Un piccolo spazio per riscoprire grandi cose
Wayne Hancock è un artista che si è vlutamente fermato al rockabilly degli anni ’50
In questi giorni dove non ci muoviamo da casa se non per le necessità imprescindibili e in cui si alternano preoccupazione e speranza per questo nemico silenzioso che sembra essere ovunque intorno a noi, abbiamo però una grande opportunità. Sono giorni difficili, e speriamo irripetibili, ma che proprio per questo in qualche modo non vanno sprecati. Abbiamo l’opportunità di poterci riprendere in parte quel tempo che spesso ci è stato negato dai ritmi nevrotici della nostra quotidianità. In particolare abbiamo anche la possibilità di riscoprire e riascoltare meraviglie che da tempo non accarezzano i nostri padiglioni auricolari. Non possiamo prevedere quanto durerà questa situazione, per quanto tempo saremo costretti ad agire prevalentemente all’interno delle mura domestiche. La speranza che questi giorni possano essere il meno possibile mi ha convinto a mettere gli episodi di questa nuova rubrica chiamata Music Room in una semplice doppia cifra. Giornalmente su queste pagine ci sarà un’artista, un gruppo, una canzone, un’emozione da riscoprire, per combattere la noia e la paura con la bellezza. Cerchiamo di agire in maniera consapevole, restiamo a casa.
#andràtuttobene #iorestoacasa
Oggi nel piccolo grande spazio di Music Room troviamo un personaggio che sembra incastrato in un particolare microcosmo temporale. Wayne “The Train” Hancock è così, prendere o lasciare. Un artista che si è volontariamente voluto fermare sul pianerottolo del rockabilly a metà degli anni ’50, poco prima che l’ultima rampa di scale lo portasse a travestirsi da rock’n’roll per andare a conquistare il mondo. Hank Williams III ha detto di lui: “L’unico altro uomo al mondo che ha dentro più Hank Williams di me è Wayne ‘The Train’ Hancock. Pochissimi artisti possono definirsi veri puristi, ma Wayne lo è senza ombra di dubbio.” Questo per farvi capire la caratura dell’artista e il mondo in cui si muove con estrema naturalezza.
Sin dal debutto di Thunderstorms and Neon Signs nel 1995, Hancock cammina instancabile con la chitarra a tracolla all’interno del suo piccolo-grande universo, percorrendo le mille strade blu della tradizione americana e rivisitando country, rockabilly, honky-tonk, western swing, hillbilly boogie con passione ed abilità, sfornando dischi di semplici canzoni scritte ed eseguite con passione, sangue, sudore, illuminate dalle luci al neon. I suoi vecchi stivali polverosi non vengono intaccati dalle mode, lui se ne infischia di tutto e di tutti, non ci sono messaggi profondi, non c’è ricerca intellettuale, ci sono solo le piccole-grandi storie quotidiane della gente comune.
Nel 2016, a tre anni di distanza dal precedente Ride, il nostro aveva pubblicato quello che è tuttora il suo ultimo lavoro in studio intitolato Slingin’ Rhythm. In questo disco Hancock mantiene immutabili le sue coordinate musicali. Le canzoni che conpongono l’album non sono polverosi pezzi da museo, ma composizioni scintillanti, cantate e suonate con rara maestria accompagnato dalle due chitarre di Bart Weinburg e Greg Harkins, dalla pedal steel di Rose Sinclair, dal contrabbasso di Samuel “Huck” Johnson, e saltuariamente dal dobro di Lloyd Maines.
In poco più di mezz’ora Hancock si riallaccia alla tradizione del western swing di Bob Wills distillando tutto il suo repertorio, scaraventandoci di peso a ritroso nel tempo già dal classico hillbilly boogie della title track, per poi passare dal blues country di “Dirty House Blues” a quello languido di “Dog Day Blues”. E ancora il country classico di “Killed Them Both” e “Small Bouquet Of Roses” riesce ad unire amore e morte con sincera crudezza senza lasciare spazio a sovrastrutture. Scordatevi il country da classifica, quello melenso e tamarro che da anni il mainstream tenta di spacciare per vero. All’interno c’è spazio anche per una cover, quella di “Divorce Me C.O.D.”, classico honky-tonk scritto ed eseguito per la prima volta nel 1946 da un gigante del country come Merle Travis.
L’erba non è cresciuta sotto gli stivali di “The Train”, che battono indemoniati al tempo dello swing strumentale di “Over Easy” e di un meraviglioso e trascinante numero rockabilly intitolato “Two String Boogie”. Si rimane talmente coinvolti dal ritmo e dalla freschezza delle canzoni da non notare nemmeno l’assenza di un batterista. Tutto qui? Assolutamente no, perché trovano ancora posto il country ultraclassico di “Thy Burdens Are Greater Than Mine” e il romantico incedere jazzato di “Love You Always”. Il neon della copertina lampeggia senza sosta sul country blues di “Wear Out Your Welcome”, mentre la scritta vacancy si illumina quando il nostro intona divertito lo scat di “Slingin’ Rhythm Intro” che chiude l’intero lavoro, ad indicare che c’è ancora posto in questo vecchio Motel della periferia americana.
Venite pure, non abbiate paura, ci sono ancora stanze libere per apprezzare a pieno l’ennesimo centro di questo fantastico tradizionalista. Wayne ha unito le sue forze ancora una volta a quelle del suo storico produttore Lloyd Maines (Terry Allen, Uncle Tupelo, Dixie Chicks, Ray Wylie Hubbard) registrando il disco al volo, senza mai ripetere una canzone per la seconda volta. Forse è (anche) questo che fornisce all’album una inarrestabile energia. Il Motel potrà sembrare pure vecchio e polveroso da fuori, ma vi assicuro che entrandoci dentro è tutta un’altra storia.