All’inizio degli anni ’90 si stava ormai esaurendo l’onda lunga dell’estetica punk, fino ad allora le regole base erano: dare poco peso alle capacità strumentali, i brani dovevano avere una immediatezza melodica e ritmica, la grande importanza data all’immagine del musicista e più in particolare alla centralità della figura del cantante. Insomma, quello a cui si stava assistendo era un vero e proprio ritorno alla più pura estetica Rock’N’Roll anni ’50. Altro fattore importante è stato l’avvento del CD come supporto musicale “ufficiale” e la diffusione capillare del PC in quasi tutte le case, due fattori che avevano aperto di fatto una nuova stagione non solo per la fruizione della musica, ma soprattutto per la sua creazione. Infatti i costi di una semplice autoproduzione di fatto erano crollati, permettendo più o meno a tutti di poter incidere un disco, cosa inimmaginabile nell’era del vinile. Oltretutto la durata del CD permetteva agli artisti di sbizzarrirsi senza limitazioni, e l’uso del computer nello studio di registrazione dava in mano ai musicisti uno strumento vero e proprio, incredibilmente versatile. Tutto questo avrà un peso senza precedenti nell’intera storia del rock. In questo momento storico, con le contaminazioni elettroniche, con la fine della lunga stagione del punk, con la riscoperta (tramite ristampe su CD) di artisti che erano finiti nell’oblio nasce di fatto una nuova era, un’era di mutazioni e sperimentazioni incontrollabili. Un’era che qualcuno ha tentato di codificare sotto il termine di post-rock. Ma cosa è stato davvero il post- rock? Wikipedia lo definisce così:
“L’espressione Post-rock indica, in senso ampio, un genere musicale che utilizza una strumentazione rock (chitarra elettrica, basso, batteria) in modo non conforme alla tradizione del rock stesso, attingendo più da altre tradizioni della musica d’avanguardia quali soprattutto jazz, musica elettronica, krautrock o simili.”
In realtà il primo a parlare di post-rock è stato il critico musicale Simon Reynolds che coniava il termine nel marzo del 1994 sulle pagine della rivista Mojo all’interno della recensione del meraviglioso “Hex” dei “Bark Psychosis” per poi riprendere ed espandere il concetto due mesi dopo sulle pagine dell’ottima rivista “The Wire” tentando di ipotizzarne un teorema:
“ Il post rock trae ispirazione ed impeto da una complessa combinazione di ispirazioni. Alcune di queste derivano dalla sua stessa tradizione – una serie di momenti nella storia che hanno visto intellettuali e scapigliati prendere in prestito elementi del rock per fini che rock non erano (pensate alla musica dei tardi sessanta, basata sulle chitarre, di Velvet Undergrounde Pink Floyd e alla discendenza che ne è derivata e comprende tanto i gruppi nella no wave newyorkese così come Joy Division, Cocteau Twins, Jesus And Mary Chain, My Bloody Valentine e A.R. Kane; oppure al cosiddetto ‘krautrock’ di Can, Faust, Neu!, Cluster e Ash Ra Tempel; o ancora all’avanguardia post punk, a cavallo fra settanta e ottanta, di P.I.L., 23 Skidoo, Cabaret Voltaire e Pop Group). Altri impulsi vengono invece da territori esterni al rock: Brian Eno, ovviamente, ma anche il minimalismo a base di bordoni di Terry Riley e LaMonte Young, la musica concreta e quella elettroacustica, il dub e generi moderni basati sui campionamenti come hip hop e techno. Inoltre, la maggioranza dei gruppi post rock britannici si definisce esplicitamente in contrapposizione al grunge, che per Carducci (Joe Carducci: autore del famoso libro “Rock and the Pop Narcotic” del 1990) è un sogno divenuto realtà: la fusione di punk e metal in un novello hard rock quintessenzialmente americano. Per i gruppi post rock, l’idea dei Sonic Youth di ‘reinventare la chitarra’ significa in realtà eliminare il rock dalla musica con le chitarre; in alcuni casi, il passo successivo è eliminare le chitarre.”
Dunque il concetto iniziale di post rock partiva dalle formazioni provenienti dalla Gran Bretagna, e da quello che è stato il suono dell’etichetta di riferimento, ovverosia la Too Pure (Pram, Moonshake, Laika, Stereolab). Ma è buffo il fatto che se si parla di post rock il nome di riferimento del genere sono gli Slint, gruppo non solo americano, ma il cui suono differiva notevolmente dalle formazioni per cui il termine post rock era stato coniato. E’ facile dunque capire che il termine racchiude in realtà gruppi molto diversi, tra Stereolab e Slint c’è davvero un abisso. Il fattor comune è sicuramente il fatto che i musicisti sono più dotati tecnicamente e più aperti a nuove sperimentazioni, spesso e volentieri fanno parte di progetti molto diversi tra loro. Basti pensare a David Grubbs che dall’irruenza punk degli Squirrel Bait passa con disinvoltura alla musica “colta” dei Gastr Del Sol. O allo stesso Jim O’ Rourke, che dagli stessi Gastr Del Sol, passa con nonchalance alle collaborazioni con John Zorn, a quelle con Fennesz, alla cover di Burt Bacharach con il suo ‘Eureka’, per non parlare del suo lavoro dietro al mixer. E’ un rock non tanto di gruppi, come negli anni ’70 e ’80, ma un rock fatto di dischi con gruppi che si sciolgono, si riformano sotto una diversa ragione sociale, con musicisti che si uniscono saltuariamente in progetti diversi. Riprende vita l’underground vero, come negli ultimi anni ’60: quello vero, coraggioso e quasi sovversivo. La musica riprende in parte quella dei primi anni ’70: si ritrova il virtuosismo, la musica non è più così immediata, si ritrovano echi psichedelici, sprazzi dell’evoluzionismo post Canterbury di Robert Wyatt, un pizzico di krautrock e una ciliegina di progressive, quello sperimentale dei King Crimson, sempre in movimento e c’è spazio per lunghi strumentali. C’è la riscoperta del jazz elettrico di Miles Davis, della ritmica spigolosa dei Can e quella motoristica dei Neu!. Ci sono le convulsioni melodiche dei Faust (che saranno rilanciati negli anni ’90 proprio da Jim O’Rourke) e le lunghe suite dei Popol Vuh. E’ una sorta di nuova grammatica del rock. Gran parte dei gruppi post rock raramente contempla parti cantate, e quando c’è la voce spesso non è usata in maniera tradizionale. L’atteggiamento invece può essere paragonato ai gruppi degli ultimi ’70, con gruppi che si muovono tra i generi e rinnovano la strumentazione, possiamo trovare spesso il campionatore al posto della chitarra. La divisione tra musica elettrica ed elettronica si fa sempre più sfumata, come con l’avvento della new wave. La new wave rielaborava i gruppi tedeschi degli anni ’70 flirtando allo stesso tempo con l’ambient alla Brian Eno. C’era un uso spastico del punk e si dava spazio alla ballabilità. Allo stesso modo il post rock flirta con il dub e con gli isolazionisti ambient, e c’era un uso spastico dell’hardcore e del noise rock. I toni si fanno più riflessivi, il crossover funk-metal diventa jazz funk strumentale come nei Tortoise. La forte carica comunicativa del rock diventa al contrario riserbo e antiprotagonismo fino a diventare anche snob. L’attenzione è improntata alla riflessività, all’urlo si preferisce il silenzio.
Ho deciso quindi, essendomi appassionato a questa “storia” di provare a mettere in podcast tutto questo, non ho la presunzione di essere esaustivo, non ci riuscirei nemmeno se ne avessi la conoscenza e le capacità. Spero comunque che questi gruppi e musicisti riescano a coinvolgervi ed emozionarvi così come hanno coinvolto ed emozionato me. Dal 10 maggio 2013 ho tentato di narrare questa storia dividendola in quattro parti: tre trasmissioni hanno parlato americano mentre l’ultima è stato dedicata alla parte britannica, quella per cui Reynolds coniò la definizione di post-rock.