C’è una Telecaster che prova ad abbracciare tutti i Sud possibili: quelli reali e quelli immaginari. E ci sono delle storie. Storie che vanno raccontate, perché parlano di cose perdute e di cambiamenti: da quelli più profondi a quelli che avvengono tutti i giorni quando arriva il crepuscolo, magici, anche se spesso passati nell’indifferenza di un’umanità troppo presa a vivere il proprio presente. C’è una musica appassionata, vissuta in prima persona con grande onestà intellettuale raccontando proprio quelle storie che vale la pena raccontare, tramandare. C’è da cambiare la prospettiva, un punto di vista romagnolo messo a fuoco in un’estate siciliana piena di luci fortissime.
Chi meglio di un alter ego può disegnare un immaginario? Don Antonio, alias Antonio Gramentieri, muro portante dei Sacri Cuori in libera uscita, ci racconta con passione e forza immaginifica un mondo intero in quattordici brevi affreschi prevalentemente strumentali. Dopo tanti anni sempre in giro con la sua band, in studio di registrazione con David Hidalgo, Jim Keltner, Evan Lurie, Marc Ribot, John Convertino, Giant Sand, Steve Shelley, nei tour e nei dischi di Richard Buckner, Dan Stuart, Alejandro Escovedo, Hugo Race, Terry Lee Hale, Bill Elm e Friends of Dean Martinez, in Italia nei dischi di Nada e Pan del Diavolo e nelle colonne sonore per cinema, televisione e teatro, ecco che Gramentieri si ferma un attimo scattando alcune istantanee, sperimentando, allargando le sue esperienze passate in un flusso passionale e perfettamente messo a fuoco.
Questa ricerca allargata va ad abbracciare suggestioni cinematiche, beat e psichedelia con un groove che va da Catania al Messico, dal Mali alla Via Emilia. Non serve il passaporto per questo viaggio senza frontiere, eseguito con gusto, passione e qualità, consapevolezza ed ironia.
Dalla meraviglia crepuscolare di “Sera” trafitta da un emozionale talking blues di Hugo Race, al fischio Morriconiano di “Lontana” interpretato da Cesare Basile e circondato da un’orchestrazione commovente ai limiti del sinfonico, passando per una “Sunset, Adriatico” pennellata dalla liquida pedal steel di Thomas Heyman. C’è spazio anche per la meraviglia di “Mestizio”, con il dobro di Terry Lee Hale, il violino di Vicki Brown e il flauto di Luigi Lombardi: “Ottant’anni, Luigi, di cui 50 spesi a suonare per il mondo, prima di fermarsi in Giappone per 20, e prima di ritornare in Romagna. Cittadino di molti mondi.” . E se in “Baballo” si propone ironicamente il twist come vera alternativa alla taranta, in “Oh La La” c’è un sottile filo di elettricità a mutare impercettibilmente ma inesorabilmente una sorta di jazz elegante da club.
Tanti ospiti, tutti perfettamente a fuoco con la visione del barbuto direttore d’orchestra, un disco scintillante e prezioso, che cattura e fa viaggiare, senza frontiere, mescolando avidamente, appassionatamente. Un ballo in un’Italia finalmente senza latitudini, affacciata sul mondo. Musica e storie con una visione, che per 34 minuti scorre sotto i nostri occhi in un percorso di incontri e di condivisione.