Nel film The Commitments, diretto da Alan Parker, c’è una famosa frase con cui Jimmy Rabbitte, (il manager del gruppo che da il titolo al libro/film) cerca di convincere i musicisti da lui raccolti nei modi più disparati, a diventare fervidi adepti del culto della soul music:
“Gli Irlandesi sono i più negri d’Europa, i Dublinesi sono i più negri di Irlanda e noi di periferia siamo i più negri di Dublino, quindi ripetete con me ad alta voce: “Sono un negro e me ne vanto!””
E se a qualcuno allora poteva sembrare strano, ma non più di tanto in realtà, di trovare (sia pure sugli scaffali di una libreria o al cinema) un gruppo a Dublino che voleva diffondere alle masse il verbo del soul, cosa si può pensare di un gruppo formato da sette elementi, capitanato da una ragazza arrivata direttamente dagli anni ’60, Koko Jean Davis, (impressionante la sua somiglianza con una Tina Turner giovane), e che viene dalla…Catalogna? Tutto qui fa pensare agli anni ’60: la grafica vintage della copertina, la registrazione rigorosamente in mono, e persino il nome dell’etichetta che ha sede a Barcellona: Penniman, ovverosia il vero cognome di quel genietto del rock e della black music che è stato Little Richard. Questo gruppo si chiama The Excitements: due chitarre, due sassofoni, basso e batteria con pianoforte e tromba a fare capolino spesso e volentieri.
Si formano nel 2010 grazie all’incontro di due appassionati di soul e rhythm‘n’blues, Adrià Gual (chitarra ritmica) e Daniel Segura (basso), che raccolgono altri adepti alla causa del soul e riescono a fare bingo grazie all’incontro con l’incredibile talento vocale e la devastante presenza on stage della piccola ma inarrestabile Koko Jean Davis, nata in Mozambico, cresciuta negli States e vissuta in Brasile prima del fortunato approdo in Catalogna. Il loro esordio di due anni fa era stato notevole per gli appassionati di black music, non solo per la notevole abilità strumentale degli spagnoli (nemmeno il più grande esperto di soul music avrebbe mai potuto scommettere un centesimo sulle origini catalane della band semplicemente ascoltando il loro sound), ma perché andava a stuzzicare la conoscenza enciclopedica del soul andando a ripescare brani misconosciuti o meravigliosamente celati come la dolce “Never Gonna Let You Go” del già citato Little Richard oppure “Let’s Kiss And Make Up” dei Falcons e l’r’n’b della “From Now On” di Nathaniel Mayer.
Il 30 settembre del 2013 (mi dolgo del ritardo con cui scrivo questa recensione) è uscito l’atteso seguito del fortunato debutto: Sometimes Too Much Ain’t Enough. E come dare torto a Koko Jean e compagnia? “A volte troppo non è abbastanza” utilizza la stessa grafica vintage, la stessa registrazione mono, la stessa etichetta, ci sono solo due piccoli cambi di formazione (batteria e chitarra solista), ma (udite, udite) questa volta l’album non è composto di sole cover. Le riletture stavolta sono solo due e non necessitano di scervellarsi troppo all’interno del meraviglioso mondo della black music in quanto la splendida “Keep It To Yourself” messa in apertura fa parte del disco forse più conosciuto di Billy Preston (‘That’s The Way God Planned It” del 1969) e la “Tell Me Where I Stand” posizionata quasi in chiusura è probabilmente un vero e proprio classico di Johnny Sayles. Ma anche le tracce originali fanno la loro gran figura come la splendida title-track, “Don’t You Dare Tell Her”, la trascinante “Ha, Ha, Ha” o il megablues “I’ve Bet And I’ve Lost Again“.
Il suono, la passione, il fuoco che arde sono i medesimi del fortunato predecessore, e sono elementi che nel mondo musicale attuale non si trovano facilmente, e quando li troviamo non possiamo che attingerne a piene mani con soddisfazione. Certo, dispiace dar torto al simpatico Jimmy Rabbitte, ma chi poteva solo lontanamente immaginare che i neri più neri d’Europa fossero di stanza a Barcellona e non nella periferia di Dublino.