Per molti di noi il 2016 appena finito verrà ricordato come un triste e lungo addio a molti artisti che hanno fatto la storia della musica. Da quelli più conosciuti al grande pubblico (David Bowie, Greg Lake, Leonard Cohen, Keith Emerson, Prince, George Michael) a quelli più di nicchia (Sharon Jones, Pauline Oliveros, Mose Allison).
A volte magari abbiamo imprecato contro il funesto anno bisestile dimenticando che anche i nostri eroi musicali purtroppo sono soggetti alle stesse leggi degli uomini “normali”, invecchiano e possono contrarre brutte malattie. Forse tutto questo ha fatto passare in secondo fatto le moltissime cose interessanti pubblicate negli ultimi 12 mesi. Compilare una classifica, visto il numero gigantesco di uscite, è sempre più un’impresa ardua, forse un inutile esercizio di stile: difficile stabilire gerarchie, e soprattutto, fissare i “giusti” parametri da usare. Quali sarebbero? In base a cosa?
Impossibile ascoltare tutto, troppe le pubblicazioni e troppo poco il tempo quotidiano a nostra disposizione per ascoltare nuova musica con l’attenzione che spesso meriterebbe. I limitati ascolti poi vengono filtrati attraverso la nostra particolare sensibilità, assecondando i gusti personali e la nostra attitudine musicale. Nonostante ci siano un milione di classifiche sparse nel web, sia quelle compilate dalla varie (più o meno trendy) music webzines e magazines, che quelle postate sui vari profili personali dei social networks, credo che da ognuna di queste ci sia sempre da qualcosa da imparare, uno o più nomi da annotarsi per approfondire con curiosità.
In tre podcast ho semplicemente appuntato su un taccuino, gli album che ho ascoltato di più e che sono riusciti maggiormente a coinvolgermi tra quelli usciti in questi ultimi 12 mesi, e condividere con voi la mia interpretazione, il mio modo di sentire.
Il primo podcast, che potete ascoltare e scaricare seguendo il link qui sotto
mette in rassegna alcuni titoli che ho inserito come outsiders, album che non sono riusciti ad entrare nella Top 50, sfiorando la mia personale eccellenza, ma che per molti di voi potrebbero invece essere assolutamente degni della portata principale.
Uno di questi è quello che vede l’unione tra i BOL, tre musicisti norvegesi che dal 1995 hanno iniziato a modellare e dipingere il proprio suono tra jazz, improvvisazione e una personale forma di psichedelia elettronica, e SNAH, ovverosia il chitarrista dei Motorpsycho, Hans Magnus ”Snah” Ryan. Il loro primo album con il nome di BOL & SNAH, mette subito in chiaro la loro dinamica e il loro magniloquente scenario musicale sin dall’epicità classica della prima traccia intitolata “The Sidewalks”, dove la voce della cantante Tone Åse svetta raggiungendo vette di grande lirismo e ricordando alcuni gruppi prog del passato che si avvalevano di voci femminili, uno su tutti, i Curved Air presi per mano dalla voce di Sonja Kristina. La sua controparte chitarristica, Snah, può invece sfoderare tutto il suo amore per l’hard rock progressivo dei 70 nei riffoni hard-blues capaci di far infrangere alte onde schiumanti sugli scogli. Inutile negare che a volte il classicismo della proposta viene fuori appesantendo il tutto e rischiando di portare l’opera a fondo, ma i quattro musicisti riescono spesso a mascherarlo con un riuscito gioco di luci ed ombre.
Julianna Barwick è un’artista che ha sempre amato lavorare con la sua voce, il violoncello e soprattutto con la sua fedele loop station, grazie alla quale riesce a creare i suoi muri sonori e i suoi intriganti pattern strumentali. Dopo il precedente ‘Nepenthe’ (2013) in cui tentava una nuova strada grazie alla collaborazione con il quartetto d’archi islandese delle Amiina e all’aggiunta di un coro femminile, con il nuovo ‘Will’ torna a fare tutto da sola. Le sue architetture sonore vengono sovraincise, campionate, mandate in loop con l’ausilio in alcune tracce di una linea di pianoforte e field recordings. Il risultato è una tensione emotiva di grande interesse e intensità, come dimostra la splendida “Big Hollow”.
Minor Victories è il nome di un nuovo “supergruppo” che comprende Rachel Goswell degli Slowdive, Stuart Braithwaite dei Mogwai, Justin Lockey degli Editors, e suo fratello James Lockey, film-maker dei Hand Held Cine Club. Il loro album di debutto vede come ospiti sia Mark Kozelek (Red House Painters, Sun Kil Moon) che James Graham dei Twilight Sad. L’album risulta molto buono, in costante equilibrio tra sferzate shoegaze e uno scuro dream-pop. Il brano che ho scelto, “For You Always” è uno dei più morbidi del disco, proprio quello dove fa la differenza l’alternarsi delle voci della Goswell e di Kozelek. Forse il loro chiaroscuro tra fiammate post-punk e ambientazioni new wave non mi ha convinto appieno per inserirlo tra le prime posizioni, ma resta un progetto estremamente interessante e dal fascino oscuro.
In realtà Marlon Williams, l’esordio omonimo del songwriter newzelandese, è uscito in patria a fine 2015, ma è stato pubblicato dalla Dead Oceans a febbraio 2016. Un album dove il cantautore mette tutta la sua energia e passione per la materia country-folk. Il disco è in equilibrio tra cover e materiale scritto di proprio pugno, tra cui spicca il formidabile treno lanciato a tutta velocità di “Hello Miss Lonesome” . Il brano apre un disco che forse pecca di troppa varietà stilistica risultando non propriamente coeso, ma che ci dona un autore che potrà sicuramente dire la propria nei prossimi anni se riesce ad affinare e a veicolare meglio il suo enorme talento.
Sulla forza rabbiosa degli Sleaford Mods già mi sono espresso più di una volta, il loro esordio per la storica etichetta britannica Rough Trade è l’ennesimo centro. L’EP intitolato ‘T.C.R.’ precede di poco l’album “Live at SO36”, registrato al SO36 di Berlino il 19 giugno 2015. Il duo punk-hop di Nottingham formato da Jason Williamson e Andrew Fearn non sbaglia un colpo e anche il nuovo EP è un concentrato di invettive feroci condite da una base musicale sempre all’altezza della situazione come dimostra la title track. Se fosse stato un vero e proprio album sicuramente sarebbe in alto nella mia Playlist, ma anche queste sole cinque tracce meritano di essere inserite in classifica, sperando in un full lenght per il 2017.
Dopo essersi fatto conoscere dietro al moniker White Fence, con il quale ha pubblicato ben sei album, Tim Presley arriva al debutto con il suo vero nome dando alle stampe uno splendido album intitolato ‘The Wink’ pubblicato dalla Drag City. L’album è stato registrato con l’ausilio e la produzione della songwriter Cate Le Bon, sua sodale nel progetto Drinks. La sua è una scrittura sghemba, surreale, i suoi quadretti richiamano una serie di personaggi folli e geniali (da Kevin Ayers a Syd Barrett) con una spiccata sensibilità pop e garage. Divertente come questi pezzi apparentemente sgangherati, anticonvenzionali e arruffati riescano a formare un puzzle in realtà perfettamente compiuto, come dimostra la title track.
Passando alla vera e propria Top 50, troviamo alla posizione #49 una band che ormai credevo allo sbando. L’uscita di ‘The Catastrophist’ invece è riuscita a risvegliare il mio interesse per i Tortoise, che con un inatteso colpo di coda ha saputo cancellare in parte le opache prestazioni degli ultimi lavori. I chicagoani hanno asciugato finalmente il suono pur mantenendo vivi i loro minuziosi arrangiamenti, e inserendo ben due brani cantati (da Todd Rittmann dei Dead Rider e da Georgia Hubley degli Yo La Tengo). La band ha saputo confezionare un disco elegante e asciutto, dalle pulsazioni morbide in superficie ma irrequiete ed in continua metamorfosi andando ad esaminare gli arrangiamenti in profondità. Per rappresentare l’album ho scelto il ritmo pesante di “Shake Hands With Danger” , capace di trascinarci in una scura e vorticosa danza quasi mediorientale.
I fratelli Peter e David Brewer da Sunderland, attivi da un decennio sotto il nome di Field Music, sono riusciti a perfezionare un suono assolutamente distintivo nonostante i molteplici ed evidenti modelli di riferimento. Il nuovo ‘Commontime’ (che si trova in fondo alla classifica, al #50) ce li fa ritrovare in ottima forma dopo il mezzo passo falso di ‘Plumb’, consolidando e certificando il ruolo del duo come uno dei gruppi più unici del pop-rock britannico. L’estetica pop raffinata si interseca con suggestive ipotesi di contaminazione, gli arrangiamenti ricchi, stralunati, eleganti e lucidi sembrano sempre sul punto di strabordare, e ci vuole tutta la perizia navigata dei due traghettatori per far si che questo non accada mai. Gli archi, le percussioni, gli intrecci vocali di “But Not For You” riescono a coinvolgere e divertire in maniera totale.
Terry Lee Hale è un grande artista underground. Nato in Texas, poi stabilitosi a Seattle negli anni Ottanta, oggi vive in Europa, e precisamente a Marsiglia. Vero outsider, capace di una carriera discografica tanto poco visibile quanto pregevole per qualità. Lui ha sempre cercato e trovato una sua via personale ed autentica, che scorre parallela alle classiche strade blu americane. Il nuovo ‘Bound, Chained, Fettered’ (#44), è stato registrato a Forlì sotto la produzione di Antonio Gramentieri, che suona anche la chitarra e la lap steel, e con la partecipazione di altri musicisti, che come Gramentieri fanno parte del giro Sacri Cuori, come Christian Ravaglioli alle tastiere, Diego Sapignoli alle percussioni, e Franco Neddei al synth. Basta ascoltare la title track ed il suo incedere calmo ma passionale per lasciarsi conquistare.
Luca Ciffo (chitarre), Fabio Ferrario (samples) e Paolo Mongardi (batteria) arrivano alla quarta fatica limando e perfezionando la loro formula che inserisce flussi noise e audio samples tratti da film, documentari e vecchi vinili su un substrato sonoro composto da una solida matrice heavy rock. Il senso di apocalisse incipiente che aspetta l’uomo si è fatto più urgente in questo nuovo lavoro dei Fuzz Orchestra intitolato ‘Uccideteli Tutti! Dio Riconoscerà I Suoi’ che si posiziona al #42. I tre sfruttano al meglio i dialoghi tratti da film del passato per costruire le loro microstorie che formano una propria colonna sonora immaginaria. Esemplificativa in questo senso è “Todo Modo” con la narrazione che si fa sempre più urgente nella sua invettiva contro il potere, ed i tre (coadiuvati dagli Esecutori di metallo su carta diretti da Enrico Gabrielli) a pestare duro per rendere la narrazione ancora più potente e drammatica. Ormai i tre sono una splendida certezza per la musica di casa nostra.
Dietro al moniker di Let’s Eat Grandma, si nascondono due diciassettenni di Norwich, Rosa Walton e Jenny Hollingworth. Amiche inseparabili da una vita, Rosa e Jenny sono anche incredibilmente somiglianti, e non a caso il loro esordio discografico si intitola ‘I, Gemini’ (#41). Sotto le loro narcotiche melodie suonati dagli strumenti più disparati (dall’ukulele al sax, fino al glockenspiel), le due raccontano filastrocche psych-pop dal fascino romantico che si appiccicano come melassa. Le due affrontano la stesura del disco come fosse un gioco, tra torte al cioccolato, battimani, giochi di parole e carillon, e divertendosi ci portano per mano in un immaginario sonoro e visivo nuovo e originale. Ascoltate “Deep Six Textbook”, una lenta nenia fluttuante, che attraversa strati e strati di synth in un mondo notturno ai confini del trip-hop. Ascoltatele se credete ancora nel potere delle fiabe.
Dietro un’iconografia fantascientifica che negli anni ’60 avrebbe fatto entusiasmare gli spettatori di “Ai Confini della Realtà”, assetati di storie dell’ignoto c’è un trio avventuroso che dal 2005 sforna crudeli e appassionanti battaglie interplanetarie. Tornando in Italia e ascoltando i Morkobot si viene intrappolati, conquistati dal ritmo lento ma inesorabile dei due bassi che duellano e si sovrappongono creando un denso e scuro substrato su cui si appoggia un drumming incessante e fantasioso. ‘GoRgO’, #40 della mia Top 50, è il loro quinto album in studio, registrato in soli tre giorni a testimoniare l’unità creativa del gruppo. L’abilità tecnica dei tre non risulta mai fine a se stessa, e anche quando il suono si fa meno frenetico il groove non si sfalda, anzi, riesce a compattarsi in un poderoso muro di suono. Per farvi un’idea di quanto riescano ad essere iconoclasti come i Lightning Bolt e matematici come i Don Caballero, ascoltate quel mostro dall’incedere inarrestabile chiamato “Ogrog” distruggere tutto quello che trova sul suo cammino che dimostra come possano essere psichedelici nella loro libera attitudine di spaziare creando incastri ritmici sempre nuovi.
L’ex Pussy Galore e Royal Trux Neil Michael Hagerty insieme ai riformati The Howling Hex riprende i suoi canovacci garage e folk modellandoli come sempre in maniera geniale. Il suo nuovo album intitolato ‘Denver’ (#39 della mia playlist) risulta essere piacevolmente conciso (appena 27 minuti) e ancora più meravigliosamente eseguito. Tra garage, psichedelia e una sorta di felice country-hardcore la chitarra di Hagerty si esibisce in un vittorioso rodeo. Il gran finale del disco è affidato a “300 Days Of Sunshine”, brano che unisce e completa tutti toni ed i suoni espressi nei 22 minuti precedenti con una precisione ed una bellezza suprema. Impossibile non amare questo pazzo scriteriato e le sue folli e geniali idee.
Concludiamo il podcast con il disco che si posiziona al #34 della mia personalissima classifica. Il nuovo album dei Fire!. Difficile dire se il trio svedese riesca ad entusiasmare più nella classica formazione a tre, o nella versione allargata Fire! Orchestra dove insieme ad altre decine di musicisti provenienti dagli universi noise-jazz-improv scandinavi, riescono a lasciarsi andare senza rete nel mescolare e trasformare free jazz, canzoni, noise, kraut-rock in un’estatica orgia di suoni. Gli estenuanti tour come Orchestra hanno portato Gustafsson e compagni ad asciugare, e di molto, la loro strumentazione: via il Fender Rhodes e le contaminazioni elettroniche che arricchivano il disco precedente e via anche il basso elettrico a favore del contrabbasso classico. In questo nuovo viaggio sonoro intitolato ‘She Sleeps, She Sleeps’, i Fire! ci rendono sempre più consapevoli del fatto che la band è al giorno d’oggi la stella probabilmente più luminosa di tutto l’universo improv-jazz-avant, nonché tra i più incredibili/credibili compagni in questa fantastica avventura che è la musica. Ascoltate la lenta ma inesorabile combustione evocata dal nome del trio nell’apertura di “She Owned His Voice”.
Ho volutamente “trascurato” nel compilare questo podcast, alcuni artisti che avevo trasmesso nella scorsa trasmissione come Ryley Walker, The Excitements o Badbadnotgood. La classifica intera la trovate in ogni caso a questo link. Nei prossimi due podcast andremo a sviscerare le posizioni dal #28 alla vetta della classifica.
Vi do quindi appuntamento al 27 gennaio, con un nuovo podcast da scaricare e nuove storie da raccontare. Non mancate di tornare ogni giorno su RadioRock.to The Original. Troverete un podcast diverso al giorno, le nostre news, le rubriche di approfondimento, il blog e molte novità come lo split-pod. Siamo anche quasi in dirittura di arrivo per quanto riguarda l’atteso restyling del sito, e per questo (e molto altro) un grazie speciale va a Franz Andreani, che ci parla dei cambiamenti della nostra pod-radio e della radio in generale nel suo articolo per il nostro blog. Tutte le novità le trovate aggiornate in tempo reale sulla nostra pagina Facebook.
Se volete ascoltare o scaricare il podcast, potete farlo anche da Podomatic cliccando sulla barra qui sotto. Buon Ascolto
TRACKLIST
01. Bol & Snah: The Sidewalks da So? Now (Gigafon)
02. Julianna Barwick: Big Hollow da Will (Dead Oceans)
03. Minor Victories: For You Always (feat. Mark Kozelek) da Minor Victories (PIAS)
04. Marlon Williams: Hello Miss Lonesome da Marlon Williams (Dead Oceans)
05. Sleaford Mods: T.C.R. da T.C.R. – EP (Rough Trade)
06. Tim Presley: The Wink da The Wink (Drag City)
07. Tortoise: Shake Hands With Danger da The Catastrophist (Thrill Jockey)
08. Field Music: But Not For You da Commontime (Memphis Industries)
09. Terry Lee Hale: Bound, Chained, Fettered da Bound, Chained, Fettered (Glitterhouse)
10. Fuzz Orchestra: Todo Modo da Uccideteli Tutti! Dio Riconoscerà I Suoi (Woodworm)
11. Let’s Eat Grandma: Deep Six Textbook da I, Gemini (Transgressive)
12. Morkobot: Ogrog da Gorgo (Supernatural Cat)
13. Neil Michael Hagerty & The Howling Hex: 300 Days Of Sunshine da Denver (Drag City)
14. Fire!: She Owned His Voice da She Sleeps, She Sleeps (Rune Grammofon)