Torna il compositore e polistrumentista Oren Ambarchi
“Shebang” è l’ennesimo affascinante viaggio intrapreso dal chitarrista e sperimentatore australiano
Cover Photo: Ujin Matsuo
Da sempre il chitarrista e sperimentatore australiano Oren Ambarchi è interessato a trascendere l’approccio strumentale convenzionale, soprattutto quando agisce sul suo strumento principe. Nel corso della sua carriera, come solista e in sinergia con moltissimi artisti (tra gli altri Jim O’Rourke, Arto Lindsay, Keiji Haino, i Fire!, Sunn O))), Ricardo Villalobos, il nostro Stefano Pilia e più recentemente Johan Berthling e Andreas Werliin) ha esplorato i più svariati mondi sonori, facendo diventare qualsiasi strumento suonasse una sorta di laboratorio viaggiante per indagare sul suono. Un percorso avventuroso che lo ha portato ad esplorare minimalismo, elettronica, afrobeat, psichedelia ed altri inquieti suoni.
Il ritorno di Ambarchi solista si intitola Shebang, la conclusione di una sorta di trilogia basata su esperimenti ritmici iniziata con Quixotism (2014) e proseguita due anni più tardi con l’ottimo Hubris. Sebbene sia naturalmente Ambarchi il mattatore di questa lunga suite di 35 minuti con la sua chitarra trattata (e a volte irriconoscibile tanto è interfacciata con ogni sorta di marchingegno elettronico), sono molti i musicisti che si avvicendano a dare manforte al nostro eroe. In primis il batterista Joe Talia, poi il clarinetto di Sam Dunscombe, il leggendario maestro di pedal steel B.J.Cole (T. Rex, Walker Brothers, Loudon Wainwright, John Cale, Bjork, Elvis Costello, Bert Jansch e Spiritualized), la chitarra a 12 corde di Julia Reidy, il piano di Chris Abrahams (Necks, Springtime), il contrabasso di Johan Berthling e l’immancabile cameo di Jim O’Rourke, che con il synth è il valore aggiunto della seconda parte dell’album.
La prima parte inizia con la chitarra staccata che sembra riprendere proprio i pattern ritmici dell’ultima parte di Hubris, con le dita ipercinetiche di Ambarchi che sembrano raccogliere particelle di suono a mano a mano che procede nel suo incedere quasi giocoso, fino ad accogliere il ride di Talia ed il clarinetto di Dunscombe che modificano piano piano il tutto portandolo in una dimensione ancestrale. La seconda parte è più minimale, jazzata e quasi spirituale, dove i pattern ritmici vengono avvolti dall’ingresso del tocco unico della pedal steel di B.J. Cole, fluttuante, inquieta e magica. La terza parte vede l’ingresso trionfante del piano di Abrahams, con il suo tocco unico da novello Re Mida, che insieme al synth di O’Rourke trasfigurano e cambiano di nuovo ambientazione, modificando delicatamente ma inesorabilmente struttura e armonia riuscendo ad affascinare l’ascoltatore.
L’ultima parte è una giravolta ritmica inquieta ed ipnotica, piena di cambiamenti armonici e di ritmi incessanti che dissolvono in una melodica e colorata nuvola di synth. Gli occhi che scrutano la copertina del disco già sanno cosa assaggeranno le orecchie: una stratificata e dettagliata torta con gusti diversi capaci di amalgamarsi alla perfezione. I contributi dei vari musicisti sono stati registrati in vari studi, dal Giappone alla Svezia, per poi venire assemblati meticolosamente e rigorosamente da Konrad Sprenger e dallo stesso Ambarchi. Il risultato è un gioco di specchi che funziona perfettamente, ad incarnare l’amore per il minimalismo, l’elettronica, il suono ECM, 35 minuti che per quanto rigorosi e dettagliati non risultano mai freddi, al contrario, risultano divertenti, colorati ed ipnotici.
TRACKLIST
1. Shebang I 8:00
2. Shebang II 10:34
3. Shebang III 6:16
4. Shebang IV 10:10