Il 1967 è il punto di svolta nella storia della musica popolare…
C’è questa idea che mi girava intorno da tanti anni. Avevo addirittura iniziato tempo fa, sommerso da una quantità indefinita di libri sulla storia del rock e vari articoli su riviste e webzine, compreso Scaruffi!!! si…lo ammetto senza pudore. Fogli excel come se piovessero, con media voti dei dischi nemmeno dovessi fare i conti al Fantacalcio… Un obiettivo: quello di tornare a ritroso nel tempo e rivivere la lunga epopea del Rock dal 1967 ad oggi. Incredibile ma vero la prima trasmissione è realtà!!!! Prima di partire con questo viaggio in musica potete effettuare il download della prima parte del lungo (oltre 2 ore e mezza) podcast dal sito di www.radiorock.to oppure se avete una connessione sufficientemente veloce, potete ascoltare e scaricare la versione a 320 kb/s cliccando sul banner qui sotto.
Il presidente degli Stati Uniti Lyndon B. Johnston (arrivato alla Casa Bianca dopo l’improvvisa morte di John Fitzgerald Kennedy, ucciso in un attentato a Dallas il 22 novembre 1963), si trova a fronteggiare l’inestricabile guazzabuglio della guerra del Vietnam, affrontando una situazione che sembra essere sempre più compromessa grazie alle decisioni prese dai suoi predecessori. Ma anche lui ci mise del suo, facendo l’errore di farsi coinvolgere sempre più profondamente nel conflitto indocinese approvando (tra l’altro) proprio all’inizio del 1967 un’offensiva, che si rivelerà fallimentare, sul delta del Mekong.
Fu l’ennesimo colpo subito dal “sogno americano”, che mai come in quell’anno era sul punto di sgretolarsi, scatenando l’emergere di una nuova controcultura che segnò profondamente gli ideali e l’immaginario di un’intera generazione. Una rivoluzione sociale e culturale senza precedenti che ebbe l’epicentro a San Francisco nella seconda metà dell’anno prendendo il nome di Summer of Love. I giovani dell’epoca crearono nuove comunità che mettevano al posto dei valori tradizionali, nuovi ideali di amore e spiritualità e, contemporaneamente una generale apertura all’uso di droghe e, dal lato musicale, fu propedeutico alla nascita del genere psichedelico. L’apice artistico della Summer of Love fu il Monterey Pop Festival, che svolse nella cittadina californiana dal 16 giugno al 18 giugno 1967. Vi parteciparono più di 200.000 persone ed è riconosciuto come l’inizio del movimento hippie e il precursore del festival di Woodstock, che si svolse due anni più tardi. Fu la prima grande apparizione americana di Jimi Hendrix, oltre che un enorme vetrina per artisti del calibro di Big Brother & the Holding Company (con Janis Joplin), Country Joe and the Fish, Quicksilver Messenger Service, Moby Grape, The Byrds, Laura Nyro, Jefferson Airplane, Otis Redding, Grateful Dead, Buffalo Springfield, Mamas & Papas, e The Who. Il festival regalò anche un’esibizione che adesso potremmo definire world music, con un’ipnotica esibizione di Ravi Shankar (unico artiste che fu pagato per la sua esibizione), il sitarista indiano diventato celebre per la sua influenza su George Harrison, chitarrista dei Beatles.
In Gran Bretagna intanto sedeva sulla poltrona di Primo Ministro, Harold Wilson, guida del Partito Laburista. Wilson era un appassionato di musica, tanto da riuscire a far nominare dalla Regina Elisabetta II i Beatles come “baronetti”. Wilson fu di nuovo poi Primo Ministro dal 1970 al 1976, attuando una politica che cercava di preservare il benessere e la stabilità sociale del Welfare State applicando una politica deflazionistica. Ma i costi elevati del Welfare State e l’eccessivo peso politico concesso ai sindacati furono le basi della crisi del Partito Laburista e, quindi, dei successivi trionfi di Margaret Thatcher.
Per farvi entrare ancora di più all’interno del momento storico, nel corso del 1967 successero tra gli altri, i seguenti avvenimenti:
- Philip Knight e Bill Bowerman fondano l’azienda produttrice di abbigliamento sportivo Nike
- Decolla il primo Boeing 747
- In Grecia in risposta alla prevista vittoria elettorale dei socialisti di Geórgios Papandréu, un golpe militare si impadronisce del potere, facendo iniziare la famosa dittatura dei colonnelli.
- Che Guevara, ferito e catturato in un’imboscata delle forze governative, viene fucilato in Bolivia.
- Felice Gimondi vince il Giro D’Italia di ciclismo.
- Il chirurgo Christiaan Barnard effettua il primo trapianto di cuore della storia.
- Nicolae Ceausescu diviene capo del governo rumeno, diventando di fatto il dittatore della Romania.
Ma quello che a noi interessa di più è l’aspetto musicale, anche se mai come in quegli anni, è profondamente intrecciato a quello che era il tessuto sociale e politico dell’epoca. La realtà musicale di quei giorni riuscì a far cadere le barriere stilistiche, geografiche, razziali, portando alla luce un modo nuovo di muoversi nel mondo dei suoni, una modalità curiosa, mutevole, vibrante. Così oltre alla già segnalata Summer of Love che lanciò nomi come Jefferson Airplane e Jimi Hendrix, nel 1967 ci fu l’esplosione della psichedelia britannica con i Pink Floyd, l’album più maturo e consapevole dei Beatles, che grazie alla loro superiore qualità di scrittura e ai mezzi tecnici degli Abbey Road Studios (che nessuno all’epoca poteva permettersi), pubblicano uno degli album più importanti della storia della musica. Ma vogliamo parlare dell’importanza del debutto dei Velvet Underground? Con la sua copertina iconica e per tutto quello che ha significato per la musica e l’arte nei decenni a seguire. E ancora, dell’esordio di Captain Beefheart, dei Doors, dei Traffic, della scrittura di Leonard Cohen, della follia free-form dei Red Crayola. La consacrazione di Rolling Stones, Love, The Byrds, Tim Buckley, Buffalo Springfield, la radio pirata dei The Who, la satira sociale di Frank Zappa.
Tutto questo e molto altro creano dei tasselli che si incastrano andando a formare un puzzle dalle notevoli varianti stilistiche e dalla qualità di produzione musicale senza precedenti. Non dimentichiamo che gli artisti britannici di quegli anni sono figli di un dopoguerra estremamente duro segnato dalla povertà e dalla paura, da un paese dilaniato dalle bombe che riesce a superare una prova estremamente dura. Negli States naturalmente era molto diverso, la rivoluzione del rock era già arrivata, ma il 1967 fa iniziare un periodo di grande scambio culturale che segnerà un’epoca.
Il podcast inizia con una serie di outsider, album non all’altezza degli incredibili capolavori usciti nel corso di quei magici dodici mesi, ma comunque dalla grande valenza e qualità. Come il capolavoro del blues revival britannico A Hard Road, pubblicato a nome John Mayall and The Bluesbreakers che vede oltre al leader del gruppo un Peter Green alla seconda chitarra in stato di grazia. Oppure quel collettivo di simpatici folli chiamato Bonzo Dog Doo-Dah Band, che in una maniera volutamente kitsch riusciva a creare fantastiche parodie di generi musicali del passato mentre i testi colpivano ironicamente i vari aspetti della vita britannica. E ancora i Kaleidoscope di Londra (da non confondere con l’omonima band americana), che ebbe un discreto successo radiofonico e di critica con il singolo “Flight from Ashiya”, a cui non seguì un uguale successo al botteghino, tanto che la band si sciolse pochi anni dopo.
Figlia del reverendo C. L. Franklin, uno dei predicatori più noti e apprezzati del periodo, Aretha Franklin aveva iniziato a cantare giovanissima proprio durante le funzioni del padre, sfoggiando il proprio repertorio gospel. Negli anni 50 sia Motown che RCA fecero carte false per metterla sotto contratto, ma il produttore John Hammond la convinse a firmare per la Columbia. ma il repertorio prevalentemente pop dell’etichetta non le permise mai di esprimere quella passione e personalità che aveva dentro. Così, dopo alcuni album scivolati via senza lasciare un ricordo indelebile, nel 1967 arriva la svolta sotto forma di una firma per la Atlantic Records. Il produttore dell’Atlantic Jerry Wexler credeva fermamente in lei, trasformando la allora ventiquattrenne in sala di incisione e facendo uscire fuori tutta l’energia, la passione e la personalità che erano rimaste nascoste fino a quel momento. Il primo album per l’Atlantic, I Never Loved A Man The Way I Love You, è subito capolavoro. Registrato in un posto magico per la black music come il Muscle Shoals Studios in Alabama (dove aveva registrato i suoi capolavori Otis Redding), l’album inizia proprio con una cover di Redding, l’immortale “Respect”, che la Franklin rende un inno femminista con la sua interpretazione appassionata meritandosi da allora il soprannome di “Lady Soul”.
I Buffalo Springfield nascono nel 1966 sciogliendosi appena due anni più tardi dopo soli 3 album, ma sono stati di grande importanza per la storia del country-folk, genere che riuscirono ad innovare. La scintilla è l’incontro tra due personalità forti e definite come quelle di Stephen Stills e Neil Young che si incontrano a Los Angeles nel 1966 aggiungendo presto il basso di Bruce Palmer, la chitarra e la voce di Richie Furay e la batteria di Dewey Martin. Dopo l’esordio autointitolato uscito nel 1966, iniziano le sessioni di registrazioni del secondo album, il loro capolavoro intitolato Buffalo Springfield Again. Le registrazioni furono lunghe e piene di contrattempi, viste le frequenti assenze di Neil Young e la mancanza di un bassista fisso nella band dopo l’arresto per droga e conseguente rimpatrio in Canada di Bruce Palmer. L’album si chiude con “Broken Arrow”, un lungo brano a firma Neil Young dove l’artista canadese (che come tutti sappiamo bene dopo lo scioglimento del gruppo intraprese una lunga e fortunata carriera solista) si diverte a infilare anche degli intermezzi surrealistici come rulli di tamburi, organetti e vociare da strada. I problemi di droga ed i dissidi interni portarono la band al collasso e allo scioglimento. L’ultimo album della band, Last Time Around, esce quando di fatto la band non esiste più.
Come abbiamo detto in precedenza la John Mayall & The Bluesbreakers è stata la principale anticamera per molti musicisti. Alla scuola di Mayall e fra le file dei suoi gruppi passarono tutti i musicisti che di lì a poco, per un verso o per l’altro, avrebbero calcato e rinnovato le strutture del blues di quegli anni. Eric Clapton era stato il principale attore nel 1966 dell’album Bluesbreakers with Eric Clapton, dove aveva partecipato anche il bassista Jack Bruce. Bruce aveva fatto parte anche di un’altra scuola del rhythm n’ blues britannico, la Graham Bond Organisation dove aveva formato la sezione ritmica insieme ad un talentuoso batterista chiamato Ginger Baker (ex Alexis Korner Blues Incorporated, terza fantastica scuola di blues britannico). Nel 1966 i tre formano i Cream, probabilmente la prima band ad essere considerata come “supergruppo”, un trio di enorme talento che spingerà il blues fino ai confini elettrici con l’hard rock. Mentre l’album di esordio andava a riesplorare alcuni standard blues, il disco del 1967, Disraeli Gears, con l’apporto del produttore Felix Pappalardi, trova la strada verso una personale scrittura libera di andare verso la psichedelia mantenendo lo stretto legame con il blues. “Sunshine Of Your Love” è uno dei loro brani più memorabili, con un Bruce straordinario alla voce e al basso, un assolo pazzesco di un Clapton all’apice della sua carriera e un Baker perfetto come tessitore di ritmo. Anche qui le personalità erano troppo forti per una relazione duratura, e il gruppo si scioglierà un anno dopo.
Steve Winwood è stato una sorta di enfant prodige, un talento pazzesco nel suonare tastiere e chitarra, ed una voce sublime che lo portano giovanissimo a far parte dello Spencer Davis Group. Ma il ragazzo (ha solo 19 anni nel 1967) di Birmingham non si accontenta, trova altri giovani talenti, Jim Capaldi (batteria), Dave Mason (chitarra) e Chris Wood (flauto e sassofono) e forma i Traffic. Nonostante si viene subito a creare un clima molto teso tra Mason e Winwood, con il primo incline ad un suono più rock e psichedelico, l’album di esordio intitolato Mr. Fantasy è uno dei migliori dell’epoca e probabilmente il migliore della band, inciso per un’etichetta che muoveva allora i primi passi e che sarebbe diventata molto importante: la Island Records. Steve Winwood disse a proposito delle sessioni di registrazione: “noi tutti (Winwood, Jim Capaldi e Chris Wood) tendevamo a comporre insieme, ma Dave arrivava tutte le volte con una canzone già bell’e fatta, proponendocela e dicendoci cosa si aspettava che noi suonassimo. Nessuna discussione, quasi fossimo il suo gruppo di supporto”. Nonostante Mason se ne andò sbattendo la porta appena concluse le registrazioni, il disco è uno splendido cocktail di blues, pop, psichedelia, e “Dear Mr. Fantasy” l’indiscusso apice dell’album, una sorta di piccola jam che sarà riproposta fra i tanti da Grateful Dead, CSNY, Jimi Hendrix, e che influenzerà anche “Hey Jude” dei Beatles, tanto che chiunque affronta la cover del brano dei Traffic, fa sfociare il finale nel brano dei Beatles, come fosse la cosa più naturale del mondo.
Nel 1965 i The Who si trovano in una situazione delicata. Devono preparare il nuovo album ma non hanno abbastanza canzoni per riempire il 33 giri. Pete Townshend freme perché sa di aver scritto una delle sue migliori canzoni, “I Can See For Miles” da cui si aspetta possa diventare un vero singolo di classifica. “In uno dei tanti viaggi lontano da casa che facevo con gli Who, iniziai a convincermi che la mia nuova ragazza mi tradisse. Fu quel tipo di paranoia, di pensiero irrazionale, che mi spinse a scrivere I Can See For Miles, una delle mie migliori canzoni di quel periodo. Scrissi una prima versione del testo sul retro del mio memorandum presentato nella causa tra il nostro ex produttore Shel Talmy e la Polydor. Forse è per questo che la canzone, dedicata alla folle gelosia immaginaria di un cornuto, ha il tono inquisitorio di un’azione legale…”. In realtà fu un’altra canzone, “Odorono” a dare a Townshend una “perfetta idea pop”: rendere l’intero disco uno spot pubblicitario riempiendo gli spazi tra una canzone e l’altra con dei jingle simili a quelli usati nella radio pirata. L’idea spinse tutti i componenti del gruppo a buttarsi a capofitto nell’ideazioni di nuovi spot come quello per la crema anti-brufoli Medac ed altri. Il titolo scelto per l’album fu consigliato proprio da alcuni pubblicitari, The Who Sell Out, con il verbo to sell out che aveva il doppio significato di “fare il tutto esaurito” e “rinunciare per soldi alla propria integrità artistica”. “I Can See For Miles” non ebbe il successo sperato da Townshend come singolo ma forse fu un bene perché portò l’autore a concentrarsi più sull’album nella sua interezza che sul singolo. Ma quella sarà un’altra storia di cui parleremo nella puntata dedicata al 1969.
Nel 1967 i The Byrds sono già un gruppo famoso grazie alla rilettura di un classico di Dylan come “Mr. Tambourine Man”, portato nel 1965 addirittura in vetta alle classifiche americane. Nel 1967 la formazione della band vede Roger McGuinn e David Crosby a chitarra e voce, Chris Hillman al basso e Michael Clarke alla batteria, e Younger Than Yesterday è il primo album che non vede l’apporto del principale autore delle canzoni del gruppo, Gene Clark, che se ne andò nel febbraio 1966. McGuinn e Crosby proseguono il discorso iniziato nel precedente Fifth Dimension rendendo il suono più psichedelico e impreziosendolo con mille finezze e sfumature, mentre Hillman prende coraggio come compositore firmando splendide canzoni come “Thoughts and Words”. E se il disco vede una delle più belle composizioni di Crosby (“Everybody’s Been Burned” ), spicca un’altra rilettura di Dylan, “My Back Pages”, il cui testo da anche il titolo all’album. L’album in patria non andò oltre la posizione N°24, ricevendo tuttavia recensioni complessivamente positive da parte della stampa musicale ufficiale, anche se al contrario la stampa underground ebbe commenti meno lusinghieri nei confronti dell’opera. Il celebre giornalista rock Lester Bangs affermò che “Younger Than Yesterday poteva essere considerato come il Revolver del pop-rock americano”. Probabilmente il disco del 1967 resta l’apice di un gruppo che di lì a poco perderà l’apporto di David Crosby, sostituito da un personaggio cardine del country-rock come Gram Parsons.
Come abbiamo già detto in precedenza durante il 1967 sono stati pubblicati album di esordio decisamente importanti ed influenti. Don Van Vliet conobbe giovanissimo Frank Zappa alla Antelope Valley High School di Lancaster, California, condividendone l’amore per il blues del Delta, lo scazzo, la sperimentazione, l’attitudine dissacrante. Sotto il nome di Captain Beefheart insieme alla sua Magic Band, inizia il suo percorso di destrutturazione del blues con Safe As Milk. I brani non presentano ancora quella struttura sperimentale e di guerriglia sonora che verranno a galla negli anni successivi, ma sono abbastanza “ordinari” per quanto possano esserlo i canoni espressivi del “capitano”. Il disco vede anche un giovanissimo Ry Cooder non solo suonare in maniera meravigliosa la chitarra ma anche in veste di arrangiatore, mentre i brani vengono scritti da Van Vliet a quattro mani con lo scrittore Herb Bermann. La “Electricity” che ho scelto per rappresentare il disco non è altro che una poesia scritta da Bermann messa in musica. Di Captain Beefheart, come di altri artisti poroposti in questo podcast, parleremo ancora nei prossimi episodi di questa macchina del tempo, soprattutto nel 1969 quando uscirà il suo capolavoro Trout Mask Replica.
Inutile dire che nei 1967 i The Rolling Stones sono già un gruppo affermato e consolidato. Un anno prima Aftermath era stato il loro primo album con tutte le canzoni composte dalla coppia Jagger/Richards, affermandosi come la più grande band di blues bianco, e addirittura stupendo con un brano, “Goin’ Home” che superava i 10 minuti di durata. Nel 1967 Between The Buttons esce di nuovo nella doppia versione USA/GB, nell’edizione americana ci sono “Let’s Spend The Night Together” e “Ruby Tuesday”, a scapito di “Back Street Girl” e “Please Go Home”. Brian Jones è ancora lì al suo posto, mentre la sua vocazione all’autodistruzione si fa sempre più forte prima di completarsi due anni dopo in un anno che sarà tremendo per gli Stones visto che durante l’esecuzione di “Sympathy For The Devil” al Festival di Altamont, il violento servizio d’ordine degli Hell’s Angels, voluto proprio dalla band, provoca forti disordini, che culminano con l’uccisione di un giovane spettatore. “All Sold Out” è una delle migliori testimonianze di quel periodo, con il blues psichedelico della band a esplodere tra le splendide chitarre della coppia Jones/Richards e il piano suonato dall’ospite (di molte band degli anni ’70) Nicky Hopkins.
In Texas c’era stato nel 1966 il primo sussulto garage rock psichedelico texano, con l’esordio dei 13th Floor Elevators. Mayo Thompson (chitarra) insieme a Steve Cunningham (basso) e Rick Barthleme (batteria) attinge a piene mani dalle visioni dovute dall’uso smodato dell’LSD per creare un universo parallelo circondato da un’atmosfera irreale, dove la classicità del rock viene sommersa da una serie infinita di composizioni improvvisate con sottofondo di rumori vari denominata Free Form Freak-Out, lasciandola affiorare in superficie solo a tratti. The Parable Of Arable Land dei The Red Crayola è uno sconvolgente sballo primordiale costituito da 6 brani, separati da strumentali improvvisati in maniera selvaggia. Leggenda vuole che il disco sia stato registrato in un’unica sessione, cui hanno partecipato circa un centinaio di persone, tra i quali Roky Erickson dei citati 13th Floor Elevators, accreditati come Familiar Ugly, per lo più amici dei componenti del gruppo. Questo unire elementi irrazionali in canzoni rock è stato poi premiato dalla critica, risultando un antesignano di molto noise rock ascoltato dei decenni successivi. In “Transparent Radiation” c’è tutto l’alternarsi tra rumorismo e melodia che li hanno resi seminali.
Nella seconda parte, online su www.radiorock.to da lunedi 3 luglio andremo a parlare di artisti che tuttora sono sicuramente tra i nostri ascolti preferiti, come Doors, Pink Floyd, Beatles, Tim Buckley, Velvet Underground. Artisti che 50 anni fa esordivano o che davano alle stampe i loro capolavori, consegnandoli per sempre alla storia del Rock.
Spero che questa primo volume abbia soddisfatto le vostre aspettative, potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, scrivere critiche (perché no), o proporre nuove storie musicali, mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web.
Vi do quindi appuntamento alla prossima settimana, ma non mancate di tornare ogni giorno su RadioRock.to The Original. Troverete un podcast diverso al giorno, le nostre news, le rubriche di approfondimento, il blog e molte novità come lo split-pod. Nella prossima stagione che partirà a settembre ci sarà anche l’atteso restyling del sito, e per questo (e molto altro) un grazie speciale va a Franz Andreani, che ci parla dei cambiamenti della nostra pod-radio e della radio in generale nel suo articolo per il nostro blog. Tutte le novità le trovate aggiornate in tempo reale sulla nostra pagina Facebook.
Se volete ascoltare o scaricare il podcast, potete farlo anche dal sito della stessa PodRadio cliccando sulla barra qui sotto. Buon Ascolto
TRACKLIST
PART 1
01. JOHN MAYALL AND THE BLUESBREAKERS: A Hard Road da ‘A Hard Road’ (Decca)
02. BONZO DOG DOO-DAH BAND: Big Shot da ‘Gorilla’ (Liberty)
03. KALEIDOSCOPE (UK): Flight From Ashiya da ‘Tangerine Dream’ (Fontana)
04. ARETHA FRANKLIN: Respect da ‘I Never Loved A Man The Way I Love You’ (Atlantic)
05. BUFFALO SPRINGFIELD: Broken Arrow da ‘Buffalo Springfield Again’ (ATCO Records)
06. CREAM: Sunshine Of Your Love da ‘Disraeli Gears’ (Reaction)
07. TRAFFIC: Dear Mr Fantasy da ‘Mr. Fantasy’ (Island Records)
08. THE WHO: I Can See For Miles da ‘The Who Sell Out’ (Track Record)
09. THE BYRDS: My Back Pages da ‘Younger Than Yesterday’ (Columbia)
10. CAPTAIN BEEFHEART AND HIS MAGIC BAND: Electricity da ‘Safe As Milk’ (Buddah Records)
11. THE ROLLING STONES: All Sold Out da ‘Between The Buttons’ (Decca)
12. THE RED CRAYOLA: Transparent Radiation da ‘The Parable Of Arable Land’ (International Artists)
PART 2
13. TIM BUCKLEY: I Never Asked To Be Your Mountain da ‘Goodbye And Hello’ (Elektra)
14. PINK FLOYD: Interstellar Overdrive da ‘The Piper At The Gates Of Dawn’ (Columbia)
15. THE DEVIANTS: I’m Coming Home da ‘Ptooff!’ (Underground Impresarios)
16. LOVE: You Set The Scene da ‘Forever Changes’ (Elektra)
17. JEFFERSON AIRPLANE: The Ballad Of You & Me & Pooneil [Live-Long Version] da ‘After Bathing At Baxter’s’ (RCA Victor)
18. LEONARD COHEN: Suzanne da ‘Songs Of Leonard Cohen’ (Elektra)
19. THE BEATLES: A Day In The Life da ‘Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band’ (Parlophone)
20. THE JIMI HENDRIX EXPERIENCE: Purple Haze da ‘Are You Experienced’ (Track Record)
21. FRANK ZAPPA & THE MOTHERS OF INVENTION: The Duke Of Prunes/Invocation & Ritual Dance Of The Young Pumpkin da ‘Absolutely Free’ (Verve Records)
22. THE DOORS: Break On Through (To The Other Side) da ‘The Doors’ (Elektra)
23. THE VELVET UNDERGROUND: Venus In Furs da ‘The Velvet Underground & Nico’ (Verve Records)