Ecco il terzo album solista di David Lance Callahan
“Down To The Marshes” conferma l’ex Moonshake come straordinario artista capace di coniugare varie influenze in una miscela nuova e personale
Photo cover: James Fry
La pandemia ed il successivo lockdown hanno davvero condizionato la vita di tutti, non solo della gente comune ma anche quella degli artisti che si sono ritrovati a dover gestire dinamiche sconosciute. Tra le poche, pochissime cose buone uscite da quel periodo estremamente complesso, difficile e controverso c’è stata sicuramente l’uscire dal guscio di un artista che aveva marchiato a fuoco la scena post-rock britannica degli anni ’90. Sto parlando di David Lance Callahan, personaggio e musicista straordinario, fondatore a metà anni ’80 dei Wolfhounds che parteciparono a quella compilation iconica chiamata C86 e, successivamente, creatore della sigla Moonshake che, insieme ad altre band della scuderia Too Pure, hanno contribuito con fantasia energica a creare una caleidoscopica scena post-rock in Gran Bretagna. Dopo aver riformato con successo qualche anno fa i Wolfhounds, la pandemia ha portato David a metter mano a molti brani che aveva preparato e a pubblicare, dopo oltre 30 anni di attività, i suoi primi, splendidi album solista, i gemelli diversi English Primitive I e II.
Dopo due album di tale livello qualitativo era lecito avere alte aspettative anche per il terzo capitolo della sua carriera solista, e l’appena pubblicato Down To The Marshes, mettiamolo subito in chiaro, non ha affatto deluso le attese. Il titolo dell’album è stato ispirato dal Lee Valley Regional Park, un parco di circa 40 km² dove Callahan ha passato molto tempo a camminare durante il periodo di isolamento. Osservare le persone che camminavano e correvano e ha fatto immaginare a Callahan di dividere le loro vite come fossero stagioni. Da quei pensieri è nata la canzone che ha dato il titolo all’intero album e la progettazione della copertina, in quanto i temi principali che si sviluppano all’interno delle 8 tracce sono la città contro la campagna, la storia contro il presente e l’animale contro l’uomo. Non stupisca l’interesse dell’autore per la natura e per gli animali, visto che è un grande esperto di birdwatching, passione che l’ha portato anche a scrivere diversi libri sull’argomento.
Anche se i testi esplorano come sempre lo stato attuale profondamente preoccupante del Regno Unito (e non solo), l’album è stato registrato a Valencia, in Spagna, dove ha sede la sua etichetta (Tiny Global) che gli ha messo a disposizione uno studio tanto grande e funzionale quanto economico. Ad accompagnarlo troviamo il fido collaboratore dietro i tamburi Daren Garratt (Pram, The Fall, The Nightingales), il violino ed i cori di Mel Draisey (The Clientele), i fiati di Terry Edwards (più recentemente nella band di PJ Harvey), la sega ad arco dell’artista visuale Catherine Gerbrands e gli eccellenti musicisti della locale Berklee College of Music tra cui spicca il talento del polistrumentista Cris Belda.
All’interno dei solchi ho trovato i consueti elementi di musica folk, africana occidentale, blues, indiana e post-punk già mostrati nei primi due album, ma in questo caso la tavolozza sonora viene allargata grazie ad una sezione di fiati e di un quartetto d’archi capaci di sottolinearne le melodie. Esemplare in questo senso è l’apertura di “The Spirit World”, con una chitarra acustica e il violino a condurre un brano arioso e rilassato dove anche i testi si mostrano più ottimistici del solito senza disdegnare una punta di sarcasmo.
Della title track abbiamo parlato in precedenza dal punto di vista del testo, mentre musicalmente si fa apprezzare per il suo inglobare folk, blues e modalità provenienti da uno dei paesi dove la colonizzazione britannica è stata più importante come l’India senza perdere un grammo della profonda personalità dell’autore, a suo agio anche sotto uno splendido quartetto di archi. La seguente “Refugee Blues” ci riporta agli album precedenti con il suono circolare e tagliente della chitarra, il fondamentale apporto percussivo di Garratt ed un testo che non è altro che la rivisitazione, aggiornata ai nostri tempi oscuri, di una poesia di WH Auden del 1939 che sottolineava l’indifferenza degli altri paesi alla richiesta di asilo dei rifugiati ebrei dalla Germania nazista negli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale. Purtroppo possiamo ascoltare troppo spesso al giorno d’oggi frasi del tipo “If we let them in, they’ll steal our daily bread”.
Ancora un intreccio affilato tra percussioni e chitarra dalle reminiscenze orientali per una “Kiss Chase” che si schiude in un ritornello aperto e melodico sottolineando la difficoltà di trovare un partner di cui ci si possa davvero fidare. “The Montgomery” è un inquietante ricordo ancora risalente alla seconda guerra mondiale. Un brano eseguito dal solo Callahan a chitarra e voce con in sottofondo la spettrale voce da sirena di Anna Ferrandiz che parla del relitto affondato del Montgomery, incastrato in un banco di sabbia sull’estuario del Tamigi, che minaccia costantemente di esplodere con l’alzarsi e l’abbassarsi della marea. Sono invece Hammond e fiati i compagni di avventura di una “Father Thames And Mother London” che fotografa in maniera amara una capitale dove i visitatori “fanno la coda per un maledetto labirinto a cartoni animati” e i residenti non conoscono davvero nemmeno i loro vicini di casa.
Le atmosfere si fanno di nuovo più aperte con la splendida “Robin Reliant” che, tornando alla sua seconda grande passione, l’ornitologia, ci mostra il talento e lo stato di grazia di uno degli artisti più personali e creativi del Regno Unito, capace di creare un suo personale genere con le sue regole. passando dall’amore per i sample e dalle influenze krautrock della sua ex band Moonshake alla creazione di un nuovo folk inglese. A chiudere il disco ci pensa una ballata folk sognante come “Island State” che vede l’apporto ai cori di Sukie Smith.
Non era affatto facile mantenersi sui livelli eccelsi dei primi due lavori solisti, ma con Down To The Marshes David Lance Callahan si conferma non solo come eroe di culto ma anche come artista capace di mescolare in maniera assolutamente personale psichedelia, folk, suggestioni indiane, aperture melodiche, confermandosi anche come uno dei più acuti parolieri contemporanei, con un taglio distintivo su politica (non solo britannica), varia umanità e natura.
TRACKLIST
1. The Spirit World 4:57
2. Down To The Marshes 5:21
3. Refugee Blues 6:30
4. Kiss Chase 5:42
5. The Montgomery 5:29
6. Father Thames And Mother London 5:06
7. Robin Reliant 5:39
8. Island State 5:20