Le avventure in musica di Sounds & Grooves continuano nella 12°stagione di RadioRock.to The Original
Speriamo che siano state di vostro gradimento tutte le novità messe in campo dalla 12° stagione di radiorock.to: dall’atteso restyling del sito, al nuovo hashtag #everydaypodcast che ci caratterizza, per finire (last but not least) alla qualità della musica e del parlato che speriamo sempre sia all’altezza della situazione e soprattutto delle vostre aspettative. La Radio Rock in FM come la intendiamo noi è sparita da due decenni, ma in questi 12 anni stiamo tenendo accesa una fiammella, cercando di raddoppiarla, moltiplicarla, farla diventare un faro di emozioni e qualità musicale con tutta la passione e la voglia di fare radio che nonostante tutto non ci è mai passata.
Lo so che già serpeggiava il timore che il 9° Episodio di Sounds & Grooves (il primo del 2018) per www.radiorock.to sarebbe stato solo l’inizio di una interminabile serie di trasmissioni dedicate alla mia classifica dell’anno appena trascorso. In realtà in questo nuovo podcast di circa un’ora e mezza potete trovare: una piccola anteprima di quella che sarà la mia Playlist 2017 con due eccellenze italiche (Vonneumann e Ant Lion), il ritorno del mio preferito del 2016 (Chris Forsyth & The Solar Motel Band), una delle band più divertenti del momento con il loro eccitante surf-garage-rock (Oh! Gunquit), un ripescaggio di quella dell’anno scorso (Vanishing Twin), una finestra sull’americana anni ‘90 (Thin White Rope e Giant Sand) un brevissimo viaggio nel blues britannico di inizio anni ‘70 (Groundhogs, Derek & The Dominos), l’eccitante scena dub-jazz-funk-rock-post punk britannica (Mark Stewart e Rip Rig & Panic), alcune certezze (Roy Harper), e molte sorprese (Frightened Rabbit e The Dodos).
Non mancate di farci sentire il vostro affetto e di darci il vostro apporto quotidiano. E’ una stagione importante, ci siamo rifatti il trucco per offrire il meglio anche dal punto di vista grafico e funzionale, con un sito web nuovo di zecca al passo con i tempi.
Download, listen, enjoy!!!
Prima di partire con questo viaggio in musica potete effettuare il download del podcast anche nella versione a 320 kb/s semplicemente cliccando sul banner qui sotto.
Ormai è diventata una curiosa consuetudine iniziare il podcast tornando indietro nel tempo. Con la R’N’R Time Machine siamo fermi al 1968, ma conto presto di mettermi al lavoro presto per il 1969 e poi iniziare i gloriosi anni ’70. I Groundhogs si formano come gruppo blues ad inizio anni ’60 prendendo il nome dal classico “Groundhog’s Blues” di John Lee Hooker. La band capitanata dal chitarrista/cantante Tony McPhee nel 1964 accompagna proprio John Lee Hooker nella sua tournée inglese in sostituzione di John Mayall. Un anno più tardi incideranno anche un disco con il noto bluesman. Nel 1971 il trio formato da McPhee insieme a Peter Cruikshank al basso e Ken Pustelnik alla batteria arriva al grande successo. Split vira sul versante hard rock pur mantenendo le radici blues ed raggiunge il N°5 in Gran Bretagna grazie alla lunga title track e a brani come la splendida “Cherry Red”. McPhee non ha mai voluto vedere la sua creatura finire nel dimenticatoio, e ha riformato la band nel 2007 suonando tuttora anche se in maniera sporadica.
Nel 1966 proprio il chitarrista dei Groundhogs ebbe l’onore di accompagnare dal vivo il bluesman Champion Jack Dupree nel suo tour inglese. Il risultato di quella collaborazione fu un invito per McPhee a suonare nell’album di Dupree From New Orleans to Chicago a fianco dell’astro nascente della sei corde blues in GB, Eric Clapton. Slowhand, come venne ribattezzato, entrò giovanissimo negli Yardbirds per poi passare alla nave scuola del blues britannico, i Bluesbreakers di John Mayall. Dopo le fortunate ma brevi esperienze con i supergruppi Cream e Blind Faith, Clapton inizia la sua carriera solista nel 1970. Nello stesso anno forma un altro supergruppo, i Derek and the Dominos, insieme al tastierista Bobby Whitlock, al batterista Jim Gordon e al bassista Carl Radle. Le prime sessions di registrazione del disco Layla and Other Assorted Love Songs si svolsero a Miami con il produttore Tom Dowd, ma non furono molto produttive. La svolta ci fu una sera in cui la band andò a vedere un concerto della Allman Brothers Band. Clapton fu folgorato dal guitar playing di Duane Allman, e invitò la band al completo ai Criteria Studios dove stava registrando. Tra Clapton e Allman si creò subito un feeling speciale, i due stili così diversi si univano perfettamente. Allman fu definito da Clapton “Il fratello musicale che non ho mai avuto”, e le registrazioni ebbero una sterzata definitiva. La slide di Allman era effettivamente l’ideale completamento dello stile di Clapton. Alcune cover blues, un omaggio a Jimi Hendrix (che morirà una settimana dopo la pubblicazione del disco), una delle canzoni più famose di Clapton (“Layla”) ed altre tracce memorabili come la “Anyday” a firma Clapton/Whitlock che ho inserito in scaletta.
Loro sono stati uno dei gruppi più originali, innovativi ed influenti della storia del rock. I The Pop Group nascono in piena era punk, e ne assorbono lo spirito di assalto, rivestendolo a nuovo con tessiture dub, funk, jazz. Il nome già tradiva il loro sarcasmo innato, la musica e le liriche erano intrise di protesta contro la società. Y è stato il loro capolavoro. esce nel 1979 ed è una successione di ritmi tribali, singulti, variazioni di ritmo, una tensione che non viene mai meno. Questa visione è stata approfondita dai vari componenti del gruppo dopo lo scioglimento. Se il batterista Bruce Smith e il sassofonista Gareth Sager spinsero sul versante più jazz con i caleidoscopici Rip Rig & Panic, Mark Stewart unì la sua passione per il funk, per la musica afroamericana, per il dub e per le nuove tecniche in studio per creare un nuovo mondo ballabile con il trio dei Maffia. Tante sono state le scosse date da Stewart alla musica, molti i momenti memorabili e travolgenti, tante le geniali anticipazioni. Edit esce nel 2008, ed è l’ennesimo splendido manifesto delle visioni sonore di Stewart, tra funk bianco, dub, grooves incandescenti e trascinanti come quello di “Secret Suburbia”.
Come detto è stato triste vedere lo scioglimento dei The Pop Group. Loro sono state una delle band più spericolate e affascinanti del periodo a cavallo tra i ’70 e gli ’80. La loro recente reunion non ha dato i risultati sperati, troppa acqua è passata sotto i ponti. Come detto prima, dopo lo split alcuni dei componenti della band sono confluiti in un altro combo spettacolare: i Rip Rig & Panic. Gareth Sager (chitarra, sax, tastiere, voce) e Bruce Smith (batteria, percussioni) dopo l’esperienza Pop Group accolgono Sean Oliver (basso), Mark Springer (pianoforte, sax, voce) e una giovanissima Neneh Cherry, all’epoca moglie di Smith, per creare una incredibile ed esplosiva miscela di post-punk, free jazz, afro beat, funk. Tra brevi bozzetti strumentali e brani più pirotecnici la band ha pubblicato tre album in successione uno più travolgente dell’altro. Probabilmente l’apice è stato raggiunto con l’esordio intitolato God. L’album si apre con “Constant Drudgery Is Harmful To Soul, Spirit & Health” è un grande brano, soul non nell’accezione classica del termine ma trascinante come solo loro sanno essere. Un gruppo da riscoprire senza alcun dubbio.
Se il Paisley Underground è stato un importante movimento nato all’inizio degli anni ’80 sulla costa Ovest degli Stati Uniti caratterizzato da una riscoperta e dalla attualizzazione del suono psichedelico, i Thin White Rope capitanati dal cantante/chitarrista Guy Kyser e dal chitarrista Roger Kunkel, ne hanno espresso una originale variante che si discostava dai gruppi dello stesso periodo ed accomunati all’interno della stessa scena. I due leader, irrequieti già nei continui cambiamenti di sezione ritmica, hanno sempre inseguito una visione personale, dalle liriche introspettive, dagli incroci chitarristici dal grande impatto, dalla polverosa identità desertica. Il loro (probabilmente) miglior album risale al 1990 e si intitola Sack Full Of Silver. L’album sviluppa la visione di Kyser e compagni, la solitudine dell’individuo in grandi spazi aperti, filosofia dimostrata dalla splendida cavalcata intitolata semplicemente “Americana”.
Nel corso degli anni ’90, i Giant Sand si muovevano nello stesso periodo e sullo stesso territorio sonoro dei Thin White Rope. La band è la creatura di Howe Gelb, che ha riunito intorno a se moltissimi musicisti negli oltre 30 anni di storia. La sua visione permeata dalla tipica visione psichedelica, ha via via acquistato diversi altri elementi tra cui il country e la musica di frontiera. Nel 1996 la sezione ritmica del gruppo formata da Joey Burns e John Convertino, ha voluto esplorare soprattutto quest’ultima parte formando i Calexico. Swerve esce nel 1990 e vede una formazione allargata con l’inserimento di Chris Cacavas alle tastiere (ex Green on Red) e Steve Wynn dei Dream Syndicate, ad aumentare la carica di elettricità. Il disco suona molto diverso dal precedente Long Stem Rant, più intimista, acustico e dall’attitudine lo-fi. “Sisters And Brothers” è manifesto di uno dei più riusciti album di una band che si è saputa ricreare negli anni. La formazione attuale dei Giant Sand vede molti musicisti danesi intorno al leader Howe Gelb.
Roy Harper, con il suo uso particolare della voce, i suoi testi bizzarri, il suo saper svecchiare il folk britannico lanciandolo nella stratosfera con la pietra miliare Stormcock nel 1971, è stato per molti anni songwriter di culto, tanto stimato quanto misconosciuto. Come è accaduto per altri musicisti del passato, è bastata la citazione da parte di alcuni artisti dal seguito importante per togliere la ingiusta patina di polvere dai suoi dischi. Gli anni ’80 e ’90 non sono stati propriamente positivi per il musicista britannico, vittima di una crisi personale e artistica. La sua rinascita nel 2013 è dovuta a Simon Raymonde, fondatore dell’etichetta Bella Union, e al musicista-produttore Jonathan Wilson, che si siede in cabina di regia durante la registrazione di Man & Myth. L’album vede il ritorno di Harper a 13 anni di distanza dal precedente lavoro in studio. Ad avvicendarsi nei sette brani che compongono il disco sono una serie di personaggi che mischiano letteratura e autobiografia, ed il tessuto sonoro è tanto classico quanto meravigliosamente moderno. Fantastico poter riascoltare il cantautore mancuniano così in forma, come dimostra la splendida narrazione di “The Enemy”.
Lo scorso anno, in cima alla playlist di Sounds & Grooves era salito The Rarity Of Experience, un lavoro splendido, dove Chris Forsyth insieme alla sua Solar Motel Band è riuscito a far convivere grazia e follia, tradizione e sperimentazione. In questo album il chitarrista di Philadelphia ha bilanciato perfettamente l’amore per il suono chitarristico trascendente degli anni ’70 con la sperimentazione dei giorni nostri. Il doppio album è un maestoso monumento allo strumento principe del rock che viene portato in trionfo da una ritmica sostenuta su centinaia di chilometri di strade blu. L’ex Peeesseye torna sul luogo del delitto con un album più corto intitolato Dreaming In The Non-Dream composto da sole quattro lunghe tracce, dove, con una formazione leggermente modificata (senza la seconda chitarra di Nick Millevoi e con un cambio dietro i tamburi dove adesso siede Ray Kubian), mantiene lo stesso elevatissimo standard qualitativo. Basti ascoltare la splendida “History & Science Fiction”.
Ogni tanto qualcuno si lamenta che attualmente si produce solo musica di merda. Affermazione che può essere corretta solo se si osserva il mondo musicale solo da un punto di vista superficiale semplicemente ascoltando quello che propongono le radio commerciali o il mainstream in generale. La situazione probabilmente è ancora più evidente nella nostra penisola, sconvolta musicalmente dai talent show e dai fenomeni da baraccone su YouTube e sui social networks. Proprio in una situazione così complicata, è importante che la passione e la curiosità non vengano mai meno, per andare a cercare le proposte davvero interessanti che invece ci sono sempre, nel mondo come in Italia. Spero non essere tacciato di conflitto di interessi per perorare la causa di un mio (quasi) omonimo, Stefano Amerigo Santoni, che dopo averci deliziato con i Sycamore Age ha messo in campo una nuova band con cui proporre un suono coraggioso insieme ad altri tre musicisti della scena toscana: Simone Lanari (Walden Waltz), Alberto Tirabosco (Punk Lobotomy) e Eleonora Giglione aka Isobel Blank (Vestfalia). Gli Ant Lion arrivano all’album di esordio intitolato A Common Day Was Born facendo subito centro grazie a 10 tracce splendidamente anarchiche dove convivono moltissime influenza sonore che attraversano trasversalmente anni di rock-funk-jazz passando per le poliritmie di un certo post rock britannico di marca Too Pure e con spruzzate leggere di wave e prog. Detto così sembra un inestricabile labirinto, ma ascoltate le differenze stilistiche di ogni brano e lasciatevi trasportare dalle storie raccontate con passione dalla splendida voce di Isobel Blank come in questa “Keep Your Enemies Closer”.
Quanto detto per gli Ant Lion vale anche per il trio romano dei Vonneumann! “NorN è un omaggio ad uno degli errori lessicografici più famosi della storia: la parola inesistente dord. Siccome vonneumann ha tante N nel suo nome, ci piaceva omaggiare dord sostituendo la simmetria delle D con le N.” Questa la spiegazione del titolo, ma per quanto riguarda la musica, beh, quella è tutta un’altra storia. NorN è un disco funk, anzi no, un disco elettronico, anzi no, un disco rock, anzi no. Forse è tutte queste cose insieme, forse è un ibrido tanto coraggioso quanto eccitante, soprattutto pensando che è stato prodotto in Italia. Una ricerca sonora in continua mutazione, un linguaggio sonoro nuovo, non perdeteli, sarebbe un delitto! Tante le collaborazioni in questo splendido album mutante, da Lucio Leoni a Vera Burghignoli, dal sax di Sonia Scialanca alla batteria di Andrea Cerrato che spezza e ricompone il ritmo di questa incredibile “Humanoide”.
I Frightened Rabbit sono una band scozzese creata nel 2003 a Selkirk dal cantante e chitarrista Scott Hutchison. Raggiunto dal fratello Grant alla batteria e dal chitarrista Billy Kennedy nel 2008 firmano per la Fat Cat Records e fanno uscire il loro secondo album, The Midnight Organ Fight . La ricetta del trio è tanto semplice quanto accattivante, una sorta di folk-rock dai ritornelli trascinanti, bandiera del rock indipendente scozzese. Un disco di grande impatto emotivo che rivela le notevoli doti di scrittura di Hutchinson, tanto nei momenti più tambureggianti che in quelli più lenti. “Head Rolls Off” è perfetta nel tratteggiare lo stile trascinante della band scozzese, adesso ampliata a quintetto dopo aver accolto nelle loro fila altri due chitarristi/tastieristi: Andy Monaghan e Simon Liddell.
Loro sono un gruppo incredibilmente divertente. Rockabilly, surf-punk, garage rock, sono gli ingredienti base di questo irresistibile quintetto che viene dall’est di Londra e che si chiama Oh! Gunquit. Il nucleo del gruppo si forma nel 2010 quando Tina Swasey (voce e tromba) e Simon Wild (chitarra e voce) diventano vicini di casa ed iniziano a condividere le serate in alcuni locali londinesi. Il gruppo prende il nome dalla città del Maine chiamata Ogunquit. Originariamente abitata dagli indiani Abenaki, e diventata una colonia di artisti negli Stati Uniti di fine ‘800. La line up del gruppo è formata da un incredibile meltin pot culturale, visto che i cinque membri hanno le origini più disparate, tra Italia, USA, Colombia, Spagna e naturalmente Gran Bretagna. L’unione dei due leaders con il sax di Chuchi Malapersona, la batteria di Alex De Renzi e il basso di Veronica Arcila, forma una miscela esplosiva che non vi farà tenere i piedi fermi per terra. Lightning Likes Me è il loro secondo album, un disco che pur non dicendo nulla di nuovo, è un’incredibile esplosione di energia, allegria, potenza e divertimento, il tutto sapientemente amalgamato con una notevole capacità di scrittura. Ascoltate l’opener “So Long Sucker” e lasciatevi trascinare dal coinvolgente tiro del gruppo.
Nel 2005 Meric Long comincia a esibirsi a San Francisco come solista con il nome Dodo Bird, poco più tardi forma un sodalizio con il batterista Logan Kroeber. Il duo prende il nome di The Dodos e dopo un primo album autoprodotto, firma con la Wichita Records pubblicando Visiter, che esce nel 2008 con un ottimo riscontro di critica e pubblico. Un folk rock suonato in punta di dita, velato di psichedelia che stupisce per freschezza con le sue melodie immediate e quasi fanciullesche. Una reminiscenza di gruppi come Broken Social Scene, Animal Collective, ma senza mai calcare troppo la mano, come dimostra la cantilena tanto allegra quanto mai stucchevole di “Fools” . Ai due si sono aggiunti i due chitarristi Christopher Reimer e Joe Haege. Il loro ultimo album in studio, il sesto, si intitola Individ ed è stato pubblicato nel 2015.
Chiudiamo il podcast con i Vanishing Twin, gruppo che ho “scoperto” a fine 2016 a playlist già completata. Non hanno fatto in tempo a convincermi per la Top 50, ma sono entrati facilmente a far parte del gruppo di outsiders. La band è stata formata da Cathy Lucas (Innerspace Orchestra), che ha voluto con sé la batterista Valentina Magaletti (Raime, Tomaga, Uuuu, Neon Neon), Susumu Mukai (Zongamin, Floating Points) al basso, Phil M.F.U. (Man From Uranus) a creare suoni dal mondo della library music, e il regista e artista visuale Elliott Arndt al flauto e percussioni. Aiutati dal produttore Malcolm Catto (Heliocentrics, DJ Shadow, The Gaslamp Killer), la strana band ha portato a compimento con Choose Your Own Adventure un esperimento esoterico tra atmosfere retro e pop, con strumenti vintage ad evocare le strane storie del gemello assorbito nell’utero della mamma della Lucas. Si respira un’atmosfera cosmica in questo strampalato viaggio nel tempo, un fascino retro che sfiora i primi Stereolab, come dimostra la splendida opener “Vanishing Twin Syndrome”.
Spero abbiate gradito l’atteso restyling del sito (per questo e molto altro, un grazie speciale va sempre a Franz Andreani), che sta sempre migliorando giorno dopo giorno grazie anche alle vostre segnalazioni. A cambiare non è solo la veste grafica, ma anche la “filosofia” della podradio, con le rubriche che vanno ad integrarsi nella programmazione regolare sotto l’hashtag #everydaypodcast. Tutte le novità le trovate sempre aggiornate in tempo reale sulla nostra pagina Facebook.
Nel prossimo episodio di Sounds & Grooves ci sarà la prima parte della mia personalissima Playlist di fine anno.
Intanto se volete potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, anche scrivere critiche (perché no), o proporre nuove storie musicali, mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web.
Se volete ascoltare o scaricare il podcast, potete farlo anche dal sito della stessa PodRadio cliccando sulla barra qui sotto. Buon Ascolto
TRACKLIST
01. GROUNDHOGS: Cherry Red da ‘Split’ (Liberty – 1971)
02. DEREK & THE DOMINOS: Anyday da ‘Layla And Other Assorted Love Songs’ (ATCO Records – 1970)
03. MARK STEWART: Secret Suburbia da ‘Edit’ (Crippled Dick Hot Wax! – 2008)
04. RIP RIG + PANIC: Constant Drudgery Is Harmful To Soul, Spirit & Health da ‘God’ (Virgin – 1981)
05. THIN WHITE ROPE: Americana da ‘Sack Full Of Silver’ (Frontier Records – 1990)
06. GIANT SAND: Sisters And Brothers da ‘Swerve’ (Demon Records – 1990)
07. ROY HARPER: The Enemy da ‘Man & Myth’ (Bella Union – 2013)
08. CHRIS FORSYTH & THE SOLAR MOTEL BAND: History & Science Fiction da ‘Dreaming In The Non-Dream’ (No Quarter – 2017)
09. ANT LION: Keep Your Enemies Closer da ‘A Common Day Was Born’ ( Ibexhouse – 2017)
10. VONNEUMANN: Humanoide da ‘Cure For Pain’ (Ammiratore Omonino Records – 2017)
11. FRIGHTENED RABBIT: Head Rolls Off da ‘The Midnight Organ Fight’ (FatCat Records – 2008)
12. OH! GUNQUIT: So Long Sucker da ‘Lightning Likes Me ’ (Decapitator Records – 2017)
13. THE DODOS: Fools da ‘Visiter’ (Wichita – 2008)
14. VANISHING TWIN: Vanishing Twin Syndrome da ‘Choose Your Own Adventure’ (Soundway – 2016)