Il nuovo album di Madlib in collaborazione con Four Tet.
Il produttore californiano a sorpresa mette i suoi beats a disposizione del britannico Kieran Hebden.
Nato a Oxnard, California, Otis Jackson Jr. in arte Madlib era destinato a far musica: suo padre è stato un cantante e un musicista jazz e soul, sua madre suonava il pianoforte. I Jacksons, da sempre, si sono interessati non solo ad eseguire ma a studiare la storia della musica nera. Molti esponenti storici del jazz e soul afroamericano sono transitati dal cortile di casa Jackson: dal trombettista Jon Faddis, a Dizzy Gillespie, fino a Dee Dee Bridgewater. Ma il futuro Madlib non è mai stato interessato a fare musica in modo convenzionale. Nonostante passasse molto tempo a suonare il pianoforte e ad imparare i primi rudimenti di batteria, lui ha sempre trovato affascinante soprattutto la modalità di realizzazione di un disco.
Non è affatto facile stare dietro a Madlib e alla sua miriade di progetti, di collaborazioni, di pseudonimi. Produttore, beatmaker, DJ, visionario, uno dei nomi più influenti del mondo del sampling e dell’hip hop degli ultimi 20 anni. Un personaggio che non ama fossilizzarsi sui suoi beat, ma vuole ogni tanto allontanarsi dalla sua cifra stilistica aprendosi ad altre sonorità, come dimostrano i suoi remix dell’archivio della storica etichetta jazz Blue Note oppure l’aver inserito i caleidoscopici The Heliocentrics nel roster della sua etichetta Madlib Invazion.
L’annuncio della collaborazione con Kieran Hebden, il produttore elettronico meglio noto come Four Tet, ha stupito molti, non essendo una modalità di lavoro usuale per il beatmaker californiano. Stavolta non è stato lui ad ascoltare, tagliare e modificare le registrazioni altrui, ma, come in un gioco di specchi, ha voluto aprire i suoi archivi lasciando che qualcun altro lavorasse sui suoi beat. Four Tet ha curato, modificato, assemblato e arrangiato 16 tracce scelte tra le centinaia di registrazioni che Madlib gli ha inviato negli ultimi due anni.
In realtà la collaborazione non deve lasciare così stupefatti, i due sono amici dalla metà degli anni 2000, quando Four Tet ha remixato diversi brani della classica collaborazione di Madlib con MF DOOM Madvillainy, e i due condividono l’istinto e la voglia di sperimentare, con Hebden pronto a limitare, quando necessario, l’irruenza stilistica di Madlib, mediandola con la sua sensibilità tribale ed etnica. In fondo i due musicisti, seppur con sensibilità e curriculum diversi, condividono le stesse origini, ma va dato atto a Madlib che collaborare con un personaggio dalle logiche diverse è stato un azzardo. Talvolta, però, il rischio si rivela vincente, come in questo caso. Sound Ancestors, seppur appaia talvolta anche troppo frammentato, ha un suo filo logico nel suo essere in qualche modo imprevedibile, passando dai ritmi hip-hop classici di “The Call” alle suggestioni etniche di “Latino Negro”. In mezzo c’è tanto: la frenesia ed il flauto della title track, il sample di Snoop Dogg in “Loose Goose”, la meraviglia di “Dirtknock” costruita sul loop di basso e voce di “Searching For Mr. Right”, brano dei mai troppo elogiati Young Marble Giants (che mai ci saremo aspettati di trovare tra i solchi), un sentito omaggio a J Dilla, il suo amico e sodale prematuramente scomparso (“Two for 2 – For Dilla”), e “Hopprock”, uno dei vertici dell’album. Un’introduzione di violoncello, una linea di batteria e battiti di mani, un pattern di chitarra su cui le voci possono librarsi nell’aria prima di dare il via alla cassa dritta della seguente “Ridding Chant”. Per non parlare del finale di “Duumbiyay”, in cui una voce adolescenziale si fonde perfettamente con un classico trio jazz e percussioni tribali: mondi ed epoche diverse che si incontrano e si fondano.
L’instancabile curiosità di Madlib per le esplorazioni sonore ha trovato in Four Tet uno splendido terminale offensivo, facendo diventare un possibile difetto come la mancanza di direzione precisa, uno straordinario punto di forza. Gli arrangiamenti di Hebden si sposano con la sensibilità di Madlib in un caleidoscopio sonoro che va ad integrare le mille sfaccettature della cultura afroamericana del californiano con le modalità e le influenze etniche del britannico. Sound Ancestors è un album che si svincola completamente dalle logiche di mercato, facendoci navigare in un universo di riferimenti che è bello scoprire poco a poco.
TRACKLIST
1. There Is No Time (Prelude) 1:16
2. The Call 2:05
3. Theme De Crabtree 2:16
4. Road Of The Lonely Ones 3:38
5. Loose Goose 2:21
6. Dirtknock 2:14
7. Hopprock 3:27
8. Riddim Chant 1:58
9. Sound Ancestors 2:50
10. One For Quartabê / Right Now 2:42
11. Hang Out (Phone Off) 2:15
12. Two For 2 – For Dilla 2:51
13. Latino Negro 3:36
14. The New Normal 2:28
15. Chino 1:57
16. Duumbiyay 3:13