Le avventure in musica di Sounds & Grooves proseguono nella 17° Stagione di RadioRock.TO The Original
Nel decimo episodio stagionale di Sounds & Grooves troverete i miei omaggi a quattro straordinari musicisti che ci hanno lasciato
Torna l’appuntamento quindicinale di Sounds & Grooves che per il 17° anno consecutivo impreziosisce (mi piace pensarlo) lo straordinario palinsesto di www.radiorock.to. A pensarci è incredibile che sia passato già così tanto tempo da quando abbiamo iniziato questa folle ma fantastica avventura. Come (credo) già sapete, la nostra podradio è nata per dare un segnale di continuità con il passato, con quella meraviglia che Franz Andreani, Marco Artico, Flavia Cardinali, Massimo Di Roma, Michele Luches, Aldo Semenuk, Giampiero Crisanti, Gianpaolo Castaldo avevano creato e a cui, nel mio piccolo, ho provato a dare un contributo dal 1991 al 2000. Sappiamo tutti benissimo che la Radio Rock in FM come la intendevamo noi è sparita da almeno due decenni, ma in tutti questi anni di podcast sul web abbiamo cercato di tenere accesa quella fiammella per poi tentare di moltiplicarla, facendola diventare un faro di emozioni e qualità musicale. Perché la passione e la voglia di fare radio, la voglia di ascoltare e di condividere la musica di qualità, nonostante tutto, non ci è mai passata. Questa creatura dopo più di 3 lustri continua orgogliosamente a remare controcorrente, cercando quella libertà in musica che nell’etere è ormai diventata una mosca bianca, ed esprimendo con forza la passione per la condivisione, per la ricerca, per l’approfondimento. Non dobbiamo aderire ad una cieca linea editoriale che ormai spinge esclusivamente il pulsante play dei servizi di streaming, ma ci lasciamo guidare semplicemente dal nostro cuore e dalla nostra passione. Fulvio Savagnone, Marco Artico, Giampiero Crisanti, Franz Andreani, Flavia Cardinali, Francesco Cauli, Ivan Di Maro, Massimo Santori aka Moonchild, Maurizio Nagni ed io proviamo ogni giorno a coinvolgervi con i nostri podcast regolari e con le rubriche tematiche di approfondimento, sperando di farvi sentire sempre di più parte di questa fantastica avventura.
Nel decimo viaggio della nuova stagione troverete il mio omaggio a quattro musicisti straordinari che ci hanno lasciato da poco, ripercorrendone in breve la carriera: Burt Bacharach, David Crosby, Jeff Beck e Tom Verlaine. Andremo poi a riascoltare due gruppi la cui reunion ci ha sorpreso: Brainiac e The Van Pelt. A chiudere il tutto troveremo la straordinaria sinergia tra Billy Bragg e Wilco con una canzone memorabile il cui testo è stato scritto da Woody Guthrie e il ritorno in forma splendida dei sognanti Yo La Tengo. Il tutto, come da ben 16 anni a questa parte, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
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Iniziamo il podcast celebrando la vita e le opere di un autore straordinario. Burt Bacharach ci ha accompagnato cavalcando i gli anni con una leggerezza e una freschezza incredibile. Impossibile per tutti non essersi imbattuti in una delle sue composizioni. Bacharach, scomparso l’8 febbraio a 94 anni, è riuscito a creare uno stile compositivo elegante e mai banale, rivendicando la dignità della “canzone pop”. L’apparente accessibilità delle sue composizioni andava a braccetto con l’originalità e la complessità, facendo in modo da renderle sempre riconoscibili, da “I Say a Little Prayer” (portata al successo da Aretha Franklin) alla “Raindrops Keep Falling On My Head” che gli ha permesso di vincere un Oscar per la colonna sonora di Butch Cassidy. Nato a Kansas City nel 1928 e cresciuto a New York, ha iniziato a prendere lezioni di pianoforte a otto anni ma più della musica classica, era appassionato di jazz. La collaborazione durata circa 20 anni con il paroliere Hal David ha dato la vita ad una quantità di brani in cui l’easy listening diventa capolavoro, brani poi riproposti da numerosissimi artisti negli anni a seguire.
La sua musica si è sempre tenuta lontana dalle mode, e alle soglie del 2000, a rendere di nuovo Bacharach noto presso il grande pubblico ci ha pensato Declan Patrick MacManus. in arte Elvis Costello, il cui amore per Bacharach era consolidato nel tempo visto che già nel 1977 suonava dal vivo la “I Just Don’t Know What To Do With Myself” del compositore statunitense. La collaborazione, iniziata con “God Give Me Strength”, commissionata per il film del 1996 Grace of My Heart, non poteva restre circoscritta, così i due hanno composto e pubblicato undici nuove canzoni che, insieme al quella registrata due anni prima, hanno preso il nome di Painted From Memory (The New Songs Of Bacharach & Costello) album meraviglioso e commovente da cui abbiamo esteratto “This House Is Empty Now”. Effettivamente la “casa del pop” è molto più vuota adesso senza le melodie senza tempo, i ritmi inattesi, le armonie complesse, e i cambiamenti di tempo di questo compositore straordinario.

Come detto in precedenza, purtroppo questi primi due mesi del 2023 ci hanno portato via altri tre dei nostri eroi, quelli che sembravano immortali e che comunque il loro impatto sulla storia della musica e sulla nostra parte emotiva e sentimentale ha reso immortali. Il primo di cui parliamo è David Crosby, membro fondatore dei Byrds. Nel 1967 il gruppo è già famoso grazie alla rilettura di un classico di Dylan come “Mr. Tambourine Man”, portato nel 1965 addirittura in vetta alle classifiche americane. La formazione dell’epoca vede Roger McGuinn e David Crosby a chitarra e voce, Chris Hillman al basso e Michael Clarke alla batteria, e Younger Than Yesterday è il primo album che non vede l’apporto del principale autore delle canzoni del gruppo, Gene Clark, che se ne andò nel febbraio 1966. McGuinn e Crosby proseguono il discorso iniziato nel precedente Fifth Dimension rendendo il suono più psichedelico e impreziosendolo con mille finezze e sfumature.
Il disco vede una delle più belle composizioni di Crosby come “Everybody’s Been Burned”. L’album in patria non andò oltre la posizione N°24, ricevendo tuttavia recensioni complessivamente positive da parte della stampa musicale ufficiale, anche se al contrario la stampa underground ebbe commenti meno lusinghieri nei confronti dell’opera. Il celebre giornalista rock Lester Bangs affermò che “Younger Than Yesterday può essere considerato come il Revolver del pop-rock americano”. Probabilmente il disco del 1967 resta l’apice di un gruppo che di lì a poco perderà proprio l’apporto di David Crosby (non proprio un modello di comportamento), accusato di eccessivo egocentrismo, sostituito da un personaggio cardine del country-rock come Gram Parsons.

Una volta conclusa bruscamente l’epoca The Byrds David Crosby iniziò ad incontrarsi con Stephen Stills e a suonare insieme. I due avevano suonato insieme sul palco del Monterey Pop Festival, quando Crosby aveva preso il posto di Neil Young che aveva lasciato la band poco prima. All’inizio del 1968, i Buffalo Springfield si erano ormai sciolti, per cui anche Stills era senza una band. Graham Nash era stato presentato a Crosby durante la tournée dei Byrds nel Regno Unito nel 1966, e quando gli Hollies arrivarono in California nel 1968 nell’ambito del loro tour americano, i due ripresero i contatti. La leggenda vuole che nel luglio del 1968, durante una cena a una festa in un’altra casa di Laurel Canyon (la casa di Joni Mitchell o di Cass Elliot, le testimonianze dei tre membri differiscono), Nash invitò Stills e Crosby a eseguire una composizione di Stills, “You Don’t Have to Cry”. Lo fecero due volte, dopodiché Nash imparò il testo e improvvisò una nuova parte armonica per la terza esecuzione, e i tre si resero conto subito di avere una straordinaria chimica vocale. Graham Nash, in un’intervista del 2014, ha dichiarato: “Qualunque sia il suono di Crosby, Stills e Nash è nato in 30 secondi. È il tempo che abbiamo impiegato per armonizzare le nostre voci”.
Frustrato dal punto di vista creativo dagli Hollies, Nash decide di lasciare la band nel dicembre 1968 e vola a Los Angeles due giorni dopo. Ahmet Ertegun, che era stato un fan dei Buffalo Springfield e che era rimasto deluso dalla scomparsa di quella band, li mise sotto contratto con la sua etichetta, l’Atlantic Records. Fin dall’inizio, date le loro precedenti esperienze, il trio decise di non essere vincolato a una struttura di gruppo. Usarono i loro cognomi come identificativi per assicurare l’indipendenza e la garanzia che la band non avrebbe potuto continuare senza uno di loro, a differenza dei Byrds e degli Hollies. Il primo album del trio, Crosby, Stills & Nash, viene pubblicato nel maggio 1969, raggiungendo la posizione n. 6 della classifica degli album di Billboard durante 107 settimane di permanenza. Con l’eccezione del batterista Dallas Taylor e di una manciata di parti di chitarra ritmica e acustica di Crosby e Nash, Stills (soprannominato “Captain Many Hands” dai suoi compagni di band) si è occupato della maggior parte della strumentazione (comprese tutte le parti di chitarra solista, basso e tastiera).La scelta per il brano da inserire è caduta su “Wooden Ships”, composta da Crosby in collaborazione con un altro ospite, Paul Kantner dei Jefferson Airplane che poi inserirà la sua versione in Volunteers.

Dopo il successo dell’esordio, i tre inizialmente cercarono di assumere un tastierista. Stills si rivolse inizialmente al virtuoso polistrumentista Steve Winwood, già impegnato con il gruppo di nuova formazione Blind Faith. Ma ancora Ahmet Ertegun (co-fondatore e presidente dell’Atlantic) suggerì l’ex membro dei Buffalo Springfield Neil Young come scelta abbastanza ovvia; sebbene fosse principalmente un chitarrista, Young era un abile tastierista e avrebbe potuto alternarsi allo strumento con Stills e Nash in un contesto live. In realtà questa soluzione non era la preferita per Stills e Nash: il primo a causa dei suoi trascorsi con Young nei Buffalo Springfield e il secondo per la sua personale mancanza di familiarità con Young. Ma dopo diversi incontri, il trio si espanse fino a diventare un quartetto con Neil Young come partner a tutti gli effetti. I termini del contratto permettevano al canadese di mantenere una carriera parallela con la sua nuova band, i Crazy Horse così nacquero Crosby, Stills, Nash & Young.
Il quartetto è ormai noto per le loro intricate armonie vocali e per il grande impatto sulla musica e sulla cultura americana, oltre che per il loro attivismo politico e le relazioni interpersonali spesso non propriamente tranquille. Con Young a bordo, il gruppo, con il giovanissimo bassista Greg Reeves, intraprese un tour di quattro tappe e 39 date che si concluse con tre concerti europei nel gennaio 1970. Il loro primo grande concerto pubblico fu il 16 agosto 1969, all’Auditorium Theatre di Chicago, con Joni Mitchell come apertura. Dissero che il giorno dopo sarebbero andati in un posto chiamato Woodstock, ma che non avevano idea di dove fosse. Paradossalmente il loro secondo concerto fu un vero battesimo del fuoco, la mattina presto del 18 agosto 1969, sul palco del Festival di Woodstock. Il loro primo album con Young, Déjà Vu, arrivò nei negozi nel marzo 1970, rimanendo in cima alle classifiche americane per ben 97 settimane. Il brano scelto non è la famigerata “Woodstock”, scritta da Joni Mitchell, ma la splendida title track scritta proprio da David Crosby.

Proprio all’apice del successo, la fidanzata di Crosby, Christine Hinton, morì in un incidente d’auto. David Crosby ne rimase sconvolto, “Non sapevo come affrontarlo. Era una cosa più grande di me e ha finito per schiacciarmi. Seduto per terra nello studio, piangevo senza sosta” e per lui iniziò un lungo periodo di abuso di droghe che gli rese sempre più difficile ogni tipo di rapporto. In quel periodo CSN&Y erano al culmine del loro successo, ma David non riusciva davvero a riprendersi. per provare a rimettere insieme i pezzi ecco tutti i suoi amici raccogliersi intorno a lui per la registrazione del suo esordio come solista. Nei Wally Heider Studios di San Francisco si presenta tutto il meglio della West Coast: Jerry Garcia e quasi tutti gli altri Grateful Dead (Phil Lesh basso, Mickey Hart e Bill Kreutzmann batteria), Grace Slick, Paul Kantner, Jorma Kaukonen e Jack Casady dei Jefferson Airplane, David Freiberg dei Quicksilver Messenger Service, Michael Shrieve e Gregg Rolie dalla band di Santana, Joni Mitchell oltre a Graham Nash e Neil Young.
Tutti insieme a circondare un amico bisognoso di aiuto, dimenticando per un attimo il suo carattere non propriamente facile. Il risultato è una meraviglia chiamata If I Could Only Remember My Name, pubblicato nel febbraio del 1971. Meraviglia che all’epoca fu stroncata da due dei maggiori critici dell’epoca. Lester Bangs scrisse: “Il canto di Crosby è blando e monotonamente monodimensionale e l’album pur non essendo brutto probabilmente non passerà alla storia. Comunque è un perfetto aiuto uditivo per la digestione quando si hanno ospiti a cena”. Robert Christgau fu ancora più tranchant descrivendo il disco come una “performance vergognosa”. Fortunatamente col passare del tempo, fu ampiamente rivalutato fino a diventare una pietra miliare del rock californiano e della cultura alternativa di quegli anni. “Cowboy Movie” è un brano straordinario di otto minuti con un Jerry Garcia assoluto protagonista. David Crosby è stato comunque un genio, uno che faceva e diceva quel che voleva, spesso senza curarsi delle conseguenze. Non si nascondeva dai media e se veniva intervistato parlava a ruota libera, senza freni. E’ stato in prigione, ha subito un trapianto di fegato, è stato amato e odiato, negli ultimi anni aveva trovato la serenità senza perdere il suo amore per la musica. Ci ha lasciato un grande autore e membro di ben due formazioni fondamentali nella storia del rock. Ciao David.

Che gruppo incredibile sono stati gli Yardbirds, nati nel 1963 dalla fusione di due gruppi: Metropolis Blues Band, in cui militavano Keith Relf e Paul Samwell-Smith, e i Suburban R&B cui appartenevano Chris Dreja, Jim McCarty e Anthony “Top” Topham. La formazione iniziale dunque comprendeva: Relf alla voce e armonica, Samwell-Smith al basso, McCarty alla batteria, Chris Dreja alla chitarra ritmica ed infine Topham alla chitarra solista. Appassionati di Rhythm & Blues si fecero subito conoscere nella scena londinese prima che il giovanissimo Topham lasciasse spazio al diciasettenne Eric Clapton, anch’egli studente (come altri nel gruppo) della “Kingston School of Art”. Dopo un primo contratto discografico la band pubblicò un album di debutto dal vivo, Five Live Yardbirds, che conteneva le cover di dieci canzoni blues e rhythm and blues americane. Ma la svolta “pop” impressa dal gruppo con il singolo “For Your Love”, scritto appositamente dal futuro componente dei 10cc Graham Gouldman, ebbe un impatto negativo sul purista del blues Clapton che andò via per raggiungere la nave scuola del blues britannico condotta da John Mayall.
Clapton consigliò come suo sostituto il giovane turnista Jimmy Page, che tuttavia rifiutò l’offerta non volendo perdere il suo lavoro da session man e l’amicizia di Clapton. A sua volta Jimmy Page raccomandò un amico, l’allora sconosciuto Jeff Beck che a marzo del 1965 entrò ufficialmente nella formazione. Jeff Beck aveva influenze diversa da slowhand e iniziò delle sperimentazioni sonore davvero inedite per l’epoca con distorsioni, fuzz, feedback, wah wah. Chitarrista dallo stile inconfondibile, incorporò psichedelia, influenze latino-americane ed indiane e la nuova spinta propulsiva data da Beck al gruppo si tradusse in un album splendido intitolato semplicemente Yardbirds o conosciuto come Roger The Engineer (riferito all’ingegnere del suono Roger Cameron graficamente raffigurato sulla copertina del disco in una caricatura opera del chitarrista Chris Dreja). Durante il tour seguente, a causa di un malessere di Beck, Page dovette sostituire il compagno durante un concerto a San Francisco, mostrando al pubblico tutto il suo valore. Al rientro di Beck, Chris Dreja venne quindi spostato definitivamente al basso e la band continuò con un’inedita (e avveniristica per l’epoca) formazione a due chitarre soliste. Di questa formazione, una delle più brillanti del periodo, rimane soltanto il singolo dalle venature psichedeliche “Happenings Ten Years Time Ago”. Dopo poco Beck lasciò la band che mal sopportava i suoi continui cambi di umore per intraprendere la carriera solista.

Abbiamo appena parlato dei primi passi nel music business di un altro grande della musica che ci ha lasciato da poco: Jeff Beck. Una chitarra forte ed espressiva come è stata quella di un grande pioniere del rock. Nonostante le bizze caratteriali esibite soprattutto ad inizio carriera, era una persona estremamente stimata nell’ambiente. Citato come fonte da una quantità innumerevole di chitarristi, il suono di Beck (più della Settimana Enigmistica) “vanta innumerevoli tentativi di imitazione”. Ma il suo era davvero un suono unico, una tecnica personale, espressa con le dita, uno stile unico e riconoscibile tra centinaia di altri. Come detto nel Novembre del 1966 Beck lascia/viene cacciato dagli Yardbirds e inizia a pensare ad una carriera solista.
Dopo alcuni singoli inizia a mettere su un gruppo davvero straordinario con Rod Stewart alla voce, Nicky Hopkins (il più ricercato session man di quel periodo) al piano, Ron Wood al basso e Micky Waller alla batteria. Il disco di esordio di questa nuova band si intitola Truth e viene pubblicato nel luglio del 1968. Beck mette subito le cose in chiaro inserendo in apertura di programma “Shapes Of Things” del suo ormai ex gruppo e nelle seguenti nove tracce mette in piedi tutto il suo strabordante arsenale sonoro tra blues (due le cover di Willie Dixon) un hard rock ante litteram, folk e psichedelia. E se il suo “Beck’s Bolero” vede una formazione da all stars con Jimmy Page, John Paul Jones (futuri Led Zeppelin) e Keith Moon (The Who) alla batteria, “Let Me Love You” è il brano scelto per rappresentare un disco sottovalutato all’epoca anche se ebbe un discreto successo.

Alla fine degli anni ’60 due adolescenti, Thomas Miller e Richard Lester Meyers, frequentano la Sanford School di Hockessin, Delaware, diventando presto ottimi amici e condividendo la passione per la poesia e la musica. Nei primi anni ’70 si trasferiscono a New York, cambiano il loro nome in Tom Verlaine e Richard Hell, e formano una band proto-punk chiamata Neon Boys insieme al batterista Billy Ficca. Chiusa l’avventura Neon Boys i tre non si perdono d’animo, accolgono in formazione il secondo chitarrista Richard Lloyd, e cambiano il nome della ragione sociale in Televison. La band diede l’avvio alla scena punk di New York suonando la domenica al leggendario CBGB. Nel 1975 Richard Hell lasciò la band dopo alcuni dissidi sulla leadership del gruppo con Verlaine per fondare gli Heartbreakers con Johnny Thunder.
Un anno dopo 1976, Hell lasciò anche gli Heartbreakers per dare vita alla sua band personale, i Richard Hell & the Voidoids con Robert Quine, Ivan Julian e Marc Bell (che poco dopo entrò a far parte dei Ramones, adottando lo pseudonimo di Marky Ramone). Il loro album di esordio Blank Generation, marchiò davvero a fuoco un’intera generazione. Alcune canzoni come “Love Comes in Spurts” e la title track erano già state scritte durante la prima fase dei Television. Il brano, uno degli inni e dei brani fondamentali di tutto il punk USA, è un’aperta accusa ad una generazione che sembra non avere più alcun ideale da perseguire. Il “blank” è da indicarsi come uno spazio vuoto in cui ognuno può aggiungere la propria definizione. Conclusasi la parabola dei Voidoids, Hell si ritirò completamente dal mondo della musica dandosi alla letteratura.

La recente scomparsa di Tom Verlaine ha davvero lasciato un vuoto incolmabile in molti appassionati di musica, non solo in quelli che hanno vissuto in prima persona i primi fasti del punk newyorkese ma anche in tutti quelli che hanno trovato la via del rock grazie all’incredibile chitarra di questo straordinario musicista e sono rimasti folgorati da un album intitolato Marquee Moon. La cosa paradossale è stata che nonostante i Television fossero stati i primi a lanciare l’intera scena punk a NYC, furono praticamente gli ultimi a pubblicare il loro album di esordio. Come detto dopo l’abbandono di Richard Hell subentrò Fred Smith, proveniente dai Blondie. Con lui venne inciso un singolo autoprodotto, “Little Johnny Jewel” (edito dall’etichetta indipendente Ork), che venne ben accolto nell’ambiente e dalla critica e suscitò l’interesse delle major e di un certo Brian Eno. Nel 1976 i Television firmarono un contratto con l’Elektra Records e poterono cominciare le registrazioni del primo album. Come detto, furono paradossalmente gli ultimi della fiorente scena newyorkese a far uscire un album: Horses di Patti Smith venne pubblicato nel 1975, seguito a ruota un anno dopo dall’esordio dei Blondie e dei Ramones.
Finalmente, l’8 febbraio 1977, i Television pubblicano Marquee Moon, e valeva la pena aspettare così a lungo per un simile capolavoro. L’album sfoggia in copertina una foto di Robert Mapplethorpe, e non ebbe immediatamente una reazione entusiastica. A 40 anni di distanza possiamo dire che l’album ha raggiunto un incredibile quanto singolare conquista: quella di trascendere l’etichetta “punk” e di suonare ancora fresco e attuale. Un vero classico dall’inizio alla fine. Il disco è allo stesso tempo una rivisitazione della psichedelia dei ’60, ma messa in pratica in era punk, reinventandosi e facendo diventare i Television di fatto i padri fondatori della nascente new wave. “Friction” è solo un esempio delle meraviglie contenute in un album che è entrato a pieno diritto nella storia del rock, soprattutto grazie alla chitarra di un ispiratissimo Tom Verlaine.

Sarebbe ingiusto e riduttivo limitare Tom Verlaine ai soli album dei Television. Già all’epoca del CBGB sembrava un uomo fuori dal tempo, destinato a fare musica che risuonasse a lungo anche dopo che la scena punk si fosse placata. Nelle mani di Verlaine, la chitarra diventava contemporaneamente estatica e privata, on stage non aveva bisogno di avere i riflettori puntati, anzi, a volte sembrava estraniarsi per concentrarsi sulle note che imprigionava e poi faceva uscire dalla sua sei corde. Un approccio allo strumento che avrà una enorme quantità di seguaci. Una sorta di fluido virtuosismo che non era mai fine a se stesso o ridondante e che doveva molto alla sua mai sopita passione per il jazz.
Dopo lo scioglimento dei Television, Verlaine ha iniziato nel 1979 una carriera solistica lo ha visto produrre una serie di album eleganti che ne proseguivano idealmente il percorso intrapreso con la sua band. Uno dei miei preferiti è il terzo, Words From The Front, pubblicato nel giugno del 1982 da cui ho voluto proporre la title track. La sua produzione si è fatta sempre più rarefatta negli ultimi tre decenni: il suo ultimo disco, Songs And Other Things, risale al 2006. Poi ci sono state alcuna collaborazioni, una breve riunione dei Television e i concerti con l’amica di sempre Patti Smith, dove suonava sempre defilato sul palco, non volendo togliere nulla alla protagonista ma impreziosendo il suono con la sua inimitabile chitarra che ci mancherà moltissimo.

Nel 2016 ci avevano illuso, pubblicando un album dal vivo registrato in Italia due anni prima ed intitolato Tramonto. Sembrava davvero iniziata una nuova fase per i The Van Pelt, la band indie-rock newyorkese formata da Chris Leo nel 1993 che ha all’attivo un paio di album ed una manciata di EP pubblicati prima dello scioglimento del gruppo avvenuta nel 1997. Abbiamo dovuto aspettare altri sette anni prima dell’effettiva riunione del gruppo e della pubblicazione di un nuovo album dopo ben 25 anni di silenzio. Artisan & Merchant verrà pubblicato il 17 marzo 2023 e sarà preceduto dalle attese ristampe dei due album pubblicati dal gruppo: Stealing From Our Favorite Thieves del 1996 e Sultans Of Sentiment del 1997.
Proprio quell’ultimo album in studio è stato con ogni probabilità l’apice della vena compositiva di Chris Leo (fratello di Ted Leo) Brian Maryansky, Sean Green e Neil O’ Brien. Un album pervaso da ritmi circolari, chitarre torbide, fluide e ripetitive. Il meglio del rock indipendente americano dell’epoca, come dimostra la splendida “The Young Alchemists”. Dopo quest’album Chris Leo e la bassista Toko Yasuda formeranno i The Lapse, band che durerà molto poco in quanto la Yasuda preferirà unirsi ai Blonde Redhead. Adesso ci resta solo di avere un po’ di pazienza sperando sia rimasta un po’ dell’antica magia nelle mani di Chris Leo e compagni.

C’è un altro gruppo cui sono molto legato che si è sorprendentemente riunito, anche se (per adesso) solo per una tournee culminata con una data nella loro città natale di Dayton, Ohio. I Brainiac sono stati una band fuori dagli schemi e dall’immenso potenziale che sfortunatamente non ha mai fatto in tempo ad esplodere in tutto il suo goliardico genio. Come troppo spesso accade, è stata una tragedia a porre fine alla loro storia nel momento in cui stavano raccogliendo i frutti di un duro lavoro per diventare una stella del firmamento musicale. Dopo aver limato il loro suono nei primi due lavori facendo viaggiare i brani con un’alternanza di pause e accelerazioni ricca di pathos e di tensione emotiva, la firma con la prestigiosa Touch And Go aveva dato finalmente alla band di Dayton, Ohio, la visibilità che meritava. La struttura delle canzoni di Hissing Prigs in Static Couture è isterica e psicotica, le tracce sembrano respirare e contorcersi vivendo di vita propria, abbandonando quasi completamente la tradizionale struttura almeno per una buona metà dell’album.
Lo stridulo falsetto di Tim Taylor sbraita raddoppiandosi, le nevrotiche linee di synth lanciano la chitarra in orbita, il basso pulsa vigoroso. Il disco vede tracce dalla grande tensione garage come “This Little Piggy”, dove il cantato di Taylor supera sempre il livello rosso in una veemente interpretazione, brano che ho scelto per rappresentare un album fondamentale per ogni fan che si rispetti dell’Indie Rock anni ’90. Ma il loro quarto album non vedrà mai la luce. La notte del 23 maggio 1997 Tim Taylor perde la vita in un incidente automobilistico mentre stava tornando a casa dallo studio di registrazione. I Brainiac si sciolgono con effetto immediato. Auto-ironici, stravaganti, geniali. Chissà cosa sarebbe successo se la loro storia non si fosse così drammaticamente interrotta. L’attuale formazione vede i tre membri superstiti, John Schmersal (chitarra e adesso anche voce), Juan Monasterio al basso e Tyler Trent alla batteria, con l’ausilio del chitarrista Tim Krug.

Nel 1998 Billy Bragg è già un acclamato songwriter con sette album alle spalle e almeno un capolavoro pubblicato (Talking with the Taxman About Poetry). I Wilco hanno pubblicato due anni prima Being There, il loro secondo lavoro, e non sono ancora esplosi come già avrebbero meritato. Già tre anni prima, nella primavera del 1995, la figlia di Woody Guthrie, Nora, aveva contattato Bragg (dopo aver visto uno splendido concerto tributo a Guthrie dell’inglese al Central Park di New York) chiedendogli se poteva scrivere la musica di una selezione di testi completi di Guthrie. Suo padre aveva lasciato più di un migliaio di testi completi scritti tra il 1939 e il 1967 e poiché non erano stati registrati da Guthrie e lui non scriveva musica, nessuno di questi testi aveva una musica, se non una vaga notazione stilistica.
Nora Guthrie indica che era sua intenzione affidare le canzoni a una nuova generazione di musicisti in grado di renderle attuali per una generazione più giovane. Bragg a sua volta contattò i Wilco e chiese loro di partecipare al progetto. I Wilco accettarono e, oltre a registrare con Bragg in Irlanda, ricevettero la loro parte di canzoni da completare. Piuttosto che ricreare brani nello stile di Guthrie, Bragg e Wilco hanno creato una musica nuova e contemporanea per i testi. L’album, pubblicato nel 1998 con il titolo Mermaid Avenue, ha riscosso un ottimo successo di critica, tale da spingere la band di Chicago ed il cantautore inglese a pubblicare un volume 2 nel 2000. “One By One”, con la musica del leader dei chicagoani Jeff Tweedy, è una canzone assolutamente meravigliosa che i Wilco suonano spesso in tour.

Chiudiamo il podcast con un grandissimo e gradito ritorno. Il tempo passa ma gli Yo La Tengo, che hanno corso contro il tempo per quasi quattro decenni, continuano clamorosamente a resistere al ticchettio dell’orologio. L’ultima vittoria del trio si chiama This Stupid World, un’incantevole serie di canzoni riflessive che sono state prodotte in proprio, visto che il giudizio di Ira Kaplan, Georgia Hubley e James McNew è abbastanza solido e collaudato da mantenere alti gli standard della band e abbastanza agile da poter creare cose nuove. Alla base di quasi tutti i brani del nuovo album c’è il trio che riesce a suonare quasi in presa diretta, dando al tutto un’impressione di immediatezza, mantenendo i loro classici ritmi ipnotici.
Il tempo continua a scorrere e noi continuiamo a cercare di fare qualcosa per evitarlo, una dichiarazione provocatoria ma chiara che suggerisce la volontà di combattere contro le avversità. Questo realismo porta al risoluto ottimismo del brano di chiusura di This Stupid World, “Miles Away”, che vede il passare del tempo e le variabili impazzite della vita come cose da affrontare piuttosto che come motivi per disperarsi. “You feel alone / Friends are all gone,” canta dolcemente la Hubley, “Keep wiping the dust from your eyes”. Un grande ritorno di una delle band più amate, una perfetta chiusura di podcast.
Un grazie speciale va, come sempre, a Franz Andreani per la sua passione, la gestione di questa banda di pazzi e per la splendida riorganizzazione del sito già attiva da qualche anno. A cambiare non è stata solo la versione grafica del sito, ma anche la “filosofia” della podradio, con le rubriche che vanno ad integrarsi nella programmazione regolare sotto l’hashtag #everydaypodcast. Sulla nostra pagina Facebook troverete quotidianamente ogni upload del sito e, ormai da tempo, è attivo anche lo splendido canale YouTube della Radio, una nuova formula senza interruzioni ne spot per ascoltare la vostra-nostra musica preferita. Iscrivetevi numerosi, vi aspettiamo!
Nel prossimo episodio di Sounds & Grooves troverete il mio personale omaggio a un grande del jazz (e non solo) come Wayne Shorter, con brani di Weather Report e Miles Davis. Continueremo quella piccolissima panoramica su quella straordinaria avventura del punk a NYC che faceva capo al CBGB insieme a Ramones, Dead Boys e Talking Heads. Parleremo dei Wire e del progetto del loro bassista Graham Lewis chiamato Elegiac, riscopriremo il post rock britannico degli anni ’90 con Bark Psychosis e Moonshake, la nuova ondata psichedelica con The Black Angels e un incattivito Pete Townshend d’annata. Ascolteremo anche tre delle novità più interessanti di questo inizio 2023: il nuovo ricchissimo Algiers, la collaborazione tra Graham Coxon dei Blur e Rose Elinor Dougall chiamata The Waeve e il secondo di una delle più promettenti cantautrici britanniche come Anna B Savage. Il tutto sarà, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
Intanto se volete potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, criticare (perché no), o proporre nuove storie musicali. Mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web.
Se volete ascoltare o scaricare il podcast, potete farlo anche dal sito della PodRadio cliccando sulla barra qui sotto. Buon Ascolto
TRACKLIST
01. ELVIS COSTELLO with BURT BACHARACH: This House Is Empty Now da ‘Painted From Memory’ (1998 – Mercury)
02. THE BYRDS: Everybody’s Been Burned da ‘Younger Than Yesterday’ (1967 – Columbia)
03. CROSBY, STILLS & NASH: Wooden Ships da ‘Crosby, Stills & Nash’ (1969 – Atlantic)
04. CROSBY, STILLS, NASH & YOUNG: Déjà Vu da ‘Déjà Vu’ (1970 – Atlantic)
05. DAVID CROSBY: Cowboy Movie da ‘If I Could Only Remember My Name’ (1971 – Atlantic)
06. THE YARDBIRDS: Happenings Ten Years Time Ago da ‘Roger The Engineer’ (1966 – Columbia)
07. JEFF BECK: Let Me Love You da ‘Truth’ (1968 – Epic)
08. RICHARD HELL & The VOIDOIDS: Love Comes In Spurts (Live At CBGB November 19, 1976) da ‘Blank Generation’ (1977 – Sire)
09. TELEVISION: Friction da ‘Marquee Moon’ (1977 – Elektra)
10. TOM VERLAINE: Words From The Front da ‘Words From The Front’ (1982 – Warner Bros. Records)
11. THE VAN PELT: The Young Alchemists da ‘Sultans Of Sentiment’ (1997 – Gern Blandsten)
12. BRAINIAC: This Little Piggy da ‘Hissing Prigs In Static Couture’ (1996 – Touch And Go)
13. BILLY BRAGG & WILCO: One By One da ‘Mermaid Avenue’ (1998 – Elektra)
14. YO LA TENGO: Miles Away da ‘This Stupid World’ (2023 – Matador)