The Sea & Cake restano in tre ma proseguono nel loro percorso con la consueta classe
Any Day mostra il rassicurante e confortevole piacere di suonare insieme di una band che ci accompagna da oltre due decadi
Sono passati ormai più di 20 anni da quando il termine post-rock è entrato nelle case dei fruitori di musica, racchiudendo in realtà prodotti molto diversi tra loro, basti pensare ad esempio ai pochi punti di contatto tra Slint e Bark Psychosis, tanto per citare due dei gruppi più famosi dell’epoca. Il termine era stato coniato soprattutto per identificare la nuova ondata di gruppi inglesi che facevano capo all’etichetta Too Pure, ma andò presto ad abbracciare anche la controparte americana, divisa tra due direttrici ben precise, quella di Chicago e quella di Louisville. E se in quest’ultima era preponderante la ritmica spigolosa dei Can o la spinta motoristica dei Neu!, nella Windy City si sviluppava il jazz elettrico di Miles Davis e le convulsioni melodiche dei Faust, con una spruzzata di elettronica. La scena era estremamente vitale e comprendeva svariate collaborazioni tra musicisti, che portarono alla creazione di diversi side projects. Molti degli album registrati in quel periodo non ebbero all’epoca la meritata dimensione mediatica solo per la quasi contemporanea esplosione del movimento grunge che, almeno a livello mainstream, ne oscurò la visibilità.
Fortunatamente il tempo si è rivelato galantuomo e con il passare degli anni ha reso giustizia ai vari June of 44, Gastr Del Sol, Slint o Rodan, tanto per citare alcuni tra i gruppi più famosi. I Tortoise sono stati uno dei gruppi più importanti di quella scena vitale, nati dalle ceneri di altre bands notevoli (Squirrel Bait, Bastro, Slint, Bitch Magnet), ma capaci di prendere varie suggestioni rock, elettroniche, dub, e farle confluire in un suono “altro” che comprendeva anche i benefici influssi delle due scene più interessanti e creative degli anni ’70, la scena di Canterbury da una parte ed il kraut-rock dall’altra. John McEntire è stato da sempre uno dei cardini del gruppo, non solo come motore ritmico, ma mostrando spesso le sue innegabili doti di polistrumentista.
Parallelamente alla nascita dei Tortoise, McEntire ha unito le sue forze a quelle del chitarrista Archer Prewitt, del cantante Sam Prekop e del bassista Eric Claridge (questi ultimi due provenienti dagli Shrimp Boat), formando i The Sea And Cake. Il nome del gruppo non è altro che una reinterpretazione volontaria di “The C in Cake”, brano di un altro gruppo cardine di quel periodo prolifico, i Gastr Del Sol di Jim O’Rourke e David Grubbs. Al contrario dei Tortoise, nei Sea and Cake ha sempre avuto un peso specifico importante non solo l’abilità tecnica dei musicisti, ma soprattutto il tono distintivo della voce levigata di Prekop, anche se nel corso degli anni la band ha aumentato il peso specifico dei calibrati interventi elettronici, e delle influenze sudamericane.
Dopo oltre 20 anni di carriera e 11 album alle spalle, i The Sea and Cake tornano dopo 6 anni di silenzio dal precedente Runner con un nuovo album intitolato Any Day. All’apparenza nulla sembra cambiato. Come altri album del gruppo la copertina è minimale, con la foto di copertina scattata da Prekop, appassionato di fotografia da sempre, e la pubblicazione è a carico della Thrill Jockey, loro etichetta storica. In questi anni di silenzio i componenti del gruppo non sono stati certo senza nulla da fare. Sam Prekop ha approfondito il suono dei sintetizzatori modulari (lo abbiamo visto fare da spalla ai Tortoise nel tour di The Catastrophist), McEntire oltre ad andare in tour con la sua band principale è stato molto attivo come produttore ed ingegnere del suono nel suo studio di registrazione, Prewitt ha lavorato moltissimo come illustratore, mentre Eric Claridge non è più della partita avendo deciso di seguire altre strade. In studio sono stati raggiunti da Doug McCombs, bassista dei Tortoise (che sarà con loro on stage nel tour che sta per partire), dal contrabbassista Nick Macri e da Paul Von Mertens, collaboratore di Brian Wilson che impreziosisce con il suo flauto la title track.
Nel nuovo album trovano meno spazio i sintetizzatori, mentre spesso e volentieri è l’organo a fare da padrone, come nel gustoso controtempo dell’opener “Cover The Mountain”. Nonostante siano attivi da così tanto tempo, è bello ascoltare come i tre si divertino nel loro interplay, facendo scorrere la leggera “I Should Care” con passionale nostalgia. “Occurs” rimanda direttamente a una delle pagine migliori del loro catalogo, quella “Parasol” che impreziosiva “Nassau” nell’anno di grazia 1995. “Starling” illude con l’arpeggio acustico di apertura per svilupparsi con un lussureggiante arrangiamento. “Paper Window” è un evocativo strumentale solo accarezzato dai cori di Prekop e dal flauto di Von Mertens, mentre la bossanova di “Into Rain” ci riporta sui binari consueti del gruppo di Chicago. “Day Moon” e “Circle” mostrano un po’ la corda anche se gli arpeggi di Prewitt e il drumming fantasioso di McEntire sono sempre di altissima caratura. Alla ballata “These Falling Arms” è delegato il compito di chiudere l’intero lavoro con la consueta classe, e come dare torto a Prekop quando con la sua voce vellutata ci sussurra “Stand in my heart, there’s no reason to go away yeah”.
E’ un album di maniera? Sicuramente si, ma suonato da tre splendidi musicisti che non pretendono di aggiungere nulla di nuovo a quello che hanno fatto negli ultimi 24 anni di carriera. Non sarà sicuramente tra i dischi che finiranno nelle playlist di fine anno, e se cercate sperimentazioni più o meno ardite fossi in voi non mi ci avvicinerei, ma per un pomeriggio rilassante Any Day mostra il rassicurante e confortevole piacere di suonare insieme di una band che ci accompagna da oltre due decadi.
TRACKLIST
1. Cover The Mountain 2:51
2. I Should Care 3:17
3. Any Day 4:54
4. Occurs 4:32
5. Starling 3:30
6. Paper Window 3:23
7. Day Moon 3:19
8. Miriam Montague 4:41
9. Into Rain 3:53
10. These Falling Arms 4:54