Un piccolo spazio per riscoprire grandi cose
I Love sono sempre stati tra le mie band preferite in assoluto uscite dagli anni ’60
In questi giorni dove non ci muoviamo da casa se non per le necessità imprescindibili e in cui si alternano preoccupazione e speranza per questo nemico silenzioso che sembra essere ovunque intorno a noi, abbiamo però una grande opportunità. Sono giorni difficili, e speriamo irripetibili, ma che proprio per questo in qualche modo non vanno sprecati. Abbiamo l’opportunità di poterci riprendere in parte quel tempo che spesso ci è stato negato dai ritmi nevrotici della nostra quotidianità. In particolare abbiamo anche la possibilità di riscoprire e riascoltare meraviglie che da tempo non accarezzano i nostri padiglioni auricolari. Non possiamo prevedere quanto durerà questa situazione, per quanto tempo saremo costretti ad agire prevalentemente all’interno delle mura domestiche. La speranza che questi giorni possano essere il meno possibile mi ha convinto a mettere gli episodi di questa nuova rubrica chiamata Music Room in una semplice doppia cifra. Giornalmente su queste pagine ci sarà un’artista, un gruppo, una canzone, un’emozione da riscoprire, per combattere la noia e la paura con la bellezza. Cerchiamo di agire in maniera consapevole, restiamo a casa.
#andràtuttobene #iorestoacasa
Devo ammettere che mi sono divertito parecchio a mettere a punto quella follia chiamata The Rock ‘N’ Roll Time Machine. La cosa più difficile nel provare a guidare la Macchina del Tempo del Rock è cercare di essere il più lucido ed obiettivo possibile nei giudizi, andando ad analizzare oggettivamente i dischi pubblicati e cercando di non lasciarsi influenzare troppo dai gusti personali. Ma non nascondo che i Love sono sempre stati tra le mie band preferite in assoluto uscite dagli anni ’60. Il gruppo fu importante non solo perché è stato uno dei primi gruppi multirazziali negli Stati Uniti, ma per il visionario e riuscito mix di psichedelia e suggestioni beat sul quale Arthur Lee e compagni sono stati capaci di innestare una fantastica componente orchestrale che, al posto di appesantire il suono, lo va a dirigere magistralmente verso il cielo.
Arthur Porter Taylor, era nato nel 1945 a Memphis, Tennessee. Quando aveva 5 anni, in seguito alla separazione burrascosa dei genitori, si trasferì insieme alla madre a Los Angeles. quando il piccolo Arthur aveva cinque anni. Dopo il matrimonio della madre con il costruttore Clinton Lee, decise di prendere il cognome del padre adottivo. Suo vicino di casa nella zona sud di LA era il compagno di scuola Johnny Echols, che diventò anni dopo, suo sodale nel progetto Love. Durante gli anni della scuola studiò la fisarmonica ma imparò ben presto a suonare anche organo e armonica grazie al suo orecchio sviluppato. L’idea di formare una band gli venne proprio durante un concerto scolastico, vedere l’amico Echols suonare “Johnny B. Goode” con il suo gruppo fu la scintilla. Nel 1964 scrisse e produsse il singolo “My Diary” per Rosa Lee Brooks, dove partecipò alle registrazioni Jimi Hendrix. Dopo aver visto un concerto dei The Byrds, Lee decise che era arrivato il momento di formare una band che potesse suonare quel suo personale mix tra folk-rock e rhythm n blues che aveva in mente.
Il cantante e chitarrista Bryan MacLean, che aveva incontrato Lee mentre faceva il roadie per i Byrds, fu il primo ad unirsi alla nuova band che all’inizio si chiamava The Grass Roots. Naturalmente poco dopo fu la volta dell’amico d’infanzia Johnny Echols, e del batterista Don Conka. Poco dopo Conka fu sostituito prima da Alban “Snoopy” Pfisterer e poi da Michael Stuart che suonerà nei primi due lavori. La stessa sorte toccò al loro primo bassista Johnny Fleckenstein, sostituito presto da Ken Forssi. Una volta stabilizzata la line-up della band, Lee cambiò definitivamente il nome da The Grass Roots a Love.
I Love iniziarono a suonare nei club di Los Angeles nell’aprile del 1965, diventando presto ben più di un’attrazione locale e attirando l’attenzione di bands ben più famose come Rolling Stones e Yardbirds. La band all’epoca viveva come una specie di comune in una casa chiamata amichevolmente “The Castle”, nell’artwork dei loro primi due album si possono trovare foto scattate proprio nel giardino della loro casa. Questi due album sono da ascrivere tra i capolavori degli anni ’60 e praticamente sullo stesso piano. Tuttora c’è chi preferisce il primo, c’è chi trova irresistibile il secondo. In ogni caso entrambi sono stati riconosciuti da molti musicisti negli anni a venire come vere e proprie pietre miliari del rock-folk psichedelico.
Già nel novembre 1966 Lee e compagni avevano trovato la quadratura del cerchio con lo splendido esordio intitolato Da Capo, ma un anno dopo, se possibile, i cinque riescono a perfezionarsi. L’asticella viene alzata con la pubblicazione del meraviglioso Forever Changes, uno dei dischi più memorabili di quella indimenticabile stagione. Eppure per il talentuoso Arthur Lee e compagni la registrazione del disco era stata tutto fuorché tranquilla. Il produttore Bruce Botnick infatti aveva trovato una band a pezzi, squassata dalle droghe e dall’alcool, tanto da dover “affittare” un paio di turnisti per le sessioni in studio. Nonostante questo l’album, registrato in quattro lunghi mesi, è un miracolo di equilibrio e di melodie affascinanti, senza punti deboli. “You Set The Scene” è il brano che chiude in maniera perfetta con i suoi curatissimi arrangiamenti, il capolavoro dei Love. Ascoltatelo qui sotto mentre proseguite con la lettura.
Bryan MacLean lasciò la band subito dopo l’uscita di Forever Changes, in parte perché aveva firmato un contratto da solista con l’Elektra, in parte perché soffriva il dualismo con Lee. Johnny Echols e Ken Forssi si lasciarono trascinare dai loro problemi di abuso di droghe finendo per abbandonare la musica. Stessa sorte capitò al batterista Michael Stuart che si ritirò dalle scene. Il solo Echols riuscì a trovare una nuova strada trasferendosi a New York per suonare come turnista. Arthur Lee, rimasto solo, mise su una nuova formazione dei Love con il chitarrista Jay Donnellan (subito rimpiazzato da Gary Rowles), il bassista Frank Fayad, ed il batterista George Suranovich. Questa formazione si convertì ad un suono più orientato verso il rock-blues ed abbandonando parzialmente quel mix tra folk-rock e psichedelia che l’aveva resa celebre. Questa formazione incise tre album in studio: Four Sail (1969), Out Here (1969), e False Start (1970). Anche se l’ultimo aveva la presenza come ospite di Jimi Hendrix, nessuno di questi album riuscì ad avvicinarsi alle vette dei due album di esordio. In realtà questa formazione dei Love registrò un altro album, ma questo disco venne pubblicato solo nel 2009 come parte di una compilation intitolata Love Lost. Dopo la fine dell’avventura Love, Arthur Lee pubblicò nel 1972 un album solista, Vindicator, ed insieme ad altri musicisti, nel 1974, pubblicò l’ultimo album a nome Love: Real-To-Real.
Ken Forssi, bassista della formazione classica dei Love, morì per un tumore al cervello nel gennaio 1998 a 54. Non toccò sorte migliore a Bryan MacLean, morto il giorno di Natale dello stesso anno per un attacco cardiaco mentre cenava con un fan in un ristirante di LA. Mentre i suoi amici perdevano la vita, Lee era in prigione, condannato nel 1995 a 12 anni di reclusione per aver inavvertitamente sparato un colpo di arma da fuoco.
Lee uscì dal carcere nel 2001 per buona condotta, ed iniziò subito a suonare in tour insieme ai musicisti dei una band chiamata Baby Lemonade sotto il nome di Love with Arthur Lee. Nel 2002 Michael Stuart (conosciuto successivamente come Michael Stuart-Ware), batterista dei primi due storici album, pubblicò il libro “Behind the Scenes on the Pegasus Carousel with the Legendary Rock Group Love”, che ebbe un notevole successo. Johnny Echols si unì all’ultimo gruppo di Lee per un concerto che nel 2003 celebrava il 35 anniversario dell’uscita di Forever Changes. La cosa fu così appagante che rimase con il suo vecchio amico anche per i tour del 2004 e 2005. Una forma molto aggressiva di leucemia mieloide si è portata via Arthur Lee il 3 agosto 2006. Aveva 61 anni.
Riscoprire almeno i primi due album dei Love è altamente consigliato: due capolavori usciti in una stagione irripetibile per la musica. I Love non saranno tra i gruppi più ricordati di quegli ani, ma sono senza dubbio tra i primi per la qualità della proposta.