Tornano, come ogni 15 giorni le nuove avventure in musica di Sounds & Grooves, come sempre sulle onde sonore di RadioRock.to The Original.
Stavolta sono quasi 85 i minuti da passare insieme durante i quali troverete un capolavoro del post-punk come Entertainment! dei Gang of Four, il talento commovente di un grande outsider come Daniel Johnston, la mistura deflagrante dei Bitch Magnet, la riscoperta dei Run On e il ritorno di Rick Brown con i 75 Dollar Bill, il grande post punk italico degli Psicosi Di Massa, un veloce ripasso di Algiers e Afghan Whigs in attesa del loro prossimo nuovo album, la musica di frontiera dei Calexico, la piccola-grande rivoluzione dei Jesus and Mary Chain, il melting pot culturale del C’Mon Tigre e molto molto altro. Prima di partire con questo viaggio in musica pubblicato come sempre sul sito della miglior podradio italiana www.radiorock.to, potete effettuare il download del podcast anche nella versione a 320 kb/s semplicemente cliccando sul banner qui sotto.
Iniziamo allora con una delle band più influenti a cavallo tra gli ’80 e i ’90. I Pixies di Frank Black e Kim Deal hanno saputo strizzare l’occhio ad un certo passato post-punk aprendo anche nuove strade per quello che sarà un certo tipo di power rock aperto all’hardcore e a mille altre soluzioni. Un tipo di songwriting per l’epoca davvero rivoluzionario che combinava garage, hardcore, surf e pop. Surfer Rosa, uscito nel 1988, è stato il loro esordio sulla lunga distanza, un album prodotto (a volte ritornano…) da Steve Albini, che riusciva a mescolare perfettamente i ritmi spasmodici e le distorsioni con le aperture melodiche ed i ritornelli pop. Un’alternanza di dolcezza e aggressività che verrà premiata da un grande successo di pubblico e critica. L’album si piazzerà al numero 2 della UK Indie Chart la settimana successiva dell’uscita, e rimarrà per ben 60 settimane in classifica. “Gigantic”, scritta da Francis e Deal, è il perfetto specchio dell’alternanza tra leggerezza e rumorosità che ispirerà tantissimi gruppi tra cui i Nirvana.
Andiamo adesso in Inghilterra nella seconda metà degli anni ’70 a trovare un gruppo di Leeds che sceglie un nome abbastanza provocatorio per l’epoca. Gang Of Four infatti era il soprannome dispregiativo affibbiato ai leader del gruppo rivoluzionario culturale cinese che rimase alla guida del paese fino a poco dopo la morte di Mao, avvenuta nel settembre 1976, quando il nuovo premier cinese decise di arrestarli. I componenti del gruppo si incontrano al college e sono stati un vero prodotto della cultura universitaria di sinistra. La band aveva deciso pur essendo teoricamente rivoluzionaria, di avere la maggior visibilità possibile all’esordio, e tra le tante etichette interessate, decise di accasarsi presso la EMI, major che aveva grande distribuzione e identità politica neutra. Neutra sicuramente non era la copertina di Entertainment! disegnata dal cantante Jon King e dal chitarrista Andy Gill. L’artwork mostra in tre sequenze la stretta di mano tra un cowboy e un nativo americano, con il primo che pensa quanto con quel gesto lo abbia costretto ad uno sfruttamento che il secondo non immagina nemmeno. L’aperta accusa verso ogni tipo di colonialismo e sfruttamento trova il suo contraltare musicale tra i solchi dell’album. Basti ascoltare “Damaged Goods”, il suono potente del basso, e quello volutamente scarno e abrasivo della chitarra. Una produzione in studio, che voleva evitare il riverbero e la potenza del loro live-act per privilegiare una sensazione di abrasività secca. Uno dei dischi essenziali della storia del post-punk.
Ho appena tolto una patina di polvere da un disco che anni fa girava abbastanza frequentemente sul mio lettore CD. Start Packing è stato l’esordio sulla lunga distanza di una band chiamata Run On, che nel 1996 metteva in pratica una mirabolante combinazione di improvvisazione e di affascinanti aperture pop, un suono tanto eclettico quanto stranamente accessibile. La band era formata dai coniugi Rick Brown e Sue Garner insieme ad Alan Licht e David Newgarden. Il gruppo era molto intrigante come dimostra questa splendida “Baap”, ma un anno più tardi, dopo un paio di EP, effettuò una brusca frenata. Licht ha continuato ad essere estremamente attivo come artista in bilico tra minimalismo e sperimentazione, mentre Brown e la Garner hanno saltuariamente collaborato con i Tortoise ed altre band post-rock prima di riapparire insieme nel 1999 con un album intitolato Still, dopodiché decisero di far perdere le loro tracce.
Quando il talento di Rick Brown sembrava ormai perduto, eccolo riapparire per incanto cinque anni fa. Galeotto fu l’incontro via MySpace (!) con il chitarrista Che Chen, un sodalizio talmente proficuo da decidere di formare un duo stabile chiamato 75 Dollar Bill. L’incrocio tra batteria, percussioni e fiati da una parte e la chitarra dall’altra incontra una crescente popolarità nei locali di Brooklyn, e finisce (dopo tre cassette autoprodotte) su un album intitolato Wooden Bag che vede la luce nel 2015 in 500 copie limitate. Un anno più tardi, ecco i due ampliare i loro orizzonti roots-blues, incidendo questo Wood/Metal/Plastic Pattern/Rhythm/Rock che stranamente è stato ristampato solo ora per il mercato europeo dalla Tak:til / Glitterbeat. C’è molto in questi quasi quaranta minuti di musica: tradizioni arabe ed africane, suggestioni blues e R&B tanto acustiche quanto elettriche, psichedelia e minimalismo, che vanno a creare un mondo di indiscutibile fascino e di suggestione ipnotica. Durante la straordinaria conclusione di I’m Not Trying To Wake Up, i due si fanno affiancare da Cheryl Kingan al sax e chiedono l’apporto della tromba di Rolyn Hu, cesellando quasi 15 minuti di travolgente bellezza.
Ogni tanto va ricordato che anche in Italia c’è chi ha idee chiare e le esegue con quella istintiva passione che ci scalda il cuore. Gli Psicosi Di Massa sono una band romana dalla recente formazione, in cui convivono due anime dalla diversa ispirazione e dalla significativa differenza anagrafica che si miscelano inaspettatamente bene. La band propone un suono che non va alla ricerca di facili consensi avendo come preciso riferimento temporale il post-punk a cavallo tra ’70 e ’80 che va a collidere con la new wave. Possono far venire in mente i Killing Joke per la loro miscela tribale e potente, ma con un cantato in italiano di grande suggestione per chi ha avuto la fortuna già di assistere ai loro concerti, grazie anche alla notevole presenza scenica del cantante Andrea Audino che insieme alla batteria torrenziale del fratello Pierpaolo formano la parte “giovane” del gruppo. La parte “matura” è formata da Aldo Vallarelli alla chitarra, Renato Micelli al basso e Andrea Fiaschetti alle tastiere e synth. Dopo aver esordito live lo scorso settembre al RoMetal Festival sono finalmente arrivati alla pubblicazione del primo EP autoprodotto intitolato Sentimenti Estremi da cui con immenso piacere ascoltiamo insieme la trascinante (anche on stage) “Causa Della Guerra”.
Molti hanno sempre associato i Bitch Magnet a David Grubbs, facendoli dunque discendere da quella band cardine che sono stati i Squirrel Bait. In realtà Grubbs non è mai stato un vero membro ufficiale dei BM, avendo partecipato solo alle session dell’ultimo album in studio Ben Hur. Ma è vero che ha condiviso spesso e volentieri palco e intenti sonori con gli stessi BM mentre faceva parte dei Bastro. Sooyoung Park (basso e voce), Orestes Delatorre (batteria) e Jon Fine (chitarra) hanno avuto un ruolo fondamentale in quel processo di trasformazione che, a partire dall’hardcore evoluto della fine degli anni ’80, genererà alcune delle più affascinanti forme di post rock (e non solo) sviluppatesi poi nei ’90. A partire da questo primo EP intitolato Star Booty e prodotto (ancora lui) da Steve Albini, da cui ho voluto proporre la lenta e pesante “Sea Of Pearls”. Nel 1989 i Magnet aggiungono un chitarrista, David Galt, che prenderà parte alla registrazione del loro secondo album, Umber. Per chi vuole ripercorrere tutta la storia della band, nel 2011 la Temporary Residence Limited, ha ristampato in un lussuoso cofanetto composto da 3 CD tutta la loro storia.
Abbiamo parlato due settimane fa dei The Jesus And Mary Chain, in quanto il batterista che suonava nel loro straordinario album d’esordio era nientepopodimeno che Bobby Gillespie, che poi diventerà il leader dei Primal Scream. La band scozzese fondata dai fratelli Reid (William e Jim), capì come prendere lo spirito incendiario del punk ed innestarlo nel corpo del rock indipendente britannico di quel momento che era più incline alle tendenze dark della 4AD con un tocco personale: la coesistenza di muri di rumorismi feedback e di uno spiccato senso pop per la melodia. L’album Psychocandy, che inizia con questa “Just Like Honey”, ebbe recensioni positive quasi unanimi, ed è attualmente considerato una pietra miliare e precursore della scena shoegaze. La band si è recentemente riformata pubblicando nel 2017 l’album Damage and Joy dopo ben 18 anni dall’ultimo album in studio.
Nel 2015, l’album di esordio di un trio formato ad Atlanta, Georgia dal cantante Franklin James Fisher, dal chitarrista Lee Tesche e dal bassista Ryan Mahan chiamato Algiers, mi colpì moltissimo. I tre, dividendosi diversi altri strumenti, riuscirono ad infilare nelle 11 tracce del disco una serie di suoni estremamente interessanti tra battiti di mani e chitarre sferzanti, tra un ipnotico e scuro ritmo industrial ed un incedere vocale gospel, tra un impianto new wave e la voce soul dello splendido Fisher. Gruppo multirazziale ed impegnato socialmente, associando al loro suono scuro, liriche che esprimono la preoccupazione per l’elezione di Trump o i possibili sviluppi della Brexit. Aspettando il nuovo album The Underside Of Power in uscita a fine giugno che vede l’ingresso del batterista Matt Tong. riascoltiamoci “Irony. Utility. Pretext.”, perfetto manifesto degli intenti artistici della band.
Calexico è una città degli Stati Uniti d’America situata nello Stato della California. La città si trova al confine col Messico e il suo nome è una crasi che deriva proprio dall’unione delle parole California e México. Per questo motivo è gemellata con la città messicana di Mexicali che si trova proprio al di la del confine che è diventato (purtroppo) molto famoso dopo l’elezione di Donald Trump. Calexico è anche il nome voluto da Joey Burns e John Convertino, ex sezione ritmica dei Giant Sand, per il loro gruppo che unisce splendidamente la calda sabbia di Tucson, Arizona e le suggestioni delle fieste messicane. Una miscela di folk, country, tex-mex, blues e canzone d’autore che ha trovato il maggior splendore in un album quasi interamente strumentale intitolato The Black Light. La title track che propongo in questo podcast è il perfetto manifesto del loro classico alt-country.
Una curiosa sinergia tra musicisti ha portato alla creazione di una band chiamata semplicemente E. L’unione tra Thalia Zedek (Come, Uzi, Live Skull), Jason Sanford (Neptune), e Gavin McCarthy (Karate), ha prodotto un album uscito lo scorso anno, che ha unito la forza esplosiva del suono industriale con la calma dei songwriters più esperti. I membri della band hanno suonato in band che hanno esplorato più campi della scena rock, dal noise dei Neptune al post rock dei Karate. Ognuno ha portato in dote le proprie esperienze, e il nome scelto significa che i tre componenti hanno lo stesso peso specifico all’interno della band, come dimostra la lunghezza uguale delle tre “stanghette” della lettera E. Certo, scegliere un nome così è un po’ una cattiveria, provate voi a trovarlo sui negozi online o su Spotify… Tra sperimentazione e maturità espressiva, il trio ha sviluppato un suono che vuole essere tanto meccanico quanto emozionale e che loro stessi hanno descritto come “soul music for machines”. Ascoltiamo insieme “Delicate Fingers” per capire cosa intendono.
Mark Kozelek ha sempre usato la sua abilità di scrittura per esprimere in maniera compiuta la sua emotività sofferta e problematica. Trasferitosi in California alla fine degli anni ’80 fondò i Red House Painters, insieme al batterista Anthony Koutsos, al chitarrista Gorden Mack e al bassista Jerry Vessel. L’elogio della tristezza, la vena intimistica in cui riaffiorano i suoi ricordi, acuita anche dalle copertine virato seppia, hanno contribuito nel rendere la band un fenomeno di culto e una della band più importanti di un movimento chiamato slowcore. E mentre Kozelek sta continuando a sfornare album con il suo nuovo progetto Sun Kil Moon, io ho deciso di tornare indietro al 1992, quando i RHP pubblicarono il primo di una serie di album meravigliosi, un disco intitolato Down Colorful Hill. Per capire quanto fosse unico ed emozionale il loro suono scandito lentamente dalla voce di Kozelek, basta mettere la puntina sul disco ed ascoltare la prima traccia chiamata “24”.
E’ appena uscito il nuovo album degli Afghan Whigs, intitolato In Spades che segue due anni dopo le tracce del (purtroppo modesto) Do To The Beast. Non ho avuto ancora modo di ascoltare il nuovo album, che spero sia migliore del suo sfortunato predecessore. Non ho mai capito del tutto l’inclusione della band di Greg Dulli nel gran calderone del grunge. Certo, il periodo d’oro è il medesimo ma le coordinate sia musicali che geografiche (Cincinnati dista da Seattle più di 3000 km!) sono estremamente distanti. Torniamo indietro nel tempo fino al 1993, epoca in cui il gruppo era davvero all’apice della forma, dove Greg Dulli faceva ardere di passione con il suo rock robusto venato di soul. Gentlemen insieme al precedente Congregation, sono stati gli apici della loro produzione, e la splendida My Curse cantata curiosamente da Marcy Mays (la cantante degli Scrawl) sta lì a dimostrare quanto focosa, passionale ed irresistibile fosse la loro proposta.
Daniel Johnston è un meraviglioso outsider. Appassionato di fumetti e di Beatles sin da piccolo, ha iniziato a scrivere canzoni per i suoi filmini amatoriali da lui stesso creati. A 20 anni pubblica il suo primo disco Songs of Pain (1981), inciso con un organetto e un mangianastri da 59$. Il disco rivela già il suo straordinario talento di scrivere canzoni fresche e drammatiche senza mai scadere nel patetico, quasi come se fosse un bimbo piccolo a raccontarci delle storie. L’amore non corrisposto verso Laurie, che sposa un imprenditore suo conoscente gli causa il primo crollo nervoso che purtroppo lo accompagnerà per tutta la vita facendogli passare periodi durissimi dentro e fuori i reparti psichiatrici aggravati dall’uso di acidi e droghe. Inciderà anche album per una major, conoscerà un momento di notorietà grazie all’apporto di molti musicisti che ne hanno sempre apprezzato la sensibilità, tra cui Kurt Cobain. Nel 2003, dopo un altro decennio difficile, grazie alla produzione di un altro musicista di grande sensibilità come Mark Linkous aka Sparklehorse, si rimette in carreggiata, scrive e disegna come i bei tempi e fa uscire uno splendido album intitolato Fear Yourself. La sua capacità di non piangersi mai addosso (anche se lui al contrario di molti che realmente lo fanno, avrebbe VERI motivi per farlo) è dimostrata da questa commovente, scintillante ballata intitolata “Syrup Of Tears”. We love you Daniel!
Chiudiamo il podcast con un “collettivo di anime” creato da due musicisti italiani di cui tuttora non si conosce l’identità. I C’mon Tigre pubblicano il loro album di esordio a fine 2014, e speriamo che possano presto dare un seguito a questo splendido disco. Ad affiancare i due ci sono svariati musicisti provenienti da tutto il mondo, a creare un calderone di suoni mediterranei, tra italia, europa balcanica e africa, mescolati con cura e perizia. “A World Of Wonder” svela davvero il loro mondo intriso di meraviglia, e noi incrociamo le dita sperando possano continuare così anche in futuro.
E anche per stavolta è tutto. Nel prossimo podcast che sarà online venerdi 19 maggio andremo a scovare nuove suggestioni in musica, con l’energia di Protomartyr e Husker Du, la sperimentazione dei Golden Palominos, il secondo album di una certezza italiana come Todo Modo, e molte altre storie. Intanto potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, anche scrivere critiche (perché no), o proporre nuove storie musicali, mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web.
Vi do quindi appuntamento a tra due settimane, con un nuovo podcast da scaricare e nuove storie da raccontare, ma non mancate di tornare ogni giorno su RadioRock.to The Original. Troverete un podcast diverso al giorno, le nostre news, le rubriche di approfondimento, il blog e molte novità come lo split-pod. Siamo anche quasi in dirittura di arrivo per quanto riguarda l’atteso restyling del sito, e per questo (e molto altro) un grazie speciale va a Franz Andreani, che ci parla dei cambiamenti della nostra pod-radio e della radio in generale nel suo articolo per il nostro blog. Tutte le novità le trovate aggiornate in tempo reale sulla nostra pagina Facebook.
Se volete ascoltare o scaricare il podcast, potete farlo anche dal sito della stessa PodRadio cliccando sulla barra qui sotto. Buon Ascolto

TRACKLIST
01. PIXIES: Gigantic da ‘Surfer Rosa’ (4AD – 1988)
02. GANG OF FOUR: Damaged Goods da ‘Entertainment!’ (EMI – 1979)
03. RUN ON: Baap da ‘Start Packing’ (Matador – 1996)
04. 75 DOLLAR BILL: I’m Not Trying To Wake Up da ‘Wood/Metal/Plastic Pattern/Rhythm/Rock’ (Thin Wrist Recordings – 2016)
05. PSICOSI DI MASSA: Causa Della Guerra da ‘Sentimenti Estremi (EP)’ (Autoproduzione – 2017)
06. BITCH MAGNET: Sea Of Pearls da ‘Star Booty (EP)’ (Glitterhouse – 1988)
07. THE JESUS AND MARY CHAIN: Just Like Honey da ‘Psychocandy’ (Blanco Y Negro – 1985)
08. ALGIERS: Irony. Utility. Pretext. da ‘Algiers’ (Matador – 2015)
09. CALEXICO: The Black Light da ‘The Black Light’ (City Slang – 1998)
10. E: Delicate Fingers da ‘E’ (Thrill Jockey – 2016)
11. RED HOUSE PAINTERS: 24 da ‘Down Colorful Hill’ (4AD – 1992)
12. THE AFGHAN WHIGS: My Curse da ‘Gentlemen’ (Elektra / Sub Pop – 1993)
13. DANIEL JOHNSTON: Syrup Of Tears da ‘Fear Yourself’ (Sketchbook – 2003)
14. C’MON TIGRE: A World Of Wonder da ‘C’Mon Tigre’ (Africantape – 2014)