con la sua chitarra trattata (e a volte irriconoscibile tanto è interfacciata con ogni sorta di marchingegno elettronico), sono molti i musicisti che si avvicendano a dare manforte al nostro eroe. In primis il batterista Joe Talia, poi il clarinetto di Sam Dunscombe, il leggendario maestro di pedal steel B.J.Cole (T. Rex, Walker Brothers, Loudon Wainwright, John Cale, Bjork, Elvis Costello, Bert Jansch e Spiritualized), la chitarra a 12 corde di Julia Reidy, il piano di Chris Abrahams (Necks, Springtime), il contrabasso di Johan Berthling e l’immancabile cameo di Jim O’Rourke, che con il synth è il valore aggiunto della seconda parte dell’album. Il risultato è un gioco di specchi che funziona perfettamente, ad incarnare l’amore per il minimalismo, l’elettronica, il suono ECM, 35 minuti che per quanto rigorosi e dettagliati non risultano mai freddi, al contrario, risultano divertenti, colorati ed ipnotici.
Listen: II
#16
BIG THIEF Dragon New Warm Mountain I Believe In You (4AD)
Nel 2020, a corollario della mia recensione di Two Hands scrivevo così dei Big Thief: “Dopo il grande successo di critica e pubblico con U.F.O.F. la band di Brooklyn ha rischiato grosso facendo uscire due album così ravvicinati. Ma a conti fatti si può dire che la pubblicazione di Two Hands fa vincere loro la sfida, e se continueranno su questo solco non avranno problemi a ritagliarsi un ruolo di primo piano nel panorama folk-rock”. Due anni dopo, con una pandemia in mezzo, si può ben dire che Adrianne Lenker (voce e chitarra), Buck Meek (chitarra e cori), Max Oleartchik (basso), e James Krivchenia (batteria) sono riusciti davvero a ritagliarsi un ruolo di primissimo piano, e non semplicemente nel panorama folk-rock. Dragon New Warm Mountain I Believe In You è un monolite di ben 80 minuti abbondanti di durata, dove il quartetto di Brooklyn trova sfogo al proprio spirito selvaggio ampliando il proprio linguaggio musicale e registrando in quattro diverse locations (da New York al Colorado, passando per la California e l’Arizona) 20 tracce che mostrano un orizzonte sonoro articolato e ben messo a fuoco. Dal folk-rock alla psichedelia, dal blues elettrico al country-rock con l’aiuto del violino di Mat Davidson, il quartetto fa all-in mostrando una maturità compositiva impressionante. Sembra di essere tornati indietro nel tempo, a quando veniva affidato ad un album doppio il compito di sancire l’avvenuta entrata di un artista nella storia. In sostanza Dragon New Warm Mountain I Believe In You è un album registrato quasi in presa diretta, che mostra la maturità di una band cresciuta enormemente nel saper gestire la propria capacità compositiva tra folk, pop, roots e la nuda interiorità dei testi.
Listen: Simulation Swarm
#17
KAMIKAZE PALM TREE Mint Chip (Drag City)
Lo ammetto, mi sono avvicinato agli equilibrismi sonori dei Kamikaze Palm Tree con colpevole ritardo. Il duo di San Francisco formato da Cole Berliner (chitarra e tastiere) e Dylan Hadley (batteria e voce) hanno esordito nel 2016 con The Hand Faces Upwards , un mini album uscito solo in digitale, per poi arrivare solo tre anni fa al primo disco vero e proprio, l’intrigante Good Boy che ha fatto drizzare le antenne a quelli della Drag City, pronti a metterli sotto contratto e a pubblicare in questo caldo agosto il secondo lavoro intitolato Mint Chip. Sicuramente deve aver influito per l’approdo all’etichetta di Chicago, la raccomandazione di Tim Presley, che con uno sguardo compiaciuto da dietro al mixer, ha messo mano alla registrazione dell’album. Non è un caso che la Hadley abbia suonato la batteria sull’ultimo White Fence, condividendo con il suo mentore l’amore per gli slanci sperimentali e le melodie oblique. La freschezza lo-fi delle loro tracce più irresistibili e spericolate ci fa ritrovare una libertà espressiva tra art rock, psichedelia e new wave che sembrava persa. L’album si rivela subito come un caleidoscopico gioco di incastri tra brani compiuti di grande freschezza lo-fi e brevi intermezzi guidati dalle tastiere da Berliner che con ironia quasi da videogame anni ’80 si sposano perfettamente con l’immagine colorata ed irriverente dei due. I Kamikaze Palm Tree si allontanano dal suono più scuro dei primi lavori, dimostrandosi maestri nella creazione di canzoni solo apparentemente spigolose e sperimentali. In realtà è la loro abilità nel plasmare a proprio piacimento la materia lo-fi che gli permette di smussare gli angoli più rumorosi e taglienti. Insomma, Mint Chip è un disco che affascina e coinvolge, una delle novità più sorprendenti uscite nel corso del 2022.
Listen: The Hit
#18
KING HANNAH I’m Not Sorry, I Was Just Being Me (City Slang)
Loro sono un duo che a fine 2020 ha pubblicato uno splendido EP, vengono da Liverpool e si fanno chiamare King Hannah. Il suono creato da Craig Whittle e Hannah Merrick si può ricondurre a quello degli Opal e di rimbalzo dei Mazzy Star, permeato da una vena psichedelica e dalla capacità di condire il tutto con echi ipnotici e suggestivi. Se siete orfani della coppia David Roback e Hope Sandoval troverete sicuramente pane per i vostri denti. Ma i due ragazzi non percorrono semplicemente sentieri già battuti. Fortunatamente ci mettono molto del loro. La Merrick ha una voce straordinaria e Whittle, che sembra avesse già intuito le capacità della sodale già molto tempo prima dell’effettiva unione artistica, è capace di pennellare sapienti tocchi di chitarra dove serve per poi lasciarsi andare quando arriva il momento. Dopo la mezz’ora di musica dell’EPTell Me Your Mind And I’ll Tell You Mine erano alte le aspettative per il primo album vero e proprio. L’uscita di I’m Not Sorry, I Was Just Being Me fortunatamente non ha tradito le attese, anzi. Il mood intrigante del disco procede sul solco dell’EP di esordio, migliorando, se possibile, la scrittura con il loro suono ipnotico e scuro, le battute lente, le scorribande chitarristiche improvvise che rendono alcune tracce veri e propri saliscendi emozionali. I più critici diranno che i due mettono in campo ben poche novità, ma chi al giorno d’oggi fa cose davvero nuove? E chi sa scrivere canzoni che funzionano così bene? L’album da subito era già candidato come uno dei migliori del 2022, e se i due di Liverpool sapranno continuare su questi binari e crescere ulteriormente ne sentiremo delle belle.
Listen: It’s Me And You, Kid
#19
KEELEY FORSYTH Limbs (The Leaf Label)
Keeley Forsyth nasce come attrice di teatro, salvo poi partecipare a numerose serie tv britanniche. Ma è sempre stata un’artista a 360 gradi, appassionata di poesia e di musica, si è ritrovata a cantare i suoi versi accompagnandosi da uno scheletro musicale. Profondamente ancorata alla realtà e al dramma quotidiano dell’esistenza, Keeley, insieme al compositore Matthew Bourne, aveva dato alle stampe nel 2020 il suo album di esordio intitolato Debris, convincendo critica e pubblico grazie ad una voce profonda che ricorda echi di Nico e Scott Walker e agli arrangiamenti minimali ma di grande profondità. la magia si è ripetuta nel 2022 con il suo secondo disco, intitolato Limbs, così uguale ma così diverso. Stavolta c’è il polistrumentista Ross Downes accanto a Keeley, ed il suo sapiente uso dell’elettronica crea una potente visione amplificata dalla disperazione delle paure e dei traumi quotidiani dei versi della Forsyth. Arrangiamenti apparentemente fragili e una voce che scandaglia l’animo umano, una sinergia che affascina e avvolge. Limbs è senza dubbio uno degli album più interessanti usciti nel 2022.
Listen: Bring Me Water
#20
JOSÉ MEDELES Railroad Cadences & Melancholic Anthems (Jealous Butcher Records)
Cosa dire di un personaggio come José Medeles. Musicista e autore nato a Portland, Oregon, dove la passione per il suo strumento principe lo ha portato ad aprire nel 2009 il Revival Drum Shop, un negozio dedicato alle batterie vintage e personalizzate. Attualmente dirige il 1939 Ensemble, un quartetto di batteria, vibrafono, tromba e chitarra. Medeles ha collaborato, dal vivo o in studio con una quantità enorme di artisti tra cui The Breeders, Kim Deal, Ben Harper, Joey Ramone, Modest Mouse, Mike Watt, Scout Nibblet, CJ Ramone e tanti altri. La passione per il folk-blues oscuro di un personaggio iconoclasta come John Fahey lo ha portato a Vancouver per registrare una sorta di tributo al modo di concepire la musica del misantropo chitarrista. Railroad Cadences & Melancholic Anthems in realtà non è un disco di cover, non presenta al suo interno composizioni di Fahey, ma una serie di brani ispirati dalla sua musica ed interpretati da tre diversi chitarristi che si intrecciano con le soluzioni ritmiche di Medeles. Insieme al batterista suonano M. Ward, che da ai brani un taglio quasi cantautorale, la chitarrista sperimentale Marisa Anderson e Chris Funk (Decemberists, Stephen Malkmus). Il disco è straordinario, intenso e pervaso da quell’aura mistica tipica delle composizioni di Fahey, e Marisa Anderson si conferma come artista capace con pochi e sapienti tocchi delle sue sei corde, di visualizzare evocativi luoghi della mente e panorami minimalisti, con la sua capacità di rinvigorire la tradizione country-blues-folk. Un disco da non perdere se siete affascinati dalla materia folk-blues.
Listen: Before & After (with Marisa Anderson)
#21
DANGER MOUSE & BLACK THOUGHT Cheat Codes (BMG)
Come sapete benissimo l’hip-hop non è sicuramente il mio “ambito di competenza” (ammesso e non concesso che io ne abbia uno…), ma ogni tanto ci sono lavori ascrivibili nel genere (come Sound Ancestors di Madlib lo scorso anno) che riescono a colpirmi in maniera particolare. In ogni caso nel corso degli anni il lavoro di Brian Burton aka Danger Mouse è stato piuttosto trasversale, visto che dopo l’esordio con gli Gnarls Barkley ha collaborato come musicista e come produttore insieme a Black Keys, Norah Jones, Jack White, Sparklehorse, Parquet Courts, Red Hot Chili Peppers e Michael Kiwanuka, oltre ai Danger Doom creati insieme al compianto Daniel Dumile aka MF DOOM. Tariq Trotter aka Black Thought è un’istituzione del genere visto che da sempre è voce dei The Roots. La prima idea per un album collaborativo è scattata nella mente dei due musicisti nel 2017 ma Cheat Codes, tra i vari impegni dei due e la solita pandemia di mezzo, ha visto la luce solo nell’agosto del 2022. L’album vede le collaborazioni di una sorta di dream team: Raekwon & Kid Sister, Michael Kiwanuka nella straordinaria “Aquamarine”, A$AP Rocky & Run The Jewels”, Joey Bada$$, Russ & Dylan Cartlidge, Conway the Machine, e perfino un contributo postumo di MF DOOM. Le basi e i campioni di Danger Mouse si sposano perfettamente con la metrica e il flow impareggiabile di Black Thought, dando vita ad un album estremamente riuscito, di grande ispirazione e di enorme classe.
Listen: Aquamarine (feat. Michael Kiwanuka)
#22
MOIN Paste ( AD93)
Un anno dopo l’uscita dell’ apprezzato album di debutto Moot!, ecco tornare in grandissima forma i Moin, band formata da Joe Andrews e Tom Halstead dei Raime che hanno trovato la perfetta quadratura del cerchio con l’ingresso della straordinaria Valentina Magaletti (Tomaga, Vanishing Twin, Holy Tongue) dietro i tamburi. Paste attinge influenze da parecchia musica alternativa per chitarra del passato (soprattutto degli anni 90) nelle sue molteplici forme, dal post-rock, al post-punk ad un hardcore evoluto, utilizzando manipolazioni elettroniche e tecniche di campionamento per ridefinirne il contesto, senza fissarsi su un unico stile ma muovendosi attraverso di esso alla ricerca di nuove connessioni. Esplorando queste relazioni, il trio riesce ad offrire una sorta di collage di conosciuto e sconosciuto, punteggiato da testi che a volte sembrano semplicemente recitate in maniera esangue come fossero dei novelli Slint. Tensioni portate al limite dell’implosione, una continua ricerca sonora che porta alla ricerca di un linguaggio nuovo pur con le basi ben salde su un universo stilistico che è quello, ben identificabile, del post-rock anni ’90, più Louisville che Chicago. Una riproposizione mai pedissequa ma in continua mutazione che ha portato Paste, meritatamente, molto in alto in molte playlist del 2022.
Listen: Knuckle
#23
OREN AMBARCHI-JOHAN BERTHLING-ANDREAS WERLIIN Ghosted (Drag City)
Quando l’ufficio stampa della Drag City mi ha chiesto di occuparmi della recensione di questo album, il mio primo pensiero è stato quello di un progetto estemporaneo nato e sviluppato nel corso della pandemia. In realtà Oren Ambarchi, Johan Berthling e Andreas Werliin si sono incontrati all’interno dello Studio Rymden, in un tranquillo e grazioso quartiere periferico di Stoccolma, nel novembre del 2018, dando vita alle sessions che solo adesso vedono la luce sotto il nome di Ghosted. Il trio è entrato in studio per approfondire il processo di pensiero a cui erano giunti nella seconda collaborazione tra Ambarchi e Berthling intitolata Tongue Tied e uscita nel 2015. Dato che Werliin aveva mixato quell’album, ed era già stato intimamente coinvolto nel processo, è stato più che naturale farlo sedere dietro ai tamburi. Il risultato è una sorta di lunga jam session divisa in quattro parti, intitolate seguendo la sequenza in numeri romani, dove basso e batteria creano dei pattern ritmici reiterati con minimi spostamenti e calibrate variazioni sul tema. Ghosted, nonostante il pedigree di sperimentatori dei tre, è tutto tranne che un album ostico, un dialogo crepuscolare tra musicisti, l’attenta cura dello spazio dei suoni e dell’importanza del silenzio, le ripetizioni perfettamente calibrate dove le improvvisazione riescono ad incastrarsi perfettamente. Un disco crepuscolare di grande fascino. Unico neo, la difficile reperibilità dell’album, uscito fisicamente solo in edizione limitata in vinile.
Listen: III
#24
KEE AVIL Crease (Constellation)
“Scrivere canzoni, per me, è come scolpire. Nasce da una parola, un’emozione o un suono iniziale, che poi costruisco, modellandolo in una forma più raffinata, incollata in una struttura artificiale. Altre volte il mio ruolo è quello di scrostarla, raschiarne l’esterno, per rivelare il suo stato naturale e la sua parte all’interno del tutto.” Così si presenta la cantautrice, chitarrista e produttrice di Montréal Vicky Mettler, al suo esordio per l’etichetta Constellation sotto il nome di Kee Avil. La Mettler combina chitarra, voce, elettroacustica e produzione elettronica per creare assemblaggi di canzoni che sembrano collassare da un momento all’altro ma che allo stesso tempo riescono ad evolversi come resina appiccicosa che raccoglie e disperde elementi disparati lungo il suo percorso. Non è affatto un ascolto facile quello di Crease, un album dove Kee Avil concretizza la sua musica in una chitarra post-punk lavorata a cesello, in un’elettronica sinuosa di fascia bassa, in una tavolozza di microcampionamenti organici e digitali che creano ritmi alternati e propulsivi, e nell’intimità ansiosa del suo lirismo e della sua voce finemente lavorati. Canzoni che non lasciano molto spazio alla melodia, che spiazzano non appena sembra che abbiamo trovato una direttrice. Tra post-punk, electro-industrial e avant-pop, quelle di Vicky Mettler sono canzoni contorte, finemente lavorate, meticolosamente assemblate e pronte a celare la realtà come la maschera indossata sulla copertina dell’album. Un album destabilizzante e sperimentale ma allo stesso tempo estremamente intrigante.
Listen: And I
#25
GHOST POWER Ghost Power (Duophonic)
Straordinario personaggio Tim Gane. Dai sottovalutati McCarthy all’incontro (durante le registrazioni dell’ultimo album della band) con Lætitia Sadier che porterà alla fondazione di uno dei gruppi più importanti ed imitati: gli Stereolab. La visione sonora di Gane ha sempre oscillato tra psichedelia e kraut, trovando uno sfogo naturale negli splendidi Cavern Of Ant-Matter, con cui è riuscito a modellare un ideale universo retro-futurista. I Dymaxion sono stati un gruppo sperimentale di New York composto da Jeremy Novak e Claudia Newell, che ha registrato e suonato tra il 1995 e il 2002. La loro musica era in gran parte basata su campioni con temi retrofuturistici ed è stata spesso paragonata agli Stereolab e ai Pram. Insomma, era destino che prima o poi dovesse esserci una collaborazione tra i due anche se le cose non erano facili visto che Novak è residente a New York e Gane a Berlino. Dopo l’uscita del primo 7″ nel 2020 sembrava imminente anche l’uscita dell’album a nome Ghost Power ma la pandemia ha reso tutto più complicato prolungando l’attesa fino a fine Aprile 2022. La maggior parte delle tracce sono state registrate tramite uno scambio di files in remoto, poi Novak è riuscito a recarsi nello studio di Gane a Berlino per una decina di giorni completando il grosso del lavoro. Il risultato non delude le attese, un colorato agglomerato di suoni insieme futuristici e retrò, illuminandoci con la loro energia in mezzo a sintetizzatori, sequencer, vibrafoni, Moog, drum machines, portandoci nel fantastico mondo tra kraut, ritmi frenetici e psichedelia di cui i due conoscono ogni remoto angolo. Il tutto chiuso dai 15 minuti più riflessivi di una “Astral Melancholy Suite” che apre nuovi orizzonti cosmici ed indefiniti del loro percorso sonoro.
Listen: Grimalkin
#26
ALABASTER DePLUME Gold – Go Forward in the Courage of Your Love (International Anthem)
C’è questa scena, bellissima, evocativa, che trasfigura i codici del jazz senza intaccarne lo spirito e la missione. C’è questa etichetta mirabolante che si chiama International Anthem, nata in un importante crocevia di suoni come Chicago, una sorta di famiglia dove moltissimi artisti talentuosi hanno trovato una casa accogliente. Un po’ di nomi? Rob Mazurek, Jeff Parker, Makaya McCraven, Angel Bat Dawid, la compianta Jaimie Branch, Damon Locks con il suo Black Monument Ensemble, Ben LaMar Gay, Tom Skinner, Dezron Douglas e altri. Tra gli “altri” c’è anche il Gus Fairbairn che incide dischi dietro lo pseudonimo di Alabaster DePlume. Fairbairn è un compositore, sassofonista, attivista e oratore nato a Manchester e residente a Londra. ha un’attività regolare presso il leggendario centro creativo londinese Total Refreshment Centre, e registrava per l’etichetta scozzese indipendente Lost Map prima di arrivare nella crescente famiglia di esploratori musicali della International Anthem. Gold – Go Forward in the Courage of Your Love è il secondo lavoro inciso per l’etichetta chicagoana dopo il successo del precedente To Cy & Lee: Instrumentals Vol. 1. DePlume, grazie all’aiuto dei suoi amici del Total Refreshment Centre e del lavoro del produttore londinese Kristian Craig Robinson, mette a punto diciannove tracce che ne definiscono la poetica da “cantautore con il sassofono” solo parzialmente imparentata con il jazz. Umori diversi, testi intimi e impegnati socialmente declamati su un tappeto sonoro dalle mille sfumature dal folk al dub, dall’afro-jazz al soul. Un visionario peccatore che ci parla con serenità della fragilità umana. Un disco avvolgente ed emozionante, settanta minuti avventurosi e bellissimi.
Listen: Don’t Forget You’re Precious
#27
ALDOUS HARDING Warm Chris (4AD)
La neozelandese di stanza in Galles Hannah Sian Topp, più conosciuta come Aldous Harding, è senza dubbio una delle songwriters più talentuose ed interessanti uscite negli ultimi anni. La Harding ha intrapreso un percorso dove ama inseguire storie e stati d’animo, raccontati dalla prospettiva personale di un’autrice che piano piano ha saputo trovare un equilibrio tra malinconia e vitalità. Dopo il precedente Party, esordio con la prestigiosa etichetta 4AD, la Harding aveva ulteriormente alzato l’asticella con la pubblicazione nel 2019 di Designer, che aveva confermato le buone impressioni lasciate nei primi due lavori e la capacità di rinnovarsi interpretando il cantautorato folk in una modalità assolutamente personale e moderna. La sua magnetica versatilità espressiva, grazie anche all’attenta produzione di un maestro come John Parish, è arrivata a pubblicare nel corso del 2022 uno splendido album come questo Warm Chris. Non è un disco che arriva subito, ci vuole qualche ascolto prima che i brani inizino ad entrare sotto pelle. I testi a volte difficilmente decifrabili, la cifra stilistica inconfondibile, la capacità di raccontare l’imperfezione dell’animo umano, il suo mostrarsi e ritrarsi subito dopo, di stupire tra pop e surrealismo, la sua autoironia, tutto questo non può che affascinare e farcela seguire cercando di capire fin dove può spingersi. Warm Chris è l’album variegato, spiazzante, bizzarro e magistrale e che ci aspettavamo da un’artista assolutamente unica.
Listen: Leathery Whip
#28
THE PLASTIK BEATNIKS All Those Streets i Must Find Cities For (Alien Transistor)
Bob Kaufman, all’anagrafe Robert Garnell Kaufman, è stato un poeta statunitense della Beat Generation. In Francia, per la sua poesia ma anche per le sue vicende biografiche, è stato soprannominato “il Rimbaud nero”. La sua vita fu tutto tranne che semplice, nato (decimo di tredici figli) da madre nera cattolica della Martinica e da padre tedesco ebreo ortodosso. Si arruolò a 13 anni in Marina che lasciò dopo essere sopravvissuto a quattro naufragi per studiare letteratura alla New School di New York dove conobbe William S. Burroughs, Gregory Corso e Allen Ginsberg. Ha vissuto sempre tra povertà e dipendenze, fu arrestato ben 39 volte con l’accusa di disordini semplicemente perché amava recitare le sue poesie a voce alta in pubblico. Per rendere omaggio ad uno dei pochi poeti neri e per non dimenticare il talento di un autentico outsider, Andreas Ammer (Ammer & Einheit), i fratelli Markus e Micha Acher (The Notwist) e il loop maker Leo Hopfinger (LeRoy) hanno formato i The Plastik Beatniks. All Those Streets I Must Find Cities For è un album dove ai quattro si aggiungono i talenti di Moor Mother, Angel Bat Dawid, Adam Drucker aka Doseone (cLOUDDEAD), Patti Smith insieme alle voci di Allen Ginsberg e dello stesso Kaufman per un album di jazz poetry incredibilmente affascinante non solo per la valenza squisitamente musicale ma anche per la sua importanza sociale.
“Il fatto che Kaufman sia oggi meno conosciuto del suo amico Allen Ginsberg può essere dovuto al fatto che era un poeta Beat nero e anche ebreo. Questo non era compatibile con il diventare famoso negli Stati Uniti degli anni Cinquanta.”
Listen: War Memoir (feat. Moor Mother)
#29
THE DREAM SYNDICATE Ultraviolet Battle Hymns and True Confessions (Fire Records)
La doppia vita di una band straordinaria. I The Dream Syndicate sono stati una band fondamentale di quella scena californiana chiamata Paisley Underground, capace di traghettare il recupero delle radici folk e country nel maelstrom del post-punk e della psichedelia. Cinque anni dopo essersi riuniti esclusivamente per alcuni concerti, nel 2017 il gruppo ha pubblicato How Did I Find Myself Here? dopo ben 29 anni di silenzio. La formazione vedeva, e vede tuttora, oltre a Steve Wynn il batterista originale Dennis Duck, il bassista Mark Walton (che si unì al gruppo dopo l’uscita di Medicine Show) e il chitarrista Jason Victor, membro dei The Miracle 3, l’altra band di Steve Wynn. Le meraviglie del passato sembravano difficilmente replicabili, ma l’album, ed i successivi due, hanno mostrato un gruppo capace di reinventarsi classico ed attuale allo stesso tempo in maniera sorprendente. I tre album non sono stati un’imitazione pallida del loro passato ma una rimodulazione avventurosa, culminata con l’esplorazione psichedelica e le improvvisazioni di The Universe Inside del 2020. Steve Wynn e compagni sono tornati nel 2022 con un lavoro più incentrato sulla forma canzone, non un passo indietro, ma un passo laterale in cui la capacità di scrittura della band si consolida nelle proprie certezze. Ultraviolet Battle Hymns And True Confessions, il quarto album della loro nuova vita, è l’ennesima carezza alle orecchie di una band incredibile, aiutata dalle solite straordinarie tastiere di un altro eroe del Paisley Underground come Chris Cacavas (Green On Red) e dai fiati di Marcus Tenney. Un lavoro, se vogliamo, più classico, dove troviamo più certezze che novità, un lavoro che qualcuno ha etichettato come “di maniera” oppure interpretato con il pilota automatico, ma che invece ci conferma come quella dei The Dream Syndicate sia la reunion più qualitativamente riuscita che riesca a ricordare.
Listen: Damian
#30
RICHARD DAWSON The Ruby Cord (Weird World)
Richard Dawson è un artista che appartiene ad una categoria molto particolare e quasi in via di estinzione, quella dei songwriters un po’ stralunati, poco convenzionali. Basti pensare ad un Richard Youngs, o ad un Kevin Coyne, senza voler scomodare l’enorme talento di Kevin Ayers (Dawson potrebbe montarsi la testa), tanto per farvi capire come poter inquadrare un personaggio come il chitarrista di stanza a Newcastle Upon Tyne, città dell’Inghilterra settentrionale non troppo distante dal terreno dove sorgeva Bryneich, regno britannico nato attorno al 420 d.C. che aveva ispirato il bardo nella composizione dell’album Peasant, che nel 2017 mi aveva assolutamente folgorato per l’abilità di Dawson nel raccontare le sue storie con una scrittura tanto potente e affascinante quanto oscura e poetica. Dopo un album intitolato 2020 che apparentemente cambiava le carte in tavola abbandonando il folk-rock sghembo del disco precedente in favore di un sound che strizzava l’occhio ad una sorta di pop-rock (sempre contaminato e in equilibrio precario) e il ritorno lo scorso anno con un lavoro in coabitazione con una band che teoricamente non potrebbe essere più distante dal songwriting di Dawson, ovverosia i Circle, gli alfieri dell’heavy metal finlandese, Dawson è tornato con un album folk (alla sua maniera) proiettato stavolta nel futuro. La dissoluzione della società dovrebbe infatti, secondo l’autore, completarsi in un futuro irreale, fantastico e a tratti sinistro, in cui i costumi sociali sono mutati, i confini etici e fisici sono evaporati. Un luogo in cui non è più necessario impegnarsi con nessuno se non con se stessi e la propria immaginazione. L’incipit del disco è affidato al singolo (!) “The Hermit”, un brano di ben 41 minuti dove l’eremita che campeggia sulla copertina fa sentire la sua voce dopo oltre 10 minuti di paesaggio strumentale. Approcciarsi a Dawson non è mai facile, ma l’impegno nell’ascolto viene ripagato dalle meraviglie sonore di un bizzarro folksinger il cui cantato è sempre sull’orlo della stonatura, ma che è capace di narrare storie meravigliose come pochi altri al giorno d’oggi.
Listen: Museum
#31 - #50
31. HORSEGIRL: Versions Of Modern Performance (Matador)
32. MARISA ANDERSON: Still, Here (Thrill Jockey)
33. MAKAYA McCRAVEN: In These Times (International Anthem)
34. JULIAN COPE: England Expectorates (Head Heritage)
35. BLACK OX ORKESTAR: Everything Returns (Constellation)
36. THEE SACRED SOULS: Thee Sacred Souls (Daptone)
37. PORRIDGE RADIO: Waterslide, Drving Board, Ladder To The Sky (Secretly Canadian)
38. WEYES BLOOD: And In The Darkness, Hearts Aglow (Sub Pop)
39. LAMBCHOP: The Bible (City Slang)
40. WU-LU: Loggerhead (Warp)
41. DER/RED: Supersound (Bisou Records)
42. GWENNO: Tresor (Heavenly)
43. YARD ACT: The Overload (Zen F.C./Island)
44. WILCO: Cruel Country (dBpm Records)
45. BUILT TO SPILL: When The Wind Forgets Your Name (Sub Pop)
46. BLACK COUNTRY, NEW ROAD: Ants From Up There (Ninja Tune)
47. MAI MAI MAI: Rimorso (Maple Death)
48. THE BLACK ANGELS: Wilderness Of Mirrors (Partisan Records)
49. CATE LE BON: Pompeii (Mexican Summer)
50. 700 BLISS: Nothing To Declare (Hyperdub)
OUTSIDERS:
- MARY HALVORSON: Amaryllis – Belladonna (Nonesuch)
- SCARING THE MICE FOR REVENGE: Scaring The Mice For Revenge (Prohibited)
- GABRIEL KAHANE: Magnificent Bird (Nonesuch)
- ANGEL OLSEN: Big Time (Jagjaguwar)
- MATMOS: Regards/Ukłony Dla Bogusław Schaeffer (Thrill Jockey)
- THE COMET IS COMING: Hyper-Dimensional Expansion Beam (Impulse!)
- WOVENHAND: Silver Sash (Glitterhouse)
- THE CHATS: Get Fucked (Bargain Bin)
- LUCRECIA DALT: ¡Ay! (Rvng Intl.)
- STEFANO PILIA: Spiralis Aurea (Die Schachtel)
- SARAH DAVACHI: Two Sisters (Late Music)
- ALESSANDRO FIORI: Mi Sono Perso Nel Bosco (42 Records)
- PANDA BEAR & SONIC BOOM: Reset (Domino)
- BRIAN ENO: Foreverandevernomore (Universal)
- FENELLA: The Metallic Index (Fire Records)
- THE COOL GREENHOUSE: Sod’s Toastie (Melodic)
- MARINA ALLEN: Centrifics (Fire Records)
- JOCKSTRAP: Love You Jennifer B (Rough Trade)
- 50 FOOT WAVE: Black Pearl (Fire Records)
- ANIMAL COLLECTIVE: Time Skiffs (Domino)
- DRY CLEANING: Stumpwork (4AD)
- JAKE XERXES FUSSELL: Good And Green Again (Paradise Of Bachelors)
- DIAMANDA GALAS: Broken Gargoyles (Intravenal Sound Operation)
- ANTELOPER: Pink Dolphins (International Anthem)
- LUKE HAINES & PETER BUCK: All The Kids Are Super Bummed Out (Cherry Red)
- BEACH HOUSE: Once Twice Melody (Norman Records)
- NINA NASTASIA: Riderless Horse (Temporary Residence)
- COLPITTS: Music From The Accident (Thrill Jockey)
- OFFICE CULTURE: Big Time Things (Northern Spy)
- GILLA BAND: Most Normal (Rough Trade)
- DROPKICK MURPHYS: The Machine Still Kills Fascists (Dummy Luck)
- SAM PREKOP & JOHN McENTIRE: Sons Of (Thrill Jockey)
- C’MON TIGRE: Scenario (Intersuoni)
- HOODOO GURUS: Chariot Of The Gods (Big Time)
- DAGGER MOTH: The Sun Is A Violent Place (Autoproduzione)
- KEVIN MORBY: This Is A Photograph (Dead Oceans)
- LAURA VEIRS: Found Light (Bella Union)
- CAROLINE: Caroline (Rough Trade)
- SHILPA RAY: Portrait Of A Lady (Northern Spy)
- THE MARY WALLOPERS: The Mary Wallopers (BC Records)
- CALIBRO 35: Scacco Al Maestro Vol.1-2 (Woodworm / Virgin)
- KENDRICK LAMAR: Mr. Morale And The Big Steppers (pgLang / Interscope)
- OSSI: Ossi (Snowdonia)
- WHITE HILLS: The Revenge Of Heads On Fire (Heads On Fire Industries)
- ADAM H: Floods (Debacle Records)
- TY SEGALL: Hello, Hi (Drag City)
- 2HURT: Let’s Get Lost (Lostunes Records)
- WET LEG: Wet Leg (Domino)
- ARCTIC MONKEYS: The Car (Domino)
- THE SMILE: A Light for Attracting Attention (XL Recordings)
RISTAMPE & ANTOLOGIE:
- WALTER WEGMULLER: Tarot (4CD) (Die Kosmischen Kuriere)
- BIFF BANG POW!: A Better Life: Complete Creations 1983:1991 (6 CD) (Cherry Red)
- MOVIETONE: Peel Sessions 1994-1997 (Textile)
- THE BEATLES: Revolver – Super Deluxe Edition (Apple / Universal)
- THE JAZZ BUTCHER: Dr Cholmondley Repents: A-Sides, B-Sides and Seasides (Fire Records)
- PEARLS BEFORE SWINE: The Wizard Of Is (Earth Recordings)
- SHIVA BURLESQUE: Mercury Blues + Skulduggery (2CD – 2LP) (Independent Project)
- THE SOFT MACHINE: Facelift France and Holland (2CD+DVD) (Cuneiform)
- BROADCAST: Mother Is The Milky Way – BBC Maida Vale Sessions (Warp)
- PAVEMENT: Terror Twilight: Farewell Horizontal (2CD – 3LP) (Matador)