Ammetto che non è facile perdonare una copertina così: la nostra eroina ritratta come Rick Wakeman al centro della terra (che Dio ce ne scampi e liberi!), in mezzo a degli orrendi prismi che sembrano presi da una scenografia da B-Movie di fantascienza anni ’70, una Gibson bianca in mano ed una delle sue proverbiali (ed inguardabili) palandrane addosso.
Ma cercherò di farlo, in primis perché ho sempre avuto un debole per Wildbirds & Peacedrums (di cui Mariam Wallentin è voce e metà), poi perché il vinile bianco ed il cd incluso sono riusciti a migliorare in qualche modo la drammatica situazione del packaging. La coppia nella vita e sul palcoscenico Andreas Werliin e Mariam Wallentin ha saputo conquistarmi da subito: l’approccio tanto scarno quanto nuovo dei due studenti di teatro e musica di Goteborg, con la voce di lei abile a cambiare tonalità espressiva, riuscendo ad essere tanto seducente quanto sanguigna, e le percussioni di lui a riempire ogni spazio in un caleidoscopio voce-ritmo da togliere il fiato.
Un primitivismo folk-blues spogliato da ogni orpello, proiettato al confine con il pop senza però mai attraversarlo del tutto, solo per voce e percussioni con il solo ausilio di xilofoni ed organetti e con quegli svolazzi orientaleggianti a fare capolino (retaggio dell’origine siriana di Mariam) che hanno sempre reso il piatto speziato ed unico. La loro discografia comprende due album (‘Heartcore’ del 2007 e ‘The Snake’ del 2008) e due EP (‘Iris’ e ‘Retina’) poi riuniti insieme in un unico CD intitolato ‘Rivers’ uscito nel 2010. La Wallentin dopo l’uscita di ‘Rivers’ e la susseguente pausa del progetto W&B, decide di trasferirsi momentaneamente a New York alla ricerca di nuove soluzioni e stimoli. Mentre il marito da vita con i suoi Fire! a due straordinari album di avant-jazz (uno dei quali, ‘Exit!’, sotto il nome di Fire! Orchestra è un’orgia avant-jazz-krautrock di incredibile bellezza in cui partecipa anche Mariam insieme ad altri 25 musicisti), lei si lascia andare in questo progetto chiamato Mariam The Believer, dove riesce a far uscire fuori la sua anima melodica (e non ci sono mai stati dubbi sul fatto che fosse lei l’anima pop del duo), mentre l’orchestrazione tende a dilatarsi ed ampliarsi naturalmente.
Le inconfondibili percussioni del marito non mancano di certo, ma insieme a tamburi e piatti ecco apparire anche chitarre, (tra cui la Gibson che appare nell’orribile copertina), tastiere, strumenti a fiato e i cori, mai invasivi come in ‘Rivers’ dei W&P, ma spesso presenti ad arricchire ancor di più il suono come nello splendido singolo “The String Of Everything”, il tutto condito da una produzione pulita ed accurata.
Già dall’iniziale title track “Blood Donation” si capisce che la fanciulla è in grado di padroneggiare con disinvoltura il vocabolario pop: il ritornello ti si appiccica addosso e non si stacca più, mentre il grido filtrato e i ritmi orientaleggianti di “Somewhere Else” sono capaci di trascinarci in una danza tra mille arazzi e candele. Il drumming di Werliin non diventa mai irruento anche quando si fa più tribale ed insistito come in “Invisible Giving”, che presenta un break quasi rituale. Mariam sa anche alternare perfettamente luci ed ombre, come negli interludi “String Patterns”, “Blood Patterns” e “Hole “Patterns” o nell’intimista “To Belong Or To Let Go”. Il dialogo con le coriste Anja Bigrell e Malin Stahlberg in “Above the World” diventa sempre più urgente ed incessante man mano che si sviluppa il brano, tracciando una via che è facile immaginare in una versione scarnificata proprio dai W&P.
“First Haiku” è una classica ballata pop mid-time, impreziosita e resa jazzy dal bel sassofono finale di Joel Wastberg e dalla consueta abilità vocale della svedese, mentre “All There Is And More” inizia con le tastiere e con Werliin impegnato ad imprimere un ritmo jazz sul ride, prima che il ritmo si impenni e che il connubio tra voce e cori diventi incalzante e coinvolgente per una canzone tra le meglio riuscite del lotto. La conclusione è poi affidata ad una lenta “Love Is Taking Me Over” dove il cantato risulta particolarmente ispirato sul sognante tappeto di tastiere di Tomas Hallonsten.
In definitiva Mariam Wallentin riesce a superare la prova solista a pieni voti: l’approccio al pop e alla melodia della sua controparte The Believer risulta spesso e volentieri convincente, sia nelle parti più morbide, sia in quelle più sghembe ed affilate, ed in alcune circostanze risulta perfino facile dimenticare l’orrida copertina. Se Werliin ci aveva esaltato con i suoi compagni di avventura (sia come Fire! che come Fire! Orchestra), sua moglie mostra enormi potenzialità nella direzione del pop alternativo e di qualità: resta da vedere quale sarà la direzione che il duo prenderà la prossima volta, ma qualsiasi strada loro decidano di percorrere, non ho alcun dubbio che i nostri padiglioni auricolari li ringrazieranno ancora una volta.