Le avventure in musica di Sounds & Grooves aprono con orgoglio la 12°stagione di RadioRock.to The Original
Iniziare la 12 stagione di radiorock.to con “Is This The Life” dei Cardiacs era un dovere, un segnale di continuità con il passato, con quella meraviglia che Franz Andreani, Marco Artico, Massimo Di Roma, Flavia Cardinali, Gianpaolo Castaldo avevano creato e a cui, nel mio piccolo, ho provato a dare il mio contributo dal 1991 al 2000. La Radio Rock in FM come la intendevamo noi è sparita da due decenni, ma in questi 11 anni stiamo tenendo accesa una fiammella, cercando di raddoppiarla, moltiplicarla, farla diventare un faro di emozioni e qualità musicale con tutta la passione e la voglia di fare radio che nonostante tutto non ci è mai passata. Tutto questo e molto altro è www.radiorock.to The Original, e sono davvero orgoglioso di aprire la nuova stagione e di tirare la volata a questo gruppo di “matti” fuori dal tempo. Il primo episodio proverà a coprire tutte le decadi: dagli anni ’60 di Van Morrison, ai ’70 degli Steely Dan (omaggio a Walter Becker). Passando per gli anni ’80 in GB dei Theatre Of Hate e in USA degli X. Per poi attraversare velocemente il post rock britannico anni ’90 con i Pram e approdare alla devastante e coinvolgente novità degli Idles. Non mancate di farci sentire il vostro affetto e di darci il vostro apporto quotidiano. E’ una stagione importante, ci siamo rifatti il trucco per offrire anche dal punto di vista grafico e funzionale con un sito web nuovo di zecca al passo con i tempi. Eccoci. Siamo tornati.
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Come detto in precedenza, iniziare con un brano come “Is This The Life” dei Cardiacs era un dovere, un segnale di continuità con il passato, con una Radio Rock in FM su Roma che all’inizio degli anni ’90 viveva forse il suo miglior periodo. Il brano era uno dei cavalli di battaglia della radio, l’urlo inconfondibile con cui Franz Andreani l’annunciava era semplicemente trascinante. I Cardiacs si formano nel 1977 a Kingston upon Thames grazie a Tim Smith. Diventarono subito famosi per la loro creatività eccentrica, per il loro stile che univa l’immediatezza del punk e la complessità e l’amore per la ricercatezza del progressive, e per i loro show sempre estremamente teatrali. Il loro sound è sempre stato unico e inconfondibile, vario, complesso, e intenso, e anche adesso, dopo 40 anni, rimangono una delle poche vere band di culto in Gran Bretagna. A Little Man and a House and the Whole World Window è il loro quarto album in studio, probabilmente il più famoso, pubblicato nel 1988. Riscoprire questa band è un imperativo, al di la dei motivi sentimentali che mi hanno indotto ad inserirli in scaletta.
Quando a Detroit Joe Casey si unì agli allora Butt Babies, si creò un’alchimia post-punk estremamente potente chiamata Protomartyr. Dopo un album ed un paio di cassette di riscaldamento, nel 2014 sono stati messi sotto contratto dalla Hardly Art per cui hanno pubblicato l’ottimo Under Color Of Official Right. Un anno più tardi è uscito l’atteso seguito, un album che mette ancora più a fuoco le potenzialità emotive della band ed intitolato The Agent Intellect. 12 brani che evidenziano l’urgenza emotiva e la grande abilità del quartetto di Detroit a dipingere affreschi diretti e precisi nel cogliere sempre nel segno, grazie alla loro alchimia post-punk estremamente potente come nello splendido primo singolo estratto “Why Does It Shake?”.
Loro sono senza dubbio il mio gruppo del momento. Gli Idles nascono a Bristol nel 2010 con una spiccata attitudine punk e uno sguardo a 360 gradi verso l’evolversi della situazione sociale e politica in Gran Bretagna. Il cantante Joseph Talbot, i chitarristi Mark Bowen e Lee Kiernan, il bassista Adam Devonshire e il batterista Jon Beavis, assorbono mano mano rabbia ed urgenza facendola poi defluire lentamente, scandendo le uscite e preparandole con grande meticolosità. Dopo tre EP, il devastante esordio sulla lunga distanza fra post-punk e post-hardcore della formazione di Bristol si è materializzato nel 2017 e si intitola Brutalism. Il disco è stato registrato dopo la morte della madre di Talbot, citata da par suo nella fragorosa “Mother”, brano in cui stavolta il bersaglio dichiarato è il partito Conservatore britannico: “My mother worked 15 hours 5 days a week. My mother worked 16 hours 6 days a week. My mother worked 17 hours 7 days a week. The best way to scare a Tory is to read and get rich”. Come a dire che l’unico modo possibile per spaventare un Conservatore è diventare ricco in modo da essere visto come un possibile avversario. La sezione ritmica è un rullo compressore, le chitarre sono adrenaliniche nel loro liberatorio lasciarsi andare. Il tagliente realismo delle tematiche sociali viene raccontato con pathos e refrain travolgenti. Joseph Talbot e compagni sanno perfettamente come raggiungere e coinvolgere emotivamente gli ascoltatori, riuscendo a scuotere tutti dall’apatia con il loro messaggio tanto sgradevole e brutale quanto reale. Carne e sangue, naked truth, francamente non riesco a chiedere di meglio.
I Terminal Cheesecake sono un gruppo formato nel nord-est londinese nel 1988, e attivissimo nei primi anni novanta galleggiando tra neo psichedelia e noise rock, è stato creato da Gary Boniface alla voce (ex The Purple Things e The Vibes) insieme a Russell Smith alla chitarra (ex membro aggiunto degli A.R. Kane), Mick Parkin al basso e John Jobbagy alla batteria (anche lui ex The Purple Things). Tra psichedelia, post-punk e musica industriale, il suono della band è sempre stato provocatorio e sperimentale, come dimostra lo splendido esordio sulla lunga distanza di Johnny Town-Mouse (1988). Dopo altri cinque album e qualche cambiamento di formazione, la band si scioglie definitivamente nel 1994. La band si è riformata nel 2013, e dopo aver pubblicato due anni dopo un live intitolato Cheese Brain Fondue, è arrivato a fine 2016 questo Dandelion Sauce of the Ancients, un nuovo album in studio che vede la luce a ventun anni dallo scioglimento e a ventidue dall’ultimo disco. Ad affiancare i “vecchi” Russell Smith, John Jobbagy e Gordon Watson (chitarra), troviamo i nuovi Neil Francis (voce, attualmente nei Gnod) e Dave Cochrane (basso), che non sfigurano assolutamente nel confronto con i predecessori. “Poultice” è una traccia compatta, trascinata da una massiccia ritmica stoner e rafforzata da una chitarra che lancia fendenti carichi di psichedelia. L’album è un prezioso compendio di psichedelia, noise, stoner ed echi industrial. In fondo chi meglio di un gruppo che ha davvero vissuto il periodo noise rock britannico anni 90 può reinterpretarlo con lo stesso vigore?
Gli X sono stati una delle band cardine del punk statunitense. Formati nel 1977 a Los Angeles, tranne un breve periodo, hanno sempre mantenuta invariata la loro formazione che comprende Exene Cervenka (voce), John Doe (basso e voce), Billy Zoom, (chitarra), e D.J. Bonebrake (batteria). A differenza degli altri gruppi punk dell’epoca, gli X hanno sempre avuto diverse influenze, prima tra tutte il rockabilly, grande passione di Billy Zoom, ma anche al country ed al blues. Non a caso tutti i componenti della band (escluso proprio Zoom) hanno formato un progetto parallelo, quello dei Knitters, band dedita al country rock. Altra influenza fondamentale è quella dei Doors, non a caso i primi quattro album sono stati prodotti proprio dal tastierista della storica band Ray Manzarek. Altra particolarità, quella di avere una frontman…donna, e quella delle due voci che si alternano al canto. Infatti molte canzoni sono cantate dalla sola Exene Cervenka, altre da John Doe, altre sono cantate da entrambi. Under the Big Black Sun è il loro terzo disco, primo uscito per la major Elektra, un album che si apre con la tirata e splendida “The Hungry Wolf” ma che vede anche momenti più calmi, un disco influenzato dalla morte di Mirielle, la sorella di Exene, in un incidente stradale.
Dylan Carlson ha ideato e realizzato il nuovo lavoro degli Earth, due anni dopo la conclusione della saga Angels Of Darkness, Demons Of Light, in un luogo importante per la musica stoner: il famoso studio chiamato Rancho De La Luna presso il Parco Nazionale di Joshua Tree in California dove sono state registrate le famose Desert Session di Josh Homme. Mettendo la puntina su Primitive And Deadly tutto sembra andare seguendo il copione classico del gruppo di Seattle: la chitarra di Dylan Carlson, la batteria di Adrienne Davies ed il basso di Bill Herzog scavano lentamente e in maniera circolare intorno ai riff di base, mentre la ritmica non fa mai calare la tensione rendendo il tutto più ipnotico che adrenalinico. Ascoltando a fondo non è tutto come sempre, c’è qualcosa di nuovo, anzi, per essere più precisi c’è qualcosa che ritorna: quelle scintille hard e heavy che non ascoltavamo più da un bel po’ di tempo, scintille che riescono, alzando le fiamme, a generare paesaggi immaginari. In più, dopo poco più di un minuto della seconda traccia “There Is A Serpent Coming”, ecco arrivare una novità davvero inaspettata: mentre le solite trame doom sembrano farsi più profonde e dilatate entra in scena una voce maschile, e non una voce qualunque, bensì quella di Mark Lanegan che riesce a condurre il brano da par suo con il suo timbro profondo, rendendo completa la visionaria unione tra doom e blues.
I Theatre of Hate sono una band post-punk formata a Londra nel 1980. Guidata da Kirk Brandon, voce del gruppo ed ex componente della punk band The Pack, la formazione esordì addirittura con un album live intitolato He Who Dares Wins registrato a Leeds il 27 gennaio 1981. Il primo album in studio, Westworld, arrivò solo un anno più tardi, e il brano che propongo oggi, “Original Sin”, in realtà è stato il loro primo singolo, pubblicato nel 1980 e diventato un vero e proprio inno nei loro concerti diventati leggendari per la potenza che riuscivano a trasmettere. Per un anno e mezzo dal 1982 al 1983, fece parte della band anche Billy Duffy, che trovò il successo con i Cult. La loro musica è pulsante, tribale, epica, originale e magnetica, un suono unico, grazie anche alla presenza del sax e di elementi jazz-blues scuro. La band si è sciolta e riformata molte volte, e se siete interessati a riscoprirla la Cherry Red ha appena stampato uno splendido cofanetto in cui si ripercorre la vita live della band dal 1981 al 2012 in 5 CD intitolato proprio He Who Dares Wins – The Live Albums.
Il concetto iniziale di post rock codificato da Simon Reynolds sulle pagine del prestigioso The Wire, partiva dalle formazioni provenienti dalla Gran Bretagna, e da quello che è stato il suono dell’etichetta di riferimento, ovverosia la Too Pure, fondata a Londra nel 1990 da Richard Roberts e Paul Cox, e salita improvvisamente alla ribalta grazie alla pubblicazione di Dry, l’album di esordio di PJ Harvey. La label londinese era diventata in breve tempo il punto di riferimento per gli ascoltatori e gli addetti ai lavori meno allineati e usuali. Le band che incidevano per l’etichetta (Moonshake, Pram, Stereolab, Seefeel, Mouse On Mars, Laika) da una parte non si somigliavano affatto, ma allo stesso tempo erano pervase dalla stessa comune voglia di sperimentare, rifacendosi a band come Pop Group o Rip Rig + Panic, ripercorrendo le strade del krautrock, usando lo studio di registrazione come nuovo strumento e delegittimando di fatto il simbolo principe del rock: la chitarra. I Pram venivano da Birmingham, ed erano formati dalla cantante Rosie Cuckston, il bassista Sam Owen, il batterista Andy Weir e Max Simpson alle tastiere e campionamenti. Helium è il loro secondo album in studio uscito per la Too Pure, e vede la band andare a briglie sciolte con la fantasia tra rock e jazz, avanguardia e trip-hop con brani elaborati e sofisticati, come la lunga suite di “Blue”. Dopo un ulteriore splendido lavoro per la Too Pure la band si muoverà su binari più semplici e consueti. L’ultimo album in studio si intitola The Moving Frontier ed è uscito nel 2007.
Quando il Muziekgebouw di Eindhoven commissiona le musiche per uno spettacolo al compositore Nico Muhly, (collaboratore di Bjork, The National e Grizzly Bear tra gli altri), il musicista decide di coinvolgere nel progetto Bryce Dessner dei National, Sufjan Stevens e James McAlister, batterista e percussionista che aveva già suonato con Stevens nelle sessions di The Age of Adz. I quattro sono felici diu lavorare insieme e si dividono le parti, con Stevens incaricato della sezione melodica, Dessner e Muhly delle orchestrazioni e degli arrangiamenti, e McAlister concentrato sul lato percussivo, sia elettronico che acustico. Il risultato è un album intitolato Planetarium, dove nei 17 brani dedicati al sistema solare ci si immerge in un affresco che spazia dalla psichedelia ad una sorta di progressive orchestrale, a volte il tutto risulta un po’ pesante ma ci sono momenti di grande lirismo emozionale come in “Jupiter”.
Quando Sufjan Stevens nel 2005 pubblicò l’album Sufjan Stevens Invites You To: Come On Feel the Illinoise sembrava che il songwriter dovesse davvero pubblicare 50 album, uno per ogni stato americano, opera che era iniziata nel 2003 con l’album Michigan. Stevens successivamente dichiarò naturalmente che l’idea dei 50 album era stata uno scherzo, ma Illinois è davvero un’opera tanto complessa quanto mirabilmente messa a fuoco. Sono ben 22 i brani che compongono l’album, per oltre 70 minuti di musica definita in ogni dettaglio. Il lavoro della maturità per l’ambizioso songwriter, che qui passa dal folk al pop, con splendidi arrangiamenti di archi e fiati, mentre i testi sono pieni di riferimenti e personaggi storici. Difficile scegliere un brano tra i 22, alla fine ho scelto uno dei migliori del lotto, “The Predatory Wasp of the Palisades Is out to Get Us!”, che dimostra la grande abilità di scrittura di Stevens, che dopo questo album si lascerà prendere la mano da ambiziose sovrastrutture, ma che saprà tornare su livelli enormi con il capolavoro Carrie & Lowell.
Restiamo in ambito songwriters americani per andare a trovare Ryan Adams, l’ex cantante e chitarrista dei Whiskeytown, gruppo che ebbe un notevole e meritato successo alla fine degli anni ’90 con due splendidi album come Faithless Street e Stranger’s Almanac che mescolavano in maniera equilibrata e perfetta gli elementi rock e country. Dopo lo scioglimento della band, Adams inizia una carriera solista che già al secondo episodio intitolato Gold e pubblicato nel 2001, gli regala un inaspettato successo con tre nominations ai Grammy Awards e il disco d’oro in Gran Bretagna. L’album mostra una grande capacità calligrafica che spazia da momenti più tirati tra rock e blues come “Tina Toledo’s Street Walkin’ Blues” a momenti più lenti e malinconici. L’amico fraterno ed ex compagno di college Adam Duritz (cantante dei Counting Crows) lo aiuta ai cori in molte tracce dell’album. la carriera di Adams è continuata tra alti e bassi fino ai giorni nostri, il suo ultimo album, Prisoner, è uscito pochi mesi fa.
Ci vorrà tempo ma ce la posso fare. Tra poco sempre su radiorock.to e naturalmente su queste pagine ci sarà il secondo episodio della Rock ‘N’ Roll Time Machine dedicato al 1968. Una piccola/grande anticipazione che ho voluto fare sul primo podcast della nuova stagione, è quella di inserire un brano di quello che, con ogni probabilità, è il più bel disco uscito in quell’anno e uno dei migliori album di tutti i tempi. Con il suo secondo album, Van Morrison, deluso dall’accoglienza del suo album di debutto, decide di effettuare una robusta sterzata. Il cambiamento stilistico lo porta ad interpretare con la sua voce duttile, potente ed espressiva, un jazz-folk acustico di libero impatto espressivo. Astral Weeks è un viaggio di incredibile suggestione lirica, un mondo in cui perdersi. Un disco di intensità straordinaria come conferma la title track, condotta dalla voce di Morrison coadiuvata perfettamente dai musicisti jazz che condividevano lo studio con lui, tra cui spiccano lo straordinario contrabbasso di Richard Davis, il flauto di John Payne, e il vibrafono di Warren Smith.
Nel 1983 due giovani DJ di origine afro-caraibica, Andrew Vowles e Grant Marshall, sotto i nomi rispettivamente di “Mushroom” e “Daddy G” danno vita a Bristol ad un sound system che gira la città improvvisando eventi che coinvolgono musicisti, mc’s, dj e artisti dalla formazione più varia, a cui verrà dato il nome di “The Wild Bunch”. Una sorta di collettivo aperto cui si aggiungeranno nomi importanti come la cantante Shara Nelson, Adrian “Tricky” Thaws, e il giovanissimo artista di strada Robert Del Naja, noto come “3D”. L’ultimo rimarrà insieme ai due fondatori quando il collettivo si stabilizzerà mutuando il nome in Massive Attack. Il resto è storia, l’esordio fulminante di Blue Lines, con i tre a creare un nuovo sound tra dub, elettronica, soul e hip-hop che verrà codificato solo successivamente in trip-hop. C’è tutto, melodie, brani, groove e collaboratori, che prendono via via il nome di Horace Andy, Sinéad O’Connor, Elizabeth Fraser, Martina Topley-Bird e Tracey Thorn. Mushroom lascerà il gruppo nel 1998 dopo il fortunato Mezzanine, lasciando il collettivo nelle mani di 3D e Daddy G. A suggellare la loro prestigiosa carriera nel 2006 il gruppo pubblica l’antologia Collected, che presenta oltre alle loro canzoni più famose, anche uno splendido inedito “Live With Me”, che vede l’intensa interpretazione vocale di un Terry Callier in stato di grazia.
Pochi giorni prima della registrazione di questo podcast, è arrivata la notizia della scomparsa di Walter Becker, chitarrista e metà di quella incredibile ed elegante macchina sonora chiamata Steely Dan. Impossibile non ricordarlo, doveroso inserire in scaletta un brano di una band che ha saputo, dai primi anni ’70, creare un sofisticato e inconfondibile stile musicale che andava a pescare dal jazz, rock, pop, country, soul, blues, funk, bilanciando il tutto con una spiccata attitudine pop. Uno di quei gruppi che era difficile detestare, incontrando i gusti di (quasi) tutti grazie alla loro perfezione maniacale e agli arrangiamenti solari e certosini. Il loro quinto album esce nel 1976 e si intitola The Royal Scam, un disco che vira leggermente verso un suono più black, con vibrazioni reggae e funky grazie ad una orchestrazione più ricca e ariosa, e ad uno strepitoso lavoro di Larry Carlton alla chitarra. Il brano che chiude il podcast era stato registrato proprio nelle sessions di registrazione di The Royal Scam, ma stranamente “Here At The Western World” era rimasta esclusa dalla scaletta, salvo poi rientrare di prepotenza nella discografia del duo grazie all’inclusione, due anni dopo, nel formidabile compendio dei primi anni di vita della band chiamato Greatest Hits (1972-1978). Riascoltiamola quindi, assaporando il loro suono levigato, elegante ed ironico.
Spero abbiate gradito l’atteso restyling del sito (per questo e molto altro, un grazie speciale va sempre a Franz Andreani). A cambiare non è solo la veste grafica, ma anche la “filosofia” della podradio, con le rubriche che vanno ad integrarsi nella programmazione regolare sotto l’hashtag #everydaypodcast. Tutte le novità le trovate sempre aggiornate in tempo reale sulla nostra pagina Facebook. Noi ci ritroveremo il 29 settembre con un nuovo episodio di Sounds & Grooves dove sicuramente parleremo di alcune delle più succose novità musicali, come l’attesissimo The Dream Syndicate e il concept di Micah P. Hinson.
Intanto se volete potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, anche scrivere critiche (perché no), o proporre nuove storie musicali, mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web.
Se volete ascoltare o scaricare il podcast, potete farlo anche dal sito della stessa PodRadio cliccando sulla barra qui sotto. Buon Ascolto
TRACKLIST
01. CARDIACS: Is This The Life da ‘A Little Man And A House And The Whole World Window’ (The Alphabet Business Concern – 1988)
02. PROTOMARTYR: Why Does It Shake? da ‘The Agent Intellect’ (Hardly Art – 2015)
03. IDLES: Mother da ‘Brutalism’ (Balley Records – 2017)
04. TERMINAL CHEESECAKE: Poultice da ‘Dandelion Sauce Of The Ancients’ (Box Records – 2016)
05. X: The Hungry Wolf da ‘Under The Big Black Sun’ (Elektra – 1982)
06. EARTH feat. Mark Lanegan: There Is A Serpent Coming da ‘Primitive And Deadly’ (Southern Lord – 2014)
07. THEATRE OF HATE: Original Sin da ‘He Who Dares Wins’ (Burning Rome Records – 1981)
08. PRAM: Blue da ‘Helium’ (Too Pure – 1994)
09. SUFJAN STEVENS • NICO MUHLY • BRYCE DESSNER • JAMES McALISTER : Jupiter da ‘Planetarium’ (4AD – 2017)
10. SUFJAN STEVENS: The Predatory Wasp Of The Palisades Is Out To Get Us! da ‘Come On Feel The Illinoise’ (Asthmatic Kitty Records – 2005)
11. RYAN ADAMS: Tina Toledo’s Street Walkin’ Blues da ‘Gold’ (Lost Highway – 2001)
12. VAN MORRISON: Astral Weeks da ‘Astral Weeks’ (Warner Bros. Records – 1968)
13. MASSIVE ATTACK feat. Terry Callier: Live With Me da ‘Collected’ (Virgin – 2006)
14. STEELY DAN: Here At The Western World da ‘Greatest Hits (1972-1978)’ (ABC Records – 1978)