Parabola curiosa ma intrigante quella della cantante belga Melanie De Biasio, che l’ha portata da un esordio in sordina a diventare una delle interpreti più originali e credibili della sua generazione. Riavvolgiamo il nastro tornando indietro al 2007, anno in cui la piccola etichetta Igloo pubblica il suo esordio intitolato A Stomach Is Burning, un disco in cui si trovano già i semi di una importante fioritura artistica. Il jazz diventa una matrice che viene omaggiata senza mai essere replicata pedissequamente. Al contrario, la riproposizione viene vestita con un’eleganza nuova, evitando anche troppi recuperi di tracce già note. L’album non trova il riscontro atteso e la Di Biasio non incide altro, pur continuando a collaborare con diversi artisti, fino al 2013, quando finalmente con la pubblicazione di No Deal ottiene un meritato successo di critica e pubblico. Non che sia un esplosione su larga scala, si intende, ma abbastanza per lanciarne la carriera che continuerà nel 2016 con Blackened Cities, un EP formato da un solo lungo pezzo, che in 25 minuti si allontana dalle sue piccole mutazioni jazz per tratteggiare uno scurissimo ritratto urbano post-industriale, squarciato dai raggi di sole del suo talento cristallino e dall’abilità dei suoi collaboratori, tra cui spiccano i fedelissimi Pascal Mohy al pianoforte, Pascal Paulus ai synth e Dre Pallemaerts alla batteria.
I tre accompagnano la voce ed il flauto della De Biasio anche in questo nuovo Lilies, dove l’artista vira di nuovo verso la “forma-canzone” classica cambiando le carte in tavola, tornando alle radici con una serie di tracce apparentemente semplici e scarne, capaci di reggersi (benissimo) solo su due accordi, su uno schioccare di dita, su un tappeto di synth come su un pianoforte minimale. Sono proprio i tre fidati musicisti ad accompagnare la voce ferma e carismatica di Melanie nell’apertura di “Your Freedom Is The End Of Me”, una ballata di grande atmosfera che sembra delineare una precisa mappa del tesoro. Ma la belga preferisce lavorare senza bussola, istintivamente e senza riferimenti precisi, così la seguente “Gold Junkies” (il cui tema si trovava già in embrione nel precedente Blackened Cities) spiazza con il suo languido ma febbrile ritmo tra pop e trip-hop per poi conquistare definitivamente con la title track che si muove misteriosa in un duetto voce-pianoforte accarezzato da un vento lontano, retaggio cinematico in bianco e nero dell’album precedente. La ritmica tribale dei tamburi di Pallemaerts e i beats di Paulus accarezzano la superficie di “Let Me Love You”, increspata dai chirurgici contrappunti pianistici di Mohy e impreziosita dai sussurri sensuali della De Biasio a cesellare il tutto. Ad affascinare c’è l’abilità nel creare canzoni all’apparenza semplici con poco o nulla, come il “banale” schioccare di dita del gospel “Sitting In The Stairwell”, il clavinet di “Brother”, i samples ed il flauto dello standard del 1959 “Afro Blue”, magistralmente riarrangiato e rivoltato. Il battito cardiaco unisce idealmente gli ultimi due brani in scaletta: prima la tensione di “All My Words” creata con un sottobosco di synth analogici dove la voce si trova perfettamente a suo agio nel sussurrare, nel catturare il respiro, con una maturità espressiva rimarcata dai puntuali accordi di piano che l’accompagnano nell’estatico finale, poi la lunga elegia finale di “And My Hearts Goes On” dove Melanie si sdoppia tra voce e flauto reiterando il mantra “And the band played on / And my heart goes on”.
Una narrazione che nasce dal buio di uno studio dove la De Biasio si è rinchiusa per ritrovare le sue origini, capace di interagire con l’ascoltatore in modo empatico, costruendo microcosmi perfetti musicalmente e liricamente, grazie anche all’aiuto, nella stesura dei testi di quattro brani, dell’attivista e poeta olandese Gil Helmick. Già dopo No Deal ci eravamo chiesti se Melanie De Biasio avesse raggiunto l’apice della sua maturità artistica, ma la magia di una voce e il profumo dei pochi strumenti usati e la perfezione del saperli dosare sapientemente mostrata in Lilies fortunatamente ci conferma che l’italo-belga può andare anche oltre e la conferma, come detto in apertura, come una delle migliori e più ispirate interpreti contemporanee.
TRACKLIST
01. Your Freedom Is the End of Me 3:50
02. Gold Junkies 3:19
03. Lilies 4:02
04. Let Me Love You 4:08
05. Sitting In The Stairwell 2:49
06. Brother 3:11
07. Afro Blue 4:33
08. All My Worlds 6:40
09. And My Heart Goes On 5:58