I Pit Er Pat sono stati una band anomala ed estremamente intelligente
Sono stati così fuori tempo e sperimentali da diventare un gruppo di culto
Nella storia del rock ci si imbatte molto spesso in gruppi anomali, intelligenti nella loro proposta ma così poco definiti e definibili da sfuggire non solo ad una definizione specifica ma anche ad un’approvazione estesa da parte del pubblico. Band fuori tempo e sperimentali che diventano gruppi di culto.
A questa definizione possiamo sicuramente associare una band nata nel 2001 a Chicago, in piena era post-rock. Il nome del gruppo era Blackbirds, formato dal bassista Rob Doran, dal batterista Butchy Fuego, dalla tastierista Fay Davis-Jeffers e da un chitarrista-cantante che presto lascia baracca e burattini per trasferirsi a New York. I tre superstiti decidono di non sostituirlo e di reinventarsi da capo alternandosi al canto e abbandonando completamente l’uso della chitarra. Nel 2003 scoprono che c’è un’altra band con lo stesso nome e decidono di cambiare ragione sociale. Essendo tutti e tre appassionati di arte e essendo anche rispettivamente designer (Doran), compositore di colonne sonore (Fuego) e fotografa (Davis-Jeffers), prendono in prestito il titolo di un quadro del pittore surrealista di Chicago Jim Nutt diventando Pit Er Pat.
All’inizio della loro storia, le influenze principali sulla loro musica erano senza dubbio la scena di Canterbury ed in particolare Robert Wyatt. I tre disegnavano una sorta di pop intimista costruito su linee di tastiere e sull’incessante lavoro percussivo di Fuego, ben presente sul loro primo EP intitolato Emergency. Butchy Fuego era il musicista che aveva accumulato più esperienze già negli anni ’90, avendo suonato o collaborato come produttore in quasi tutti i dischi dei Need New Body e dei Bablicon.
Il loro modo di usare strumenti diversi e la capacità di destrutturare vari generi come jazz e rock ha fatto drizzare le antenne alla Thrill Jockey, pronta a metterli sotto contratto e a farli esordire sulla lunga distanza nel 2005 con un album intitolato Shakey. Le direttrici sono quelle del post-rock chicagoano dei Tortoise profondamente impregnato di sapori canterburiani. L’album non mostra appieno le potenzialità del gruppo che per esplodere in tutta la propria potenza aveva bisogno di una miccia adeguata. La miccia risponde al nome di John McEntire, che al culmine della popolarità dei suoi Tortoise, guida i Pit Er Pat alla registrazione di un EP intitolato 3D Message che risulta subito più spontaneo ed immediato grazie alla sua produzione e all’innesto dei suoi synth.
Con il primo album per la Thrill Jockey, Pyramids del 2006, McEntire completa in maniera evidente e perfetta il proprio lavoro con la band in modo molto intelligente, diversificando ogni brano e facendolo diventare un insieme di compiuti cortometraggi in musica, pur con il denominatore comune di un’atmosfera notturna molto scura e densa. McEntire apre un enorme ed inaspettato ventaglio di idee ai Pit Er Pat che durante la registrazione si sentono liberi di non seguire un canovaccio prestabilito ma di lasciare molto spazio all’improvvisazione. Le suggestioni canterburiane, sebbene ancora presenti, vengono circondate da una foresta lussureggiante di diverse ispirazioni, dai due strumentali “Swamp” e “Rain Cloud” ai ritmi esotici della title track. Fino al jazz declinato nelle varianti acid e soul delle splendide “Moon Angel” e “Solstice”.
Dopo un curioso EP di cover (dove i tre si divertono a suonare brani di Sade, Yoko Ono e Mucca Pazza!!!), i Pit Er Pat tornano nell’ottobre del 2008 con High Time, un nuovo album registrato per la prima volta nei nuovi personali studi di registrazione, i Top Cat Studios di Humboldt Park, zona ovest di Chicago. Il disco, masterizzato da un altro nome importante come Bob Weston, vede un incremento degli strumenti usati: dal grande ritorno della chitarra ad una piccola sezione fiati, passando per un’infinita serie di percussioni. Meno elettronica, più strumenti acustici per aprire ad un ventaglio ben più ampio di soluzioni sonore e di dettagli. Il disco risulta meno scuro e forse il migliore della loro discografia, con brani come il trascinante rhythm’n’blues sghembo di “The Cairo Shuffle” o il lento incedere di “Copper Pennies”, per non parlare dell’incredibile mistura tra psichedelia, ritmi arabeggianti e reggae da trangugiare in una sola sorsata di “Evacuation Days”. Ogni traccia mostra un gruppo ormai consapevole delle proprie potenzialità e capace di padroneggiare la propria caleidoscopica capacità compositiva.
L’album riscuote il plauso pressoché unanime della critica ma la proposta è troppo bizzarra ed esterna a qualsiasi tipo di generalizzazione per avere un grande successo di pubblico. Il bassista Rob Doran decide di lasciare la band, ma i due superstiti non se ne curano più di tanto decidendo di andare avanti. Butchy Fuego si concentra soprattutto sul suo lavoro di produttore e di amante dei ritmi latini, e porta queste sue esperienze in studio per realizzare e pubblicare nel 2010 il primo lavoro in duo insieme a Fay Davis-Jeffers. Paradossalmente The Flexible Entertainer non risulta iper-prodotto ma più raw nonostante anche stavolta siano stati usati in studio un numero considerevole di strumenti.
Il ruolo che era del basso di Doran viene preso dalla MPC, una drum machine molto utilizzata da Fuego nelle sue produzioni più dance ed elettroniche. Le mutazioni sonore proposte dai Pit Er Pat stavolta sono meno sperimentali del precedente, ma sempre estremamente eccentriche. L’utilizzo più massivo dell’elettronica non è mai sovrabbondante, e le ipnotiche tessiture ritmiche di Fuego accoppiate alla voce suadente della Davis-Jeffers danno sempre ottimi riscontri emozionali come nell’obliqua “Godspot”, nell’incontro tra nord-africa e costa ovest americana di “Emperor Of Charms” o nella lunga e liquida cavalcata quasi dub di “Specimen”.
Gli orizzonti sonori entro i quali la band si muove sono sempre in movimento e quasi inafferrabili. E proprio in un sinuoso girare lo sguardo a perdita d’occhio che possiamo trovare il fascino di questo gruppo di culto che da dieci anni ormai non fa sentire la propria voce. Colmiamo il silenzio andando a ripescare almeno i tre album per la Thrill Jockey, troverete un pop-rock estremamente coinvolgente e sperimentale, intelligente e variegato, elegante e ritmico. Divertitevi a trovare tutti gli indizi sonori disseminati in una discografia tanto anomala e poco compresa quanto trascinante e dalla media qualitativa altissima. Riscoprire i Pit Er Pat a questo punto può e deve diventare un irresistibile dovere.