Un nome probabilmente scelto a caso, ma forse era tutto calcolato. Il criminale antagonista di Superman che si trasforma in una delle band più istintivamente folli e interessanti degli anni ’90. Il termine Brainiac, mutuato dall’extraterrestre dei fumetti, sta ad indicare nello slang americano una persona estremamente intelligente, quello che noi chiameremmo “cervellone”. Un nome curioso per una band fuori dagli schemi e dall’immenso potenziale che sfortunatamente non ha mai fatto in tempo ad esplodere in tutto il suo goliardico genio. Come troppo spesso accade, è stata una tragedia a porre fine alla storia dei Brainiac nel momento in cui stavano raccogliendo i frutti di un duro lavoro e diventare una stella del firmamento musicale.
We’ll Eat Anything
Andiamo con ordine e riavvolgiamo il nastro per tornare indietro agli inizi degli anni ’90. Tim Taylor e Juan Monasterio, amici già dal liceo, approfondiscono le loro ambizioni musicali frequentando insieme la Wright State University di Dayton, Ohio. Nella cittadina industriale della nazione che ha dato i natali ad altre gloriose formazioni eccentriche come The Dead Boys, Rocket From The Tombs, Pere Ubu e Devo, i due decidono di formare una band ispirata dal glam/hard rock dei Guns’n’Roses chiamata Pink Lady. Ma sarà un’altra band a formare il suono dei due. Parallelamente alla nuova band i due infatti si uniscono ad una formazione locale già affermata chiamata Wizbangs, con cui nel 1991 registrano un demo molto interessante. La band, capitanata da un certo Denny Wilson non durerà molto, ma avrà una grossa influenza sui futuri Brainiac, soprattutto per quanto riguarda l’organizzazione interna e nel sapersi proporre al di fuori dei confini dell’Ohio. A questo punto i due sono pronti a compiere il grande salto, o perlomeno a provarci seriamente. Tim (voce e tastiere) e Juan (basso) accolgono in gruppo la chitarrista Michelle Bodine e il batterista Tyler Trent, formando il primo nucleo dei Brainiac. In realtà il quartetto inizia a farsi conoscere in giro sotto il nome di We’ll Eat Anything, riempiendo il loro seminterrato di vari strumenti comprati al mercatino dell’usato tra cui i vari pedali e sintetizzatori vintage che caratterizzeranno il loro suono. Nel maggio del 1992 la band mette su nastro sette brani che mostrano una discreta evoluzione, la loro attitudine è diventata più aggressiva e sperimentale, anche se ancora grezza e troppo debitrice della moda del momento, il grunge. Il nastro viene inviato ad un’etichetta chiamata Limited Potential, che aveva la nomea di essere specializzata nel produrre i primi singoli di nuove band (una su tutte, gli Smashing Pumpkins).
La lettera è in qualche modo esilarante. Monasterio scrive al boss della label Mike Potential che la band vorrebbe far uscire in 7″ autofinanziato durante il periodo estivo e si augura che possa essere l’etichetta appena trasferitasi a Chicago proprio da Dayton ad occuparsi della pubblicazione. Se potesse servire come incentivo, il bassista propone al boss anche un rapporto orale fornito dalla chitarrista Michelle Bodine… Dopo aver fornito i dettagli e aver concluso la lettera dattiloscritta con un “Love and wet kisses”, il bassista pensa bene di aggiungere una postilla scritta a mano: “I know i can’t spell or type so fuck you” che la dice lunga sull’attitudine del gruppo.
Non sapremo mai se Mike Potential ha davvero accettato i servizi orali della Bodine, sta di fatto che dopo un’estate passata a suonare devastanti concerti e dopo aver cambiato definitivamente il nome in Brainiac, la band pubblica a settembre il primo 7″ Superduperseven proprio per la Limited Potential. Il singolo vede sul Lato A un brano intitolato Ride, traccia già presente sul famoso primo nastro, insieme a Superdupersonic (Theme From Brainiac), mentre sul Lato B c’è una Simon Says che mostra il versante della band più orientato verso le soluzioni schizofreniche dei quasi compaesani Pere Ubu. Le performance live della band fanno il resto, guadagnandosi l’entusiasmo di chi assiste ai loro coinvolgenti concerti come dimostra questo live report scritto nel luglio 1992 sulla fanzine Imminent dopo un concerto tenuto nella Wright State’s Rathskellar della vicina Cincinnati.
Smack Bunny Baby
Dopo aver pubblicato un nuovo 7″, uno split live in coabitazione con le riot Bratmobile, agli inizi del 1993, i quattro ragazzi si rinchiudono a provare i pezzi che comporranno il primo disco sulla lunga distanza. L’album uscirà a luglio per la Grass Records, etichetta di base a New York che era stata positivamente colpita sia dai singoli usciti che dalla fama crescente delle loro esibizioni live. “Smack Bunny Baby” mantiene le promesse anche se gli ingredienti usati non sono ancora sapientemente dosati come succederà nelle pubblicazioni successive. A tenere banco è ancora l’acerbo ma trascinante ibrido tra il grunge (il trascinante riff dell’opener I, Fuzzbot e il girotondo della title track) e il post punk eccentrico dell’Ohio, con rimandi ai Pere Ubu (Cultural Zero) e alla demenzialità dei Devo (Martian Dance Invasion). La band trova anche il tempo di registrare l’ennesima (stavolta definitiva) versione di Ride e di sperimentare da maestri con il pitch shifter associato alla voce (Draag). Il fatto che nello svolgimento del loro primo compito non abbiano mostrato tutto il loro potenziale e non abbiano marcato il territorio con la loro impronta specifica non suoni come una critica. L’album è ottimo, energetico, una bomba che racchiude molti suoni dei suono che caratterizzeranno gli anni ’90. Magari non prova a cambiare alcune regole base del rock di quegli anni come faranno i lavori successivi, ma rappresenta appieno una gioventù americana dell’epoca smarrita tra una tecnologia sempre più imperante e varie derive tossiche. L’ascolto di Draag è più che un indizio su come evolveranno Tim Taylor e compagnia, e i Brainiac saranno molto bravi a dimostrare che il processo che alcune etichette compiono forzando le band a ricreare le atmosfere di un fortunato album di esordio, non è solo completamente errato ma risulta spesso controproducente. I Brainiac saranno bravi e coraggiosi nell’evitare questo tranello e a far evolvere naturalmente la loro personalità. Il disco è prodotto da Eli Janney, bassista e tastierista dei Girls Against Boys, anche loro una delle influenze dell’album insieme a Sonic Youth e Jesus Lizard.
Proprio i Jesus Lizard nell’ottobre del 1993 chiamano la band di Dayton ad aprire le date della parte californiana del loro tour americano, accompagnati dagli stessi Girls Agains Boys. Il riscontro ottenuto dalla band è eccezionale, le loro performance sul palco infiammano gli spettatori e i Brainiac diventano un gruppo dal grande seguito e dalle enormi aspettative. Una piccola pausa e poi l’attività on stage riprende all’inizio del 1994 come supporto dei Quicksand, per poi proseguire in primavera. Proprio questa intensa attività logora a tal punto la chitarrista Michelle Bodine da fargli prendere la decisione di abbandonare la band. Mentre la Bodine andrà a formare gli O-Matic, il suo posto viene preso da John Schmersal, uno studente in telecomunicazioni che preferisce la musica al college ed è talmente sfacciato da essere reclutato all’istante. Il primo brano inciso con il nuovo chitarrista è Dexatrim, incluso in un 7″ in split con i Lazy pubblicato dalla Simple Solution Records.
Bonsai Superstar
A questo punto la band è pronta per il grande salto, il budget per la registrazione del secondo disco è molto più elevato, ed è ora per la band di Dayton di alzare l’asticella. Nell’agosto del 1994 entrano in sala di incisione con il fido Eli Janney per registrare “Bonsai Superstar”, disco che lancia la band come una delle “next big things” del rock americano degli anni ’90. Un album carico di tensione già dall’apertura di Hot Metal Doberman’s che mostra una voce filtrata, grandi arrangiamenti di synth ed una feroce aggressività stavolta esposta in maniera molto più nitida grazie all’ottimale lavoro di registrazione e missaggio. Anche quando si abbassano i ritmi come in Fucking With The Altimiter, la tensione rimane alta, con i synth che sembrano sempre sul punto di far esplodere il tutto. L’apertura di Radio Apeshot sembra tratta da un disco dei Rodan, band post-math-rock di Louisville per cui i quattro avevano aperto un concerto pochi mesi prima a Lexington, Kentucky. I singulti della trascinante Juicy (On a Cadillac), la lasciva e appiccicosa Flypaper mostrano l’abilità della band nell’alternanza schizofrenica tra momenti calmi e orecchiabili e quelli rumorosi e contagiosi. Quando la già citata Fucking With The Altimiter inizia con una voce femminile in loop che ripete “Give me some love”, l’avvertimento giunge forte e chiaro: le regole sono cambiate, da ora non si gioca più allo stesso modo. La chitarra non è più l’elemento principe, la struttura viene deformata dai disturbi di synth e nastri in qualcosa di nuovo, un mosaico che aggiunge tasselli nuovi e caleidoscopici ad ogni ascolto, un suono Brainiac praticamente definito e definitivo. Basti ascoltare come Sexual Frustration viene trasformata in corso d’opera da rock scazzato alla Devo fino ad uno scuro e claustrofobico tunnel verso l’abisso. I mesi passati dalla registrazione alla pubblicazione di “Bonsai Superstar” la band li ha passati, tanto per cambiare, on the road: una data proprio nella loro città natale insieme agli Shellac, ed un breve tour con i Jawbox. Il disco si mostra straordinariamente coeso pur nella sua entità mutante e riceverà una buona accoglienza della critica oltre al consueto entusiasmo suscitato dal loro adrenalinico live act pieno di trovate.
Il 1995 vede i nostri approdare per la prima volta in Europa con due date a Londra, di cui una con i “soliti” Girls Against Boys. A marzo ecco un segnale forte e importante: i Brainiac si issano in prima fila nella scena underground a stelle e strisce firmando per la Touch And Go. Riguardo il loro abbigliamento bizzarro tra paillettes e pellicce, distante anni luce dal grunge e dalle mode in generale, Juan Monasterio (laureato in moda e marketing) ha detto nel 2016: “Penso ci interessasse la nostra immagine in generale. Eravamo interessati da quello che stavano facendo band come la Jon Spencer Blues Explosion con la loro immagine. Ci piaceva molto l’idea della band come una gang, con i propri colori e i propri simboli segreti.”
La band ormai è sulla cresta dell’onda, perfetta nell’interpretare dal vivo l’energia cinetica e le nevrosi del suo leader, i brani viaggiano con l’alternanza di pause e accelerazioni ricchi di pathos e di tensione emotiva e la firma con la prestigiosa Touch And Go ha dato finalmente alla band di Dayton la visibilità che merita. I Brainiac partecipano ad alcune date del festival Lollapalooza suonando nel side stage e il 10 ottobre fanno uscire il 7″ “Internationale”, prima pubblicazione per la nuova etichetta. E’ il momento di dare un’ulteriore scossa. Altre date in Europa di cui una al LA2 londinese a supporto dei The Amp, una session con John Peel e via in sala di incisione per registrare il terzo album, quello della consacrazione.
Hissing Prigs in Static Couture
La rivoluzione c’era già stata con “Bonsai Superstar”, adesso bisognava solo limare il suono. Il titolo scelto è sempre più nonsense così come il nome del gruppo scritto per la prima volta con l’inserimento di caratteri numerici (3RA1N1AC). Se volessimo davvero tradurre in italiano “Hissing Prigs in Static Couture”, suonerebbe più o meno come “Bacchettoni Sibilanti in Abbigliamento Statico”. Quello che continua a non essere sicuramente statico è l’andamento tellurico del gruppo e del suo leader. L’album, pubblicato nel marzo del 1996, ma registrato nel novembre 1995 negli studi di Water Music a Hoboken, New Jersey dal solito Eli Janney, tranne una traccia registrata da Steve Albini nel suo seminterrato, presenta 13 brani come il suo predecessore. La struttura delle canzoni è sempre più isterica e psicotica, le tracce sembrano respirare e contorcersi vivendo di vita propria, abbandonando quasi completamente la tradizionale struttura almeno per una buona metà dell’album. A partire dall’incipit di Indian Poker (Part 3) che si interrompe all’improvviso per lanciare in orbita uno dei loro classici, Pussyfootin’. Lo stridulo falsetto di Tim Taylor sbraita raddoppiandosi, le nevrotiche linee di synth lanciano la chitarra in orbita, il basso pulsa vigoroso. Un’energia che trasuda da ogni solco, come dimostra lo psicotico ritornello della successiva Vincent Come On Down, e che viene bilanciata dalla stravagante genialità di brani come This Little Piggy, Strung o la tragica Beekeeper’s Maxim che rallentano i ritmi tra schegge di follia, spoken words, e grida cariche di tensione che si sovrappongono. L’album si muove in ogni direzione contemporaneamente, zigzagando felicemente in un monumentale e contagioso coacervo sonoro. I maestri del suono dell’Ohio (Pere Ubu, Devo), vengono aggiornati ad una versione 2.0 meno tragica, più scollacciata e sfrenata. Il disco viene chiuso dalla tensione garage di I Am A Cracked Machine, dove il cantato di Taylor supera sempre il livello rosso in una veemente interpretazione, degno finale di un album fondamentale per ogni fan che si rispetti dell’Indie Rock anni ’90.
L’album viene molto apprezzato anche dalla critica, oltrepassando i confini statunitensi, sebbene non troverà molto spazio nelle playlist di fine anno. La band suonerà anche in Italia, un’unica volta, nel giugno 1996 al Taxi Driver di Catania. Nello stesso mese divideranno il palco più volte con i Trans Am, mentre successivamente saranno gli US Maple ad aprire per loro. Fa sorridere amaramente pensare che queste bands oggi sono molto più conosciute dei Brainiac anche se all’epoca non erano certo all’altezza del gruppo di Dayton.
I primi mesi del 1997 vedono la band in tour insieme ai Jesus Lizard, mentre ad aprile viene pubblicato un nuovo EP intitolato Electro-Shock For President composto da 6 brani prodotti da Jim O’Rourke in cui viene messa più in evidenza l’attitudine elettronica a scapito del suono chitarristico. Una band in continua mutazione, che stavolta attinge a piene mani dal suono dei conterranei Nine Inch Nails (Fresh New Eyes), e grazie alle manipolazioni di Jim O’Rourke fa diventare il suono più sintetico, scuro, meccanico (Fashion 500). Dopo questo EP che apri nuovi orizzonti per la band, i quattro tornano in tour, sia negli States che in Europa per aprire le date britanniche di Beck che dirà di loro sulle pagine di Slate Magazine: “Tim era un performer ispirato. Eplodeva sul palco con voci aliene, colpendo violentemente il sintetizzatore. Nelle pause tra le canzoni esclamava ad uno sconcertato pubblico inglese ‘Siamo i Brainiac, veniamo da Dayton, Ohio, USA!’ e lo faceva sembrare il posto più sperduto del mondo”. La band torna negli States, pronta a preparare il quarto album che però non vedrà mai la luce. La notte del 23 maggio 1997 Tim Taylor perde la vita in un incidente automobilistico mentre stava tornando a casa dallo studio di registrazione. I Brainiac si sciolgono con effetto immediato.
Non sapremo mai con certezza come sarebbe stato il quarto album. Sembra che la band avesse già un contratto in tasca con una major (Interscope), e che il suono avrebbe visto un ritorno delle chitarre pur mantenendo una forte impronta elettronica grazie alla produzione di Jim O’Rourke. Come ha detto Juan Monasterio in un’intervista del 2016: “Avevamo appena iniziato a registrare e di solito era Tim che scriveva le canzoni, spesso già complete. Solo in seguito ci trovavamo tutti insieme per arrangiare le parti. Penso che il suono sarebbe stato una continuazione del suono di ‘Hissing Prigs’ con una maggiore sperimentazione elettronica, come in ‘Electro-Shock’. Ma è pura speculazione.”
Recuperare i Brainiac è un’operazione doverosa, tra l’altro la loro discografia non è certo sterminata (tre LP e due EP) è anche facilmente reperibile a prezzi più che onesti. Avevano preso l’ispirazione da molti artisti, di cui alcuni assolutamente insospettabili (Stevie Wonder e David Bowie che li aveva portati ad usare il Moog dopo l’ascolto di Ashes To Ashes), ma erano allo stesso tempo assolutamente originali. Non facevano parte di nessuna scena definita ma allo stesso tempo sono stati fondamentali per tutto l’indie rock a stelle e strisce dei ’90. Paradossi? Forse, ma i Brainiac sono tuttora venerati come una band di culto, influenzando moltissime band che hanno avuto un maggior successo commerciale. Auto-ironici, stravaganti, geniali. Chissà cosa sarebbe successo se la loro storia non si fosse così drammaticamente interrotta.
Il 10 agosto 1997, a Dayton si è tenuto un concerto di beneficenza capitanato da The Breeders e Guided By Voices, i cui proventi sono andati alla mamma dello sfortunato cantante. E’ stata l’ultima volta in cui i componenti dei Braniac si sono ritrovati sul palco insieme fino al 2015.
Michelle Bodine, come abbiamo detto, aveva lasciato la band nel 1994 per formare gli O-Matic, gruppo che pubblicherà un solo album nel 1996 intitolato “Dog Years” immerso in un indie rock con inflessioni punk che non lascerà molte tracce. La band si scioglierà presto lasciando la Bodine libera di formare le Shesus con un’altra riot grrrl dell’Ohio chiamata Heather Newkirk. Anche qui un solo album all’attivo, “Loves You… Loves You Not” uscito nel 2003 che vede anche una cover di Bowie (Hang Onto Yourself). La band si trascinerà stancamente fino al 2007 senza particolari scossoni.
Più interessante il percorso intrapreso dal chitarrista John Schmersal, che dietro il moniker di Enon ha pubblicato cinque album molto interessanti usciti per la Touch And Go, anche se è andato perdendo per strada la passata eccentricità. Dal secondo “High Society”, uscito nel 2002 (probabilmente il miglior album a nome Enon), in poi, Schmersal ha unito le sue forze a quelle della bassista Toko Yasuda (Blonde Redhead) recuperando sempre più inflessioni retro-pop, anche se talvolta le frequenti variazioni sugli arrangiamenti e il talento narrativo del chitarrista (che si scopre anche ottimo cantante) fanno risaltare alcuni momenti sonori che possono rimandare al gruppo madre. Nel 2010 Schmersal ha abbandonato il progetto Enon per trasferirsi in California, fondare una nuova band chiamata Crooks On Tape, e lasciarsi andare alla produzione di una serie di jingle per pubblicità e sigle per serie tv e cartoni animati. La sua voglia di sperimentare ha trovato linfa vitale nella collaborazione con un nome importante dell’elettronica dei giorni nostri, Dan Snaith, più conosciuto come Caribou.
Recentemente, nel 2014, ha fatto uscire un nuovo album insieme al batterista Christian Beaulieu a nome Vertical Scratchers (“Daughter of Everything”, pubblicato dalla Merge Records), per poi far uscire l’anno successivo un nuovo disco a nome Crooks On Tape (“In the Realm of the Ancient Minor”, edito dalla Pure Orgone).
Juan Monasterio ha praticamente interrotto la sua carriera insieme alla fine dei Brainiac, di lui si ricorda solo la partecipazione in veste di regista al video di In This City degli Enon. Ma nel 2014, insieme a tutti gli altri ex membri dei Brainiac (Bodine, Trent e Schmersal), è salito sul palco sotto il primo nome di We’ll Eat Anything, per suonare il “vecchio” repertorio della band e ricordare il loro amico Tim Taylor. Visto che negli ultimi anni abbiamo assistito a decine di reunion, alcune davvero improbabili, chissà cosa succederà con una delle band più importanti, ma quasi dimenticata, dell’indie rock anni ’90.
Discography
Singles & EP’s:
- Superduperseven (7″ – 1992, Limited Potential Records)
- Live (7″ split with The Bratmobile – 1992, Twelve-Vex-Twelve)
- Dexatrim / Nothing (7″ split with Lazy – 1994, Simple Solution Records)
- Internationale (7″ – 1995, Touch And Go)
- Electro-Shock For President (EP / 12″ – 1997, Touch And Go)
Albums:
- Smack Bunny Baby (1993, Grass Records)
- Bonsai Superstar (1994, Grass Records)
- Hissing Prigs In Static Couture (1996, Touch And Go)