01. SUFJAN STEVENS: Carrie & Lowell (Asthmatic Kitty)
Un ritorno semplicemente inaspettato. Davo ormai per perso artisticamente Sufjan Stevens, fino a quando non è arrivato Carrie & Lowell. Una copertina con una foto rovinata dal tempo, due nomi che campeggiano, riferiti alla coppia della foto, non due personaggi immaginari, bensì persone vere, reali. Lowell è Lowell Brams, patrigno di Stevens e co-fondatore con lo stesso figliastro dell’etichetta indipendente Asthmatic Kitty; mentre Carrie è la madre dello stesso Stevens, che ha abbandonato il figlio quando era ancora un bimbo. Una donna che soffriva di disturbi bipolari e faceva abuso di droghe. Un destino crudele sotto forma di male incurabile ha portato via Carrie proprio quando le ferite di quel distacco si stavano finalmente cicatrizzando, e questo dolore ha portato il songwriter ad abbandonare le sue precedenti trovate, spesso fin troppo elaborate, rifugiandosi in una visione che mai è stata così scarna, dolente, sussurrata e confidenziale, e allo stesso tempo così completa e matura. Una confessione. 11 fotografie registrate a bassa fedeltà in un afflato di ricordi, rimorsi, pentimenti e gioie. 11 canzoni che abbandonano completamente gli arrangiamenti fastosi del passato per emergere in tutta la loro semplice nudità. Sufjan Stevens mettendosi a nudo riesce a coinvolgere completamente raccontando la sua vita, pizzicando le corde della sua chitarra e del suo cuore e facendosi aiutare solo da una manciata di collaboratori, tra cui spicca il nome di Laura Veirs. Bentornato. Best Track: Should Have Known Better
02. ALGIERS: Algiers (Matador)
Una delle novità più interessanti e coinvolgenti di questo 2015 è stato l’album di esordio degli Algiers, un trio formato ad Atlanta, Georgia sette anni fa, dal cantante Franklin James Fisher, insieme al chitarrista Lee Tesche e al bassista Ryan Mahan. In realtà i tre si dividono diversi altri strumenti ed infilano nelle 11 tracce del disco una serie di suoni estremamente interessanti tra battiti di mani e chitarre sferzanti, tra ritmi industrial ipnotici e scuri arricchiti da un incedere vocale gospel; e un impianto new wave, con la voce soul dello splendido Fisher che sa essere allo stesso tempo dirompente ed emozionale. Un esordio da ascoltare tutto di un fiato, un suono intellettuale, spirituale e trascinante. Meravigliosi. Best Track: Irony. Utility. Pretext.
03. RYLEY WALKER: Primrose Green (Dead Oceans)
Prendete Ryley Walker, un giovane chitarrista dedito al songwriting ed al fingerpicking, unitelo ad una band formata in parti uguali da vecchi marpioni e giovani talenti della scena jazz di Chicago, mettete il tutto all’interno della consolle pilotata da un certo Cooper Crain e mescolate per bene prima di servire questo cocktail a base di whisky rigorosamente su tavolini di legno all’interno di qualche ipotetico ambiente bucolico posto tra l’Illinois e la Gran Bretagna, e lasciatevi trasportare dall’effetto simile a quello dell’assenzio. Primrose Green è un album dove è ben chiara la linea temporale ed affettiva seguita dal chitarrista di Chicago, e che riesce a mantenere una scrittura impeccabile, emozionale e a volte sperimentale pur non facendo nulla per celare gli espliciti riferimenti (Bert Jansch, Nick Drake, Tim Buckley o John Martyn). Le jam, le ossessive e jazzate inquietudini, l’afflato pastorale, le impennate psichedeliche, il virtuoso fingerpicking, tutto sembra amalgamarsi a meraviglia in un lavoro che riesce, e non è cosa da poco, a colpire, convincere ed emozionare. Best Track: Sweet Satisfaction
04. SLEAFORD MODS: Key Markets (Harbinger Sound)
Il duo punk-hop di Nottingham chiamato Sleaford Mods era già entrato lo scorso anno di diritto non solo nella mia playlist, ma anche in quella di molte riviste e webzine specializzate con lo splendido Divide And Exit. Nel corso del 2015 Jason Williamson e Andy Fearn hanno partecipato ad alcuni tra i più prestigiosi festival britannici (tra cui Glastonbury), e hanno anche dato alle stampe un nuovo lavoro chiamato Key Markets. Un album che risulta persino più variegato e bello del precedente, pur non spostando di una virgola il loro suono. Dal vivo poi sono assolutamente divertenti, più Williamson si danna, sbraita, inveisce, si avvita su se stesso, urla con il suo accento improponibile del nord dell’inghilterra, più il suo compare se la sghignazza bevendo birra e semplicemente facendo partire e stoppando le sue basi sul laptop. Le ire del duo sono rivolte soprattutto verso la classe politica, e i testi sboccati e cattivi danzano sulle basi ora scalmanate, ora scure, ora quasi dance, ora a sfiorare il dub. Non saranno punk nel suono, ma la loro attitudine lo è senza ombra di dubbio. Best Track: Tarantula Deadly Cargo
05. JIM O’ROURKE: Simple Songs (Drag City)
Dopo molti anni Jim O’Rourke lascia da parte le sue più recenti incisioni perennemente in bilico tra improvvisazione ed avanguardia per tornare, già dal titolo, ad incidere canzoni semplici. Simple Songs in realtà è un disco semplice solo di nome, di fatto le otto tracce che compongono l’album semplici non lo sono affatto, anche se il fatto di essere estremamente orecchiabili potrebbe farlo pensare. Le canzoni incise con la collaborazione di tutti musicisti giapponesi negli ormai famosi Steamroom Studios di Tokyo dove O’Rourke risiede da tempo, sono state concepite come una sorta di microsuites che stupiscono per l’ispirazione limpida, la meraviglia della costruzione degli incastri e la grande sensibilità e capacità di autore del chicagoano. Best Track: End Of The Road
06. THE NECKS: Vertigo (RéR Megacorp)
Gli australiani Lloyd Swanton (basso), Chris Abrahams (piano e tastiere) e Tony Buck (batteria) tornano con il loro diciottesimo album a nome The Necks. Un album splendido chiamato Vertigo e formato, come loro consuetudine, da un’unica traccia. Una vertigine, un saliscendi emotivo, un abbandonarsi al flusso musicale inscenato dai tre, tra mimimalismo e jazz, improvvisazione e rapimento emotivo, con inserimenti di battiti elettronici per aumentare la tensione. Un disco che non vorremmo finisse mai, e che ci porta a fare un viaggio in un’altra dimensione, lasciandoci con il desiderio di ripartire al più presto. Best Track: Vertigo
07. THE MEMBRANES: Dark Matter/Dark Energy (Cherry Red Records)
L’anno delle reunion ha coinvolto anche il bassista e giornalista art-punk John Robb che ha deciso di riesumare la sua creatura chiamata Membranes dopo ben 26 anni dal disco precedente. Va detto subito che la band di Blackpool torna con Dark Matter/Dark Energy mostrando una forza ed una ferocia inaudita, aggredendo subito il malcapitato ascoltatore con un vero inno post-punk come Do The Supernova. La band riesce nell’impresa di suonare le loro stesse cose degli anni 80, dal post-punk al dub, dalla psichedelia al noise, riuscendo ad attualizzarle ai giorni nostri in maniera perfetta e coinvolgente. Bentornati. Best Track: Do The Supernova
08. JERUSALEM IN MY HEART: If He Dies, If If If If If If (Constellation)
Nel corso del 2015 il libanese di stanza a Montreal Radwan Ghazi Moumneh. prima ha pubblicato l’album insieme ai Suuns, per poi far uscire per la benemerita Constellation Records, il nuovo a nome JIMH (dopo la rivelazione Mo7it Al-Mo7it del 2013) intitolato If He Dies, If If If If If If. Il progetto audio/visuale Jerusalem In My Heart (insieme al regista canadese Charles-Andre Coderre) è un crocevia culturale di grande tensione lirica. Gli strumenti della tradizione araba si uniscono all’elettronica in una preghiera che si innalza verso il cielo, tra la cattiveria della guerra e la catarsi della pace. Un luogo in cui perdersi e riflettere.
Best Track: A Granular Buzuk
09. OUGHT: Sun Coming Down (Constellation)
I tre americani e un australiano che hanno trovato asilo musicale a Montreal sotto il nome di Ought fanno centro con il loro secondo lavoro, Sun Coming Down, che risulta essere, se possibile, ancora più potente ed emozionale del pur ottimo More Than Any Other Day dello scorso anno. La chitarra e la voce di Tim Darcy graffiano e colpiscono sempre nel segno, melodia e dissonanza si uniscono in un groviglio emozionale tra post-punk e Television che non lascia mai indifferenti. Se vogliamo trovare il pelo nell’uovo diciamo che ai 4 manca LA canzone che possa colpire in maniera particolare, ma di fronte alla magia dell’intero lavoro possiamo anche far finta di niente. Grandissima band!
Best Track: Beautiful Blue Sky
10. STEARICA: Fertile (Monotreme Records)
Davide Compagnoni (batteria), Francesco Carlucci (chitarra e elettronica), Luca Paiardi (basso) sono gli Stearica, un trio torinese attivo da moltissimi anni, inspiegabilmente più conosciuto all’estero (anzi, la spiegazione è semplice vista la situazione musicale che si vive in Italia) che in patria. Nel 2015 fanno uscire il loro primo album per l’etichetta inglese Monotreme, chiamato Fertile. Un viaggio immaginario ispirato dagli Indignados spagnoli e dalla primavera araba. Nove tracce che mostrano un’alternanza perfetta tra montagne di suono e pianure melodiche. La band è chirurgica nel collocare brevi pause per aumentare la tensione, e farla poi sciogliere fragorosa con potenti riff di chitarra e aperture melodiche. Le coordinate sonore sono ben chiare, un maestoso e personale crocevia tra post e math-rock, stoner e psichedelia. Impreziosiscono l’album grandi collaborazioni come quella con Colin Stetson. Se vi capita non perdeteli dal vivo: un’esperienza memorabile e catartica. Grandi ragazzi. Best Track: Geber