Le avventure in musica di Sounds & Grooves arrivano all’8° Episodio della 13° Stagione di RadioRock.to The Original
Qualche novità ed il consueto viaggio a ritroso nel tempo fanno parte del menu di questo episodio di Sounds & Grooves
Sounds & Grooves arriva all’8° Episodio della 13° Stagione di www.radiorock.to, ed è per me a distanza di anni sempre meraviglioso registrare e dare un segnale di continuità con il passato, con quella meraviglia che Franz Andreani, Marco Artico, Massimo Di Roma, Flavia Cardinali, Gianpaolo Castaldo avevano creato e a cui, nel mio piccolo, ho provato a dare il mio contributo dal 1991 al 2000. La Radio Rock in FM come la intendevamo noi è sparita da due decenni, ma in questi 12 anni abbiamo cercato nel nostro piccolo di tenere accesa una fiammella, cercando di raddoppiarla, moltiplicarla, farla diventare un faro di emozioni e qualità musicale con tutta la passione e la voglia di fare radio che nonostante tutto non ci è mai passata. Non siamo una radio “normale”. Non solo perché trasmettiamo in differita e attraverso podcast registrati, ma soprattutto perché andiamo orgogliosamente musicalmente controcorrente rispetto a quella che è diventata la consuetudine delle emittenti radiofoniche al giorno d’oggi.
Negli 80 minuti di Pure And Easy troverete molte differenti suggestioni: dalla perfetta sintesi tra tradizione e sperimentazione di Chris Forsyth all’hip-hop rivoltato come un calzino degli UNKLE, passando per la classicità dei The Who e di Ry Cooder, il talento al femminile di Fiona Apple, Carla Bozulich e Shilpa Ray e le suggestioni sonore di Allen Ravenstine e Jon Hassell. E ancora l’affascinante schizofrenia dei Pere Ubu, la psichedelia declinata in maniera così diversa da Pontiak e Spiritualized e molte altre suggestioni. Il tutto, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
Lunga vita a RadioRock The Original. #everydaypodcast
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Prima di partire con questo viaggio in musica potete effettuare il download del podcast anche nella versione a 320 kb/s semplicemente cliccando sul banner qui sotto.
Iniziamo il podcast con un disco che nel 2016 è riuscito a conquistare la vetta della mia personalissima classifica. Il chitarrista dei fantasiosi Peeesseye (un trio di pazzi furibondi che amavano celebrare arditi baccanali dedicati all’improvvisazione e all’avant-rock), Chris Forsyth, ha intrapreso dopo lo scioglimento della band, un percorso estetico diametralmente opposto. Il suo Solar Motel del 2013 è stata la scintilla che gli ha fatto venire l’idea di creare una vera band, chiamata proprio The Solar Motel Band, con cui poter definitivamente accantonare le asprezze del suo precedente progetto e approdare ad un suono che bilancia l’amore per il suono chitarristico trascendente degli anni ’70 con la sperimentazione dei giorni nostri. Le tracce che compongono questo doppio album chiamato The Rarity Of Experience sono state curiosamente concepite in versione acustica, dovevano infatti accompagnare una pièce teatrale di Miguel Gutierrez, e solo successivamente (tra dicembre 2014 e ottobre 2015) sviluppate e registrate nella versione definitiva. Il disco è diviso idealmente in due parti, con la prima più di impatto sonoro, un maestoso monumento allo strumento principe del rock che viene portato in trionfo da una ritmica sostenuta su centinaia di chilometri di strade blu, mentre la seconda va a privilegiare la bontà del suono, l’elevazione dell’elegia, gli stimoli cerebrali.
Anche “Anthem”, primo brano in scaletta, è diviso idealmente in due parti: lento all’inizio ma via via più aggressivo, riuscendo ad insinuarsi sotto pelle, come una jam session ben congegnata che non può non ricordare le modalità di costruzione sonora dei Grateful Dead o dei Quicksilver Messenger Service. Più in generale, il suono si rifà alle band del passato che hanno fatto dello scontro tra chitarre in alta quota, o in un polveroso deserto, il proprio inequivocabile marchio di fabbrica. Non aspettatevi però virtuosismi chitarristici, la psichedelia liquida del musicista di Philadelphia non contempla (fortunatamente) questo aspetto, andando a privilegiare la bontà del suono, l’elevazione dell’elegia, gli stimoli cerebrali.
Tra le accidentate e nebbiose salite delle Blue Ridge Mountains, in Virginia, i tre barbuti fratelli Jennings (basso), Van (chitarra e voce) e Lain Carney (batteria) hanno saputo creare dal 2005 sotto il marchio Pontiak una discografia quasi perfetta, dal livello qualitativo altissimo, che li ha giustamente consacrati come una delle migliori band di rock psichedelico del nuovo millennio. Stavolta sono andato un po’ a ritroso nel tempo fino al 2010, quando è uscito Living, il loro quarto album in studio. Il disco è stato un tassello fondamentale nella loro discografia, l’ennesimo passo avanti nella costruzione del loro suono. Il passo cadenzato di “Algiers By Day” e l’irrefrenabile strumentale “And By Night”con il suo crescendo esponenziale di enorme tensione e insistenza ritmicadimostrano quanto i tre fratelloni siano ormai diventati un classico nel proprio genere e non solo.
Riesce ancora a sorprendere Ry Cooder, pur essendo in attività da quasi 10 lustri. Nato come musicista da un amore infinito per la tradizione folk, ha deviato la sua traiettoria più volte, scrivendo colonne sonore magistrali come Paris, Texas o sbancando i botteghini creando quasi dal nulla il fenomeno Buena Vista Social Club. Ma Cooder è un musicista che non deve dimostrare più niente a nessuno, ed eccolo tornare a sette anni di distanza dallo splendido Pull Up Some Dust And Sit Down con un nuovo album che attinge a piene mani dal repertorio della musica con cui è nato. The Prodigal Son è un esemplare ed emozionante compendio di musiche folk, gospel e blues prese in prestito, impreziosito da alcune nuove canzoni scritte per l’occasione che non sfigurano affatto accanto ad autentici capolavori della musica tradizionale americana: una tra tutte “Nobody’s Fault But Mine” di Blind Willie Johnson. Un ritorno al passato guardando al futuro, un disco magistrale. Se volete ascoltare la differenza tra un artista che suona folk blues ed uno che con quella musica nel sangue c’è nato, mettete semplicemente la puntina sui solchi di questo meraviglioso album e lasciatevi travolgere dalle emozioni di canzoni meravigliose come la “Shrinking Man” inserita in scaletta.
Che posso dire dei The Who che già non si sappia? I due quarti della formazione originale è ancora incredibilmente in attività, la sezione ritmica più deflagrante che la storia del rock ricordi purtroppo non è più tra noi ma è bello riascoltarla almeno su disco. A posteriori è buffo pensare che Who’s Next (questo il titolo scelto per la pubblicazione del quinto album della band londinese nell’agosto del 1971, titolo che ha il duplice significato di “il nuovo disco degli Who” e di “avanti il prossimo”), forse il loro miglior album e uno dei dischi rock più grandi di sempre, sia nato in realtà da un fallimento, quello di una seconda opera rock ideata da Pete Townshend chiamata Lifehouse. Due elementi chiave che erano dietro alla concezione musicale di questa opera mai pubblicata (se non diversi anni dopo e non sotto il nome della band) si trovano sull’album: l’uso dei sintetizzatori e delle basi preregistrate, elementi che Townshend aveva tenacemente difeso e conservato e che vengono usati per la prima volta nel rock in modo assolutamente innovativo. Townshend disse a posteriori: “Dopo l’uscita di Who’s Next divenni più irritabile che mai, ma mi ripresi quando mi accorsi che in qualche modo Glyn Johns aveva compiuto un miracolo mettendo insieme un album coerente partendo dalle macerie di Lifehouse. Era il primo vero e proprio disco di inediti degli Who dopo tanto tempo.”
Il chitarrista-compositore aveva ragione, perché Who’s Next in definitiva rimane il capolavoro di una band leggendaria, un album registrato con una qualità sonora impensabile a quei tempi da quattro musicisti al top della loro forma. un equilibrio perfetto tra hard rock, rock classico, espedienti sonori innovativi ed un inaspettato romanticismo, composto da canzoni superbe, insuperate ed insuperabili. Per farvi capire quanto all’epoca gli Who fossero all’apice della forma, basta ascoltare quella “Pure And Easy” che doveva essere la canzone cardine di Lifehouse come “Amazing Journey” lo era stata per Tommy, brano scartato nella stesura definitiva del disco ma reperibile facilmente in una delle edizioni Deluxe dell’album uscite nel corso degli anni.
Gran personaggio Allen Ravenstine. Tastierista storico dei Pere Ubu, dopo aver caratterizzato la band con il suo lancinante synth ha lasciato il mondo musicale per diventare un pilota di linea commerciale. Non contento ha progettato simulazioni di stress per altri piloti di linea. C’è voluta la pensione per riportarlo alla musica e al suo primo amore, la sintesi modulare. Il suo incubo da bambino, quello della bomba atomica che poteva arrivare in qualsiasi momento, è diventato l’ispirazione per un lavoro che esce per la ReR Megacorp, l’etichetta di un altro irregolare come Chris Cutler (Henry Cow). Waiting For The Bomb, album che si dipana senza soluzione di continuità in una forma ibrida ed inusuale, è stato registrato quasi interamente nell’appartamento di Ravenstine a New York City con strumenti analogici e digitali. Una sorta di colonna sonora in cui suoni e strumenti dialogano cambiando spesso ritmi ed umori. L’attesa della bomba non è solo una reminiscenza della guerra fredda ma diventa una metafora su come passare il tempo fino alla fine della nostra esistenza terrena. L’album comprende diciotto episodi cinematici che stupiscono per differenza stilistica ed organicità, una tensione che aumenta per poi allentarsi, un lungo viaggio da ascoltare con mente e cuore aperti.
Che storia incredibile quella dei leggendari Pere Ubu. Nati a Cleveland in piena crisi economica, David Thomas e compagni presero il nome dalla pièce teatrale “Ubu Roi” dello scrittore francese Alfred Jarry e convertirono il gusto della satira, l’amore per il grottesco, l’anarchia e la sfrenata verbosità dell’opera in un post-punk che di fatto con le sue nevrosi urbane ed industriali andrà a creare di fatto la new wave. Chi meglio di un personaggio come David Thomas poteva portare in musica il Teatro dell’Assurdo di Jarry? Personaggio introverso, solitario al limite della paranoia, critico musicale e frontman della band proto-punk Rocket From The Tombs, amava nascondersi dietro al nome di Crocus Behemoth, prima di creare insieme al chitarrista degli stessi Tombs, Peter Laughner (morto prematuramente nel 1977 a soli 24 devastato da una pancreatite dovuta all’abuso di alcool e stupefacenti), la sua nuova creatura. Le sue nevrosi urbane e pulsioni schizofreniche lo hanno portato ad essere un un profondo innovatore nello stile di canto, stridulo e disperato, con cui ha espresso il suo sentimento di alienazione. “New Picnic Time” è il loro terzo lavoro in studio, che inaugura una nuova stagione a braccetto con Captain Beefheart e Red Crayola, vista la sinergia con Mayo Thompson e la sua visionaria psichedelia. Le stressanti sessions del disco portarono la band sull’orlo del collasso, con Tim Herman pronto ad abbandonare il gruppo subito dopo l’uscita del disco, sostituito proprio dallo stesso Thompson. “Have Shoes, Will Walk (The Fabulous Sequel)” è lo straordinario incipit del disco, ennesima dimostrazione del talento di una band che sembra pronta a lasciarci il loro (forse) ultimo capolavoro.
Ogni ragazza che si mette in gioco nel mondo indie/alternative in modo mediamente aggressivo deve necessariamente fare i conti con una serie di riferimenti precisi, PJ Harvey in primis. Nel 2015 con l’album Is Last Year’s Savage, direi che Shilpa Ray ha dimostrato di sapersela cavare egregiamente: personalità e talento sono dalla sua parte e la sua attitudine ed abilità nel navigare a vista tra punk, garage, blues, e country folk decadente da locale malfamato, aggiunta alla sua abilità all’harmonium rende la scrittura anche piacevolmente personale. C’è un adesivo bello grosso che campeggia sulla copertina di questo disco, un Nick Cave in versione fumetto che annuncia: “Una delle cose più prodigiose che io abbia visto da molto tempo. E’ destinata ed essere immensa.” Mica male come presentazione, e anche un giudizio categorico che mette un bel po’ di pressione sulle spalle di questa ragazza di Brooklyn dall’attitudine punk che ha avuto l’ardire di aprire proprio i concerti di Nick Cave and The Bad Seeds da sola sul palco con il suo harmonium ora coccolato, talvolta strapazzato a dovere. Non so se la ragazza di Brooklyn sarà destinata davvero a diventare una stella di prima grandezza del panorama musicale come promette il suo pigmalione Nick Cave, ma il disco è davvero gradevole e personale, condotto con sapiente personalità ed istrionico nell’alternare ballate ombrose come l’avvolgente e convincente noir di “Nocturnal Emissions” ed esplosioni tribali.
Carla Bozulich è senza dubbio un’icona della musica alternativa. L’ex Geraldine Fibbers e Scarnella è da sempre maestra nel creare atmosfere tormentate e scure, alternando stasi e accelerazioni, nervosismi e rilassamenti. Nata a New York, si trasferisce in California vivendo tra droga e prostituzione, fino a quando viene salvata dall’ascolto delle sinfonie di Mahler che letteralmente trasformano la sua esistenza. La nuova vita di musicista inizia prima con gli Ethyl Meatplow, poi con i Geraldine Fibbers con cui inizia la sinergia con il futuro chitarrista dei Wilco Nels Cline, suo compagno anche nell’avventura chiamata Scarnella. Le sue emozioni primitive, tratte dal blues, escono fuori in maniera prepotente con “Evangelista”, album che esce nel 2006 per la fantastica etichetta canadese Constellation, il cui titolo diventerà di fatto il nome della sua nuova band. Tra i brani che compongono il disco, una piccola oasi tra la tensione lancinante che sembra avvolgere il tutto sembra essere “Pissing”, rivisitazione del brano che fa parte di The Great Destroyer dei Low, in cui l’apparente calma del brano viene spezzata da una lunga coda dissonante di feedback. La Bozulich ha anche un legame stretto con il nostro paese: ha prodotto l’album d’esordio dei Blue Willa, e nei suoi ultimi album solisti è presente il batterista Andrea Belfi.
Yankee Hotel Foxtrot non è stato solo semplicemente il quarto album in studio dei Wilco, ma il vero punto di svolta della loro carriera. E dire che la gestazione era stata a dir poco complessa. Già pronto nel 2001, vede la data di uscita rimandata a causa del rifiuto della Reprise, loro etichetta dell’epoca, di distribuirlo in quanto poco commerciale. La band non si perde d’animo e prima di rompere il contratto per passare alla Nonesuch (che lo pubblicherà l’anno dopo) decide di divulgare l’album gratuitamente sul proprio sito internet. Paradossalmente rimane tutt’ora l’album più venduto dei Wilco, con oltre 500.000 copie nei soli Stati Uniti, ed è l’ultimo inciso con il multi-strumentista Jay Bennett (morirà nel 2009 per un’overdose accidentale di ansiolitici), ed il primo con Glenn Kotche dietro ai tamburi. L’album è importante anche per la produzione di Jim O’Rourke, e per l’inserimento nel corpo della tradizione del folk/rock americano, di elementi di “disturbo” come rumori digitali e arrangiamenti sghembi e dissonanti che rimarranno come caratteristica della band di americana più importante dell’ultimo ventennio. “Jesus Etc.” è uno dei brani più trascinanti e gettonati del disco, e la perfetta dimostrazione del cambio di marcia impostato dalla band formata dall’ex Uncle Tupelo Jeff Tweedy.
Gli Spacemen 3 sono stati formati da due chitarristi, Peter “Sonic Boom” Kember e Jason Pierce, curiosamente nati nello stesso giorno ed attratti dallo stesso approccio visionario al loro strumento. I due sono stati tra i primi a far coesistere melodie e dissonanze in un flusso sonoro psichedelico, dilatato, distorto ed avvolgente ed hanno influenzato moltissime band. Dopo lo scioglimento del duo nel 1991, Pierce non perse tempo e creò gli Spiritualized mantenendo l’ultima sezione ritmica degli Spacemen 3 (Willie Carruthers al basso e Jon Mattock alla batteria) ed aggiungendo Mark Refoy alla chitarra e Kate Radley alle tastiere. La psichedelia di fondo si dilata in espressioni sinfoniche arricchite via via con archi, fiati ed elettronica. Pierce raggiunge il culmine della sua arte compositiva nel 1997 con Ladies And Gentlemen We Are Floating In Space dove partecipa anche il compianto Dr. John. Con il seguente Let It Come Down nel 2001 Pierce, diventato ormai una one-man band, si circonda di oltre 100 musicisti tra cui un’orchestra. Mimi Parker dei Low ed il London Community Gospel Choir. Le influenze psichedeliche, soul e gospel a volte appesantiscono troppo il suono ma in altri casi, come nella splendida “Out Of Sight” lo arricchiscono e lo spediscono direttamente in un meraviglioso spazio onirico.
The Van Pelt sono una formazione indie-rock newyorkese formata da Chris Leo nel 1993 che ha all’attivo un paio di album ed una manciata di EP pubblicati prima dello scioglimento del gruppo avvenuta nel 1997. Nel 2014 la band si è riformata pubblicando prima un album di vecchie registrazioni intitolato Imaginary Third, poi un nuovo album dal vivo che si intitola Tramonto. Il disco, prodotto dall’etichetta italiana Flying Kids Records in collaborazione con l’inglese Gringo Records, è stato registrato durante il tour europeo del 2014 ed è stato registrato durante la prima tappa di quel tour, un concerto segreto tenutosi a Ferrara in un giardino, con un pubblico esclusivo formato da amici dei componenti della band. La pubblicazione di questo album e la riuscita del tour europeo ha spinto il gruppo ad iniziare una nuova fase della propria carriera. Sembrava che la band stesse pianificando un ulteriore tour e la registrazione del primo disco di materiale originale dall’uscita di Sultans O Sentiment nel 1997, ma ad oggi nulla è davvero trapelato su un possibile nuovo lavoro. Proprio quell’ultimo album in studio è stato l’apice della vena compositiva di Chris Leo e compagni, un album pervaso da ritmi circolari, chitarre torbide, fluide e ripetitive. “The Speeding Train” è uno splendido brano registrato durante le sessions dell’album ma che è uscito solo su singolo nello stesso anno. Dopo quest’album Chris Leo e la bassista Toko Yasuda formeranno i The Lapse, band che durerà molto poco in quanto la Yasuda preferirà unirsi ai Blonde Redhead.
Guardi una foto di Fiona Apple, ascolti le sue canzoni, e pensi “una così potrebbe avere tutto il music business ai suoi piedi!”, ed invece no. La talentuosa e bella Fiona è quanto di più distante dal mondo rutilante del red carpet possa esserci. Una ragazza con un’adolescenza travagliata e difficile alle spalle, che ha saputo reggere l’urto di un avvenimento che non può non lasciare il segno nella vita di chiunque con grande personalità. Dopo i primi due album che avevano riscosso un gran successo sia di pubblico che di critica, la Apple aveva registrato nel 2003 il terzo Extraordinary Machine, ma la Sony, che si aspettava un elevato riscontro, non aveva gradito la scrittura del disco definita poco commerciale. L’artista, sicura dei propri mezzi ed incurante della multinazionale che aveva bloccato la produzione, distribuì l’album in rete. I fans della Apple protestarono sotto la sede della Sony, e l’album uscì ufficialmente sul mercato solo due anni dopo. Nel 2012 esce il quarto lavoro intitolato The Idler Wheel Is Wiser Than The Driver Of The Screw… un diario personale, che mostra la maturità di un’artista di straordinaria sensibilità e talento, come dimostra la splendida “Every Single Night”.
Trombettista classe 1937, Jon Hassell è un musicista che dalla fine degli anni ’70 ha dato voce alla world-music partendo dalla grande scuola minimalista e arricchendo il proprio vocabolario con le intuizioni di Don Cherry, Miles Davis e Brian Eno. Sin dal primo album solista, il capolavoro Vernal Equinox del 1977, Hassell è stato capace di creare un mondo visionario di enorme suggestione, a cavallo tra paura e speranza, con tromba, percussioni ed elettronica ad inseguirsi in un mondo lussureggiante. Ad 81 anni, dopo 9 anni di silenzio, il trombettista statunitense ha pubblicato Listening Pictures, in cui dimostra ancora di avere una straordinaria forza visionaria e di saper stupire ancora destreggiandosi tra tromba ed elettronica creando un mondo nuovo con un’incredibile tavolozza di suoni. “Dreaming” è solo il primo di 8 capitoli incredibili per forza espressiva e capacità di scrittura.
Chiudiamo il podcast con suoni che non trovano spazio spesso su queste pagine. Il progetto UNKLE è stato creato verso la metà degli anni 90 grazie a James Lavelle, creatore della storica etichetta britannica Mo’ Wax, in quel periodo straordinariamente attiva nello scoprire nuove musiche provenienti dal sottobosco sperimentale hip-hop. Proprio Lavelle aveva “importato” dagli States uno straordinario personaggio come DJ Shadow, grande creatore di suoni e maestro del cut and paste che con Endtroducing… (pubblicato proprio dalla Mo Wax) aveva creato una vera e propria pietra miliare del genere. Il primo lavoro di questo collettivo era estremamente atteso da pubblico ed addetti al lavori, particolarmente attratti dall’hype del momento e dalla qualità dei musicisti coinvolti nel progetto, provenienti da diversi mondi sonori. Basti pensare a Richard Ashcroft (Verve), Thom Yorke (Radiohead), Mike D (Beastie Boys), Jason Newsted (Metallica), Kool G Rap, Alice Temple, Badly Drawn Boy e perfino Mark Hollis, il cui pianoforte si può sentire nella splendida “Chaos”. Psyence Fiction è stato un album concentrato sul tentativo di fare qualcosa di musicalmente nuovo e diverso, un disco imperfetto forse, ma sicuramente onesto. “Rabbit in Your Headlights” che chiude il podcast è una delle vette del disco, grazie anche alla voce di Thom Yorke. Il collettivo UNKLE tornerà dopo 5 anni senza DJ Shadow, ma quella è un’altra storia…
Un grazie speciale va, come sempre, a Franz Andreani per la nuova veste grafica attiva già dallo scorso anno. A cambiare non è solo la versione web2.0 del sito, ma anche la “filosofia” della podradio, con le rubriche che vanno ad integrarsi nella programmazione regolare sotto l’hashtag #everydaypodcast. Tutte le novità le trovate sempre aggiornate in tempo reale sulla nostra pagina Facebook.
Nel 9° Episodio di Sounds & Grooves non troverete ancora la mia temutissima classifica del 2018 (vi rimando al prossimo Episodio), ma un altro curioso viaggio nel tempo. Ci sarà l’esordio degli Iron Maiden, disco che è stato la scintilla che ha acceso la mia curiosità musicale in età scolastica, e l’evoluzione del metal con i Tool. Troverete anche il ricordo di Grant Hart e la maturità dell’hardcore degli Husker Du, le evoluzioni canore di Mariam Wallentin con il progetto pop Mariam The Believer e le meraviglie in coppia con Andreas Werliin come Wildbirds & Peacedrums. Un piccolo sguardo indietro alla mia classifica 2017 con The Heliocentrics e Man Forever (Kid Millions degli Oneida sotto mentite spoglie), che lancia in orbita una Laurie Anderson monumentale. E ancora le meraviglie di Paolo Spunk Bertozzi da solo e con i 2Hurt, l’esordio lontano della grande orchestra Lambchop, le invernali ambientazioni scozzesi di Arab Strap e Frightened Rabbit ricordando Scott Hutchinson. Il tutto, come sempre, sulle onde sonore della podradio più libera ed indipendente del pianeta: radiorock.to.
Intanto se volete potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, criticare (perché no), o proporre nuove storie musicali. Mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web.
Se volete ascoltare o scaricare il podcast, potete farlo anche dal sito della stessa PodRadio cliccando sulla barra qui sotto. Buon Ascolto
TRACKLIST
01. CHRIS FORSYTH & THE SOLAR MOTEL BAND: Anthem I & II da ‘The Rarity Of Experience’ (2016 – No Quarter)
02. PONTIAK: Algiers By Day / And By Night da ‘Living’ (2010 – Thrill Jockey)
03. RY COODER: Shrinking Man da ‘The Prodigal Son’ (2018 – Fantasy / Perro Verde)
04. THE WHO: Pure And Easy da ‘Who’s Next (Deluxe Edition)’ (1971 – Track Record)
05. ALLEN RAVENSTINE: Waiting / Insomnia / Bump In The Night da ‘Waiting For The Bomb’ (2018 – ReR Megacorp)
06. PERE UBU: Have Shoes, Will Walk (The Fabulous Sequel) da ‘New Picnic Time’ (1979 – Chrysalis)
07. SHILPA RAY: Nocturnal Emissions da ‘Is Last Years Savage’ (2015 – Northern Spy)
08. CARLA BOZULICH: Pissing da ‘Evangelista’ (2006 – Constellation)
09. WILCO: Jesus Etc. da ‘Yankee Hotel Foxtrot’ (2002 – Nonesuch)
10. SPIRITUALIZED: Out Of Sight da ‘Let It Come Down’ (2001 – Spaceman Records)
11. THE VAN PELT: The Speeding Train da ‘Tramonto (Live In Ferrara 12.08.2014)’ (2016 – Flying Kids Records)
12. FIONA APPLE: Every Single Night da ‘The Idler Wheel Is Wiser Than The Driver Of The Screw…’ (2012 – Clean Slate / Epic)
13. JON HASSELL: Dreaming da ‘Listening To Pictures’ (2018 – Ndeya)
14. UNKLE feat. THOM YORKE: Rabbit In Your Headlights da ‘Psyence Fiction’ (1998 – Mo Wax)