La storia del rock in Australia è sempre stata estremamente affascinante per il suo essere costantemente in bilico tra il rock più elementare e grezzo (le prime cavalcate punk dei The Saints e dei Radio Birdman negli anni ’70), la psichedelia dei grandi spazi aperti, e brillanti intuizioni pop.
Negli anni ’80 ci fu un vero e proprio boom della musica australiana, con etichette come Citadel, Mushroom o Greasy Pop, e band come Died Pretty, The Moffs o Lizard Train, per non parlare dei nomi più conosciuti come The Celibate Rifles, The Church o i Birthday Party di Nick Cave. Tutte queste molteplici influenze sono state ben assorbite da un quartetto proveniente da Brisbane chiamato Blank Realm e formato da tre fratelli veri (Daniel, Luke e Sarah Spencer), ed uno acquisito (Luke Walsh). La band è rimasta per anni ancorata a produzioni indipendenti ed etichette underground come la Not Not Fun Records , ma da un paio d’anni la Fire Records ha deciso di dargli la giusta e meritata visibilità anche in Europa ristampando i precedenti ‘Go Easy’ (2012) e ‘Grassed Inn’ (2014) e pubblicando il nuovissimo “Illegals In Heaven“ che, con un lavoro in studio finalmente pulito ed accurato, riesce a ripulire un po’ il suono grezzo della band rendendo più godibile la freschezza delle melodie e degli arrangiamenti.
Appena si mette la puntina sui solchi ci si lascia volentieri conquistare dal trascinante, nervoso e sferragliante post-punk di “No Views”, ma guai a lasciarsi ingannare dalle apparenze, perché i quattro hanno molte frecce al loro arco, basti ascoltare come la grezza e forsennata esplosione dell’apertura riesca con disinvoltura a lasciare spazio allo scintillante pop psichedelico del primo singolo “River Of Longing”. Subito dopo il quartetto si dimostra padrone della situazione anche quando riesce a far rallentare i giri come in “Cruel Night”, una ballata decadente e distorta che si eleva al di sopra della media fino a confluire in un altro numero di puro pop eccentrico da spellarsi le mani: la trascinante “Costume Drama” le cui strofe non si immettono mai in normali ritornelli, ma un diabolico scambio azionato da Luke Walsh li manda a cozzare su un muro di chitarre roboanti circondato da un cielo illuminato da mille stelline colorate evocate dal lavoro ai synths di Sarah. “Dream Date” è un’altra ballata eterea dove Daniel può occuparsi della parte cantata in maniera più ispirata del solito, vista la sottile linea percussiva del brano. E che dire di “Flowers In Mind”, irresistibile uptempo con un refrain memorabile; una canzone facile, immediata, capace sempre di restare in bilico su una sottile linea di confine di una possibile esplosione sonora, sia nel meraviglioso ritornello, sia nel vorticoso incedere finale. La seguente “Gold” è un’altra perfetta ballata tanto melodica quanto nostalgica, dove Sarah (relegata come vocalist ad un ruolo marginale nel precedente ‘Grassed Inn’), può finalmente prendersi la meritata ribalta cantando con intensa passione. “Palace Of Love” riprende il canovaccio del pop eccentrico virato verso la psichedelia, ricordando il primo Julian Cope era Teardop Explodes, mentre il gran finale è affidato al tappeto di chitarre plananti di “Too Late Now”, brano che lascia l’ascoltatore per sei minuti in una fluttuante suspence fatta di feedback dissonante che approda stanco ma felice su una riva di tastiere.
Un disco semplice ma mai banale, con il pop psichedelico declinato in quasi tutte le sue possibili forme e varianti, dove il quartetto di Brisbane espone un manifesto di come è possibile ai giorni nostri fare un album di canzoni assolutamente perfette.