Terry Kath è stato uno dei musicisti più talentuosi della sua epoca
Riscopriamo insieme i Chicago, band troppo spesso ricordata solo per la loro triste deriva mainstream
Questo episodio della Rock ‘N’ Roll Time Machine è dedicato a Terry Kath. Molti di voi si chiederanno chi fosse costui. Beh, se non avete mai sentito parlare di lui probabilmente è a causa della cattiva fama della band di cui è stato fondatore e motore. Ditemi la verità…se nomino Chicago che vi viene in mente? Ok ok, lo capisco, se siete appassionati di serie TV penserete ai vari Chicago Fire, Med o PD, se siete appassionati di Basket NBA ai leggendari Bulls di Michael Jordan, e Scottie Pippen ma se parliamo di musica, a parte la straordinaria scena post-rock e avant-jazz della Windy City? Non ho dubbi che la maggior parte delle persone ricordano i Chicago quasi esclusivamente la loro deriva pop mainstream, per le ballate e hit-singles come “If You Leave Me Now” o “Hard To Say I’m Sorry”.
Ma In realtà i Chicago sono stati un gruppo di assoluto valore, nato nel 1967 in un’epoca straordinariamente creativa e prolifica, impegnato politicamente e di grande impatto visto che avevano una solida e fantasiosa sezione di fiati ed un fantastico impianto jazz rock.
A questo punto riavvolgiamo il nastro e torniamo indietro fino al 1963, anno in cui l’adolescente Terry Kath, classe 1946, capace sin da piccolo di suonare molti strumenti (chitarra, banjo, basso e batteria), diventa parte della sua prima band semi-professionistica, i Mystics, Successivamente suonò il basso in un gruppo chiamato Jimmy Ford and the Executives, divenendone presto il leader. Nel gruppo miltavano anche il sassofonista Walter Parazaider e il batterista Danny Seraphine con cui il chitarrista instaurò subito un forte rapporto d’amicizia che andava ben oltre l’essere compagni sul palco. Nel 1966, Kath entrò in una cover band chiamata Missing Links portando con sé, naturalmente, anche i due amici e poco tempo dopo si unì al gruppo anche un amico di Parazaider, il trombettista Lee Loughnane, conosciuto alla DePaul University.
Quando ai tre si unisce il trombonista James Pankow e il cantante/tastierista Robert Lamm il gruppo prende il nome ambizioso The Big Thing. Nel 1967, quando si aggiunge il cantante/bassista Peter Cetera proveniente dagli Exceptions, ecco arrivare la svolta: James William Guercio è un giovane produttore appena approdato alla Columbia Records e si accorge subito del talento della band. Prende i sette sotto la sua ala protettrice, li fa trasferire in California e li mette subito sotto contratto. Appena arrivati a Hollywood, iniziano a suonare regolarmente nello storico locale Whisky a Go Go. I The Big Thing cambiano il nome in Chicago Transit Authority, abbandonano le cover iniziando a comporre brani originali e aprono concerti di artisti come Janis Joplin e Jimi Hendrix. Proprio Hendrix è il primo a rimanere sconvolto dall’enorme talento di Terry Kath, e dopo un concerto si rivolge a Parazaider esclamando la famosa frase: “Hey man, your guitar player is better than me!!!”.
Il primo eponimo album del gruppo esce nell’aprile del 1969, ed è una vera bomba. Un doppio LP che trasuda energia, jazz, rock, in composizioni di altissima levatura. Lamm, Kath e Cetera si alternano alle parti vocali, con Lamm come principale compositore. Kath è torrenziale nel suo lavoro alla sei corde e riconoscibile nel suo timbro vocale, baritonale e ricco di soul. Brani come “Introduction”, “Does Anybody Really Know What Time It Is?”, “Beginnings”, “Questions 67 And 68” e “I’m A Man” (scritta due anni prima da Steve Winwood e Jimmy Miller per lo Spencer Davis Group) diventano dei veri e propri classici jazz-rock. Se avete un po’ di tempo, guardate qui l’esibizione della band a Tanglewood nel 1970. Capirete subito lo straordinario potenziale anche on stage del gruppo. Il disco vende straordinariamente bene per essere non solo il primo ma addirittura un doppio!! Posizione numero 17 nella classifica Billboard 200, oltre un milione di copie vendute e conseguente disco di platino. A quel punto il gruppo è costretto a cambiare la propria ragione sociale accorciandola semplicemente in Chicago per evitare controversie legali con l’azienda municipale dei trasporti della Windy City chiamata proprio Chicago Transit Authority e si lancia in una vorticosa carriera. Da li in poi gli album si chiameranno tutti semplicemente con il nome della band e saranno caratterizzati da un logo (che diventerà presto il loro riconoscibile marchio di fabbrica) con un numero progressivo ad identificarli.
Chicago II esce nel 1970 ed è un successo ancora maggiore: numero 4 nella Billboard 200, numero 6 in Gran Bretagna, tre singoli nella top ten della Billboard Hot 100 (“25 or 6 To 4” a firma Lamm al N°4, “Make Me Smile” al N°9 e “Colour My World” al N°7 entrambi a firma Pankow), e tre nominations ai Grammy Award. Chicago III esce nel 1971 ed è un altro doppio. Risente del lungo periodo passato dal gruppo on the road, ma nonostante una stasi creativa raggiunge comunque il numero 2 in USA pur non piazzando alcun singolo nella top ten dei singoli. A suggellare questi straordinari primi anni di carriera arriva un mastodontico quadruplo album, Chicago At Carnegie Hall (per gli amici Chicago IV) registrato dal vivo durante una settimana di concerti dal 5 al 10 aprile 1971 nella storica sede della Carnegie Hall di Manhattan, NYC. Tributo dovuto per il semplice fatto di essere stati il primo gruppo rock a fare il tutto esaurito per una settimana nella storica location, anche se il risultato delle registrazioni ha lasciato qualcuno dell’entourage del gruppo con l’amaro in bocca.
Con gli album seguenti il gruppo asciuga leggermente il proprio suono abbandonando la produzione di album doppi con molte canzoni arrangiate in suite estese, a favore di brani più concisi su un singolo album. Chicago V esce il 10 luglio 1972 ed è il loro primo disco singolo, composto quasi esclusivamente da Robert Lamm che firma ben sette brani su nove. Terry Kath scrive la traccia finale dell’album, “Alma Mater”, che mette in mostra le sue abilità di chitarrista acustico. In realtà l’album venne registrato poco prima dell’uscita di Chicago At Carnegie Hall nel settembre del 1971, ma venne tenuto in sospeso fino all’estate successiva. Pubblicato poco prima dell’album, il singolo “Saturday in the Park” fu il più grande successo della band fino a quel momento, raggiungendo la posizione N.3 negli Stati Uniti mentre l’album raggiunge per la prima volta la vetta delle classifiche americane degli album, restando in cima per ben nove settimane.
Il 25 giugno del 1973 è la volta di Chicago VI che vede per la prima volta come membro aggiuntivo il percussionista Laudir de Oliveira, che diventerà l’ottavo membro ufficiale del gruppo due anni più tardi. Dopo aver registrato tutti i primi cinque album dei Chicago a New York (ad eccezione di alcune parti del secondo album registrate alla CBS di Los Angeles), il produttore James William Guercio decide nel 1972 di creare i suoi Caribou Ranch Studios vicino Nederland, in Colorado. Gli studi furono terminati in tempo per permettere al gruppo di registrare Chicago VI e sarebbero rimasti la loro base di registrazione per i quattro anni successivi. L’album è anche il primo a presentare in copertina i membri originali della band al di sopra del loro iconico logo.
Mentre erano in tournée a supporto di Chicago VI nel 1973, i musicisti iniziarono ad integrare alcuni lunghi brani strumentali jazz nei loro set. Non tutte le reazioni del pubblico furono positive, ma i Chicago apprezzarono molto l’esperienza decidendo (dopo averne parlato per anni) di registrare una serie di brani puramente jazz. I sette tornarono dunque nei Caribou Ranch di Guercio, nello splendido panorama delle montagne rocciose per incidere il loro nuovo ambizioso album. Ma ben presto all’interno del gruppo si sono verificati dei dissensi riguardo al progetto, con Peter Cetera e Guercio che non fecero nulla per nascondere la diffidenza nei confronti del rischio commerciale di una simile impresa. Mentre il gruppo riteneva che parte del materiale jazzistico fosse troppo buono per essere buttato via, gli altri alla fine hanno ceduto e hanno accettato di includere le canzoni più pop e rock che la band aveva composto nel frattempo. Quasi per caso, i Chicago si ritrovarono tra le mani un altro doppio album. Chicago VII esce l’11 marzo 1974 si distingue per il contributo alla scrittura di tutti i membri della band, tra l’altro c’è una “Song Of The Evergreens” scritta da Terry Kath che vede l’esordio di Lee Loughnane come voce solista. Nonostante i dubbi anche questo album arriva al N.1 negli Stati Uniti.
Dopo cinque anni consecutivi di costante attività, i membri dei Chicago si sentivano abbastanza svuotati quando si recarono a registrare Chicago VIII al Caribou Ranch del produttore James William Guercio in Colorado nell’estate del 1974. L’album, uscito a fine marzo 1975, è più marcatamente rock ed è considerato, a ragione, uno dei più deboli della line-up originale nonostante l’inserimento a tempo pieno del nuovo membro Laudir de Oliveira. A spiccare è il singolo “Harry Truman” a firma Lamm ed il tributo di Terry Kath a Jimi Hendrix “Oh, Thank You Great Spirit”.
L’autocelebrazione arriva con il nono volume della serie, Chicago IX: Chicago’s Greatest Hits. Dopo una pausa rigeneratrice, gli otto membri della band rientrano in studio nella primavera del 1976. Chicago X venne pubblicato il 14 giugno 1976, con un’ottima accoglienza da parte del pubblico, e portò la band al N.3 della Billboard 200 negli Stati Uniti, riuscendo perfino ad entrare in classifica nel Regno Unito dopo anni, anche se solo al N.21. Il disco, famoso anche per la copertina che mostra il logo del gruppo in rilievo su una tavoletta di cioccolata, regala alla band il primo singolo N.1 in classifica con la ballatona “If You Leave Me Now” scritta e cantata dal bassista Peter Cetera. Proprio la canzone porta una sorta di spaccatura all’interno del gruppo. Alcuni pensavano che non fosse niente di speciale, Terry Kath non apprezzava la maggiore enfasi data alle ballate, citando proprio questa canzone come esempio, Walter Parazaider ha dichiarato di aver sentito la canzone alla radio mentre puliva la piscina senza rendersi conto che si trattava del lavoro della sua stessa band. Insomma, alcuni membri della band ritennero che il successo della canzone avesse cambiato la percezione del gruppo da parte del pubblico, e come dargli torto. Anche se Robert Lamm ha riconosciuto che la band aveva iniziato ad allontanarsi dalla sua musica politicamente orientata verso il mainstream parecchi anni prima, probabilmente a partire da Chicago V.
Un anno dopo, il 12 settembre 1977, esce Chicago XI, album che segna una profonda linea di demarcazione nella storia del gruppo. Innanzitutto durante le registrazioni il soffocante controllo artistico del produttore di lunga data James William Guercio aveva raggiunto il punto di rottura, e la band decise di prendere in mano la propria carriera e di mettersi in proprio dopo aver terminato l’album con lui. Ma non è tutto, l’album sembra più una raccolta di canzoni soliste dei vari membri piuttosto che un lavoro di gruppo, come dimostra Peter Cetera, che ha cercato di replicare il successo di “If You Leave Me Now”, vincitrice di un Grammy, con “Baby, What a Big Surprise”, che non andrà oltre il N.4 in classifica, mentre Terry Kath, che stava pianificando un imminente album da solista, con “Takin’ It On Uptown” firma il suo epitaffio sonoro come compositore. Per quanto il licenziamento di Guercio fosse un grande cambiamento nella loro carriera, per la band sarebbe stato molto poco rispetto alla tragedia che li attendeva quattro mesi più tardi.
E’ il 23 gennaio 1978, siamo a Woodland Hills, a sud della San Fernando Valley. In questo sobborgo di Los Angeles abita Don Johnson, uno dei roadie più fidati e di lunga data della jazz-rock band Chicago. Johnson aveva invitato molti amici ad un party quel pomeriggio, e tra i presenti non poteva mancare Terry Kath, talentuoso chitarrista e occasionalmente cantante della band. Kath stava attraversando un periodo di profonda inquietudine. La strada presa dalla band non era così soddisfacente nonostante il successo commerciale e stava pianificando un album solista. In aggiunta, Kath era diviso nella sua vita privata tra una dipendenza da droghe-alcool e una crescente passione per le armi da fuoco.
Questi fattori avevano portato molte delle persone a lui più vicine ad esprimere una sincera preoccupazione. I più allarmati dalla deriva presa da Kath erano il bassista della band Peter Cetera, il batterista e amico dai tempi della scuola Danny Seraphine e lo storico produttore James William Guercio. Ma il pomeriggio sembra andare più che bene, Kath è sorridente e di ottimo umore, la band festeggia il successo dell’undicesimo album in studio e nulla lascia presagire quello che sta per succedere.
Sono circa le 17 quando Kath prende in mano una P38, si dondola sullo schienale di una sedia ed inizia a giocare con la pistola. Johnson è visibilmente preoccupato e gli chiede di metterla via, ma Kath sfodera uno dei suoi sorrisi più convincenti e lo rassicura “Hey Don, lo vedi che il caricatore è vuoto?” mostrandogli la pistola aperta, mettendosela poi alla tempia e premendo più volte il grilletto a vuoto.
Il gioco sembra finito qui, ma Kath ha un’altra pistola, una 9 mm semiautomatica, ed inizia a giocare anche con quella. Johnson gli chiede di posarla, ma Kath con una risata gli fa vedere che anche questa pistola ha il caricatore vuoto e sorridendo se la punta alla tempia. Ma il chitarrista non sa che un maledetto proiettile è rimasto nella camera di scoppio, e appena preme il grilletto il mondo perde uno dei più straordinari chitarristi e cantanti della storia del rock.
La morte di Kath pone fine ad un’era dei Chicago. L’album successivo, il primo senza il chitarrista, vede anche la fine della decennale collaborazione con Guercio. Addirittura (caso pressoché unico nella storia della band) si presenta sugli scaffali nell’ottobre del 1978 con un titolo: Hot Streets. Il sound della band cambia radicalmente, strizzando l’occhio alla moda imperante all’epoca della disco music. Da quel momento in poi ci sarà un lento declino delle loro fortune discografiche, anche se la band è tuttora in attività nel 2018.
Michelle Kath Sinclair ha ancora un vivido ricordo di suo padre Terry, morto quando lei aveva solo circa due anni. Lei e i suoi genitori stavano viaggiando su una barca vicino a una casetta del Wisconsin di proprietà dei suoi nonni. “Ero in braccio a mia mamma, mio padre guidava la barca e disse: ‘Oh, dobbiamo girarci perché la diga è qui vicino'”. L’episodio è apparentemente insignificante, ma occupa da sempre un posto rilevante nel cuore di Michelle. La ragazza ha vissuto la straordinaria carriera del padre solo dai ricordi delle persone che gli erano state vicine.
Per scoprire e capire meglio la vita e la musica del padre, Michelle ha raccolto dei fondi attraverso un crowdfunding per la realizzazione di un documentario sul padre dal titolo The Terry Kath Experience: A Daughter’s Journey. Il progetto è nato dalla frustrazione di Michelle nel vedere il talento e il lavoro del padre quasi totalmente dimenticato dal grande pubblico. Dopo aver trovato una serie di memorabilia, Michelle ha intrapreso un viaggio alla scoperta del mondo del padre e alla ricerca della sua iconica Telecaster persa da qualche parte. Michelle ha intervistato moltissime persone legate in qualche modo a Terry Kath. Non solo la famiglia, i suoi compagni nei Chicago, e i suoi amici personali, ma anche altri musicisti ispirati dal suono del padre. Così è riuscita a mettere insieme i pezzi della vita di una delle leggende del rock più trascurate degli anni ’70.
Michelle scrive: “L’idea di fare un film su mio padre è nata molti anni fa. Guardando alcune sue vecchie foto ho realizzato che in realtà non conoscevo completamente la sua storia. La sua era la tipica storia di un ragazzo americano cresciuto nel midwest, che, da adolescente, prende in mano una chitarra, si innamora del suo strumento e finisce per diventare una famosa rockstar. Dopo tutti gli alti e bassi tipici del musicista di successo, la vita di mio padre è finita improvvisamente prima del mio terzo compleanno.
Il mio viaggio alla scoperta del mondo di papà è iniziato con la prima intervista. Potevo solo sognare che fare questo film mi potesse portare ad essere più vicina a mio padre e ad aiutarmi a capire meglio l’uomo che è stato e le decisioni che ha preso. Incontrare tutte queste persone ed ascoltare le loro storie su di lui sono ricordi che porterò sempre con me. Sarò grata per sempre a tutte le persone che mi hanno aiutato a compiere questo viaggio e a scoprire l’uomo che è stato mio padre.”
Il film-documentario è stato presentato in alcuni film festivals e negli Stati Uniti sulla AXS TV. Inoltre è già uscito in DVD, Blu-ray, e su Amazon, iTunes e altre piattaforme di streaming.
Se volete sapere chi è quel chitarrista straordinario che fece esclamare ad un incredulo Jimi Hendrix “Questo chitarrista è più bravo di me!”, non perdetevi questo film e andate ad ascoltare il suo perfetto fraseggio, la sua voce baritonale ricca di sentimento e di soul, e riscoprite un personaggio che ci ha lasciato 40 anni fa, e che merita di essere ricordato e riascoltato come e più di moltissimi artisti più famosi che sono nei nostri cuori e nei nostri padiglioni auricolari.